27 Marzo

27 marzo 2014

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Alle cinque e tre quarti del mattino eravamo ancora lì, dentro la mia Seicento multipla con i vetri appannati. Era il giorno 27 di marzo amoroso e ventoso di quell’anno là e il sole sorgeva esattamente alle sei e otto minuti. Era il giorno di San Giovanni Damasceno e di Santa Augusta Vergine, secondo mattutino delle tenebre, come dice il Barbanera. Quando aprii gli occhi (io bacio sempre a occhi chiusi) intorno a noi non c’era più nessuno, erano scomparse tutte le macchine, c’erano soltanto due poliziotti a cavallo. Gli uccelli si erano svegliati e cinguettavano a testa alta sui rami degli alberi, altri volteggiavano nell’aria come impazziti per la luce del giorno che stava spuntando mentre si spegnevano i lampioni comunali. Baciare è un’arte.
Un passero era venuto a posarsi sul cofano della macchina, poi era ripartito per un breve volo intorno al monumento di Garibaldi, l’Eroe del nostro Risorgimento. A rigore si può dire che per tutta la notte io e Miriam ci eravamo dati un solo lunghissimo bacio

Luigi Malerba, Il serpente, 1966, Mondadori, 1989, p. 57

 Arrivato a Roma da Parma, il narratore di questa storia gestisce un negozio di francobolli in via Arenula; sostiene di essere sposato e, a un certo punto, si trova a frequentare una scuola di canto, dove conosce una ragazza, che presenta ai lettori come Miriam. Con Miriam ha inizio una relazione, che si carica a mano a mano di gelosia rivolta non solo al presente, ma anche al passato. L’ossessione porta l’uomo ad avvelenare la donna e a mangiarne il corpo, o almeno questo è ciò che egli racconta al commissario e ai lettori. Fra tanti depistaggi, menzogne, ritrattazioni che costellano questo romanzo, la data del primo lungo bacio fra l’uomo e Miriam – al Gianicolo – sembra essere un punto d’appoggio. È il 27 marzo “di quell’anno là”. Un giorno individuato dall’ora della levata del sole, dai santi e da un rito che ha luogo durante la settimana di Pasqua. Un giorno trovato nell’Almanacco Barbanera del 1964.

Dicono del libro
“Un uomo maniacalmente geloso della sua amante la uccide, quindi ne divora il cadavere e si autodenuncia: a un livello superficiale, Il serpente di Malerba lo si potrebbe riassumere così. Ma ben altra è la natura profonda, l’assoluta originalità del romanzo. Non soltanto alla lunga confessione dell’uomo si alternano – inquietante controcanto – astratte, folgoranti divagazioni/esortazioni affatto estranee alla ‘trama’ (…) ma il lettore non tarda ad apprendere dallo stesso Io narrante che egli mente, così che l’intera narrazione annulla in qualche modo se stessa”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)

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