April 2323 Aprile

23 aprile 2013

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Arrivò la pioggia dalla finestra. Era una pioggia di aprile. Il ventitré di aprile. Già! Melchior aveva il fato segnato fin dalla nascita; era destinato a indossare la corona di cartone. Non aveva forse visto la luce nel giorno del compleanno di Shakespeare? E anche noi del resto” (…)
Non sai che oggi è il compleanno di Shakespeare? Brinda che Dio protegga l’Inghilterra, Harry e San Giorgio, e bevi alla salute dei bastardi

Angela Carter, Figlie sagge, 1991, tr. it. R. Bernascone e C. Juli, Rizzoli,  1992, p. 224, p. 228

La battuta è di Dora Chance, la protagonista dell’ultimo romanzo scritto da Angela Carter , “Figlie Sagge”, e condensa (la battuta e il romanzo) tutti i punti forti della poetica della sua irripetibile autrice: Vecchia Europa, illegittimità, teatro, voglia di vita sconveniente, dotta e pop.
Il compleanno di Shakespeare cade convenzionalmente il 23 aprile (data che si fa coincidere con quella, cinquantadue anni dopo, della sua morte) giorno di nascita di Dora e della sua gemella Nora, nate nel lato sbagliato del Tamigi e del letto, figlie naturali del più grande attore shakespeariano del loro tempo (Melchior Hazard) o forse chissà di suo fratello gemello Peregrine, anche loro venuti al mondo il giorno di San Giorgio. Il romanzo si apre il 23 aprile col racconto autobiografico di Dora, ballerina di avanspettacolo, settantacinquenne, e la data ritorna lungo tutto il pazzesco memoriale che procede a salti di tempo. I fatti più sensazionali accadono puntualmente nel giorno genetliaco (il settimo, il quattordicesimo, il ventunesimo, il settantacinquesimo compleanno delle ragazze ovvero il centesimo dei fratelli Hazard) sempre inevitabilmente percorso da folate di elettrizzante vento d’aprile. Nel libro, zeppo di citazioni e rimandi al mondo del teatro e di tutte le sue arti sorelle bastarde (dall’operetta al cinema) la parte del Deus ex  machina è riservata al gemello “buono”, prestigiatore prodigo ed immane, Peregrine-Perry che a fine romanzo diventa  anche cacciatore e cultore di farfalle: un omaggio, piace pensare, a Vladimir Nabokov, nato il 23 aprile del 1899, anche lui per convenzione: la data per il calendario giuliano sarebbe stata il 10 aprile, cambiata nel 1900 con la corrispondente del calendario gregoriano: il nostro giorno di San Giorgio, giorno in cui l’UNESCO celebra la Giornata mondiale del Libro e del Diritto d’Autore e la Catalogna anche  quello delle rose. (Commento di Silvia Veroli)

 

April 2222 Aprile

22 aprile 2013

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Apro gli occhi. Tra poco arriveremo. Vedo già la nube d’argento sopra la montagna, poi appaiono le torri del castello e i campanili delle numerose chiese. 
Il 22 del mese d’aprile, dopo quarant’anni d’assenza, sono di ritorno nella piccola città della mia infanzia. 
La stazione non è cambiata. È soltanto più pulita, addirittura infiorata, con fiori di qui di cui non conosco il nome e che altrove non ho mai visto. C’è anche un autobus che si allontana

Agota Kristof, La terza menzogna, 1991 (Trilogia della città di K.), tr. it. G. Bogliolo, Einaudi, 1998, p. 293

Tutto è doppio nella storia, raccontata da diversi punti di vista, dei due gemelli Claus e Lucas, nomi che sono uno l’anagramma dell’altro. Hanno conosciuto la seconda Guerra mondiale e l’invasione russa dell’Ungheria, vivendo dalla nonna materna, in un ambiente spietato e picaresco. Si sono separati quando il padre ha cercato di passare la frontiera ed è saltato su una mina, tragedia che ha permesso a uno dei fratelli di attraversare il confine. Se è vero quanto viene narrato – e se è vero che Claus (a volte scritto con la K) e Lucas sono due persone distinte – Lucas rimane nella vecchia città e Claus vive a lungo lontano, prima di tornare. Da quel momento la storia viene di nuovo raccontata, fra menzogne e salti nel tempo. E anche la data del 22 aprile è segnata dalla ripetizione della cifra che indica il doppio.

Dicono del libro
“In un Paese occupato dalle armate straniere, due gemelli, Lucas e Klaus, scelgono due destini diversi: Lucas resta in patria, Klaus fugge nel mondo cosiddetto libero. E quando si ritroveranno, dovranno affrontare un Paese di macerie morali. Storia di formazione, la Trilogia della città di K. ritrae un’ epoca che sembra produrre soltanto la deformazione del mondo e degli uomini, e ci costringe a interrogarci su responsabilità storiche ancora oscure.”
(dalla scheda del libro sul sito Einaudi)

21 Aprile

21 aprile 2013

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Il ventun aprile di quell’anno, che doveva essere il 1933, mentre dagli altoparlanti collocati agli angoli della piazza del Municipio di Cuvio si levavano le note dell’inno a Roma, e il Vanghetta, in qualità di presidente dell’Opera Maternità e Infanzia era sul palco delle autorità tra il sindaco e il segretario politico per partecipare alla celebrazione patriottica del Natale di Roma, Evelina metteva alla luce un bambino nell’ospedale di Cittiglio, dov’era stata portata dal Landriani al primo segno premonitore dell’evento

Piero Chiara, Il pretore di Cuvio, 1973, Mondadori,p. 123

Il 21 aprile, Natale di Roma, è anche il giorno natale del figlio di Augusto Vanghetta, pretore nella città lombarda di Cuvio, dove è arrivato nel 1930, dopo una carriera mediocre e arrivista. Sul palco delle autorità, mentre il coro canta un inno fascista, il pretore viene a sapere la notizia. Ma Vanghetta sa che il figlio non è suo.  La giovane moglie Evelina, trascurata e tradita, ha concepito il figlio col fidato segretario (e poi socio) del marito, senza che questi si accorgesse di niente. Vanghetta ha indagato sugli spostamenti della moglie, ricostruendo “quattro mesi di calendario”, ma non capirà fino alla fine chi è il padre del bambino, a cui verrà dato il nome di Ramiro, il protagonista di una commedia degli equivoci, rappresentata circa nove mesi prima. 

Dicono del libro
“Ambientata nei primi anni del fascismo, la vicenda del pretore di Cuvio lascia trasparire, accanto agli aspetti comici e gustosi (quelli infallibili dell’intrigo, della sorpresa e della beffa, nella linea maestra del racconto, da Boccaccio e Maupassant) come il presentimento di un precipitare, progressivo e inarrestabile, degli eventi”

(dalla bandella dell’ed. Mondadori, op. cit.)

 

 

April 2020 Aprile

20 aprile 2013

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La mattina del 20 aprile del 1857, il guardiano del semaforo di Diamond-Harbour, segnalava la presenza d’un piccolo legno che doveva essere entrato nell’Hugly durante la notte, senza aver fatto richiesta di alcun pilota. Sembrava un veliero malese, dalle dimensioni straordinarie delle sue vele, la cui superficie era immensa, però lo scafo non era precisamente simile a quello dei prahos, non essendo provvisto di bilancieri per appoggiarsi meglio sulle onde quando le raffiche aumentano di violenza, né avendo al centro quella tettoia che chiamasi attap. Anzi era costruito, a quanto pareva, con lamine di ferro anziché di legno, non aveva la poppa bassa, la tolda era sgombra e poi stazzava tre volte di piú dei prahos ordinari, i quali di rado hanno una portata di cinquanta tonnellate. Comunque fosse, era un bellissimo veliero, lungo, affilato, che a vento largo, o, meglio ancora, con vento di poppa doveva filare meglio di tutte le navi a vapore che allora possedeva il governo anglo-indiano. Era insomma una vera nave da corsa

Emilio Salgari, Le due Tigri, 1904, Fabbri, 2005, pp. 5-6

Le date – nei romanzi di Salgari – individuano i giorni a tutto tondo, nel loro legame con la geografia, la latitudine, le condizioni meteorologiche, gli eventi naturali. E spesso nell’incipit è richiamato un giorno, che contribuisce a inquadrare la narrazione in un contesto temporale. In questo caso – come nota Antonio Faeti – è importante anche l’anno scelto per l’ambientazione storica: “è il 1857, l’anno in cui l’India si ribellò al dominio inglese e dichiarò guerra agli stranieri con una vampata di eroismo in cui ritrovò lo spirito delle proprie guerresche tradizioni.”

 

Dicono del libro
“La prima edizione del romanzo Le due Tigri fu pubblicata a Genova, dall’editore Donath, nel 1904, quando Salgari aveva quarantadue anni. Il volume aveva una copertina straordinaria: c’erano due tigri con il volto umano, una agonizzava e l’altra lanciava un grido di trionfo e di vittoria. I due potenti e nobilissimi animali, grazie agli acquerelli del bravissimo Alberto Della Valle, alludevano davvero al duello finale in cui la Tigre della Malesia, Sandokan, affrontava fieramente, con una lieta baldanza, il nemico irriducibile, il signore dei thugs, la Tigre dell’India, Suyodhana”
(dalla postfazione di A. Faeti all’ed. Fabbri, op. cit.)

April 1919 Aprile

19 aprile 2013

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Sì, la prima impressione – rumori, luci, odori – che colpisce un bambino che esce dal grembo materno lo segna per sempre. È come una curva impossibile da raddrizzare, una piega impressa al suo carattere. Pur senza essere nel modo più assoluto uno storico, ho svolto alcune indagini per conoscere l’ambiente preciso in cui sono nati alcuni uomini che hanno fatto parlare di sé. Si sa che Napoleone vide la luce al suono dell’organo e tra i fumi d’incenso della messa cantata del 15 agosto nella cattedrale di Ajaccio. Non tutti sanno, invece, che ci fu una scossa di terremoto a Gori, al momento della nascita di Stalin. Una gelata terribile fece morire tutti i fiori degli alberi da frutto della regione di Braunau la notte del 19 aprile 1889 che vide nascere Adolf Hitler. Gli antichi credevano che la nascita di un futuro fosse segnata da prodigi. Bisognerebbe invece invertire l’ordine causale, e dire che un prodigio verificatosi al momento della nascita di un bambino può fare di lui un uomo eccezionale.

Michel Tournier, Mezzanotte d’amore, 1989, tr. it. F. Bruno, Garzanti, 1990, p. 123

In una notte d’estate, alcuni amici, riuniti dagli ospiti per una strana festa d’addio, si raccontano a vicenda diciannove storie e nell’undicesima, il narratore presenta il tema della data di nascita, e di come la stagione, l’ambiente e le circostanze di quella giornata possano determinare l’intera esistenza. Fra gli esempi portati a sostegno della tesi, colpisce la registrazione di un fenomeno atmosferico che – a ridosso della nascita di Hitler – sconvolge la primavera austriaca, gelando i germogli il 19 di aprile. 

Dicono del libro
“Dopo un incontro segnato dal destino e una grande stagione d’amore, Nadège e Yves sono una coppia che non riesce più a trovare le parole del dialogo e della comprensione. Un rumoroso silenzio li avvolge. Decidono di separarsi e di annunciare la notizia agli amici in una cena di mezzanotte. Ciascuno degli invitati, come in un moderno novelliere, racconta una storia: Furono in tutto diciannove”

(dalla bandella dell’ed. Garzanti, op. cit.)

April 1818 Aprile

18 aprile 2013

I go up Richmond Hill, along the terrace, into the park. It’s the 18th of April–the same day as it is here. It’s spring in England. The ground is rather damp.

Virginia Woolf, The voyage out

 

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Vado su per la collina di Richmond, lungo la terrazza, dietro il parco. È il 18 di aprile… lo stesso giorno di qui. È primavera in Inghilterra. Il terreno è piuttosto umido. Però io traverso la strada e continuo sull’erba e camminiamo e io canto, come faccio sempre quando sono sola, finché arriviamo in un punto aperto di dove si può vedere tutta Londra in basso, quando la giornata è chiara. Qui il campanile della chiesa di Hampshire, laggiù la cattedrale di Westminster e all’incirca qui i comignoli delle fabbriche. In genere c’è foschia sulla parte inferiore di Londra; ma spesso il cielo  sopra il parco è azzurro

Virginia Woolf, La crociera, 1913, tr. it. O. Previtali, Rizzoli 1993, p. 223

Dopo una lunga traversata su una nave da crociera, la giovane Rachel Vinrace si trova a Santa Marina “un paese dell’America tropicale fuori della storia”. Il tempo trascorre in letture, fidanzamenti, balli, conversazioni. Ed è in una conversazione fra Rachel e l’amico Terence che il 18 aprile è chiamato in causa: il tema del dialogo  è immaginare – e descrivere – la vita nella casa di Richmond, dove Rachel abita quando è in Inghilterra. Mentre illustra il luogo, la ragazza lo colloca nello “stesso giorno di qui”, 18 aprile:  una porzione di tempo che accade contemporaneamente  in un altro spazio. Lontano fisicamente, ma dove si continua a essere con la memoria e  l’immaginazione. 

 

Dicono del libro
La crociera è il primo romanzo che Virginia Woolf scrisse. Lo pubblicò nel 1913: aveva trentun anni. È una vicenda di amore e di morte, sviluppata fuori dei canoni del tardo romanticismo. La Woolf, già al suo debutto, è uno scrittore definito: già qui insegue l’incrociarsi impalpabile della vita dei sentimenti a quella dell’apparenza quotidiana. Rachel e Terence, i due innamorati, si rincorrono, attratti in una sorta di aereo campo magnetico, quasi senza sfiorarsi”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Rizzoli, op. cit.)

April 1717 Aprile

17 aprile 2013

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D’altro canto, però, com’era diventato bello nel corso della sua arringa entusiasta, il viso secco e brutto dello studente! La legnosità spigolosa che ne improntava tratti e gesti si caricò di sublime, assunse un aspetto austero, dominatore, integerrimo. Tutta la figura di quel giovane allampanato, cresciuto troppo in fretta, malnutrito e vestito da far pietà, per Bohusch aveva acquisito inavvertitamente qualcosa di elementare, di eterno e mentre gli camminava a fianco non lo abbandonava la sensazione di dover prendere nota particolare di quel giorno: sabato 17 aprile

Rainer Maria Rilke, Re Bohusch, 1899, tr. it. G. Scarpari, in Due storie praghesi, Edizioni e/o 1985, p.24

A Praga, negli ultimi anni dell’Ottocento, la società segreta Omladina (Gioventù) si riunisce negli scantinati, col progetto di liberare la città dalla dominazione austriaca. Rilke prende spunto da un fatto accaduto: l’uccisione di un affiliato alla società segreta, di nome Rudolf, sospettato di tradimento. E immagina gli incontri al Caffè Nazionale, dove  si parla di indipendenza e di popolo, di politica e letteratura. Una sola data è indicata nel testo: il 17 aprile,  il giorno del calendario dedicato a un martire medievale di nome Rodolfo. ma anche un giorno di primavera che fa risplendere le strade della città ed esalta gli animi e i discorsi. 

Dicono del libro
“In ambedue le storie praghesi Rilke allude alla questione nazionale che negli anni della sua giovinezza era giunta a condizionare buona parte della vita pubblica in Boemia. Dal clima rivoluzionario e irredentista del ’48 si erano sviluppate tensioni ormai insostenibili per gli estremisti delle due etnie (…) Nel 1893 si svolse a Praga un clamoroso processo contro i membri della società segreta Omladina (Gioventù) che perseguiva la liberazione del popolo ceco dalla dominazione austriaca. La polizia ne scoprì le tracce in seguito all’assassinio di uno dei suoi affiliati, Rudolf Mrva, sospettato di delazione dai suoi compagni. Nella prima storia praghese, che rielabora questi avvenimenti contemporanei, il presunto traditore porta il nomignolo di ‘Re Bohusch'”.

(G. Scarpati, Avvertenza, nell’ed. e/o, op. cit.)

April 1616 Aprile

16 aprile 2013

 

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La mattina del 16 aprile il dottor Bernard Rieux, uscendo dal suo studio, inciampò in un sorcio morto, in mezzo al pianerottolo. Al momento non vi fece caso e, scostata la bestia, discese le scale; ma non appena nella strada gli venne il pensiero che quel sorcio non era al posto suo, e tornò indietro per avvertire il portiere. Davanti alla reazione del vecchio Michel, ancor meglio si accorse che la scoperta aveva qualcosa d’insolito

Albert Camus, La peste, 1947, tr. it. B. Dal Fabbro, Bompiani 1992, p.8

“I singolari avvenimenti che dànno materia a questa cronaca” – avvisa l’autore – si sono verificati a Orano, prefettura francese della costa algerina, negli anni Quaranta. Un’epidemia di peste (il cui bacillo “non muore né scompare mai” come viene detto alla fine) arriva a sconvolgere la vita della città e dei suoi abitanti, scatenando reazioni inaspettate, nel bene e nel male. Con minuzia, il narratore ripercorre l’avvio dell’epidemia, partendo dalle prime avvisaglie: il ritrovamento del topo morto da parte del dottor Rieux,  la mattina del 16 aprile. 

Dicono del libro
“Orano è colpita da un’epidemia inesorabile e tremenda. Isolata con un cordone sanitario dal resto del mondo, affamata, incapace di fermare la pestilenza, la città diventa il palcoscenico e il vetrino da esperimento per le passioni di un’umanità sempre al limite fra disgregazione e solidarietà. La fede religiosa, l’edonismo di chi non crede alle astrazioni, ma neppure è capace di ‘essere felice da solo’, il semplice sentimento del proprio dovere, sono i protagonisti spesso divergenti ma comunque costruttivi della vicenda; l’indifferenza, il panico, lo spirito burocratico e l’egoismo gretto gli alleati del morbo”

(dalla quarta di copertina dell’ed. Bompiani, op. cit.)

Interfacce del tempo: Yugo Nakamura

Yugo Nakamura

Yugo Nakamura è un artista giapponese (nato a Nara nel 1970) che lavora da decenni sulle interfacce per computer. Nel sito www.yugop.com è possibile ripercorrere le sue maggiori invenzioni a partire da Mono* craft del 1998-99, in cui faceva la prima comparsa Nervous Matrix, un quadrato suddiviso in 9 riquadri numerati. Digitando un numero dalla tastiera del proprio computer, il riquadro corrispondente si attiva, deformandosi a seconda dell’intensità e della frequenza con cui il tasto viene toccato. Si tratta di effetti ottenuti grazie a un uso raffinato e originale del software Flash, di cui Nakamura è considerato uno dei maggiori interpreti creativi. Una versione di Nervous Matrix è applicata per esempio, nel 1999, a una riproduzione della Monna Lisa di Leonardo, con sorprendenti distorsioni della fisionomia. Chi esplora le opere di Nakamura è messo nella condizione di interagire sottilmente con ciò che percepisce, perché i movimenti del mouse e i comandi da tastiera hanno – sullo schermo – un effetto fluido e continuo, una corrispondenza diretta e modulata. Le forme diventano più grandi o più piccole, si avvicinano e allontanano, scivolano verso i bordi dello schermo in sintonia con i movimenti dell’utente. Ricorrente in molti di questi prodotti è una time-line orizzontale che scorre nelle due direzioni alla velocità stabilita da chi in quel momento muove il mouse. L’impressione è quella di stare visualizzando spazialmente un movimento nel tempo, che appare condiviso in modo interattivo con il computer. La visualizzazione del passaggio del tempo è oggetto di diverse opere di Nakamura. Nel Clockblock, del 2001, 10 forme geometriche colorate indicano le unità di tempo e sono assemblate, in sintonia con il clock del computer, in quello che sembra un tempo reale. In tempo reale, e sotto i nostri occhi, sembra aggiornarsi anche l’Industrious clockin cui da tredici anni una mano disegna a matita le cifre dei secondi, dei minuti, delle ore e le date dei giorni che passano. (a.s.)

 

April 1515 Aprile

15 aprile 2013

 

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Perciò il 15 aprile 1885 andammo da Hamilton. Si tenga presente che allora – checché ne dica il mio medico – godevo di ottima salute, avevo la mente equilibrata e lo spirito assolutamente sereno. Kitty ed io entrammo insieme nel negozio di Hamilton; e lì, senza badare agli altri clienti, scelsi l’anello per Kitty in presenza del commesso divertito. L’anello era uno zaffiro con due diamanti. Poi scendemmo a cavallo il pendio che conduce al ponte di Combermere e al locale di Peliti. Mentre il mio cavallo australiano saggiava cautamente il terreno di roccia friabile, e Kitty rideva e chiacchierava al mio fianco; mentre tutta Simla – vale a dire quelli che erano già arrivati dalla pianura – si trovava riunita nella sala di lettura e sulla verandadi Peliti, io ebbi l’impressione che qualcuno, apparentemente molto lontano, mi chiamasse per nome. Mi pareva di aver già udito la voce, ma sul momento non riuscii a stabilire né dove né quando

Rudyard Kipling, Il risciò fantasma, 1888, tr. it. G. Krätli, in Racconti, Garzanti 1993, pp.55-56

Fino al 15 aprile del 1885, Jack Pansay è stato un uomo felice. In licenza nella località di Simla, ai piedi dell’Himalaya, e innamorato corrisposto di Kitty, si avvia a scegliere con la ragazza l’anello di fidanzamento, quando la strada è bloccata da un’allucinazione, che egli solo percepisce. Il risciò della sua vecchia amante defunta e le ultime parole che lei gli ha detto lo inseguono dovunque vada. In uno dei posti più belli dell’India, la nuvolosa giornata del 15 aprile, con la sua strana apparizione, risveglia in lui sensi di colpa e paure e cambia per sempre la sua vita. 

Dicono del libro
“… i protagonisti di molti suoi racconti indiani sono giovani o adolescenti che, attraverso una tragica esperienza o una profonda crisi interiore, passano ‘alla più dolorosa condizione di adulto’ (…) Simile per carattere ed esperienze, ma non altrettanto fortunato da poter sopravvivere a tale prova, Jack Pansay, il protagonista del celeberrimo Risciò fantasma, viene perseguitato fino al totale annientamento fisico e mentale dallo spettro della sua ex amante, morta di dolore dopo essere stata abbandonata per una donna più giovane”
(dall’introduzione di G. Krätli all’ed. Garzanti, op. cit.)

April 1414 Aprile

14 aprile 2013

 

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Rilesse la lettera più volte. Una lettera di suo padre, e non ne aveva mai saputo  nulla. Un testamento di cui ignorava l’esistenza. Perché sua madre non gliel’aveva  mai mostrata? E Perché nominava tanto di rado il padre? Perché non ne parlavano mai? E com’era potuto accadere che cancellasse quell’uomo dalla memoria? Un uomo che aveva conosciuto poco, certo, ma di cui aveva pure qualche ricordo? In calce alla lettera, una data: 14.IV.1864. Trent’anni prima. Spense il lume. Suonarono le quattro, la stanza era quasi buia

Eustachy Rylski, Una provincia sulla Vistola, 1984, tr. it. A. Zoina, Sellerio 1988, p.47

La storia dell’ufficiale Stankiewicz è raccontata muovendosi dalla fine dell’Ottocento ai primi anni del Novecento, dal Caucaso a Mosca a Varsavia, dai ricordi d’infanzia alle scene di guerra. Figlio di un patriota polacco ucciso – quando egli era un bambino – da un cosacco; cresciuto a Mosca dopo il matrimonio della madre con un russo; diventato ufficiale, Stankiewicz torna a casa per la morte della madre e lì trova la lettera che il padre ha scritto il 14 aprile di trent’anni prima e che lo porta di nuovo indietro nel “rosso cerchio del tempo”. 

Dicono del libro
“Per i luoghi – le regioni al di là della Vistola – e per l’epoca – da fine Ottocento agli anni della guerra civile contro la rivoluzione russa – questo racconto d’esordio (1984) del polacco Rylski è classificabile tra i racconti storici. In realtà la storia, che lo circonda e lo permea, è sfumata nell’indifferenza, ed è ricordata la vicenda, autentica nel fondo, di un uomo oscuro, l’ufficiale zarista e poi ‘ bianco’ Stankiewicz: opaco alle passioni, persino a un odio, insieme familiare e patriottico, che il caso coltiva e riaccende per tutta una vita e rende debole ragione di quella vita”
(dalla bandella dell’ed. Sellerio, op. cit.)

13 Aprile

13 aprile 2013

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“Qui nel Kansai è una tradizione. Siccome il giorno della festa, il tredici aprile, i ciliegi sono fioriti, il recinto del tempio della Ruota della Legge dove si venera Kokuzo, è sempre affollato.”
Oltre il ponte si distingueva la tinta sgargiante con cui era dipinta la pagoda del tempio della Ruota della Legge. Aoki parlò della ‘Festa delle Imbarcazioni’. Veniva  organizzata nella stagione in cui il verde era più tenero, a imitazione degli svaghi dei nobili che salivano sulle imbarcazioni a dilettarsi di poesia, di canzoni e di musica. All’epoca degli aceri rossi a queste imbarcazioni si aggiungevano quelle del tempio del Drago Celeste… Ma era difficile, d’inverno, immaginarsi la gaiezza di quella festa

Yasunari Kawabata, Arcobaleni, 1950, tr. it. L. Origlia, Tea, 1994, p. 176

La data del 13 aprile è richiamata verso la fine della storia, quando diverse tragedie sono accadute intorno alla giovane Momoko. Mentre passeggia – in inverno – nei pressi del tempio, quel giorno di aprile appare difficile da immaginare, ma è ugualmente una presenza, al pari delle altre manifestazioni della natura  – come gli arcobaleni e i ciliegi fioriti – che costellano questo racconto.

Dicono del libro
“Qual è l’origine dell’intima inquietudine di Momoko, la giovane figlia dell’architetto Mizuhara, che la porta a un’intensa, disordinata vita sentimentale? Una latente omosessualità, oppure il senso opprimente di una condizione femminile votata al martirio? (…) Intorno a Momoko s’intravede un fitto labirinto familiare, fatto di evanescenti presenze e di pesanti assenze, in cui la tristezza e il rimpianto di non essere compresi marchiano ogni relazione di sangue, in cui la vita sembra fatta più di sentimenti che di avvenimenti”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Tea op. cit.)

April 1212 Aprile

12 aprile 2013

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Data memorabile per me il 12 aprile del 1891.
Avevo compiuto da circa un mese trentaquattro anni. Da un pezzo mi notavo nel volto, e precisamente alla coda degli occhi e su la fronte, certi lievi solchi che mi pareva non si potessero ancora chiamar propriamente rughe. Credevo almeno che il numero degli anni miei potesse tuttavia permettermi di non chiamarli tali. Momentanei increspamenti de la pelle, che – sotto l’azione del pensiero, del riso, dell’abituale atteggiarsi della fisionomia – erano divenuti stabili. Ma rughe, no

Luigi Pirandello, Prudenza, 1901, in Novelle per un anno. Appendice, Giunti, 1994, tomo III, p. 2601

La “mattina di quel memorabile 12 aprile” (una data che torna anche in altre novelle di Pirandello) segna per il protagonista il passaggio da una fase all’altra della sua esistenza. Da una parte la giovinezza, la poesia, i capelli lunghi, dall’altra la maturità, un impiego, forse un matrimonio. Il passaggio è sancito dal doloroso taglio della barba e dei capelli, dopo il quale non solo la sua amante ma neanche egli stesso si riconosce (“Hai ragione: non son più io! Ti saluto per sempre, cara!”)

Dicono del libro
“sono raccolte sotto il generico titolo di Appendice, le novelle che Pirandello non incluse nel corpus delle Novelle per un anno, e che scrisse dal 1883, quando esordì giovanissimo, fino al 1919″
(G. Prandolini, Prefazione ad Appendice ed. Giunti, op. cit.)

April 1111 Aprile

11 aprile 2013

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Il cielo era coperto solo a metà. I cavalli trottavano agili sulla strada dissestata. Era la Strada della Croce. Oltre il finestrino Besian osservava un paesaggio divenuto ormai familiare. Ma questa volta, qua e là, ora nella zona più vicina ora in quella più lontana, si stendeva una coltre azzurrognola. La neve aveva cominciato a sciogliersi, si consumava al di sotto, a contatto del suolo, mentre una sorta di crosta formatasi in superficie si scioglieva a fatica.
“Che giorno è?” chiese Diana.
Un po’ meravigliato, la osservò un istante prima di risponderle.
“L’undici.”

Ismail Kadaré, Aprile spezzato, 1982, tr. it. F. Celotto, Ugo Guanda Editore, 1993, p. 137

 

Nell’interno dell’Albania, in un anno “imprecisato, prima dell’avvento del comunismo”, si svolge la storia di Gjorg Berisha, che ha dovuto vendicare un fratello e, da quel momento, ha un mese di tregua, prima che la famiglia dell’ucciso possa a sua volta vendicarsi su di lui. È in quel breve periodo, fra i giorni restanti di marzo e la prima metà di aprile (un aprile spezzato), che avviene l’incontro con la coppia che sta parlando (Diana e Besian). Partiti da Tirana per uno strano viaggio di nozze, si sono imbattuti in Gjorg e l’incontro stravolgerà le loro reciproche vite, segnando con forza tutti i giorni di quell’aprile albanese, ancora freddo e innevato. 

 

Dicono del libro
“Gjorg Berisha ha dovuto uccidere Zef Kryeqyqe, l’assassino di suo fratello (…) Dopo l’omicidio, perpetrato fra mille dubbi e tormenti, Gjorg potrà usufruire della tregua di un mese. Poi, per lui, la morte sarà in agguato dietro a ogni pietra, dietro a ogni gomitolo di strada… Ma la sua storia, grazie a un’abilissima regia narrativa, si intreccia con quella di Besian e di Diana (un brillante scrittore e la sua giovane, bellissima moglie). I due, nonostante le perplessità di lei, sono partiti per un singolare viaggio di nozze sulle  montagne”

(dal risvolto di copertina dell’ed. Guanda, op. cit.)

April 1010 Aprile

10 aprile 2013

We had a fair easterly wind sprung up the third day after we came to the Downs, and we sailed from thence the 10th of April. 

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Il 10 aprile 1934, in piena “occultazione” di Venere ad opera della luna (il fenomeno doveva verificarsi soltanto una volta all’anno), pranzavo in un piccolo ristorante situato spiacevolmente vicino all’ingresso di un cimitero. Per andarci, bisogna passare senza entusiasmo davanti a diversi chioschi di fiori. Quel giorno, per di più, un orologio murale privato del suo quadrante costituiva ai miei occhi uno spettacolo non proprio di buona lega. Ma osservavo, non avendo di meglio da fare, la vita suggestiva di quel luogo (…) La cameriera è graziosa; poetica, direi. Il mattino del 10 aprile portava, su di un colletto bianco a palline rosse, diradate, molto intonate al suo vestito nero, una sottilissima catenella cui erano fissate tre gocce chiare come di pietra lunare, gocce rotonde sulle quali si staccava alla base una mezzaluna della stessa sostanza, similmente incastonata. Apprezzai una volta di più, infinitamente, la coincidenza tra il gioiello e quella eclissi

André Breton, L’amour fou, 1937, tr. it. F. Albertazzi, Einaudi, 1974, p. 17, p. 20

In questo testo di Breton – che è un po’ diario, un po’ racconto, un po’ trattato sull’amore, l’arte, la bellezza –  le date segnate dall’autore risaltano come dei personaggi. Il ristorante, il cimitero, l’orologio, la cameriera, il gioiello, la posizione della luna nel cielo, le parole ascoltate per caso il 10 aprile del 1934: tutto è messo in relazione secondo codici personali, magici e poetici, che fanno di quel giorno un tutt’uno con la vita che vi è accaduta e ne lasciano un ritratto a più dimensioni. 

Dicono del libro
L’amour fou (1937) è un momento di affermazione piena nelle prospettive del desiderio. Breton, che qui si espone a una elucidazione minuziosa di episodi e luoghi (dal paesaggio solare delle Canarie, a un’esoterica topografia parigina), scompone la propria identità per lasciar spazio alle interrogazioni rivelatrici che vengono dal di fuori: oggetti, scenari, circostanze, secondo una sintassi che ha le stesse leggi che regolano il sogno”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Einaudi, op. cit.)

 

9 Aprile

9 aprile 2013

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9 aprile. (..) Questo ho imparato: che dalla vita non esiste alcuna reale via di scampo. Si può solo rimandare la conclusione, con abilità e un po’ d’astuzia. Ma non esistono vie d’uscita. È un sistema completamente chiuso, e all’altro capo c’è soltanto la morte. E la morte non è affatto un’uscita.
Io sono un corpo. Soltanto un corpo. Tutto quello che si deve fare, che si può fare, dev’essere fatto dentro questo corpo.
(Taccuino giallo IV:2)

Lars Gustafsson, Morte di un apicultore, 1978, tr. it. C. Giorgetti Cima, Iperborea 1989, p. 121

L’ex maestro elementare Lars Lennart Westin si dedica all’allevamento delle api, conducendo una vita solitaria. Annota i suoi pensieri su diversi taccuini, in cui raccoglie anche articoli di giornale e brevi racconti. Il taccuino giallo, da cui è tratta quest’osservazione datata 9 aprile, alterna appunti sulle api, registrazioni del decorso della malattia che l’ha colpito, pensieri sull’esistenza e sul tempo, familiare-straniero che modifica continuamente i corpi e la natura.

Dicono del libro
“La confusa sensazione di non aver mai vissuto, di essere spettatori di una vita che qualcun altro vive al nostro posto, è una delle costanti della letteratura del nostro tempo. Come per Kundera ‘la vita è altrove’, allo stesso modo i personaggi di Gustafsson i sentono ‘al di fuori’ di tutto, estranei abitanti di ‘un universo in cui nessuno è di casa’. In Morte di un apicultore, culmine e conclusione di un ciclo di cinque romanzi dal titolo emblematico di Crepe nel muro, Lars Lennart Westin, quarantenne, maestro in pensione, divorziato, ha trovato nella cura delle api l’attività che gli consente di vivere nella semplicità e nella solitudine che si è elette a sistema, ultimo stadio di una costante ‘fuga dalla vita’.
(dalla quarta di copertina dell’ed. Iperborea, op. cit.)

8 Aprile

8 aprile 2013

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Poi, un giorno che sembrava qualunque, prese distrattamente dal tavolo una carta assorbente usata e ci vergò sopra, con l’inchiostro nero, due cose: lo schizzo di una facciata e un nome: Crystal Palace. Posò la penna. E sentì quel che sente una ragnatela quando incontra la stupìta traiettoria di una mosca attesa per ore.
Lavorò al progetto, giorno e notte, per tutto il tempo che gli restava. Non aveva mai immaginato qualcosa di più grande e di sconcertante. La fatica gli rosicchiava la mente, una sotterranea e febbrile emozione scavava cunicoli nei suoi disegni e nei suoi calcoli. Intorno, la vita qualunque macinava i suoi rumori. Lui li percepiva appena. Solo, giaceva in una bolla di acre silenzio, in compagnia della sua fantasia e della sua stanchezza. 
Consegnò il suo progetto l’ultimo giorno utile, il mattino dell’8 aprile

Alessandro Baricco, Castelli di rabbia, 1991, Bompiani 1991, pp.131-32

Reso pubblico il 13 marzo 1849, il concorso per la costruzione del palazzo dell’Esposizione Universale di Londra si chiude l’8 aprile. L’architetto Hector Horeau, reduce da una tragedia familiare (la moglie Monique si è suicidata), incerto nella salute e con una visionaria fissazione per il vetro, partecipa al concorso, consegnando il suo progetto l’ultimo giorno utile, alla data spartiacque dell’8 aprile. Le vicende di quello che sarà il Crystal Palace si intrecceranno da allora con quelle degli altri personaggi di questo libro, fra dati veri e plausibili, luoghi inventati e tempi non lineari.

Dicono del libro
“In un angolo d’Europa dell’Ottocento, in una cittadina immaginaria ma verosimile, un pullulare di Storia e storie: i sogni del signor Rail e le labbra della signora Rail; la favola dei primi treni; un uomo che sente l’infinito; un bambino che si porta addosso il suo destino; la magia del Crystal Palace; la singolare vita dell’architetto Hector Horeau”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Bompiani, op. cit.)

April 77 Aprile

7 aprile 2013

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Adesso, mentre guarda dalla finestra, lo vede echeggiare sul muro di fronte; e più in là sul minareto di una moschea; e nei grandi caratteri neri di un giornale sotto il braccio di uno strillone. Volantino giornale e moschea stanno gridando: Hartal! Che significa, letteralmente, giorno di lutto, d’immobilità, di silenzio. Ma questa è l’India all’apogeo del Mahatma, e anche la lingua obbedisce alle istruzioni di Gandhi e, sotto la sua influenza, la parola ha acquistato nuove risonanze. Hartal – 7 aprile, concordano moschea muro giornale e volantino, perché Gandhi ha stabilito che quel giorno si fermerà tutta l’India. Per piangere, in silenzio, la persistente presenza degli Inglesi.
“Non capisco questo hartal quando non è morto nessuno”, sta piangendo sommessamente Naseem. “Perché il treno non parte?”

Salman Rushdie, I figli della mezzanotte, 1980, tr. it. E. Capriolo, Garzanti, 1987, p. 38

All’inizio del romanzo, il narratore – nato il 15 agosto del 1947, giorno dell’indipendenza dell’India – ripercorre la storia di quella che considera la sua famiglia, storia che segue di pari passo le vicende della nazione. Per farlo, comincia dal nonno Aadam Aziz, che torna nel Kashmir dalla Germania laureato in medicina. Nell’aprile del 1919 Aziz si è appena sposato con Naseem e il 7 aprile si trova con la moglie nella città santa di Amritsar: è  il 7 aprile del 1919, la data in cui il Mahatma Gandhi ha invitato gli indiani a una giornata di silenzio e immobilità, che ferma anche il treno su cui si trova il nonno, rendendolo partecipe degli avvenimenti storici che stavano accadendo.

Dicono del libro
“Saleem Sinai, l’eroe di questo straordinario romanzo picaresco tradotto in più di quindici lingue, è nato a Bombay il 15 agosto 1947 allo scoccare della mezzanotte, nel momento in cui l’India proclamava l’indipendenza Come lui, tutti i ‘mille e uno’ bambini della mezzanotte possiedono doti straordinarie: forza erculea, capacità di rendersi invisibili e di viaggiare attraverso il tempo, bellezza soprannaturale. Ma lui soltanto può penetrare nel cuore e nel cervello di altri esseri umani. Rimettendo in causa l’ordine tradizionale del racconto, Salman Rushdie (…) ha creato la saga di una famiglia la cui storia si mescola con quella dell’India di oggi”

(dalla quarta di copertina dell’ed. Garzanti, op. cit.)

April 66 Aprile

6 aprile 2013

APRIL 6. Certainly she remembers the past. Lynch says all women do. Then she remembers the time of her childhood—and mine, if I was ever a child. The past is consumed in the present and the present is living only because it brings forth the future. Statues of women, if Lynch be right, should always be fully draped, one hand of the woman feeling regretfully her own hinder parts.

James Joyce, A Portrait of the Artist as a Young Man

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Tess era così immersa in questo sogno fantastico che sembrava non accorgersi che la stagione progrediva, che i giorni s’erano allungati, che mancava poco al sei di aprile, a cui avrebbe fatto seguito l’antica festa dell’Annunciazione, termine del suo contratto di lavoro in quel luogo.
Ma poco prima della scadenza trimestrale accadde qualcosa che costrinse Tess a pensare a ben altre faccende

Thomas Hardy, Tess dei d’Urberville, 1891, tr. it. G. Aldi Pompili, Rizzoli 1993, pp. 402

Prima che anche in Inghilterra – nel Settecento – entrasse in vigore il calendario gregoriano, il giorno dell’Annunciazione (25 marzo) era celebrato il 6 aprile. Era una data importante, che segnava le scadenze dei contratti di lavoro nelle campagne. E anche dopo il cambio di calendario, la data dell’antica festa dell’Annunciazione rimase quella dei traslochi degli agricoltori da una fattoria all’altra. La vicenda della giovane Tess è a una nuova svolta: il padre è appena morto e la sua famiglia deve lasciare la casa; sta per incontrare ancora Alec d’Urberville, il falso parente che l’ha messa incinta di un bambino (poi morto), incrinando la sua reputazione e rovinando il suo matrimonio con Angel Clare, che l’aveva sposata senza conoscere quell’episodio. Il 6 aprile, giornata di vento pungente, Tess parte con il carro in cerca di un alloggio e incontro alle nuove svolte del suo destino. 

Dicono del libro
“Quando leggiamo ‘Tess dei d’Urberville’, ci sembra che i tesori di immaginazione visionaria, che da secoli si erano annidati in ogni angolo della campagna inglese, si ridestino clamorosamente. La solenne fantasia architettonica, che aveva creato i pilastri e gli altari di Stonehenge: la fantasia superstiziosa, che serpeggiava nelle foreste druidiche; l’ebbrezza alcoolica, che scintillava sulle scene elisabettiane e nelle birrerie del Wessex; le avventure del romanzo settecentesco, da Defoe a richardson, le più fosche invenzioni romantiche – tutto quanto era esistito di meravigliosamente e assurdamente anglosassone si dà convegno in queste brughiere, in questi campi funestati dall’inverno o intiepiditi dalla dolcezza dell’autunno”

(Pietro Citati, dall’introduzione all’ed. Rizzoli, op. cit.)

 

 

April 55 Aprile

5 aprile 2013

APRIL 5. Wild spring. Scudding clouds. O life! Dark stream of swirling bogwater on which apple-trees have cast down their delicate flowers. Eyes of girls among the leaves. Girls demure and romping. All fair or auburn: no dark ones. They blush better. Houpla!

James Joyce, A Portrait of the Artist as a Young Man

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5 aprile. Primavera selvaggia. Nubi in fuga. O vita. Torrente scuro di acque torbide sul quale i meli han lasciato cadere i loro fiori delicati. Occhi di ragazze tra le foglie. Ragazze  modeste e scavezzacollo. Tutte bionde o castane: nessuna scura. Arrossiscono meglio. Oplà

James Joyce, Dedalus. Ritratto dell’artista da giovane, 1916, tr. it. C. Pavese, Mondadori 1970, p. 306

“Nel tempo dei tempi, ed erano bei tempi davvero” è la frase d’inizio del Ritratto dell’artista da giovane, che segue gli anni di formazione del ragazzo Stephen Dedalus. La famiglia, la patria, il collegio cattolico, lo studio, gli incontri, i pensieri sulla religione, sull’amore e sull’arte sfociano – nelle ultime pagine – in un diario, in cui la maturazione dell’adolescente si incontra con l’arrivo della primavera irlandese. 

Dicono del libro
Lo scrittore, educato alla scuola dei gesuiti, era venuto in breve scoprendo orizzonti di cultura a lui più congeniali, e aveva lasciato l’Irlanda per vivere in Francia e in Italia. Come l’autore, il protagonista del romanzo, Stephen Dedalus, il giovinetto allievo nel collegio dei gesuiti, ci si presenta combattuto e in rivolta contro le istituzioni; come lui insorge contro l’ambiente che lo opprime e, a difesa della propria autonomia, sceglie ‘il silenzio, l’esilio e l’astuzia’”.
(dalla quarta di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)