21 Ottobre

21 ottobre 2014

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Sono passati alcuni mesi, e non ci sono più né un potere, né un esercito, né un’amministrazione. I  patrioti russi avevano riposto tutte le loro speranze nell’atamano Semënov, che Kolčak aveva designato come suo rappresentante e che i giapponesi, nostri alleati, sembravano decisi a sostenere. Ora, nella notte tra il 20 e il 21 ottobre, i partigiani sono entrati a Čita e l’atamano è fuggito in aereo portando con sé le riserve auree. I giapponesi non hanno mosso un dito. I comunisti sono a un passo dal trionfo. Il popolino li ha accolti ovunque con grande entusiasmo (…) Ora, Ungern è scomparso. Dove si troverà in questo momento? In nessun luogo e ovunque

Vladimir Pozner, Il barone sanguinario, 1937, tr. it. L. Di Lella, G. Girimonti Greco, Adelphi, 2012, p. 132

Nel Barone sanguinario di Vladimir Pozner risuonano nomi di luoghi e popoli così lontani da sembrare vicini al fascino di un oriente crudele e remoto: ci sono Cosacchi, Atamani, Mancesi, Giapponesi, Mongoli e Siberiani; mentre gli eserciti e i dispacci viaggiano ad Harbin, a Urga, nel Turkestan, a Pechino. L’oriente che viene raccontato è crudele, sì, ma non remoto. Siamo lontani sia da Gengis Khan che da Tamerlano. Si svolge tutto negli ultimi anni della Rivoluzione di Ottobre, quando gli eserciti dei Bianchi sono ormai scompaginati e in rotta, quando si formano, nell’Asia più profonda, piccoli regni indipendenti intorno a generali reazionari e realisti. Il Barone sanguinario è uno di questi; il nome che si nasconde dietro l’appellativo è quello di Ungern che ricorda, sia per la durezza dei fonemi, che per quella del personaggio, il colonnello Kurtz di Coppola. È un nobile crudele, ossessionato dalla numerologia e dalle carte astrali; spietato sopra misura. L’autore in questo romanzo prova a ripescarne il ricordo – già sbiadito- prima nella Parigi degli anni ’30, intervistando tassisti e salumieri russi che rievocano con nostalgico godimento la loro vita passata, quando loro erano i generali fedeli ai Romanov. Poi attraverso i documenti, i giornali,  le date che riportano alla capitolazione del vecchio regime: ed ecco risaltare  la notte del 21 ottobre, fra assalti, ritirate e complotti. (Commento di Valentino Eletti)

 

Dicono del libro
“Quando accetta la proposta di Blaise Cendrars di scrivere un libro per la sua col­lana di biografie di avventurieri, e sceglie – in modo apparentemente incongruo per un comunista militante – di occuparsi del barone von Ungern-Sternberg, Vladi­mir Pozner non immagina certo che que­sta volta non gli basterà consultare (come aveva fatto per Tolstoj è morto) una mole immensa di documenti, ma che gli toc­che­rà condurre un’ardua inchie­sta, nel corso della quale imboccherà, per poi ab­ban­donarle, una quantità di false piste e si im­batterà in testimoni più o meno inat­tendibili: dall’ex colonnello di Ungern ridotto a fare il tassista alla coppia di de­crepiti aristocratici parigini che hanno conosciuto il barone in fasce (e che di quel paffuto bebè gli manderan­no una foto), sino a «fratello Vahindra», il sedi­cente monaco buddhista che spaccia per il figlio segreto dello stesso Ungern il pal­lido adolescente dai tratti asia­tici con il quale vive in una squallida mansarda… A poco a poco, però, il narratore rie­sce ad afferrare il suo eroe, e ce ne svela gli a­spetti più inquietanti e contraddittori (nonché am­biguamente seducenti)”.
(Dalla bandella dell’ed. Adelphi, op. cit.)

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