31 Marzo

31 marzo 2013

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“Comunque, in definitiva, è la storia di come non mi sono sposato!” 
“Sposato!… Moglie!… Polzunkov voleva sposarsi!!”
“Vi confesso che muoio dalla voglia di vedere Madame Polzunkov!”
“Permettete che mi interessi sapere il nome di colei che stava per diventare Madame Polzunkov” pigolò un giovanotto, fattosi largo tra la folla.
“Ed ora il primo capitolo, signori: erano esattamente sei anni fa, in primavera, il 31 di marzo – notate la data, signori – , la vigilia…
“Del primo aprile!” urlò il giovanotto con la prefettizia.
“Che intuito eccezionale. Era sera. Sul capoluogo distrettuale di N. si addensavano le prime ombre del tramonto, la luna tentava di fare capolino e… tutto il resto! Ed ecco che al tardo tramonto anch’io, pian pianino, faccio capolino da un piccolo
appartamento dopo essermi congedato dalla mia riservata, defunta nonna

Fëdor Dostoevskij, Polzunkov, 1847, tr. it.A. Pasteris, in Racconti, Mondadori, 1991, p. 165

Una storia di equivoci e di inganni ha inizio la sera del 31 marzo, quando Polzunkov, dopo aver cercato di ricattare il suo superiore Fedosej Nikolaic, viene irretito da questi e dalla sua famiglia. Promesso in matrimonio alla figlia, coinvolto nel risanamento dei conti, vedrà sfumare tutti i piani, fra il 31 marzo e il primo di aprile, giorno degli scherzi e anche dei pentimenti.

Dicono del libro
“Quando Dostoevskij si entusiasmò per le idee del socialismo contemporaneo (1847-1848), scrisse un ciclo di quattro racconti collegati tra loro: essi hanno in comune il tema del matrimonio e, in parte, i due protagonisti principali. La prima rappresentazione del matrimonio, che corrisponde pienamente alla visione critica di Fourier, ossia dell’impossibilità dell’amore in una coppia che desidera solo la realizzazione dei propri egoismi, la troviamo nella descrizione del matrimonio di Fedosej Nikolaic in Polzunkov. Fedosej, la moglie Mar’ja Fominišna e anche la figlia Mar’ja sono uniti da un unico anelito: la conquista dei beni materiali. Attraverso menzogna, lusinga, ricatto arrivano allo scopo. L’amore di Polzunkov crolla infine davanti alla scaltrezza dei futuri suoceri e della fidanzata”

(dall’introduzione di G. Spendel all’ed. Mondadori, op. cit.)

 

March 3030 Marzo

30 marzo 2013

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I Baraglioul rientrarono a Parigi, alla mezzanotte del 30 marzo,  nel loro  appartamento in via Verneuil.
Mentre Marguerite si preparava per la notte, Julius, con una piccola lampada in mano e in pantofole, entrò nel suo studio, dove si ritirava sempre con piacere. La stanza era arredata sobriamente: erano appesi alle pareti alcuni quadri di Lépine e un Boudin; in un angolo, sopra un piedistallo girevole, il busto in marmo della moglie, opera di Chapu, metteva una macchia un po’ cruda; al centro, un grande tavolo Rinascimento su cui, da quando era partito, si erano andati ammucchiando libri, opuscoli e stampati pubblicitari; su un vassoio di smalto a scomparti, alcuni biglietti da visita con l’angolo piegato e, in disparte, appoggiata bene in vista a un bronzo di Barye, una lettera sulla cui busta Julius riconobbe la calligrafia del padre

André Gide, I sotterranei del Vaticano, 1914, tr. it. R. Ortolani, Garzanti, 1965, 45

Dicono del libro
“Il sottotitolo di questo singolarissimo libro reca l’insegna di ‘sotie’, farsa, André Gide aveva, infatti, concepito I sotterranei del Vaticano come un bizzarro e sentenzioso gioco di marionette per esercitare liberamente e capricciosamente l’arguto e, a volte, acre estro della sua ironia sui costumi e sulle idee, sulle ipocrisie e sulle manie, insomma sull’imbellicità degli uomini”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Garzanti, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… Van era riuscito a sapere che suo padre non sarebbe tornato a Manhattan prima del 30 marzo…”
Vladimir Nabokov, Ada o Ardore« »

I Baraglioul rientrarono a Parigi, alla mezzanotte del 30 marzo,  nel loro  appartamento in via Verneuil.
Mentre Marguerite si preparava per la notte, Julius, con una piccola lampada in mano e in pantofole, entrò nel suo studio, dove si ritirava sempre con piacere. La stanza era arredata sobriamente: erano appesi alle pareti alcuni quadri di Lépine e un Boudin; in un angolo, sopra un piedistallo girevole, il busto in marmo della moglie, opera di Chapu, metteva una macchia un po’ cruda; al centro, un grande tavolo Rinascimento su cui, da quando era partito, si erano andati ammucchiando libri, opuscoli e stampati pubblicitari; su un vassoio di smalto a scomparti, alcuni biglietti da visita con l’angolo piegato e, in disparte, appoggiata bene in vista a un bronzo di Barye, una lettera sulla cui busta Julius riconobbe la calligrafia del padre

André Gide, I sotterranei del Vaticano, 1914, tr. it. R. Ortolani, Garzanti, 1965, 45

La data del 30 marzo segna l’ingresso, nella nobile e cattolica famiglia Baraglioul, di un componente inaspettato, annunciato dalla lettera del padre che il protagonista di questa pagina, lo scrittore Julius,  sta per leggere. Si tratta del giovane Lafcadio, figlio naturale del conte Baraglioul (come si scoprirà di lì a poco) e dunque fratellastro di Julius. Da quel giorno, la trama regolare della vita della famiglia verrà sconvolta da una catena di avvenimenti – un omicidio senza movente, una falsa crociata per la liberazione del Papa – tutti in qualche modo collegati a quel ragazzo, nato a Bucarest  da una relazione clandestina e  ricomparso a Parigi, per lettera, il 30 marzo. 

Dicono del libro
“Il sottotitolo di questo singolarissimo libro reca l’insegna di ‘sotie’, farsa, André Gide aveva, infatti, concepito I sotterranei del Vaticano come un bizzarro e sentenzioso gioco di marionette per esercitare liberamente e capricciosamente l’arguto e, a volte, acre estro della sua ironia sui costumi e sulle idee, sulle ipocrisie e sulle manie, insomma sull’imbellicità degli uomini”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Garzanti, op. cit.)

 

March 2929 Marzo

29 marzo 2013

 

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L’esecuzione fu fissata  per il 29 marzo, alle nove di mattina. (…) Prima del giorno fissato da Julius Rothe, morì centinaia di morti, in cortili le cui forme e i cui angoli esaurivano la geometria, mitragliato da soldati variabili, in numero cangiante, che a volte lo finivano da lontano, altre da molto vicino. Affrontava con vero timore (forse con vero coraggio) queste esecuzioni immaginarie; ogni finzione durava pochi secondi; chiuso il cerchio, Jaromir interminabilmente tornava alle tremanti vigilie della sua morte. Poi rifletté che la realtà non suole coincidere con le previsioni; con logica perversa ne dedusse che prevedere un dettaglio circostanziale è impedire che esso accada. Fedele a questa debole magia, inventava, perché non accadessero, particolari atroci; naturalmente finì per temere che questi particolari fossero profetici. Miserabile la notte, procurava di affermarsi in qualche modo nella sostanza fuggitiva del tempo. Sapeva che questo andava precipitando verso l’alba del giorno 29

Jorge Luis Borges, Il miracolo segreto, 1943, (Artifici), in Finzioni, tr. it. F. Lucentini, in Tutte le opere, I Meridiani, Mondadori, 1985, vol. I, p. 740

A Praga, nel marzo del 1939,  lo scrittore ebreo Jaromir Hladík è arrestato dalla Gestapo e condannato a morte. Mentre attende il giorno della fucilazione, ripensa ai libri che ha scritto e soprattutto all’ultimo, che non ha terminato. Gli servirebbe un anno per concluderlo. E per il miracolo segreto che dà il titolo al racconto, nel giorno dell’esecuzione il tempo si ferma, solo per lui , per un anno intero. Dandogli il tempo di finire la sua opera, a memoria, dentro la sua testa, fra le 8 e 44 e le 9 e 2 minuti del 29 marzo. 

Dicono del libro
“Uscito in Argentina nel 1944 e tradotto da Franco Lucentini nel 1955, Finzioni è il libro che ha rivelato Borges in Italia, e che da allora ha acquistato anche da noi la statura di un classico contemporaneo. Diviso in due parti – Il giardino dei sentieri che si biforcano e Artifici – il volume è composto di racconti che di volta i volta sono fantastici, simbolisti, polizieschi, esoterici, tutti volti a creare una sorta di «enciclopedia illusoria» di cui Borges è il magistrale compilatore”

(dalla scheda del libro nell’ed. Einaudi)

 

March 2828 Marzo

28 marzo 2013

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Look at the date of the magazine issue. He pointed to the top heading, just to the left of the page number. It read March 28, 1932

Isaac Asimov, The End of Eternity, 1955 (Tor Books, 2011, p. 226)

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“Leggi la data in cima alla pagina”. Indicò la scritta che diceva: 28 marzo 1932. “Non c’è bisogno di traduzione, vero? I numeri sono quasi uguali a quelli dell’Intertemporale Standard. Non sai che a quell’epoca nessuno aveva mai visto un fungo atomico? Nessuno avrebbe potuto riprodurlo con tanta accuratezza, tranne…” “Aspetta un momento, è solo uno schizzo” disse il Calcolatore, cercando di ritrovare il suo equilibrio. “Può darsi che la somiglianza col fungo atomico sia casuale.” “Ah, sì? Guarda di nuovo le parole, allora.” Harlan indicò la scritta in maiuscolo, All the Talk Of  the Market. “Le iniziali formano la parola Atom, che in inglese vuol dire atomo. Me la chiami coincidenza? Direi proprio di no”

 Isaac Asimov, La fine dell’Eternità, 1955, tr.it. G. Lippi, Mondadori, 1987, p. 202

L’Eternità gode di un equilibrio estremamente delicato, nel mondo immaginato da Asimov in questo romanzo, dove si può viaggiare attraverso i secoli e la storia muta a ogni cambiamento della Realtà effettuato da tecnici del Tempo. Dove si rischia, tornando a un momento già attraversato, di incontrare se stessi. E dove diverse Realtà alternative possono esistere.
Ma c’è stata un’epoca in cui il passato era irreversibile, “la Realtà fluiva ciecamente lungo la linea della massima probabilità”, per esempio il Ventesimo secolo. Lì è finito uno dei personaggi di questo complicato racconto e da lì, dal 1932, sta mandando un messaggio in codice per essere rintracciato. Un messaggio affidato a un anacronismo: il disegno di un fungo atomico su una rivista del 28 marzo 1932.  

Dicono del libro
“In un futuro ancora molto lontano l’uomo ha imparato a viaggiare nel tempo, spostandosi con disinvoltura da un secolo all’altro e organizzando traffici commerciali tra ere diverse. Il viaggio nel tempo permette anche di tenere l’umanità sotto rigido controllo, modificando tutti quegli elementi che potrebbero provocare gravi turbamenti nella storia. A effettuare i cambiamenti sono delegati gli analisti e i tecnici della rigida casta degli Eterni, gli unici in grado di manipolare passato e futuro”

(dalla quarta di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)

 

27 Marzo

27 marzo 2013

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Alle cinque e tre quarti del mattino eravamo ancora lì, dentro la mia Seicento multipla con i vetri appannati. Era il giorno 27 di marzo amoroso e ventoso di quell’anno là e il sole sorgeva esattamente alle sei e otto minuti. Era il giorno di San Giovanni Damasceno e di Santa Augusta Vergine, secondo mattutino delle tenebre, come dice il Barbanera. Quando aprii gli occhi (io bacio sempre a occhi chiusi) intorno a noi non c’era più nessuno, erano scomparse tutte le macchine, c’erano soltanto due poliziotti a cavallo. Gli uccelli si erano svegliati e cinguettavano a testa alta sui rami degli alberi, altri volteggiavano nell’aria come impazziti per la luce del giorno che stava spuntando mentre si spegnevano i lampioni comunali. Baciare è un’arte.
Un passero era venuto a posarsi sul cofano della macchina, poi era ripartito per un breve volo intorno al monumento di Garibaldi, l’Eroe del nostro Risorgimento. A rigore si può dire che per tutta la notte io e Miriam ci eravamo dati un solo lunghissimo bacio

Luigi Malerba, Il serpente, 1966, Mondadori, 1989, p. 57

 Arrivato a Roma da Parma, il narratore di questa storia gestisce un negozio di francobolli in via Arenula; sostiene di essere sposato e, a un certo punto, si trova a frequentare una scuola di canto, dove conosce una ragazza, che presenta ai lettori come Miriam. Con Miriam ha inizio una relazione, che si carica a mano a mano di una gelosia per il presente e anche per il passato. L’ossessione porta l’uomo ad avvelenare la donna e a mangiarne il corpo, o almeno questo è ciò che egli racconta al commissario e ai lettori. Fra tanti depistaggi, menzogne, ritrattazioni che costellano questo romanzo, la data del primo lungo bacio fra l’uomo e Miriam – al Gianicolo – sembra essere un punto d’appoggio. È il 27 marzo “di quell’anno là”. Un giorno individuato dall’ora della levata del sole, dai santi e da un rito religioso che ha luogo durante la settimana di Pasqua. 

Dicono del libro
“Un uomo maniacalmente geloso della sua amante la uccide, quindi ne divora il cadavere e si autodenuncia: a un livello superficiale, Il serpente di Malerba lo si potrebbe riassumere così. Ma ben altra è la natura profonda, l’assoluta originalità del romanzo. Non soltanto alla lunga confessione dell’uomo si alternano – inquietante controcanto – astratte, folgoranti divagazioni/esortazioni affatto estranee alla ‘trama’ (…) ma il lettore non tarda ad apprendere dallo stesso Io narrante che egli mente, così che l’intera narrazione annulla in qualche modo se stessa”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)
Altre storie che accadono oggi

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“… la data in cui si sarebbe svolta la riunione. Ebbe luogo il 27 marzo 1925, e fu ‘un’esplosione di parole stellari…”
Enrique Vila-Matas, Storia abbreviata della letteratura portatile

 

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“… 27 furono gli anni che Stephan Zenith compì in quel 27 marzo a Vienna…”
Enrique Vila-Matas, Storia abbreviata della letteratura portatile« »

Alle cinque e tre quarti del mattino eravamo ancora lì, dentro la mia Seicento multipla con i vetri appannati. Era il giorno 27 di marzo amoroso e ventoso di quell’anno là e il sole sorgeva esattamente alle sei e otto minuti. Era il giorno di San Giovanni Damasceno e di Santa Augusta Vergine, secondo mattutino delle tenebre, come dice il Barbanera. Quando aprii gli occhi (io bacio sempre a occhi chiusi) intorno a noi non c’era più nessuno, erano scomparse tutte le macchine, c’erano soltanto due poliziotti a cavallo. Gli uccelli si erano svegliati e cinguettavano a testa alta sui rami degli alberi, altri volteggiavano nell’aria come impazziti per la luce del giorno che stava spuntando mentre si spegnevano i lampioni comunali. Baciare è un’arte.
Un passero era venuto a posarsi sul cofano della macchina, poi era ripartito per un breve volo intorno al monumento di Garibaldi, l’Eroe del nostro Risorgimento. A rigore si può dire che per tutta la notte io e Miriam ci eravamo dati un solo lunghissimo bacio

Luigi Malerba, Il serpente, 1966, Mondadori, 1989, p. 57

 Arrivato a Roma da Parma, il narratore di questa storia gestisce un negozio di francobolli in via Arenula; sostiene di essere sposato e, a un certo punto, si trova a frequentare una scuola di canto, dove conosce una ragazza, che presenta ai lettori come Miriam. Con Miriam ha inizio una relazione, che si carica a mano a mano di gelosia rivolta non solo al presente, ma anche al passato. L’ossessione porta l’uomo ad avvelenare la donna e a mangiarne il corpo, o almeno questo è ciò che egli racconta al commissario e ai lettori. Fra tanti depistaggi, menzogne, ritrattazioni che costellano questo romanzo, la data del primo lungo bacio fra l’uomo e Miriam – al Gianicolo – sembra essere un punto d’appoggio. È il 27 marzo “di quell’anno là”. Un giorno individuato dall’ora della levata del sole, dai santi e da un rito che ha luogo durante la settimana di Pasqua. Un giorno trovato nell’Almanacco Barbanera del 1964.

Dicono del libro
“Un uomo maniacalmente geloso della sua amante la uccide, quindi ne divora il cadavere e si autodenuncia: a un livello superficiale, Il serpente di Malerba lo si potrebbe riassumere così. Ma ben altra è la natura profonda, l’assoluta originalità del romanzo. Non soltanto alla lunga confessione dell’uomo si alternano – inquietante controcanto – astratte, folgoranti divagazioni/esortazioni affatto estranee alla ‘trama’ (…) ma il lettore non tarda ad apprendere dallo stesso Io narrante che egli mente, così che l’intera narrazione annulla in qualche modo se stessa”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)

26 Marzo

26 marzo 2013

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26 marzo. Per la terza volta ho visto Kimura-san senza mio marito. Ieri sera c’era una nuova bottiglia di Courvoisier, ancora intatta, posata nell’alcova. “L’hai portata tu?” ho chiesto a Toshiko, ma lei ha risposto di no. “La bottiglia già c’era quando son rincasata, ieri” ha proseguito. “Ho pensato che l’avesse portata Kimura-san” “Non ne so nulla nemmeno io,” ha detto Kimura-san. “Dev’essere stato suo marito. Sono certo che è così. Ci sta giocando uno scherzo complicatissimo”

Junichiro Tanizaki, La chiave, 1956, tr. it. Satoko Toguchi, Bompiani, 2009, p. 67

Due coniugi giapponesi scrivono entrambi un diario, in cui raccontano – da due punti di vista –  i desideri, i sogni, le perversioni e gli accadimenti delle loro giornate. All’apparenza di nascosto, ma in realtà sapendo che ognuno leggerà quanto ha scritto l’altro, secondo il “tacito accordo di comportarci come se ignorassimo i reciproci segreti”. Questo gioco parallelo, che vede complice anche la figlia Toshiko e  Kimura, un amico di famiglia, è iniziato a gennaio e ora, in primavera, la donna ha scoperto che nel diario del marito sono attaccate le foto di lei nuda, scattate mentre dorme – o finge di dormire – ubriaca di cognac Courvoisier. La vicenda sta per giungere a un apice, con la morte dell’uomo, che cambia la prospettiva del gioco, ma non impedisce alla donna di continuare a scrivere il suo diario, in cui per 121 giorni si collegano il piacere, la memoria  e il tempo. 

Dicono del libro
“Il romanzo è costituito dai diari che marito e moglie scrivevano ognuno per proprio conto, fingendo di confessarvi i più inconfessabili segreti, e in verità non ignorando che l’uno leggerà subito ciò che l’altro ha scritto: – ma l’ha scritto per se stesso o per inviare un messaggio? e tale messaggio è sincero, è un appello, o una mossa tattica nel giuoco dell’inganno?”
(dall’introduzione di G. Pampaloni, ed. Bompiani, op. cit.)

 

Altre storie che accadono oggi

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“… Pioveva e la terrazza era gremita di ombrelli. Anche le banche erano in sciopero. Il 26 marzo ebbe inizio lo sciopero generale…”
Yukio Mishima, Una stanza chiusa a chiave

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“… Il 26 marzo u.s. la consorte del tenente colonnello Rawdon Crawley delle Life Guards Green ha dato alla luce il suo primogenito…”
William Thackeray, La fiera della vanità

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“… 26 marzo. Siamo stati privi di quattrini per parecchi giorni…”
Saul Bellow, L’uomo in bilico« »

26 marzo. Per la terza volta ho visto Kimura-san senza mio marito. Ieri sera c’era una nuova bottiglia di Courvoisier, ancora intatta, posata nell’alcova. “L’hai portata tu?” ho chiesto a Toshiko, ma lei ha risposto di no. “La bottiglia già c’era quando son rincasata, ieri” ha proseguito. “Ho pensato che l’avesse portata Kimura-san” “Non ne so nulla nemmeno io,” ha detto Kimura-san. “Dev’essere stato suo marito. Sono certo che è così. Ci sta giocando uno scherzo complicatissimo”

Junichiro Tanizaki, La chiave, 1956, tr. it. Satoko Toguchi, Bompiani, 2009, p. 67

Due coniugi giapponesi scrivono entrambi un diario, in cui raccontano – da due punti di vista –  i desideri, i sogni, le perversioni e gli accadimenti delle loro giornate. All’apparenza di nascosto, ma in realtà sapendo che ognuno leggerà quanto ha scritto l’altro, secondo il “tacito accordo di comportarci come se ignorassimo i reciproci segreti”. Questo gioco parallelo, che vede complice anche la figlia Toshiko e  Kimura, un amico di famiglia, è iniziato a gennaio e ora, in primavera, la donna ha scoperto che nel diario del marito sono attaccate le foto di lei nuda, scattate mentre dorme – o finge di dormire – ubriaca di cognac Courvoisier. La vicenda sta per giungere a un apice, con la morte dell’uomo, che cambia la prospettiva del gioco, ma non impedisce alla donna di continuare a scrivere il suo diario, in cui per 121 giorni si collegano il piacere, la memoria  e il tempo. 

Dicono del libro
“Il romanzo è costituito dai diari che marito e moglie scrivevano ognuno per proprio conto, fingendo di confessarvi i più inconfessabili segreti, e in verità non ignorando che l’uno leggerà subito ciò che l’altro ha scritto: – ma l’ha scritto per se stesso o per inviare un messaggio? e tale messaggio è sincero, è un appello, o una mossa tattica nel giuoco dell’inganno?”

(dall’introduzione di G. Pampaloni, ed. Bompiani, op. cit.)

 

March 2525 Marzo

25 marzo 2013

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MARCH 25, MORNING. A troubled night of dreams. Want to get them off my chest.

A long curving gallery. From the floor ascend pillars of dark vapours. It is peopled by the images of fabulous kings, set in stone. Their hands are folded upon their knees in token of weariness and their eyes are darkened for the errors of men go up before them for ever as dark vapours.

James Joyce, A Portrait of the Artist as a Young Man

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Il giorno del gran commiato fu appunto il venticinque di marzo del mille ottocento ottanta cinque, fuori della Porta Pia, in una carrozza. La data era rimasta incancellabile nella memoria di Andrea. Egli ora, aspettando, poteva evocare tutti gli avvenimenti di quel giorno, con una lucidezza infallibile. La visione del paesaggio nomentano gli si apriva d’innanzi ora in una luce ideale, come uno di quei paesaggi sognati in cui le cose paiono essere visibili di lontano per un irradiamento che si prolunga dalle loro forme

Gabriele D’Annunzio, Il Piacere, 1889, Mondadori, 1990, p. 13

Andrea Sperelli, mentre attende di rivedere Elena Muti, la sua amante di due anni prima – ora sposata con un gentiluomo inglese – torna col pensiero al giorno della loro separazione, il 25 marzo del 1885. In quella giornata di vento forte, hanno percorso la via Nomentana in carrozza e si sono fermati in un’osteria romanesca, sull’Aniene. Nella luce suggestiva del tramonto, lei gli ha comunicato la decisione di partire e si sono separati, non senza passione, sotto l’arco di Porta Pia. Ora che ha incontrato di nuovo la sua vecchia amante, Andrea “rivedeva tutti i gesti, riudiva tutte le parole” di quel giorno, che viene richiamato ancora nel corso del romanzo, così come sono molti gli accenni al clima di marzo (mese in cui D’Annunzio era nato nel 1863 e sarebbe morto nel 1938).

Dicono del libro
“Edito nel 1889, nello stesso anno e con maggior fortuna del Mastro-don Gesualdo di Verga, Il Piacere è il primo dei romanzi dannunziani. L’esperienza biografica nella Roma di fine secolo, mondana e bizantina, si fa letteratura: ‘Nel personaggio di Andrea Sperelli’ scrive D’Annunzio ‘c’è assai di me stesso colto sul vivo'”

(dalla quarta di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)

 

March 2424 Marzo

24 marzo 2013

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 24 March 1916. Since May of last year, I haven’t again touched this little book

Italo Svevo, Zeno’s Conscience

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 24 marzo 1958

In determinate condizioni di atmosfera, di ora e di luce possiamo vedere anche a occhio nudo i tre piccoli satelliti artificiali che l’uomo lanciò dalla Terra verso gli spazi interplanetari dal 1955 al 1958; e ivi sono rimasti appesi, presumibilmente per sempre, girando girando intorno a noi. In certi crepuscoli d’inverno quando l’aria è come cristallo, tre minuscoli punti brillano, di un fisso e corrucciato splendore; due vicini che quasi si toccano, uno più in là, solitario

Dino Buzzati, 24 marzo 1958, in Sessanta racconti, 1958, Mondadori, p. 293

Il 24 marzo 1958 è la data della messa in orbita dell’ultimo di una serie di tre satelliti che – da allora al presente immaginato nel racconto, il 1975 – continuano a girare intorno alla Terra. È una data più importante della scoperta dell’America o della rivoluzione francese, dopo la quale l’umanità è cambiata. Gli ultimi messaggi trasmessi dall’equipaggio alludono infatti a una strana musica e all’arrivo in un luogo che forse è il paradiso. Gli astronauti non sono tornati dai viaggi e i tre satelliti continuano a girare, lasciando il dubbio che il regno dei cieli – con la sua musica sovrumana – sia pericolosamente vicino, proprio alle porte del pianeta Terra, di questa “pulce delle pulci disseminate nell’Universo”.

Dicono del libro
“Riuniti in raccolta dallo stesso Buzzati nel 1958, i Sessanta racconti vengono a ragione considerati una vera ‘summa’ del mondo poetico dello scrittore. Vi si trova rappresentata l’intera gamma dei suoi motivi ispiratori, dalla visione surreale della vita all’orrore per la città, dagli automatismi esistenziali introdotti dall’uomo tecnologico alla suggestione metafisica”

(dalla quarta di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)

 

23 Marzo

23 marzo 2013

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Era il 23 marzo. La primavera era ufficialmente iniziata da due giorni e – cosa che non sempre si verifica – la si sentiva già nell’aria, tanto che Maigret decise di uscire senza soprabito. In boulevard Richard-Lenoir prese un taxi. Non c’erano autobus diretti, e il tempo non invitata certo a rinchiudersi nel metrò. Come aveva previsto, arrivò alla chiusa dei Récollets prima di Lapointe e trovò l’ispettore Judel chino sull’acqua nera del canale

Georges Simenon, Maigret e il corpo senza testa, 1955, tr. it. M. Belardetti, Adelphi, 2005, p. 19

La primavera parigina compensa con la sua luce la cupezza della vicenda: il ritrovamento del cadavere di un uomo in un canale e la strana storia di un’eredità non voluta. Il commissario Maigret passa dal luogo del ritrovamento all’istituto di medicina legale, e poi al quartier generale della polizia, al Quai des Orfèvres: “quel giorno, persino quel corridoio – il più bigio, il più tetro del mondo – era inondato di sole, o, per lo meno, di una specie di pulviscolo luminoso”.

Dicono del libro
“Lo stile e i procedimenti narrativi impiegati nei Maigret conoscono nel tempo una sensibile evoluzione: le descrizioni, in particolare, si assottigliano, lasciando sempre più spazio ai dialoghi, il che, oltre a dare al lettore l’illusione di condurre un’indagine parallela a quella del commissario, consente a Simenon di rivelare ‘in diretta’ la psicologia dei personaggi (…)  Composto a Lakeville (Connecticut) nel gennaio 1955, Maigret et le corps sans tête è apparso in Francia quello stesso anno.”
(dalla scheda introduttiva dell’ed. Adelphi, op. cit.)

 

Altre storie che accadono oggi

 

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“… Ora è la notte del 23 [marzo]; finché duri questa notte (e altre sei notti) sono invulnerabile, immortale…”
Jorge Luis Borges, Il miracolo segreto

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“… Quarche tuono, rrròoo, fijo d’una pignatta! Ebbe er grugno de fasse sentì puro lui: alli ventitré de marzo!…”
Carlo Emilio Gadda, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana

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“… quel giorno, che credevo martedì, era mercoledì 23 marzo, e infatti era venuto quel Guillot per farmi redigere il testamento Bonnefoy…” Umberto Eco, Il cimitero di Praga (segnalazione di Sandra Muzzolini)

 

23rd March
“… And it’s the 23rd of March…”
Wim Wenders, The Million Dollar Hotel« »

Era il 23 marzo. La primavera era ufficialmente iniziata da due giorni e – cosa che non sempre si verifica – la si sentiva già nell’aria, tanto che Maigret decise di uscire senza soprabito. In boulevard Richard-Lenoir prese un taxi. Non c’erano autobus diretti, e il tempo non invitata certo a rinchiudersi nel metrò. Come aveva previsto, arrivò alla chiusa dei Récollets prima di Lapointe e trovò l’ispettore Judel chino sull’acqua nera del canale

Georges Simenon, Maigret e il corpo senza testa, 1955, tr. it. M. Belardetti, Adelphi, 2005, p. 19

La primavera parigina compensa con la sua luce la cupezza della vicenda: il ritrovamento del cadavere di un uomo in un canale e la strana storia di un’eredità non voluta. Il commissario Maigret passa dal luogo del ritrovamento all’istituto di medicina legale, e poi al quartier generale della polizia, al Quai des Orfèvres: “quel giorno, persino quel corridoio – il più bigio, il più tetro del mondo – era inondato di sole, o, per lo meno, di una specie di pulviscolo luminoso”.

Dicono del libro
“Lo stile e i procedimenti narrativi impiegati nei Maigret conoscono nel tempo una sensibile evoluzione: le descrizioni, in particolare, si assottigliano, lasciando sempre più spazio ai dialoghi, il che, oltre a dare al lettore l’illusione di condurre un’indagine parallela a quella del commissario, consente a Simenon di rivelare ‘in diretta’ la psicologia dei personaggi (…)  Composto a Lakeville (Connecticut) nel gennaio 1955, Maigret et le corps sans tête è apparso in Francia quello stesso anno.”

(dalla scheda introduttiva dell’ed. Adelphi, op. cit.)

 

22 Marzo

22 marzo 2013

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L’anno scorso, la sera del ventidue marzo, mi capitò una stranissima avventura. Tutto il giorno ero andato in giro per la città in cerca di un alloggio. Quello in cui stavo era molto umido e già allora cominciavo ad avere una brutta tosse. Già in autunno avrei dovuto traslocare, ma l’avevo tirata in lungo fino alla primavera. In tutto quel giorno non ero riuscito a trovare nulla di conveniente. In primo luogo volevo un quartierino mio, non in subaffitto, e in secondo luogo mi sarei accontentato anche di una stanza sola, purché fosse grande e, beninteso, costasse il meno possibile. Avevo notato che in un alloggio troppo piccolo anche i pensieri si striminzivano

Fëdor Dostoevskij, Umiliati e offesi, 1862, tr.it. C. Coïsson, Einaudi, 1965, p. 5

La storia di Umiliati e offesi è narrata da Vanja, un giovane scrittore che la sera del 22 marzo, a Pietroburgo, entra nella pasticceria Miller e lì si imbatte in un vecchio e nel suo cane. Entrambi moriranno quella sera stessa; Vanja andrà ad abitare nella casa del vecchio; conoscerà la nipotina Nelly, in realtà figlia del principe Valkonskij, del cui figlio è innamorata Nataša, a sua volta amata dallo stesso Vanja. Fra le vicende accadute prima e quelle che accadranno dopo, il 22 marzo è una giornata di sole che al tramonto fa sfavillare per qualche istante le strade di Pietroburgo.

 

Dicono del libro
“Pubblicato a puntate nel 1861 sulla rivista ‘Vremja’, è il primo grande romanzo di Dostoevskij dopo il ritorno dalla deportazione in Siberia. Umiliati e offesi è costruito secondo i moduli del romanzo d’appendice in cui colpi di scena, intreccio, estrema inquietudine dei personaggi, tempi narrativi ora bruschi, ora trattenuti, danno vita a una narrazione d’effetto, spesso avvolta nel mistero. L’autore schiera i suoi personaggi su due fronti, secondo una contrapposizione netta tra vizi e virtù, luce e tenebre. Tuttavia, di là dall’epopea avventurosa, la sua capacità di soffrire insieme con i singoli personaggi, l’intensità dei sentimenti che egli infonde, conferiscono una tensione continua a questo romanzo di relazioni impossibili e d’amore
(quarta di copertina dell’ed. Einaudi, op. cit.)

 

Altre storie che accadono oggi

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“… 22 marzo L’oscurità si era fatta più intensa e solo il luminoso riflettersi nelle acque della bianca cortina tesa dinanzi a noi la rischiarava…”
Edgar Allan Poe, Le avventure di Gordon Pym

 

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“…Il 22 marzo il comandante austriaco della fortezza di Przemysl si arrese dopo un assedio di circa quattro mesi…”
Isaac B. Singer, La famiglia Moskat

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“… È il mio più grande desiderio, Kräuter, vedere Wittgenstein proprio il ventidue marzo…”
Thomas Bernhard, Goethe muore

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“…Ieri, quello che ritenevo il martedì 22 marzo, mi ero svegliato come se sapessi benissimo chi fossi…”
Umberto Eco, Il cimitero di Praga (segnalazione di Sandra Muzzolini)

 

 

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“… Per lui qualsiasi data fosse segnata sul calendario, era sempre XXII Marzo. Anche lui, in fondo, era abitudinario…”
Andrea G. Pinketts, Il conto dell’ultima cena


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“… Annuncio fondamentale: oggi, 22 marzo 2011, vedrò finalmente dal vivo il mio eroe…”
Alessandro Piperno, Inseparabili (segnalazione di Francesco Chirico @ninninedda)« »

L’anno scorso, la sera del ventidue marzo, mi capitò una stranissima avventura. Tutto il giorno ero andato in giro per la città in cerca di un alloggio. Quello in cui stavo era molto umido e già allora cominciavo ad avere una brutta tosse. Già in autunno avrei dovuto traslocare, ma l’avevo tirata in lungo fino alla primavera. In tutto quel giorno non ero riuscito a trovare nulla di conveniente. In primo luogo volevo un quartierino mio, non in subaffitto, e in secondo luogo mi sarei accontentato anche di una stanza sola, purché fosse grande e, beninteso, costasse il meno possibile. Avevo notato che in un alloggio troppo piccolo anche i pensieri si striminzivano

Fëdor Dostoevskij, Umiliati e offesi, 1862, tr.it. C. Coïsson, Einaudi, 1965, p. 5

La storia di Umiliati e offesi è narrata da Vanja, un giovane scrittore che la sera del 22 marzo, a Pietroburgo, entra nella pasticceria Miller e lì si imbatte in un vecchio e nel suo cane. Entrambi moriranno quella sera stessa; Vanja andrà ad abitare nella casa del vecchio; conoscerà la nipotina Nelly, in realtà figlia del principe Valkonskij, del cui figlio è innamorata Nataša, a sua volta amata dallo stesso Vanja. Fra le vicende accadute prima e quelle che accadranno dopo, il 22 marzo è una giornata di sole che al tramonto fa sfavillare per qualche istante le strade di Pietroburgo.

Dicono del libro
“Pubblicato a puntate nel 1861 sulla rivista ‘Vremja’, è il primo grande romanzo di Dostoevskij dopo il ritorno dalla deportazione in Siberia. Umiliati e offesi è costruito secondo i moduli del romanzo d’appendice in cui colpi di scena, intreccio, estrema inquietudine dei personaggi, tempi narrativi ora bruschi, ora trattenuti, danno vita a una narrazione d’effetto, spesso avvolta nel mistero. L’autore schiera i suoi personaggi su due fronti, secondo una contrapposizione netta tra vizi e virtù, luce e tenebre. Tuttavia, di là dall’epopea avventurosa, la sua capacità di soffrire insieme con i singoli personaggi, l’intensità dei sentimenti che egli infonde, conferiscono una tensione continua a questo romanzo di relazioni impossibili e d’amore

(quarta di copertina dell’ed. Einaudi, op. cit.)

 

March 2121 Marzo

21 marzo 2013

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West wind.

It was the fist day of Spring
Banks singing in his bath and there was only one day in the year
The wind was blowing wildly about her, tugging at her skirt, tilting her hat rakishly to one side. But it seemed to Jane and Michael that she did not mind


Pamela L. Travers, Mary Poppins, 1934

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Vento d’ovest.
Era il primo giorno di primavera. Giovanna e Michele se ne avvidero subito perché udirono il signor Bank cantare in bagno, e questo accadeva solo una volta all’anno. Essi ricordavano sempre quella particolare mattina. (…) Giù, proprio davanti alla porta d’ingresso, stava Mary Poppins in cappotto e cappello, colla sua valigia di tappeto in una mano e l’ombrello nell’altra. Il vento le soffiava intorno selvaggiamente, impigliandosi nelle sottane, mandandole fuor di posto il cappello. Ma sembrò a Giovanna e Michele che ella non ci badasse, perché sorrideva come se il vento e lei se la intendessero


Pamela L. Travers, Mary Poppins, 1934, tr. it. Bompiani, 1965, p. 175, p.179

La storia della governante magica dei bambini della famiglia Bank inizia in viale dei Ciliegi n. 17, in una giornata fredda “come il Polo Nord”, mentre soffia il vento dell’est e termina il primo giorno di primavera. Quel giorno, il vento viene dall’ovest ed è il segno per Mary Poppins che è arrivato il tempo di lasciare la casa e i bambini, prendendo il volo nel cielo di Londra.  I punti cardinali, le stagioni, le fasi lunari sono i riferimenti ciclici e naturali di queste avventure, immaginate dalla scrittrice Pamela Lyndon Travers negli anni Trenta del Novecento. 

 

 Dicono del libro
“Di tutti i tipi deliziosi che siano mai stati concepiti dalla penna di uno scrittore, nessuno si è conquistato il cuore del pubblico così rapidamente come Mary Poppins, la magica istitutrice portata dal vento dell’est, con l’ombrello aperto in una mano e la prodigiosa valigia nell’altra”

(dalla seconda di copertina dell’ed. Bompiani, op. cit.)

 

 

March 2020 Marzo

20 marzo 2013

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Time wore on at the Grange in its former pleasant way till Miss Cathy reached sixteen.  On the anniversary of her birth we never manifested any signs of rejoicing, because it was also the anniversary of my late mistress’s death.  Her father invariably spent that day alone in the library; and walked, at dusk, as far as Gimmerton kirkyard, where he would frequently prolong his stay beyond midnight.  Therefore Catherine was thrown on her own resources for amusement.  This twentieth of March was a beautiful spring day, and when her father had retired, my young lady came down dressed for going out, and said she asked to have a ramble on the edge of the moor with me: Mr. Linton had given her leave, if we went only a short distance and were back within the hour.

Emily Brontë, Wuthering Heights, 1847

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Il tempo continuò a trascorrere piacevolmente, alla Grange, finché Catherine raggiunse i sedici anni. L’anniversario della sua nascita non era mai stato festeggiato, perché era anche l’anniversario della morte della padrona: il signore passava invariabilmente quel giorno tutto solo nella biblioteca e, sull’imbrunire, andava al cimitero di Gimmerton, fermandovisi spesso fin dopo la mezzanotte. Catherine non poteva quindi contare che sopra se stessa per divertirsi. Il venti di marzo capitò, quell’anno, in una bella giornata primaverile e, dopoché suo padre si fu ritirato, la padroncina discese vestita da passeggio, e mi disse che voleva andare a fare un giro con me, in brughiera; il signor Linton le aveva dato il permesso, purché non ci allontanassimo troppo, e fossimo di ritorno entro un’ora

Emily Brontë, Cime tempestose, 1847, tr. it. E. Piceni, Rizzoli 1993, p.220

Catherine Earnshaw, la figlia del proprietario della tenuta di Wuthering Heights (Cime tempestose), pur essendo attratta da Heathcliff, un ragazzo orfano cresciuto nella stessa casa, ha sposato l’amico d’infanzia Edgar Linton. Il 20 marzo di un anno alla fine del ‘700, Catherine è morta nel dare alla luce una figlia, che ha preso il suo stesso nome. È questa Catherine che, sedici anni dopo, nel giorno del suo compleanno, si allontana nella brughiera e arriva nei pressi di Wuthering Heights, dove entrerà quel giorno per la prima volta, incontrando Heathcliff, l’uomo che ha amato la madre e che influenzerà anche la sua vita. Raccontate fra il 1801 e il 1802 da un ospite e da una governante, le intricate vicende familiari trovano un motivo temporale ricorrente nel 20 di marzo, anniversario di una morte e di una nascita e principio della primavera, così significativa nel paesaggio inglese. 

Dicono del libro
“Il trovatello Heathcliff e Catherine Earnshaw sono cresciuti insieme nelle brughiere selvagge che circondano Wuthering Heights, antica dimora lontana dalla civiltà e sferzata dalla furia degli elementi. Mentre le scorribande nella natura rinsaldano tra i due ragazzi un legame fortissimo, Hindley, il fratello di lei, prende a detestare l’usurpatore. Il matrimonio di Catherine con lo scialbo aristocratico Edgar Linton fa deflagrare il desiderio di vendetta di Heathcliff e alimenta odi feroci e violente passioni tra i membri delle due famiglie. Quando fu pubblicato, il romanzo sconvolse per la raffigurazione della crudeltà fisica e mentale: in ‘Cime tempestose’ i sentimenti possono essere soltanto estremi, come il paesaggio che li ha nutriti”
(dalla scheda del libro sul sito libreriarizzoli.corriere.it)

 

19 Marzo

19 marzo 2013

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Un altro anno; e s’era alla fine di marzo, il giorno di San Giuseppe.
Da Poggio a’ Meli s’udivano gli scampanii, che si rimescolavano alla rinfusa nel cielo come un suono che crescesse sempre, quasi immobile, con una romba greve. E a Pietro era venuta un’allegria insolita, un’allegria simile ad un benessere troppo forte, che lo faceva più nervoso.

Vorrei parlare di questi indefinibili turbamenti del marzo, a cui è unita quasi sempre una sottile voluttà, un desiderio di qualche bellezza. 
Questi soli ambigui, questi cinguettii ancora nascosti e che si dimenticano presto, queste nuvole biancheggianti che sembrano venute prima del tempo! E le foglie secche, che sono ancora sopra i grani germogliati, mescolando il pallore della morte con il pallore della vita! Queste foglie di tutte le specie, che si trovano ancora sopra l’erbe per rinnovarsi; le piante potate, e i loro rami e i loro tralci, sparsi a terra, che saranno portati via per sempre!

Federigo Tozzi, Con gli occhi chiusi, 1919, Rizzoli, 1993, pp. 49-50

In questo diciannove marzo, giorno di San Giuseppe, il protagonista del romanzo – Pietro Rosi – entra nei quindici anni. Il padre Domenico, gestore della trattoria Il Pesce Azzurro, lo porta al podere di Poggio a’ Meli, fuori Siena, dove il mese di marzo sta modificando, come tutti gli anni, il paesaggio e anche gli esseri umani. Il tempo ciclico della natura si intreccia – nella storia – con la crescita di Pietro e con le sue vicende, l’amore per la giovane Ghìsola, la morta della madre, la fede socialista, e la disillusione, come se tutte le cose si fossero “svolte senza bisogno di lui”.

 

Dicono del libro
Recensito da Pirandello con un intelligente richiamo al concetto di casualità, questo romanzo di Federigo Tozzi (1883-1920) pare racchiudere in forma esemplare l’intera meditazione dello scrittore senese sulla morte e sull’instabilità dell’universo umano (…) starsene ‘con gli occhi chiusi’ vuol dire non essere, significa condensare ossessivamente il senso di annichilimento dell’io novecentesco privo di controllo per via di dissoluzione dei tradizionali riferimenti”
(dalla quaarte di copertina dell’ed. Rizzoli, op. cit.)

 

 

Altre storie che accadono oggi

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“…Ma bonne tante – disse la piccola principessa la mattina del 19 marzo, dopo pranzo…”
Lev Tolstoj, Guerra e pace
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“… Alle due del pomeriggio di giovedì 19 marzo, Appleyard College  era freddo, silenzioso e odorava di arrosto di montone e cavolo…” Joan Lindsay, Picnic a Hanging Rock

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“… Grande boxe il 19 marzo al Palazzetto: Giorgio Catena, pippa mondiale, contro l’imprevedibile Gabèn..”
Marco Lodoli, I fannulloni

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“La sera del 19 marzo 1929 il giovane scrittore Jason Toft si librava per le strade del centro di Copenaghen…”
Peter Høeg, Storia di un matrimonio (Racconti notturni)

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“…Non posso dire che la mia vita sia stata irreprensibile. ma da quella notte – la notte del 19 marzo del 1929 – è stata pura come la neve…”
Peter Høeg, Immagine riflessa di un giovane in equilibrio (Racconti notturni)

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“Era il 19 marzo del 1929 (…) e nel porto di Lisbona, sotto il quartiere di Alfama, due giovani erano giunti ora, da ogni punto di vista, alla fine della strada”
Peter Høeg, Omaggio a Bournonville (Racconti notturni)

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“… La notte del 19 marzo del 1731 ci fu qui una festa di famiglia…”
Peter Høeg, Esperimenti sulla durata dell’amore (Racconti notturni)

 

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Un altro anno; e s’era alla fine di marzo, il giorno di San Giuseppe.
Da Poggio a’ Meli s’udivano gli scampanii, che si rimescolavano alla rinfusa nel cielo come un suono che crescesse sempre, quasi immobile, con una romba greve. E a Pietro era venuta un’allegria insolita, un’allegria simile ad un benessere troppo forte, che lo faceva più nervoso.

Vorrei parlare di questi indefinibili turbamenti del marzo, a cui è unita quasi sempre una sottile voluttà, un desiderio di qualche bellezza. 
Questi soli ambigui, questi cinguettii ancora nascosti e che si dimenticano presto, queste nuvole biancheggianti che sembrano venute prima del tempo! E le foglie secche, che sono ancora sopra i grani germogliati, mescolando il pallore della morte con il pallore della vita! Queste foglie di tutte le specie, che si trovano ancora sopra l’erbe per rinnovarsi; le piante potate, e i loro rami e i loro tralci, sparsi a terra, che saranno portati via per sempre!

Federigo Tozzi, Con gli occhi chiusi, 1919, Rizzoli, 1993, pp. 49-50

In questo diciannove marzo, giorno di San Giuseppe, il protagonista del romanzo – Pietro Rosi – entra nei quindici anni. Il padre Domenico, gestore della trattoria Il Pesce Azzurro, lo porta al podere di Poggio a’ Meli, fuori Siena, dove il mese di marzo sta modificando, come tutti gli anni, il paesaggio e anche gli esseri umani. Il tempo ciclico della natura si intreccia – nella storia – con la crescita di Pietro e con le sue vicende, l’amore per la giovane Ghìsola, la morta della madre, la fede socialista, e la disillusione, come se tutte le cose si fossero “svolte senza bisogno di lui”.

 

Dicono del libro
Recensito da Pirandello con un intelligente richiamo al concetto di casualità, questo romanzo di Federigo Tozzi (1883-1920) pare racchiudere in forma esemplare l’intera meditazione dello scrittore senese sulla morte e sull’instabilità dell’universo umano (…) starsene ‘con gli occhi chiusi’ vuol dire non essere, significa condensare ossessivamente il senso di annichilimento dell’io novecentesco privo di controllo per via di dissoluzione dei tradizionali riferimenti”

(dalla quaarte di copertina dell’ed. Rizzoli, op. cit.)

 

18 Marzo

18 marzo 2013

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Il Balducci fu interrogato a sua volta: nel pomeriggio di quel giorno stesso, 18 marzo, a Santo Stefano del Cacco: per più ore: dal commissario capo: il giudice istruttore intervenne pro forma, “la questura teneva ancora in mano l’iniziativa delle indagini”. Ingravallo, stavolta, non se la sentì davvero. Un amico. Che, che! Non volle nemmeno presenziare. E poi, era chiaro, si sarebbe andati nel difficile: lo scabroso interrogatorio avrebbe finito con lo sminuzzolarsi nelle sofisticherie d’un particolare genere d’inquisizione, o col rompere a disgustose crudezze, d’un’indagine delle più   crude

Carlo Emilio Gadda, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, 1957, ed. Garzanti 2007, Romanzi e racconti II, pp. 94-95

La vicenda del Pasticciaccio si svolge fra  febbraio e marzo del 1927. La prima data che s’incontra è domenica 20 febbraio, Sant’Eleuterio, giorno in cui il commissario Ciccio Ingravallo va a pranzo – nel palazzo romano di via Merulana – da Remo Eleuterio Balducci e dalla moglie Liliana, che verrà assassinata il 17 marzo, pochi giorni dopo che nello stesso palazzo c’è stato un furto di gioielli. Il 18 è il giorno dell’interrogatorio del marito della signora Liliana, tornato a Roma col treno quella mattina stessa. Un giorno del mese di marzo, di cui Gadda richiama il clima ancora “riggido”, le nuvole, il vento che ghiribizza i capelli, gli spifferi e gli odori, i Santi, senza tralasciare un accenno alle Idi, cioè il 15, data in cui a Roma si spegnevano i termosifoni. L’indistricabile grumo degli accadimenti, insinuati su tanti piani della realtà e della memoria (“il sentiero del tempo si smarriva”), si puntella anche sul tempo del calendario. E c’è un calendario a fogli singoli, “omaggio di fin d’anno der pastarellaro dirimpetto”, appeso in casa d’Ingravallo. Nell’ultimo capitolo, segna il 21 marzo, ma in realtà è indietro di due giorni, poiché la “sora Margherita”, la padrona di casa, s’era scordata di togliere i foglietti dei giorni trascorsi. 

 

Dicono del libro
“Roma durante il fascismo. Il commissario di polizia don Ciccio Ingravallo è incaricato di svolgere un’inchiesta su un furto di gioielli avvenuto al 219 di via Merulana, una via popolare nel cuore di un vecchio quartiere. Nella casa abitano due amici del commissario: i coniugi Balducci, dai quali è solito andare a pranzo nei giorni festivi. Per lo scapolo don Ciccio Liliana Balducci è l’incarnazione della dolcezza e della purezza femminile. Un mattino, Liliana viene selvaggiamente assassinata nel suo appartamento: il furto dei gioielli e l’assassinio sono opera di una stessa persona? Da questi episodi prende il via il romanzo gaddiano, che, apparso in “Letteratura” nell’immediato dopoguerra, fu scritto a Firenze nel ricordo di un lontano soggiorno nella capitale (1926-27). Basandosi su un reale fatto di sangue, Gadda costruisce un intrigo poliziesco che gioca su un duplice registro: può essere letto, infatti, come eco del mondo e come bricolage letterario”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Nuova Biblioteca Garzanti 2007)

 

 

 

Altre storie che accadono oggi

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“… La telefonata arrivò alle 9,37 della sera del 18 marzo,sabato, vigilia della rutilante e rombante festa che la città dedicava a san Giuseppe falegname…” Leonardo Sciascia, Una storia semplice

 

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“… Era il 18 marzo 1791, allorché Trachim B fu bloccato, o non fu, dal suo carro contro il letto del fiume Brod…”
Jonathan Safran Foer, Ogni cosa è illuminata « »

Il Balducci fu interrogato a sua volta: nel pomeriggio di quel giorno stesso, 18 marzo, a Santo Stefano del Cacco: per più ore: dal commissario capo: il giudice istruttore intervenne pro forma, “la questura teneva ancora in mano l’iniziativa delle indagini”. Ingravallo, stavolta, non se la sentì davvero. Un amico. Che, che! Non volle nemmeno presenziare. E poi, era chiaro, si sarebbe andati nel difficile: lo scabroso interrogatorio avrebbe finito con lo sminuzzolarsi nelle sofisticherie d’un particolare genere d’inquisizione, o col rompere a disgustose crudezze, d’un’indagine delle più   crude

Carlo Emilio Gadda, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, 1957, ed. Garzanti 2007, Romanzi e racconti II, pp. 94-95

La vicenda del Pasticciaccio si svolge fra  febbraio e marzo del 1927. La prima data che s’incontra è domenica 20 febbraio, Sant’Eleuterio, giorno in cui il commissario Ciccio Ingravallo va a pranzo – nel palazzo romano di via Merulana – da Remo Eleuterio Balducci e dalla moglie Liliana, che verrà assassinata il 17 marzo, pochi giorni dopo che nello stesso palazzo c’è stato un furto di gioielli. Il 18 è il giorno dell’interrogatorio del marito della signora Liliana, tornato a Roma col treno quella mattina stessa. Un giorno del mese di marzo, di cui Gadda richiama il clima ancora “riggido”, le nuvole, il vento che ghiribizza i capelli, gli spifferi e gli odori, i Santi, senza tralasciare un accenno alle Idi, cioè il 15, data in cui a Roma si spegnevano i termosifoni. L’indistricabile grumo degli accadimenti, insinuati su tanti piani della realtà e della memoria (“il sentiero del tempo si smarriva”), si puntella anche sul tempo del calendario. E c’è un calendario a fogli singoli, “omaggio di fin d’anno der pastarellaro dirimpetto”, appeso in casa d’Ingravallo. Nell’ultimo capitolo, segna il 21 marzo, ma in realtà è indietro di due giorni, poiché la “sora Margherita”, la padrona di casa, s’era scordata di togliere i foglietti dei giorni trascorsi. 

Dicono del libro
“Roma durante il fascismo. Il commissario di polizia don Ciccio Ingravallo è incaricato di svolgere un’inchiesta su un furto di gioielli avvenuto al 219 di via Merulana, una via popolare nel cuore di un vecchio quartiere. Nella casa abitano due amici del commissario: i coniugi Balducci, dai quali è solito andare a pranzo nei giorni festivi. Per lo scapolo don Ciccio Liliana Balducci è l’incarnazione della dolcezza e della purezza femminile. Un mattino, Liliana viene selvaggiamente assassinata nel suo appartamento: il furto dei gioielli e l’assassinio sono opera di una stessa persona? Da questi episodi prende il via il romanzo gaddiano, che, apparso in “Letteratura” nell’immediato dopoguerra, fu scritto a Firenze nel ricordo di un lontano soggiorno nella capitale (1926-27). Basandosi su un reale fatto di sangue, Gadda costruisce un intrigo poliziesco che gioca su un duplice registro: può essere letto, infatti, come eco del mondo e come bricolage letterario”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Nuova Biblioteca Garzanti 2007)

 

17 Marzo

17 marzo 2013

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Udì nuovamente i passi che si allontanavano e, per due o tre volte, si chiese:”Di chi sono questi passi?”. Ebbe l’impressione che fossero passi familiari. Sì, li conosceva bene, così come le mani che lo avevano girato… “Ma sono i miei! Il diciassette marzo, la strada, vicino a Brezftoht…” Perse per un attimo coscienza, poi udì nuovamente risuonare i passi e gli sembrò ancora che fossero i suoi, che fosse lui e nessun altro che correva così, lasciandosi dietro, disteso sulla strada, il proprio corpo, quello che lui stesso aveva appena abbattuto

   Ismail Kadaré, Aprile spezzato, 1982, tr. it. F. Celotto, Guanda, 1993, p. 173

 

Il 17 marzo è la data fatale che apre e chiude la storia di Gjorg, il giovane protagonista di una faida decennale, che oppone la sua ad un’altra famiglia albanese. Per vendicare un fratello ammazzato tempo prima, Gjorg è costretto a uccidere un uomo, e lo fa in quel giorno di marzo, “sorridente e gelido allo stesso tempo”. Da quel momento egli ha trenta giorni di tregua, prima che la famiglia dell’ucciso possa a sua volta vendicarsi su di lui. In quel mese deve pagare il “riscatto del sangue” alle autorità del territorio e vivere le ultime giornate da uomo libero. È una data spartiacque, che gli tornerà in mente con forza anche alla fine della vicenda. Non sa che, se non avesse commesso l’omicidio, quel 17 marzo sarebbe stato il primo giorno “bianco”, senza violenza, “da un secolo, forse da due, tre, cinque secoli, forse addirittura dall’origine stessa del riscatto del sangue”.

 

 

Dicono del libro
“C’è una terra, scabra e selvaggia, in cui il tempo sembra essersi fermato, e in cui la vita e la morte degli uomini sono scanditi da un unico inflessibile giudice: la faida. È lì, sugli altipiani all’interno dell’Albania (in quel paesaggio geografico e morale di cui è l’irripetibile cantore), che Ismail Kadaré ha intessuto la trama di questo avvincente romanzo. Il 17 marzo di un anno imprecisato (prima, comunque, dell’avvento del comunismo in Albania) il giovane Gjorg Berisha ha dovuto uccidere Zef Kryeqyqe, l’assassino di suo fratello”
(dal risvolto di copertina dell’ed. Guanda, op. cit.)

 

Altre storie che accadono oggi

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“… Colpo di genio. Fece un cablo per direttissima. Avete lo Weekly Freeman del 17 marzo?…”
James Joyce, Ulisse
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“… Erano le undici der diciassette marzo e il dottor Ingravallo, a via D’Azeglio, aveva già un piede sur predellino…”
Carlo Emilio Gadda, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana

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“… secondo il Times del 17 marzo, il Grande Fratello nel suo discorso del giorno avanti aveva predetto che il fronte dell’India meridionale sarebbe stato tranquillo…” George Orwell, 1984 (segnalazione di Ilaria Restivo)

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“…Nel passato si ricorda il 17 marzo dell’anno di grazia e di Paola…”
Alessandro Bergonzoni, È già mercoledì e io no

 

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“…Il 17 marzo, giorno della manifestazione biannuale per il rispetto dei contratti collettivi, Théo indossa un completo di alpaca color perla…”
Daniel Pennac, Il paradiso degli orchi (segnalazione di Matteo Piccioni)« »

Udì nuovamente i passi che si allontanavano e, per due o tre volte, si chiese: “Di chi sono questi passi?”. Ebbe l’impressione che fossero passi familiari. Sì, li conosceva bene, così come le mani che lo avevano girato… “Ma sono i miei! Il diciassette marzo, la strada, vicino a Brezftoht…” Perse per un attimo coscienza, poi udì nuovamente risuonare i passi e gli sembrò ancora che fossero i suoi, che fosse lui e nessun altro che correva così, lasciandosi dietro, disteso sulla strada, il proprio corpo, quello che lui stesso aveva appena abbattuto

   Ismail Kadaré, Aprile spezzato, 1982, tr. it. F. Celotto, Guanda, 1993, p. 173

Il 17 marzo è la data fatale che apre e chiude la storia di Gjorg, il giovane protagonista di una faida decennale, che oppone la sua ad un’altra famiglia albanese. Per vendicare un fratello ammazzato tempo prima, Gjorg è costretto a uccidere un uomo, e lo fa in quel giorno di marzo, “sorridente e gelido allo stesso tempo”. Da quel momento egli ha trenta giorni di tregua, prima che la famiglia dell’ucciso possa a sua volta vendicarsi su di lui. In quel mese deve pagare il “riscatto del sangue” alle autorità del territorio e vivere le ultime giornate da uomo libero. È una data spartiacque, che gli tornerà in mente con forza anche alla fine della vicenda. Non sa che, se non avesse commesso l’omicidio, quel 17 marzo sarebbe stato il primo giorno “bianco”, senza violenza, “da un secolo, forse da due, tre, cinque secoli, forse addirittura dall’origine stessa del riscatto del sangue”.

Dicono del libro
“C’è una terra, scabra e selvaggia, in cui il tempo sembra essersi fermato, e in cui la vita e la morte degli uomini sono scanditi da un unico inflessibile giudice: la faida. È lì, sugli altipiani all’interno dell’Albania (in quel paesaggio geografico e morale di cui è l’irripetibile cantore), che Ismail Kadaré ha intessuto la trama di questo avvincente romanzo. Il 17 marzo di un anno imprecisato (prima, comunque, dell’avvento del comunismo in Albania) il giovane Gjorg Berisha ha dovuto uccidere Zef Kryeqyqe, l’assassino di suo fratello”
(dal risvolto di copertina dell’ed. Guanda, op. cit.)

16 Marzo

16 marzo 2013

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“Era il sedici di questo mese.”
“Il sedici”.  “Alle sette, trentasette minuti e venti secondi.” Venti secondi: ho controllato l’orologio.” (…) Comunque, il 16 marzo, quando il cielo s’era schiarito, che cosa avevano visto
 o creduto di vedere i due astronomi di Whaston?… Nientemeno che un bolide di forma sferica, che si spostava con straordinaria rapidità da nord a sud, e così luminoso da lottare vittoriosamente contro la luce diffusa del sole. Nonostante la rapidità con cui si spostava, siccome doveva distare dalla terra un certo numero di chilometri sarebbe stato possibile seguirlo per qualche tempo, se una nebbia intempestiva non fosse sopravvenuta a impedire ogni osservazione

Jules Verne, La caccia al meteorite, 1908 (post.), tr. it. tr. it. A cura di G. Ferrata, M. Spagnol, Mondadori 1970, pp.25-26

La vicenda fantastica di un meteorite d’oro – di cui uno scienziato cerca di indirizzare la caduta in Groenlandia – ha inizio nel mese di marzo, in Virginia, quando due  astronomi dilettanti scorgono un corpo celeste passare nel cielo. Da quel 16 marzo ha inizio, prima negli Stati Uniti e poi in tutto il mondo, la caccia al meteorite che dà il titolo a questo romanzo, in cui le date, le ore, le coordinate geografiche, le distanze dal suolo terrestre, le condizioni atmosferiche, sono parte integrante della storia. 

Dicono del libro
“Non esistono precise notizie sulla data di nascita di questo romanzo, pubblicato nel 1908, tre anni dopo la morte di Verne, quasi insieme a vari altri da lui lasciati inediti. La caccia al meteorite (La Chasse au Météore) si distacca in ogni modo largamente dalle immaginazioni tragiche o ansiose sul futuro dell’umanità, frequenti nell’ultimo periodo vissuto dallo scrittore (…) D’altra parte rientra nettamente in quel settore molto ampio dei Viaggi straordinari, dove fisica e astronomia sono presenti quasi di continuo”
(dall’introduzione di G. Ferrata, ed. Mondadori, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… ‘Addò l’ha rubato’? ‘A piazza Vittorio.’ La mattina di mercoledì giorno 16 [marzo], dopo la retata delle ninfe…”
Carlo Emilio Gadda, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana

 

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“… Alle 5 del mattino, ora di Greenwich, il martedì 16 marzo… l’U-653 navigava in superficie verso est per tornare in Francia. Nell’Atlantico settentrionale erano le 3 del mattino…”
Robert Harris, Enigma« »

“Era il sedici di questo mese.”
“Il sedici”.  “Alle sette, trentasette minuti e venti secondi.” Venti secondi: ho controllato l’orologio.” (…) Comunque, il 16 marzo, quando il cielo s’era schiarito, che cosa avevano visto
 o creduto di vedere i due astronomi di Whaston?… Nientemeno che un bolide di forma sferica, che si spostava con straordinaria rapidità da nord a sud, e così luminoso da lottare vittoriosamente contro la luce diffusa del sole. Nonostante la rapidità con cui si spostava, siccome doveva distare dalla terra un certo numero di chilometri sarebbe stato possibile seguirlo per qualche tempo, se una nebbia intempestiva non fosse sopravvenuta a impedire ogni osservazione

Jules Verne, La caccia al meteorite, 1908 (post.), tr. it. tr. it. A cura di G. Ferrata, M. Spagnol, Mondadori 1970, pp.25-26

La vicenda fantastica di un meteorite d’oro – di cui uno scienziato cerca di indirizzare la caduta in Groenlandia – ha inizio nel mese di marzo, in Virginia, quando due  astronomi dilettanti scorgono un corpo celeste passare nel cielo. Da quel 16 marzo ha inizio, prima negli Stati Uniti e poi in tutto il mondo, la caccia al meteorite che dà il titolo a questo romanzo, in cui le date, le ore, le coordinate geografiche, le distanze dal suolo terrestre, le condizioni atmosferiche, sono parte integrante della storia. 

Dicono del libro
“Non esistono precise notizie sulla data di nascita di questo romanzo, pubblicato nel 1908, tre anni dopo la morte di Verne, quasi insieme a vari altri da lui lasciati inediti. La caccia al meteorite (La Chasse au Météore) si distacca in ogni modo largamente dalle immaginazioni tragiche o ansiose sul futuro dell’umanità, frequenti nell’ultimo periodo vissuto dallo scrittore (…) D’altra parte rientra nettamente in quel settore molto ampio dei Viaggi straordinari, dove fisica e astronomia sono presenti quasi di continuo”

(dall’introduzione di G. Ferrata, ed. Mondadori, op. cit.)

 

March 1515 Marzo

15 marzo 2013

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So day by day Malli grew more Ariel, just as, day by day, Herr Soerensen grew more Prospero, and the date of The Tempest’sfirst performance in Christianssand was already fixed for March 15th

Karen Blixen, tempests (Anecdotes of Destiny)

 

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Due giorni prima del quattordicesimo compleanno di Sophie, il 15 marzo 1796, anniversario del suo fidanzamento – tuttora non autorizzato, e per la verità neanche discusso con suo padre – Fritz andò dai gioiellieri di Tennstedt per farsi fare un’ulteriore modifica al suo anello. Questo avrebbe dovuto contenere un minuscolo ritratto di Sophie, spiegò, ricavato dalla miniatura che aveva deluso tutti – non c’era altro da fare. Perlomeno c’era la sua espressione stupita, avida, e il suo misto di scuro e di chiaro. Sul lato opposto, disse loro di incidere le parole – Sophie sey mein schuz geist – “Sophie sii il mio Spirito Guardiano”. Nella poesia per il suo compleanno scrisse:
Quello che cercavo, ho trovato:
Quello che ho trovato, mi ha cercato

Penelope Fitzgerald, Il fiore azzurro, 1995, tr. it. M. d’Amico, Sellerio, 1998, p. 164


Il giovane Friedrich von Hardenberg, prima di diventare noto col nome d’arte di Novalis, cerca la sua strada fra gli studi universitari, le letture, i primi abbozzi delle sue riflessioni sul linguaggio e sulla natura, delle sue poesie e delle sue storie (fra cui Il fiore azzurro, che dà il titolo a questa ricostruzione romanzata della sua vita). L’incontro con la giovanissima Sophie si trasforma subito in fidanzamento. Alla fine del Settecento, quando la prospettiva di vita era breve, minata soprattutto dalla tisi – malattia di cui moriranno sia Sophie sia lo stesso Novalis – non era insolito sposarsi appena adolescenti. O almeno promettersi di farlo, come accade alla data del 15 di marzo e del suo anniversario.

Dicono del libro
Il fiore azzurro, infine, crea (…) tutto un mondo remoto, quello di una fetta di Germania provinciale nell’ultimo decennio del Settecento, dove l’eco lontana della Rivoluzione francese alimenta la ricerca dell’assoluto nel petto di un giovane predestinato, il goffo, egocentrico e geniale Friedrich von Hardenberg che in seguito assumerà il nom de plume di Novalis (…) L’episodio centrale è il rapporto di Hardenberg con la bambina che il futuro poeta idealizzò, un  po’ come Dante fece con Beatrice”
(dalla Nota di M. d’Amico nell’ed. Sellerio, op. cit.)

 

March 1414 Marzo

14 marzo 2013

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“Call the first witness,” said the King; and the White Rabbit blew three blasts on the trumpet and called out, “First witness!”
The first witness was the Hatter. He came in with a teacup in one hand and a piece of bread and butter in the other.
“You ought to have finished,” said the King. “When did you begin?”
The Hatter looked at the March Hare, who had followed him into the court, arm in arm with the Dormouse. “Fourteenth of March, I think it was,” he said

Lewis Carroll, Alice’s Adventures in Wonderland

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Il primo testimone era il Cappellaio. Si presentò con una tazza di tè in mano e un pezzo di pane imburrato nell’altra. – Chiedo perdono, vostra Maestà, – cominciò, – se sono qui con queste cose; ma non avevo ancora finito il mio tè quando sono stato convocato.
– Dovresti aver finito, – disse il Re. – Quando iniziasti?
Il Cappellaio guardò la Lepre Marzola, che l’aveva seguito in tribunale a braccetto del Ghiro. – Il quattordici marzo, mi pare, – disse.
– Il quindici, – disse la Lepre Marzola.
– Il sedici, – disse il Ghiro.
– Prendetene nota, – disse il Re alla giuria; e la giuria diligentemente annotò sulle lavagnette tutte e tre le date, poi fece la somma e convertì il totale in scellini e penny

Lewis Carroll, Alice nel paese delle meraviglie, 1865, tr. it. A. Ceni, Einaudi, 2003, p. 107

La porta principale attraverso cui si entra nel Paese delle Meraviglie è quella del Tempo, avverte Stefano Bartezzaghi nell’introduzione all’edizione Einaudi delle Avventure di Alice. Il tempo – già di per sé una meraviglia, un indovinello senza soluzione – è il protagonista di situazioni e dialoghi paradossali. Le avventure di Alice si svolgono in maggio: lo dice la bambina, dopo aver incontrato la Lepre Marzola (“forse, poiché siamo di maggio, non matta da legare”). Più avanti, nel capitolo Un tè da matti, viene fuori la data del 4, insieme con un mirabile orologio che, invece dell’ora, segna il giorno del mese. Poiché il Paese delle Meraviglie è un luogo di discussioni, anche la data è oggetto di negoziazione, come in questo capitolo XI (Chi rubò le crostate?), in cui il testimone è contraddetto dalla Lepre Marzola e dal Ghiro e le cifre delle date sono commutate in denaro. Poiché il Paese delle Meraviglie è un luogo di non-certezze, anche la data pare il 14 marzo, ma anche il 15 o il 16. Dipende dall’unità di misura o di cambio del Tempo.

 

Dicono del libro
“Le avventure straordinarie della piccola Alice in un bizzarro mondo alla rovescia sono molto piú di un classico per l’infanzia. Se da un lato vi si può leggere una parabola che svela le assurdità e le incoerenze della vita adulta, dall’altro vi si coglie, immediata, una raffinatissima abilità linguistica, dove il gusto per il paradosso e il calembour, il nonsenso e la parodia si esprimono con impareggiabile inventiva. Un classico, quindi, cui hanno guardato molti protagonisti della letteratura del Novecento da Queneau a Nabokov”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Einaudi, op. ci.t)

 

13 Marzo

13 marzo 2013

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Il Nautilus aveva ripreso imperturbato la rotta verso sud seguendo a grande velocità il 50° meridiano. Voleva giungere al polo? Mi pareva impossibile perché ogni tentativo fino allora compiuto di spingersi laggiù non aveva avuto successo. La stagione era inoltre molto avanzata dato che il 13 marzo nella zona antartica corrisponde al 13 settembre in quella boreale, cioè all’inizio del periodo equinoziale

Jules Verne, Ventimila leghe sotto i mari, 1870, tr. it. a cura di L. Tamburini, Einaudi,1995, p. 271

La conquista del polo Sud (“quel punto sconosciuto in cui si incrociano tutti i meridiani del globo”)da parte del Nautilus del capitano Nemo, è raccontata da Verne nella seconda  parte di Ventimila leghe sotto i mari. L’avvicinamento ha inizio il 13 marzo, a ridosso di quella che nell’emisfero boreale è la stagione primaverile, mentre nell’emisfero antartico – come non manca di far notare l’autore – è l’autunno. 

 

Dicono del libro
“Alla fregata americana Abramo Lincoln è affidato un compito impegnativo, quello di intercettare e catturare l’essere mostruoso che va compiendo singolari quanto misteriose imprese nei mari di mezzo mondo. I tre protagonisti della spedizione – uno scienziato, il suo servo e un fiociniere – avranno presto modo di constatare come il gigantesco pesce di cui si sono posti alla caccia altro non sia che un avveniristico sommergibile, il Nautilus, guidato da un singolare capitano, Nemo. Questa scoperta sarà l’inizio di una serie di mirabolanti avventure: i tre ospiti del misterioso capitano incontreranno e combatteranno piovre gigantesche, cacceranno in foreste sottomarine, vedranno la perduta Atlantide, assisteranno al crudele affondamento di una nave e del suo equipaggio”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Einaudi, op. cit.)

 

 

Altre storie che accadono oggi

 

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“… Tredici marzo! Vigilia della distribuzione dei premi al teatro Vittorio Emanuele, la festa grande e bella di tutti gli anni…”
Edmondo De Amicis, Cuore

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“… Il 13 marzo, quasi tre mesi dopo, raggiunti gli 85° 15′ di latitudine, Clark, Mew w io lasciammo il Boreal…”
Matthew P. Shiel, La nube purpurea

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“… 13 marzo 1994 Signore e signori. Moriamo perché abbiamo un corpo, ed è ogni volta l’estinzione di una cultura…”
Daniel Pennac, Storia di un corpo
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Il Nautilus aveva ripreso imperturbato la rotta verso sud seguendo a grande velocità il 50° meridiano. Voleva giungere al polo? Mi pareva impossibile perché ogni tentativo fino allora compiuto di spingersi laggiù non aveva avuto successo. La stagione era inoltre molto avanzata dato che il 13 marzo nella zona antartica corrisponde al 13 settembre in quella boreale, cioè all’inizio del periodo equinoziale

Jules Verne, Ventimila leghe sotto i mari, 1870, tr. it. a cura di L. Tamburini, Einaudi,1995, p. 271

La conquista del polo Sud (“quel punto sconosciuto in cui si incrociano tutti i meridiani del globo”)da parte del Nautilus del capitano Nemo, è raccontata da Verne nella seconda  parte di Ventimila leghe sotto i mari. L’avvicinamento ha inizio il 13 marzo, a ridosso di quella che nell’emisfero boreale è la stagione primaverile, mentre nell’emisfero antartico – come non manca di far notare l’autore – è l’autunno. 

Dicono del libro
“Alla fregata americana Abramo Lincoln è affidato un compito impegnativo, quello di intercettare e catturare l’essere mostruoso che va compiendo singolari quanto misteriose imprese nei mari di mezzo mondo. I tre protagonisti della spedizione – uno scienziato, il suo servo e un fiociniere – avranno presto modo di constatare come il gigantesco pesce di cui si sono posti alla caccia altro non sia che un avveniristico sommergibile, il Nautilus, guidato da un singolare capitano, Nemo. Questa scoperta sarà l’inizio di una serie di mirabolanti avventure: i tre ospiti del misterioso capitano incontreranno e combatteranno piovre gigantesche, cacceranno in foreste sottomarine, vedranno la perduta Atlantide, assisteranno al crudele affondamento di una nave e del suo equipaggio”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Einaudi, op. cit.)

 

12 Marzo

12 marzo 2013

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Durante il cattivo tempo che per tutta la settimana scorsa ha infierito lungo la costa, sulla nostra regione si è abbattuta una catastrofe che, secondo ogni umana previsione, avrebbe provocato la deplorevole perdita di vite umane oltre che di un ottimo vapore costiero perfettamente atto alla navigazione; ma all’ultimissimo momento, come per una grazia della provvidenza, più funeste conseguenze sono state felicemente scongiurate grazie al coraggio di un’animosa ragazza. Presentiamo ai nostri lettori un breve resoconto del dramma.
Mercoledì 12 marzo la nave passeggeri Sofie Hosewinckel salpò da Arendal diretta a Christianssand. La visibilità era scarsa, c’era neve con forte vento di sud-est. Nel tardo pomeriggio il vento si tramutò in fortunale e, come tutti sanno, fummo assaliti  dal peggior uragano che mai abbia, a memoria d’uomo, sconvolto la nostra costa. La Sofie Hosewinckel aveva a bordo sedici passeggeri, trai quali era il noto e stimato capocomico Herr Valdemar Soerensen con la sua compagnia, diretto a Christianssand ove avrebbe dovuto dare una rappresentazione

Karen Blixen, Tempeste, 1958,  tr. it. P. Ojetti in Capricci del destino, Feltrinelli 1984, p.82

Una piccolo compagnia teatrale, diretta dal capocomico Herr Soerensen, si sta recando a Christianssand per rappresentare La tempesta di Shakespeare. Fa parte della compagnia la giovane Malli, destinata a interpretare la parte di Ariel, lo spirito dell’aria. La prima rappresentazione è prevista per la metà di marzo e la compagnia parte da Arendal, su una nave passeggeri dell’armatore Hosewinckel, il giorno 12 marzo. È una data centrale, intorno a cui la vicenda si snoda. Fra il tardo pomeriggio e la notte – come riporta la Gazzetta di Christianssand – una violenta tempesta mette in pericolo i viaggiatori e la stessa imbarcazione ed è grazie a Malli – fedele al ruolo che le è assegnato nella Tempesta recitata –  che la nave riesce scampare dalla tempesta reale e a guadagnare il porto. 

Dicono del libro
Capricci del destino, l’ultimo libro pubblicato in vita da Karen Blixen, contiene cinque fra i suoi racconti più significativi (…) il personaggio più significativo del libro è Ariele, intorno al quale ruota Tempeste, un racconto che prende l’avvio dalla messa in scena del capolavoro di Shakespeare architettata da un artista visionario: la giovane che personifica Ariele, e insegna agli altri a vivere all’altezza dei suoi sogni, incarna anche l’inevitabilità della rinunzia di cui è vittima chi sceglie di essere anzitutto un artista”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Feltrinelli, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“…Il dodici marzo, pochi minuti prima di mezzogiorno di una dolce giornata primaverile (…) accadde qualcosa di meraviglioso..” Fred Uhlman, Un’anima non vile« »

Durante il cattivo tempo che per tutta la settimana scorsa ha infierito lungo la costa, sulla nostra regione si è abbattuta una catastrofe che, secondo ogni umana previsione, avrebbe provocato la deplorevole perdita di vite umane oltre che di un ottimo vapore costiero perfettamente atto alla navigazione; ma all’ultimissimo momento, come per una grazia della provvidenza, più funeste conseguenze sono state felicemente scongiurate grazie al coraggio di un’animosa ragazza. Presentiamo ai nostri lettori un breve resoconto del dramma.
Mercoledì 12 marzo la nave passeggeri Sofie Hosewinckel salpò da Arendal diretta a Christianssand. La visibilità era scarsa, c’era neve con forte vento di sud-est. Nel tardo pomeriggio il vento si tramutò in fortunale e, come tutti sanno, fummo assaliti  dal peggior uragano che mai abbia, a memoria d’uomo, sconvolto la nostra costa. La Sofie Hosewinckel aveva a bordo sedici passeggeri, trai quali era il noto e stimato capocomico Herr Valdemar Soerensen con la sua compagnia, diretto a Christianssand ove avrebbe dovuto dare una rappresentazione

Karen Blixen, Tempeste, 1958,  tr. it. P. Ojetti in Capricci del destino, Feltrinelli 1984, p.82

Una piccolo compagnia teatrale, diretta dal capocomico Herr Soerensen, si sta recando a Christianssand per rappresentare La tempesta di Shakespeare. Fa parte della compagnia la giovane Malli, destinata a interpretare la parte di Ariel, lo spirito dell’aria. La prima rappresentazione è prevista per la metà di marzo e la compagnia parte da Arendal, su una nave passeggeri dell’armatore Hosewinckel, il giorno 12 marzo. È una data centrale, intorno a cui la vicenda si snoda. Fra il tardo pomeriggio e la notte – come riporta la Gazzetta di Christianssand – una violenta tempesta mette in pericolo i viaggiatori e la stessa imbarcazione ed è grazie a Malli – fedele al ruolo che le è assegnato nella Tempesta recitata –  che la nave riesce scampare dalla tempesta reale e a guadagnare il porto. 

Dicono del libro
Capricci del destino, l’ultimo libro pubblicato in vita da Karen Blixen, contiene cinque fra i suoi racconti più significativi (…) il personaggio più significativo del libro è Ariele, intorno al quale ruota Tempeste, un racconto che prende l’avvio dalla messa in scena del capolavoro di Shakespeare architettata da un artista visionario: la giovane che personifica Ariele, e insegna agli altri a vivere all’altezza dei suoi sogni, incarna anche l’inevitabilità della rinunzia di cui è vittima chi sceglie di essere anzitutto un artista”

(dalla quarta di copertina dell’ed. Feltrinelli, op. cit.)