18 Agosto

18 agosto 2014

 

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Quella domenica 18 agosto è, fra i giorni della mia vita, uno dei tre o quattro che mi recito da cima a fondo, quando voglio cercare di raggiungere l’estasi di rivivermi. Mi spiego: io col passato ho rapporti di tipo vizioso, e lo imbalsamo in me, lo accarezzo senza posa, come taluno fa coi cadaveri amati. Le strategie per possederlo sono le solite, e le adopero tutt’e due. Dapprincipio mi visito da forestiero turista, con agio, sostando davanti a ogni cocciopesto, a ogni anticaglia regale; bracconiere di ricordi, non voglio spaventare la selvaggina. Poi metto da parte le lusinghe, l’educazione, lancio a ritroso dentro me stesso occhi crudeli di Parto, lesti a cogliere e a fuggire. Dagli attimi che dissotterro – quanti ne ho vissuti apposta per potermeli ricordare!- non so cavare pensieri, io non ho una testa forte, e il pensiero o mi spaventa o mi stanca. Ma bagliori, invece… bagliori di luce e ombra, e quell’odore di accaduto, rimasto nascosto con milioni d’altri per anni e anni in un castone invisibile, quassopra, dietro la fronte… Sento a volte che basterebbe un niente, un filo di forza in più o un demone suggeritore… e sforzerei il muro, otterrei, io che il Non Essere indigna e l’Essere intimidisce, il miracolo del Bis, il bellissimo Riessere

Gesualdo Bufalino, Diceria dell’untore, 1981, ed. cons. Bompiani, 1992, p. 75

 

I giorni dell’estate del 1946, al sanatorio della Rocca nei pressi di Palermo, passano come i gradini della “scala mobile di una Rinascente”, che si assottigliano inesorabilmente e spariscono uno dopo l’altro. Di tutti i giorni che il narratore trascorre nella casa di cura, in compagnia di altri ammalati di tubercolosi – ai quali è destinato a sopravvivere – uno, in particolare, torna nei suoi ricordi. Domenica 18 agosto è la data dell’incontro con la giovane Marta per una passeggiata in città, fra chioschi di granite, viali di palme e confidenze via via più intime, che porteranno ad altri rari ma intensi appuntamenti. Una giornata degna di essere rivissuta, richiamata al presente come un bis a teatro.

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Dicono del libro
“Iniziata in tempi remoti e riscritta più volte, Diceria dell’untore incontrò subito, quando fu data alle stampe, nel 1981, un unanime consenso di critica e pubblico, sanzionato dalla vittoria nel Supercampiello dello stesso anno. Stupiva l’esordio tardivo e riluttante dell’autore, la sua distanza dai modelli correnti, la composita ragione narrativa, tramata di estasi e pena, melodramma e ironia; non senza il contrappunto di una sotterranea inquietudine religiosa, come di chi si dibatte tra la fatalità e l’impossibilità della fede… Stupiva, infine, l’oltranza lirica della scrittura, disposta a compromettersi con tutte le malizie della retorica, senza per ciò vietarsi di accogliere con partecipe abbandono l’impeto dei sentimenti più ingenui. La vicenda racconta un amore di sanatorio, nel dopoguerra, fra due malati, un amore-duello sulla frontiera del buio”.
(Dalla quarta di copertina dell’ed. Bompiani, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… Il diciotto d’agosto il sole splendeva e tutti ne apprezzavano ancor più la provvida giocondità dopo i tristi giorni piovosi…”
George Eliot, Adam Bede

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“… Il pomeriggio di quel giorno (il mio diario tascabile mi dice che era martedì 18 agosto), almeno sei o sette tamburi rullarono da vari punti…”
Arthur Conan Doyle, Il mondo perduto

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“…. Ecco qui. Il 18 agosto, capisci, è il 18 agosto 1936… C’è una piccola stazione, come quella di Grafenegg, la vedi?…”
Franz Werfel, Il cielo rubato

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“… E Phili non può più muoversi dal 18 agosto, mentre noi non possiamo più ripassare da questo 18 agosto…”
Franz Werfel, Il cielo rubato

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“… Strappai ai miei editori un anticipo di un migliaio di dollari e il 18 agosto ripartii per la Francia…”
Frederic Prokosch, Voci