April 1616 Aprile

16 aprile 2013

 

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La mattina del 16 aprile il dottor Bernard Rieux, uscendo dal suo studio, inciampò in un sorcio morto, in mezzo al pianerottolo. Al momento non vi fece caso e, scostata la bestia, discese le scale; ma non appena nella strada gli venne il pensiero che quel sorcio non era al posto suo, e tornò indietro per avvertire il portiere. Davanti alla reazione del vecchio Michel, ancor meglio si accorse che la scoperta aveva qualcosa d’insolito

Albert Camus, La peste, 1947, tr. it. B. Dal Fabbro, Bompiani 1992, p.8

“I singolari avvenimenti che dànno materia a questa cronaca” – avvisa l’autore – si sono verificati a Orano, prefettura francese della costa algerina, negli anni Quaranta. Un’epidemia di peste (il cui bacillo “non muore né scompare mai” come viene detto alla fine) arriva a sconvolgere la vita della città e dei suoi abitanti, scatenando reazioni inaspettate, nel bene e nel male. Con minuzia, il narratore ripercorre l’avvio dell’epidemia, partendo dalle prime avvisaglie: il ritrovamento del topo morto da parte del dottor Rieux,  la mattina del 16 aprile. 

Dicono del libro
“Orano è colpita da un’epidemia inesorabile e tremenda. Isolata con un cordone sanitario dal resto del mondo, affamata, incapace di fermare la pestilenza, la città diventa il palcoscenico e il vetrino da esperimento per le passioni di un’umanità sempre al limite fra disgregazione e solidarietà. La fede religiosa, l’edonismo di chi non crede alle astrazioni, ma neppure è capace di ‘essere felice da solo’, il semplice sentimento del proprio dovere, sono i protagonisti spesso divergenti ma comunque costruttivi della vicenda; l’indifferenza, il panico, lo spirito burocratico e l’egoismo gretto gli alleati del morbo”

(dalla quarta di copertina dell’ed. Bompiani, op. cit.)

April 1515 Aprile

15 aprile 2013

 

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Perciò il 15 aprile 1885 andammo da Hamilton. Si tenga presente che allora – checché ne dica il mio medico – godevo di ottima salute, avevo la mente equilibrata e lo spirito assolutamente sereno. Kitty ed io entrammo insieme nel negozio di Hamilton; e lì, senza badare agli altri clienti, scelsi l’anello per Kitty in presenza del commesso divertito. L’anello era uno zaffiro con due diamanti. Poi scendemmo a cavallo il pendio che conduce al ponte di Combermere e al locale di Peliti. Mentre il mio cavallo australiano saggiava cautamente il terreno di roccia friabile, e Kitty rideva e chiacchierava al mio fianco; mentre tutta Simla – vale a dire quelli che erano già arrivati dalla pianura – si trovava riunita nella sala di lettura e sulla verandadi Peliti, io ebbi l’impressione che qualcuno, apparentemente molto lontano, mi chiamasse per nome. Mi pareva di aver già udito la voce, ma sul momento non riuscii a stabilire né dove né quando

Rudyard Kipling, Il risciò fantasma, 1888, tr. it. G. Krätli, in Racconti, Garzanti 1993, pp.55-56

Fino al 15 aprile del 1885, Jack Pansay è stato un uomo felice. In licenza nella località di Simla, ai piedi dell’Himalaya, e innamorato corrisposto di Kitty, si avvia a scegliere con la ragazza l’anello di fidanzamento, quando la strada è bloccata da un’allucinazione, che egli solo percepisce. Il risciò della sua vecchia amante defunta e le ultime parole che lei gli ha detto lo inseguono dovunque vada. In uno dei posti più belli dell’India, la nuvolosa giornata del 15 aprile, con la sua strana apparizione, risveglia in lui sensi di colpa e paure e cambia per sempre la sua vita. 

Dicono del libro
“… i protagonisti di molti suoi racconti indiani sono giovani o adolescenti che, attraverso una tragica esperienza o una profonda crisi interiore, passano ‘alla più dolorosa condizione di adulto’ (…) Simile per carattere ed esperienze, ma non altrettanto fortunato da poter sopravvivere a tale prova, Jack Pansay, il protagonista del celeberrimo Risciò fantasma, viene perseguitato fino al totale annientamento fisico e mentale dallo spettro della sua ex amante, morta di dolore dopo essere stata abbandonata per una donna più giovane”
(dall’introduzione di G. Krätli all’ed. Garzanti, op. cit.)

April 1414 Aprile

14 aprile 2013

 

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Rilesse la lettera più volte. Una lettera di suo padre, e non ne aveva mai saputo  nulla. Un testamento di cui ignorava l’esistenza. Perché sua madre non gliel’aveva  mai mostrata? E Perché nominava tanto di rado il padre? Perché non ne parlavano mai? E com’era potuto accadere che cancellasse quell’uomo dalla memoria? Un uomo che aveva conosciuto poco, certo, ma di cui aveva pure qualche ricordo? In calce alla lettera, una data: 14.IV.1864. Trent’anni prima. Spense il lume. Suonarono le quattro, la stanza era quasi buia

Eustachy Rylski, Una provincia sulla Vistola, 1984, tr. it. A. Zoina, Sellerio 1988, p.47

La storia dell’ufficiale Stankiewicz è raccontata muovendosi dalla fine dell’Ottocento ai primi anni del Novecento, dal Caucaso a Mosca a Varsavia, dai ricordi d’infanzia alle scene di guerra. Figlio di un patriota polacco ucciso – quando egli era un bambino – da un cosacco; cresciuto a Mosca dopo il matrimonio della madre con un russo; diventato ufficiale, Stankiewicz torna a casa per la morte della madre e lì trova la lettera che il padre ha scritto il 14 aprile di trent’anni prima e che lo porta di nuovo indietro nel “rosso cerchio del tempo”. 

Dicono del libro
“Per i luoghi – le regioni al di là della Vistola – e per l’epoca – da fine Ottocento agli anni della guerra civile contro la rivoluzione russa – questo racconto d’esordio (1984) del polacco Rylski è classificabile tra i racconti storici. In realtà la storia, che lo circonda e lo permea, è sfumata nell’indifferenza, ed è ricordata la vicenda, autentica nel fondo, di un uomo oscuro, l’ufficiale zarista e poi ‘ bianco’ Stankiewicz: opaco alle passioni, persino a un odio, insieme familiare e patriottico, che il caso coltiva e riaccende per tutta una vita e rende debole ragione di quella vita”
(dalla bandella dell’ed. Sellerio, op. cit.)

13 Aprile

13 aprile 2013

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“Qui nel Kansai è una tradizione. Siccome il giorno della festa, il tredici aprile, i ciliegi sono fioriti, il recinto del tempio della Ruota della Legge dove si venera Kokuzo, è sempre affollato.”
Oltre il ponte si distingueva la tinta sgargiante con cui era dipinta la pagoda del tempio della Ruota della Legge. Aoki parlò della ‘Festa delle Imbarcazioni’. Veniva  organizzata nella stagione in cui il verde era più tenero, a imitazione degli svaghi dei nobili che salivano sulle imbarcazioni a dilettarsi di poesia, di canzoni e di musica. All’epoca degli aceri rossi a queste imbarcazioni si aggiungevano quelle del tempio del Drago Celeste… Ma era difficile, d’inverno, immaginarsi la gaiezza di quella festa

Yasunari Kawabata, Arcobaleni, 1950, tr. it. L. Origlia, Tea, 1994, p. 176

La data del 13 aprile è richiamata verso la fine della storia, quando diverse tragedie sono accadute intorno alla giovane Momoko. Mentre passeggia – in inverno – nei pressi del tempio, quel giorno di aprile appare difficile da immaginare, ma è ugualmente una presenza, al pari delle altre manifestazioni della natura  – come gli arcobaleni e i ciliegi fioriti – che costellano questo racconto.

Dicono del libro
“Qual è l’origine dell’intima inquietudine di Momoko, la giovane figlia dell’architetto Mizuhara, che la porta a un’intensa, disordinata vita sentimentale? Una latente omosessualità, oppure il senso opprimente di una condizione femminile votata al martirio? (…) Intorno a Momoko s’intravede un fitto labirinto familiare, fatto di evanescenti presenze e di pesanti assenze, in cui la tristezza e il rimpianto di non essere compresi marchiano ogni relazione di sangue, in cui la vita sembra fatta più di sentimenti che di avvenimenti”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Tea op. cit.)

April 1212 Aprile

12 aprile 2013

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Data memorabile per me il 12 aprile del 1891.
Avevo compiuto da circa un mese trentaquattro anni. Da un pezzo mi notavo nel volto, e precisamente alla coda degli occhi e su la fronte, certi lievi solchi che mi pareva non si potessero ancora chiamar propriamente rughe. Credevo almeno che il numero degli anni miei potesse tuttavia permettermi di non chiamarli tali. Momentanei increspamenti de la pelle, che – sotto l’azione del pensiero, del riso, dell’abituale atteggiarsi della fisionomia – erano divenuti stabili. Ma rughe, no

Luigi Pirandello, Prudenza, 1901, in Novelle per un anno. Appendice, Giunti, 1994, tomo III, p. 2601

La “mattina di quel memorabile 12 aprile” (una data che torna anche in altre novelle di Pirandello) segna per il protagonista il passaggio da una fase all’altra della sua esistenza. Da una parte la giovinezza, la poesia, i capelli lunghi, dall’altra la maturità, un impiego, forse un matrimonio. Il passaggio è sancito dal doloroso taglio della barba e dei capelli, dopo il quale non solo la sua amante ma neanche egli stesso si riconosce (“Hai ragione: non son più io! Ti saluto per sempre, cara!”)

Dicono del libro
“sono raccolte sotto il generico titolo di Appendice, le novelle che Pirandello non incluse nel corpus delle Novelle per un anno, e che scrisse dal 1883, quando esordì giovanissimo, fino al 1919″
(G. Prandolini, Prefazione ad Appendice ed. Giunti, op. cit.)

April 1111 Aprile

11 aprile 2013

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Il cielo era coperto solo a metà. I cavalli trottavano agili sulla strada dissestata. Era la Strada della Croce. Oltre il finestrino Besian osservava un paesaggio divenuto ormai familiare. Ma questa volta, qua e là, ora nella zona più vicina ora in quella più lontana, si stendeva una coltre azzurrognola. La neve aveva cominciato a sciogliersi, si consumava al di sotto, a contatto del suolo, mentre una sorta di crosta formatasi in superficie si scioglieva a fatica.
“Che giorno è?” chiese Diana.
Un po’ meravigliato, la osservò un istante prima di risponderle.
“L’undici.”

Ismail Kadaré, Aprile spezzato, 1982, tr. it. F. Celotto, Ugo Guanda Editore, 1993, p. 137

 

Nell’interno dell’Albania, in un anno “imprecisato, prima dell’avvento del comunismo”, si svolge la storia di Gjorg Berisha, che ha dovuto vendicare un fratello e, da quel momento, ha un mese di tregua, prima che la famiglia dell’ucciso possa a sua volta vendicarsi su di lui. È in quel breve periodo, fra i giorni restanti di marzo e la prima metà di aprile (un aprile spezzato), che avviene l’incontro con la coppia che sta parlando (Diana e Besian). Partiti da Tirana per uno strano viaggio di nozze, si sono imbattuti in Gjorg e l’incontro stravolgerà le loro reciproche vite, segnando con forza tutti i giorni di quell’aprile albanese, ancora freddo e innevato. 

 

Dicono del libro
“Gjorg Berisha ha dovuto uccidere Zef Kryeqyqe, l’assassino di suo fratello (…) Dopo l’omicidio, perpetrato fra mille dubbi e tormenti, Gjorg potrà usufruire della tregua di un mese. Poi, per lui, la morte sarà in agguato dietro a ogni pietra, dietro a ogni gomitolo di strada… Ma la sua storia, grazie a un’abilissima regia narrativa, si intreccia con quella di Besian e di Diana (un brillante scrittore e la sua giovane, bellissima moglie). I due, nonostante le perplessità di lei, sono partiti per un singolare viaggio di nozze sulle  montagne”

(dal risvolto di copertina dell’ed. Guanda, op. cit.)

April 1010 Aprile

10 aprile 2013

We had a fair easterly wind sprung up the third day after we came to the Downs, and we sailed from thence the 10th of April. 

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Il 10 aprile 1934, in piena “occultazione” di Venere ad opera della luna (il fenomeno doveva verificarsi soltanto una volta all’anno), pranzavo in un piccolo ristorante situato spiacevolmente vicino all’ingresso di un cimitero. Per andarci, bisogna passare senza entusiasmo davanti a diversi chioschi di fiori. Quel giorno, per di più, un orologio murale privato del suo quadrante costituiva ai miei occhi uno spettacolo non proprio di buona lega. Ma osservavo, non avendo di meglio da fare, la vita suggestiva di quel luogo (…) La cameriera è graziosa; poetica, direi. Il mattino del 10 aprile portava, su di un colletto bianco a palline rosse, diradate, molto intonate al suo vestito nero, una sottilissima catenella cui erano fissate tre gocce chiare come di pietra lunare, gocce rotonde sulle quali si staccava alla base una mezzaluna della stessa sostanza, similmente incastonata. Apprezzai una volta di più, infinitamente, la coincidenza tra il gioiello e quella eclissi

André Breton, L’amour fou, 1937, tr. it. F. Albertazzi, Einaudi, 1974, p. 17, p. 20

In questo testo di Breton – che è un po’ diario, un po’ racconto, un po’ trattato sull’amore, l’arte, la bellezza –  le date segnate dall’autore risaltano come dei personaggi. Il ristorante, il cimitero, l’orologio, la cameriera, il gioiello, la posizione della luna nel cielo, le parole ascoltate per caso il 10 aprile del 1934: tutto è messo in relazione secondo codici personali, magici e poetici, che fanno di quel giorno un tutt’uno con la vita che vi è accaduta e ne lasciano un ritratto a più dimensioni. 

Dicono del libro
L’amour fou (1937) è un momento di affermazione piena nelle prospettive del desiderio. Breton, che qui si espone a una elucidazione minuziosa di episodi e luoghi (dal paesaggio solare delle Canarie, a un’esoterica topografia parigina), scompone la propria identità per lasciar spazio alle interrogazioni rivelatrici che vengono dal di fuori: oggetti, scenari, circostanze, secondo una sintassi che ha le stesse leggi che regolano il sogno”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Einaudi, op. cit.)

 

9 Aprile

9 aprile 2013

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9 aprile. (..) Questo ho imparato: che dalla vita non esiste alcuna reale via di scampo. Si può solo rimandare la conclusione, con abilità e un po’ d’astuzia. Ma non esistono vie d’uscita. È un sistema completamente chiuso, e all’altro capo c’è soltanto la morte. E la morte non è affatto un’uscita.
Io sono un corpo. Soltanto un corpo. Tutto quello che si deve fare, che si può fare, dev’essere fatto dentro questo corpo.
(Taccuino giallo IV:2)

Lars Gustafsson, Morte di un apicultore, 1978, tr. it. C. Giorgetti Cima, Iperborea 1989, p. 121

L’ex maestro elementare Lars Lennart Westin si dedica all’allevamento delle api, conducendo una vita solitaria. Annota i suoi pensieri su diversi taccuini, in cui raccoglie anche articoli di giornale e brevi racconti. Il taccuino giallo, da cui è tratta quest’osservazione datata 9 aprile, alterna appunti sulle api, registrazioni del decorso della malattia che l’ha colpito, pensieri sull’esistenza e sul tempo, familiare-straniero che modifica continuamente i corpi e la natura.

Dicono del libro
“La confusa sensazione di non aver mai vissuto, di essere spettatori di una vita che qualcun altro vive al nostro posto, è una delle costanti della letteratura del nostro tempo. Come per Kundera ‘la vita è altrove’, allo stesso modo i personaggi di Gustafsson i sentono ‘al di fuori’ di tutto, estranei abitanti di ‘un universo in cui nessuno è di casa’. In Morte di un apicultore, culmine e conclusione di un ciclo di cinque romanzi dal titolo emblematico di Crepe nel muro, Lars Lennart Westin, quarantenne, maestro in pensione, divorziato, ha trovato nella cura delle api l’attività che gli consente di vivere nella semplicità e nella solitudine che si è elette a sistema, ultimo stadio di una costante ‘fuga dalla vita’.
(dalla quarta di copertina dell’ed. Iperborea, op. cit.)

8 Aprile

8 aprile 2013

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Poi, un giorno che sembrava qualunque, prese distrattamente dal tavolo una carta assorbente usata e ci vergò sopra, con l’inchiostro nero, due cose: lo schizzo di una facciata e un nome: Crystal Palace. Posò la penna. E sentì quel che sente una ragnatela quando incontra la stupìta traiettoria di una mosca attesa per ore.
Lavorò al progetto, giorno e notte, per tutto il tempo che gli restava. Non aveva mai immaginato qualcosa di più grande e di sconcertante. La fatica gli rosicchiava la mente, una sotterranea e febbrile emozione scavava cunicoli nei suoi disegni e nei suoi calcoli. Intorno, la vita qualunque macinava i suoi rumori. Lui li percepiva appena. Solo, giaceva in una bolla di acre silenzio, in compagnia della sua fantasia e della sua stanchezza. 
Consegnò il suo progetto l’ultimo giorno utile, il mattino dell’8 aprile

Alessandro Baricco, Castelli di rabbia, 1991, Bompiani 1991, pp.131-32

Reso pubblico il 13 marzo 1849, il concorso per la costruzione del palazzo dell’Esposizione Universale di Londra si chiude l’8 aprile. L’architetto Hector Horeau, reduce da una tragedia familiare (la moglie Monique si è suicidata), incerto nella salute e con una visionaria fissazione per il vetro, partecipa al concorso, consegnando il suo progetto l’ultimo giorno utile, alla data spartiacque dell’8 aprile. Le vicende di quello che sarà il Crystal Palace si intrecceranno da allora con quelle degli altri personaggi di questo libro, fra dati veri e plausibili, luoghi inventati e tempi non lineari.

Dicono del libro
“In un angolo d’Europa dell’Ottocento, in una cittadina immaginaria ma verosimile, un pullulare di Storia e storie: i sogni del signor Rail e le labbra della signora Rail; la favola dei primi treni; un uomo che sente l’infinito; un bambino che si porta addosso il suo destino; la magia del Crystal Palace; la singolare vita dell’architetto Hector Horeau”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Bompiani, op. cit.)

April 77 Aprile

7 aprile 2013

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Adesso, mentre guarda dalla finestra, lo vede echeggiare sul muro di fronte; e più in là sul minareto di una moschea; e nei grandi caratteri neri di un giornale sotto il braccio di uno strillone. Volantino giornale e moschea stanno gridando: Hartal! Che significa, letteralmente, giorno di lutto, d’immobilità, di silenzio. Ma questa è l’India all’apogeo del Mahatma, e anche la lingua obbedisce alle istruzioni di Gandhi e, sotto la sua influenza, la parola ha acquistato nuove risonanze. Hartal – 7 aprile, concordano moschea muro giornale e volantino, perché Gandhi ha stabilito che quel giorno si fermerà tutta l’India. Per piangere, in silenzio, la persistente presenza degli Inglesi.
“Non capisco questo hartal quando non è morto nessuno”, sta piangendo sommessamente Naseem. “Perché il treno non parte?”

Salman Rushdie, I figli della mezzanotte, 1980, tr. it. E. Capriolo, Garzanti, 1987, p. 38

All’inizio del romanzo, il narratore – nato il 15 agosto del 1947, giorno dell’indipendenza dell’India – ripercorre la storia di quella che considera la sua famiglia, storia che segue di pari passo le vicende della nazione. Per farlo, comincia dal nonno Aadam Aziz, che torna nel Kashmir dalla Germania laureato in medicina. Nell’aprile del 1919 Aziz si è appena sposato con Naseem e il 7 aprile si trova con la moglie nella città santa di Amritsar: è  il 7 aprile del 1919, la data in cui il Mahatma Gandhi ha invitato gli indiani a una giornata di silenzio e immobilità, che ferma anche il treno su cui si trova il nonno, rendendolo partecipe degli avvenimenti storici che stavano accadendo.

Dicono del libro
“Saleem Sinai, l’eroe di questo straordinario romanzo picaresco tradotto in più di quindici lingue, è nato a Bombay il 15 agosto 1947 allo scoccare della mezzanotte, nel momento in cui l’India proclamava l’indipendenza Come lui, tutti i ‘mille e uno’ bambini della mezzanotte possiedono doti straordinarie: forza erculea, capacità di rendersi invisibili e di viaggiare attraverso il tempo, bellezza soprannaturale. Ma lui soltanto può penetrare nel cuore e nel cervello di altri esseri umani. Rimettendo in causa l’ordine tradizionale del racconto, Salman Rushdie (…) ha creato la saga di una famiglia la cui storia si mescola con quella dell’India di oggi”

(dalla quarta di copertina dell’ed. Garzanti, op. cit.)

April 66 Aprile

6 aprile 2013

APRIL 6. Certainly she remembers the past. Lynch says all women do. Then she remembers the time of her childhood—and mine, if I was ever a child. The past is consumed in the present and the present is living only because it brings forth the future. Statues of women, if Lynch be right, should always be fully draped, one hand of the woman feeling regretfully her own hinder parts.

James Joyce, A Portrait of the Artist as a Young Man

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Tess era così immersa in questo sogno fantastico che sembrava non accorgersi che la stagione progrediva, che i giorni s’erano allungati, che mancava poco al sei di aprile, a cui avrebbe fatto seguito l’antica festa dell’Annunciazione, termine del suo contratto di lavoro in quel luogo.
Ma poco prima della scadenza trimestrale accadde qualcosa che costrinse Tess a pensare a ben altre faccende

Thomas Hardy, Tess dei d’Urberville, 1891, tr. it. G. Aldi Pompili, Rizzoli 1993, pp. 402

Prima che anche in Inghilterra – nel Settecento – entrasse in vigore il calendario gregoriano, il giorno dell’Annunciazione (25 marzo) era celebrato il 6 aprile. Era una data importante, che segnava le scadenze dei contratti di lavoro nelle campagne. E anche dopo il cambio di calendario, la data dell’antica festa dell’Annunciazione rimase quella dei traslochi degli agricoltori da una fattoria all’altra. La vicenda della giovane Tess è a una nuova svolta: il padre è appena morto e la sua famiglia deve lasciare la casa; sta per incontrare ancora Alec d’Urberville, il falso parente che l’ha messa incinta di un bambino (poi morto), incrinando la sua reputazione e rovinando il suo matrimonio con Angel Clare, che l’aveva sposata senza conoscere quell’episodio. Il 6 aprile, giornata di vento pungente, Tess parte con il carro in cerca di un alloggio e incontro alle nuove svolte del suo destino. 

Dicono del libro
“Quando leggiamo ‘Tess dei d’Urberville’, ci sembra che i tesori di immaginazione visionaria, che da secoli si erano annidati in ogni angolo della campagna inglese, si ridestino clamorosamente. La solenne fantasia architettonica, che aveva creato i pilastri e gli altari di Stonehenge: la fantasia superstiziosa, che serpeggiava nelle foreste druidiche; l’ebbrezza alcoolica, che scintillava sulle scene elisabettiane e nelle birrerie del Wessex; le avventure del romanzo settecentesco, da Defoe a richardson, le più fosche invenzioni romantiche – tutto quanto era esistito di meravigliosamente e assurdamente anglosassone si dà convegno in queste brughiere, in questi campi funestati dall’inverno o intiepiditi dalla dolcezza dell’autunno”

(Pietro Citati, dall’introduzione all’ed. Rizzoli, op. cit.)

 

 

April 55 Aprile

5 aprile 2013

APRIL 5. Wild spring. Scudding clouds. O life! Dark stream of swirling bogwater on which apple-trees have cast down their delicate flowers. Eyes of girls among the leaves. Girls demure and romping. All fair or auburn: no dark ones. They blush better. Houpla!

James Joyce, A Portrait of the Artist as a Young Man

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5 aprile. Primavera selvaggia. Nubi in fuga. O vita. Torrente scuro di acque torbide sul quale i meli han lasciato cadere i loro fiori delicati. Occhi di ragazze tra le foglie. Ragazze  modeste e scavezzacollo. Tutte bionde o castane: nessuna scura. Arrossiscono meglio. Oplà

James Joyce, Dedalus. Ritratto dell’artista da giovane, 1916, tr. it. C. Pavese, Mondadori 1970, p. 306

“Nel tempo dei tempi, ed erano bei tempi davvero” è la frase d’inizio del Ritratto dell’artista da giovane, che segue gli anni di formazione del ragazzo Stephen Dedalus. La famiglia, la patria, il collegio cattolico, lo studio, gli incontri, i pensieri sulla religione, sull’amore e sull’arte sfociano – nelle ultime pagine – in un diario, in cui la maturazione dell’adolescente si incontra con l’arrivo della primavera irlandese. 

Dicono del libro
Lo scrittore, educato alla scuola dei gesuiti, era venuto in breve scoprendo orizzonti di cultura a lui più congeniali, e aveva lasciato l’Irlanda per vivere in Francia e in Italia. Come l’autore, il protagonista del romanzo, Stephen Dedalus, il giovinetto allievo nel collegio dei gesuiti, ci si presenta combattuto e in rivolta contro le istituzioni; come lui insorge contro l’ambiente che lo opprime e, a difesa della propria autonomia, sceglie ‘il silenzio, l’esilio e l’astuzia’”.
(dalla quarta di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)

April 44 Aprile

4 aprile 2013

 

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La cosa che si disponeva a fare consisteva nell’incominciare un diario. Ciò non era illegale (nulla era illegale, poiché non c’erano più leggi); ma se comunque fosse stato scoperto, non c’era dubbio che sarebbe stato condannato a morte, o a venticinque anni almeno di lavori forzati. Winston infilò un pennino nella cannuccia e lo succhiò, come s’usa, per facilitare la presa dell’inchiostro. La penna era uno strumento antiquato, che si adoperava assai di rado, perfino per le firme importanti, e lui se n’era procurata una di nascosto e non senza difficoltà, solo perché sentiva che quei bei fogli color crema meritavano che ci si scrivesse sopra con un vero pennino, anziché d’essere grattati con una delle tante matite a inchiostro. Veramente non aveva l’abitudine di scrivere a mano. Con l’eccezione di qualche breve appunto, di solito dettava ogni cosa al dittografo, un apparecchio che registrava e trascriveva tutto ciò che si diceva in un microfono, e che era assurdo pensar di adoperare nella presente circostanza. Intinse la penna nel calamaio e quindi esitò un istante. Ebbe un tremito fin nelle budella. Segnare la carta sarebbe stato l’atto decisivo. Con certe piccole goffe cifre, scrisse: “4 aprile 1984”

George Orwell, 1984, 1949, tr. it. G. Baldini, Mondadori 1989, pp.10-11

 È una fresca e limpida giornata di aprile quando Winston Smith comincia a scrivere il suo diario, su un quaderno ingiallito comprato da un robivecchi. È il 4 aprile 1984, anche se dell’anno non è sicuro, perché, nel mondo dominato dal Grande Fratello, non “era possibile buttar giù una qualsiasi data se non con l’approssimazione d’un anno o due”. Ha deciso di scrivere il diario grazie al fatto che il suo appartamento ha una rientranza nel muro, dalla quale è possibile rimanere fuori dal campo visivo del teleschermo che controlla l’interno della casa. Addetto alla correzione delle notizie  a stampa per renderle conformi al regime, Winston non si adatta del tutto alle regole del Grande Fratello e il diario è la prima forma di autonomia che egli manifesta.  

Dicono del libro
“1984. Londra. Il mondo è diviso in due iperstati simili e in guerra fra loro. In Oceania la società è governata secondo i principi del Socing, il Socialismo Inglese, dal Grande Fratello, che tutto vede e tutto sa. I suoi occhi sono le telecamere che spiano di continuo nelle case, il suo braccio è la psicopolizia che interviene al minimo sospetto. Tutto è permesso, non c’è legge scritta. Tranne pensare, se non secondo il Socing. Tranne amare, se non per riprodursi. Tranne divertirsi, se non con i programmi TV di propaganda. Dal loro rifugio, in uno scenario desolante da medioevo postnucleare, l’ultimo uomo in Europa (questo il titolo che avrebbe preferito l’autore) e la sua compagna lottano disperatamente per conservare un granello di umanità”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)

April 33 Aprile

3 aprile 2013

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Il 3 aprile verso le cinque. In macchina da piazza della Scala vuol prendere via Verdi ma il semaforo è rosso; stipate intorno le auto, i pedoni che passano, il sole ancora alto, una giornata bellissima, in quel mentre immaginò la Laide sul bordo della pista di Modena dove diceva di andare a posare per le fotografie di moda, è là felice di essere stata ammessa in quel mondo eccezionale di cui i giornali parlano tanto in termini quasi di favola, è là che scherza con due giovani 

Dino Buzzati, Un amore, 1963, Mondadori 1979, pp. 79-80

L’architetto milanese Antonio Dorigo, in febbraio, in una casa d’appuntamenti, ha conosciuto Adelaide, una ragazza col fisico da ballerina, da cui rimane irretito. Durante i mesi invernali Dorigo si è legato sempre più alla ragazza, che non ricambia il suo sentimento e ha una vita sua, in locali notturni e con altri uomini. Nel pomeriggio del 3 aprile, in mezzo al traffico di Milano, “all’altezza del palazzo di Brera lo prese lo sgomento perché in questo preciso istante ha capito di essere completamente infelice senza nessuna possibilità di rimedio” e perché  il pensiero di lei “lo perseguita in ogni istante millimetrico della giornata”. 

Dicono del libro
“Nella cornice di una Milano grigia, caliginosa e triste, fra salotti di case d’appuntamento e strade impregnate degli odori dei «camini, sfiatatoi delle caldaie a nafta, ciminiere delle raffinerie Coloradi, camion ruggenti e fogne», si sviluppa la vicenda dell’architetto Antonio Dorigo, 49 anni, che nell’inverno del 1960 incontra una giovanissima squillo, sedicente ballerina del teatro alla Scala di Milano”

(dalla recensione del libro in Italialibri.net)

April 22 Aprile

2 aprile 2013

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Il 2 di aprile cadeva il secondo anniversario. “Bisogna questa volta celebrarlo fuori di Roma” disse Ippolita. “Bisogna che noi passiamo una gran settimana d’amore, soli, dovunque, ma fuori di qui […] Stabilirono di partire il 2 di aprile, col treno del tocco. Si trovarono alla stazione, per  l’ora stabilita, tra la folla, provando entrambi in fondo al cuore una gioia ansiosa

Gabriele D’Annunzio, Trionfo della morte, 1894, Mondadori 1977, p.71, 75

I due amanti Giorgio Aurispa e Ippolita Sanzio, quasi stupiti di essere arrivati al secondo anniversario della loro storia d’amore,  all’inizio clandestina, cercano sulla guida un luogo dove festeggiare e decidono per la località di Albano. Vi si recano in treno, rievocando continuamente – non senza malinconia –  il giorno del loro primo incontro, avvenuto a un concerto.  Il 2 aprile è la vera data in cui D’Annunzio conobbe Barbara Leoni, a cui la figura di Ippolita è ispirata.

Dicono del libro
“Terzo e ultimo dei ‘Romanzi della Rosa’, Trionfo della morte ci presenta varie situazioni legate alla biografia di D’Annunzio. Nella passione ‘difficile’ fra Giorgio Aurispa e Ippolita Sanzio è adombrata quella – famosissima – che vissero lungamente lo scrittore e Barbara Leoni. Molti dei capitoli ambientati in Abruzzo si richiamano al dramma assai complesso, in quegli anni, della famiglia D’Annunzio, sconvolta dalle dissipazioni e da parecchie altre colpe del padre di Gabriele. Infine i travagli del protagonista raggiungono la loro conclusione tragica anche in seguito a violente esperienze intellettuali – che si accentrarono sul tema ossessivo della Morte – riferite morbosamente all’arte di Wagner e al pensiero di Nietzsche”

(dalla quarta di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)


April 11 Aprile

1 aprile 2013

 

 

 

 

 

 

 

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“… Una voce di donna, all’altoparlante, spiega l’origine del primo aprile…”
Annie Ernaux, Diario dalla periferia

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“Dicci che giorno è domani.” “Il primo di aprile, lunedì.” La Ponte si toccò la cravatta, turbato. “Il mio compleanno.”
Ma la ragazza non gli prestava più attenzione. Si era chinata sullo zainetto, cercando qualcosa al suo interno. Quando si risollevò, aveva in mano il volume dei Tre moschettieri.
“Trascuri le tue letture” disse a Corso porgendoglielo. “Capitolo primo, prima riga.”
Corso, che non se lo aspettava, prese  il libro e gli dette un’occhiata. “I tre doni del signor D’Artagnan padre”, si intitolava il capitolo. E appena lesse la prima riga, seppe dove dovevano cercare Milady.

Arturo Pérez-Reverte, Il club Dumas, 1993, tr. it. I. Carmignani, Marco Tropea Editore, 1997, p. 313

L’intricata vicenda del Club Dumas – legata a un capitolo manoscritto dei Tre moschettieri e al libro satanico Le Nove Porte – si sta avvicinando alle sue conclusioni. Il cacciatore di libri antichi Lucas Corso, il suo amico Flavio La Ponte, la ragazza- demone Irene Adler sono a Parigi e devono decidere dove cercare le tracce della borsa sottratta a Lucas Corso dalla vedova di un collezionista (trovato morto al principio del racconto) e dal suo aiutante. Questi ultimi sono assai simili a due personaggi dei Tre moschettieri: Milady e Rochefort. E proprio questa somiglianza offre un indizio sulla mossa da fare, insieme alla coincidenza temporale. Le parole “primo”, “lunedì”, “aprile” sono infatti l’incipit dei Tre moschettieri “Il primo lunedì del mese di aprile del 1625, il borgo di Meung…”. E i tre amici ritroveranno la borsa e il libro a  Meung, il primo lunedì di aprile che cade – nel Club Dumas come quest’anno 2013– il primo di aprile (mentre nell’anno 1625 corrispondeva al giorno 7  del mese). 

Dicono del libro
“Lucas Corso, mercenario bibliofilo al soldo dei più esigenti collezionisti d’Europa, è abituato a indagare sui libri antichi come un detective sulle tracce di un crimine. Questa volta, però, la sua fama viene messa a dura prova da due incarichi delicati quanto insoliti: verificare l’autenticità di un capitolo manoscritto dei Tre moschettieri e decifrare l’enigma nascosto in un testo rarissimo, il Libro delle Nove Porte del Regno delle Ombre, una sorta di manuale per invocare il diavolo, che il Santo Uffizio mise al rogo insieme al suo autore nel 1667. Le nove incisioni contenute nel volume sono l’unico indizio di un lungo viaggio che conduce Corso dai vicoli di Toledo al Quartiere latino di Parigi, fra archivi, polverose librerie antiquarie e raffinate biblioteche private. Il mistero si tinge di sangue mentre la ricerca si addentra nei sentieri impervi dell’occulto, accompagnata da sospette streghe e apparizioni angeliche, seduzioni pericolose, incontri inaspettati e bizzarre incarnazioni dei personaggi letterari di Dumas”
(dalla scheda del libro sul sito dell’editore Marco Tropea)

31 Marzo

31 marzo 2013

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“Comunque, in definitiva, è la storia di come non mi sono sposato!” 
“Sposato!… Moglie!… Polzunkov voleva sposarsi!!”
“Vi confesso che muoio dalla voglia di vedere Madame Polzunkov!”
“Permettete che mi interessi sapere il nome di colei che stava per diventare Madame Polzunkov” pigolò un giovanotto, fattosi largo tra la folla.
“Ed ora il primo capitolo, signori: erano esattamente sei anni fa, in primavera, il 31 di marzo – notate la data, signori – , la vigilia…
“Del primo aprile!” urlò il giovanotto con la prefettizia.
“Che intuito eccezionale. Era sera. Sul capoluogo distrettuale di N. si addensavano le prime ombre del tramonto, la luna tentava di fare capolino e… tutto il resto! Ed ecco che al tardo tramonto anch’io, pian pianino, faccio capolino da un piccolo
appartamento dopo essermi congedato dalla mia riservata, defunta nonna

Fëdor Dostoevskij, Polzunkov, 1847, tr. it.A. Pasteris, in Racconti, Mondadori, 1991, p. 165

Una storia di equivoci e di inganni ha inizio la sera del 31 marzo, quando Polzunkov, dopo aver cercato di ricattare il suo superiore Fedosej Nikolaic, viene irretito da questi e dalla sua famiglia. Promesso in matrimonio alla figlia, coinvolto nel risanamento dei conti, vedrà sfumare tutti i piani, fra il 31 marzo e il primo di aprile, giorno degli scherzi e anche dei pentimenti.

Dicono del libro
“Quando Dostoevskij si entusiasmò per le idee del socialismo contemporaneo (1847-1848), scrisse un ciclo di quattro racconti collegati tra loro: essi hanno in comune il tema del matrimonio e, in parte, i due protagonisti principali. La prima rappresentazione del matrimonio, che corrisponde pienamente alla visione critica di Fourier, ossia dell’impossibilità dell’amore in una coppia che desidera solo la realizzazione dei propri egoismi, la troviamo nella descrizione del matrimonio di Fedosej Nikolaic in Polzunkov. Fedosej, la moglie Mar’ja Fominišna e anche la figlia Mar’ja sono uniti da un unico anelito: la conquista dei beni materiali. Attraverso menzogna, lusinga, ricatto arrivano allo scopo. L’amore di Polzunkov crolla infine davanti alla scaltrezza dei futuri suoceri e della fidanzata”

(dall’introduzione di G. Spendel all’ed. Mondadori, op. cit.)

 

March 3030 Marzo

30 marzo 2013

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I Baraglioul rientrarono a Parigi, alla mezzanotte del 30 marzo,  nel loro  appartamento in via Verneuil.
Mentre Marguerite si preparava per la notte, Julius, con una piccola lampada in mano e in pantofole, entrò nel suo studio, dove si ritirava sempre con piacere. La stanza era arredata sobriamente: erano appesi alle pareti alcuni quadri di Lépine e un Boudin; in un angolo, sopra un piedistallo girevole, il busto in marmo della moglie, opera di Chapu, metteva una macchia un po’ cruda; al centro, un grande tavolo Rinascimento su cui, da quando era partito, si erano andati ammucchiando libri, opuscoli e stampati pubblicitari; su un vassoio di smalto a scomparti, alcuni biglietti da visita con l’angolo piegato e, in disparte, appoggiata bene in vista a un bronzo di Barye, una lettera sulla cui busta Julius riconobbe la calligrafia del padre

André Gide, I sotterranei del Vaticano, 1914, tr. it. R. Ortolani, Garzanti, 1965, 45

Dicono del libro
“Il sottotitolo di questo singolarissimo libro reca l’insegna di ‘sotie’, farsa, André Gide aveva, infatti, concepito I sotterranei del Vaticano come un bizzarro e sentenzioso gioco di marionette per esercitare liberamente e capricciosamente l’arguto e, a volte, acre estro della sua ironia sui costumi e sulle idee, sulle ipocrisie e sulle manie, insomma sull’imbellicità degli uomini”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Garzanti, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… Van era riuscito a sapere che suo padre non sarebbe tornato a Manhattan prima del 30 marzo…”
Vladimir Nabokov, Ada o Ardore« »

I Baraglioul rientrarono a Parigi, alla mezzanotte del 30 marzo,  nel loro  appartamento in via Verneuil.
Mentre Marguerite si preparava per la notte, Julius, con una piccola lampada in mano e in pantofole, entrò nel suo studio, dove si ritirava sempre con piacere. La stanza era arredata sobriamente: erano appesi alle pareti alcuni quadri di Lépine e un Boudin; in un angolo, sopra un piedistallo girevole, il busto in marmo della moglie, opera di Chapu, metteva una macchia un po’ cruda; al centro, un grande tavolo Rinascimento su cui, da quando era partito, si erano andati ammucchiando libri, opuscoli e stampati pubblicitari; su un vassoio di smalto a scomparti, alcuni biglietti da visita con l’angolo piegato e, in disparte, appoggiata bene in vista a un bronzo di Barye, una lettera sulla cui busta Julius riconobbe la calligrafia del padre

André Gide, I sotterranei del Vaticano, 1914, tr. it. R. Ortolani, Garzanti, 1965, 45

La data del 30 marzo segna l’ingresso, nella nobile e cattolica famiglia Baraglioul, di un componente inaspettato, annunciato dalla lettera del padre che il protagonista di questa pagina, lo scrittore Julius,  sta per leggere. Si tratta del giovane Lafcadio, figlio naturale del conte Baraglioul (come si scoprirà di lì a poco) e dunque fratellastro di Julius. Da quel giorno, la trama regolare della vita della famiglia verrà sconvolta da una catena di avvenimenti – un omicidio senza movente, una falsa crociata per la liberazione del Papa – tutti in qualche modo collegati a quel ragazzo, nato a Bucarest  da una relazione clandestina e  ricomparso a Parigi, per lettera, il 30 marzo. 

Dicono del libro
“Il sottotitolo di questo singolarissimo libro reca l’insegna di ‘sotie’, farsa, André Gide aveva, infatti, concepito I sotterranei del Vaticano come un bizzarro e sentenzioso gioco di marionette per esercitare liberamente e capricciosamente l’arguto e, a volte, acre estro della sua ironia sui costumi e sulle idee, sulle ipocrisie e sulle manie, insomma sull’imbellicità degli uomini”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Garzanti, op. cit.)

 

March 2929 Marzo

29 marzo 2013

 

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L’esecuzione fu fissata  per il 29 marzo, alle nove di mattina. (…) Prima del giorno fissato da Julius Rothe, morì centinaia di morti, in cortili le cui forme e i cui angoli esaurivano la geometria, mitragliato da soldati variabili, in numero cangiante, che a volte lo finivano da lontano, altre da molto vicino. Affrontava con vero timore (forse con vero coraggio) queste esecuzioni immaginarie; ogni finzione durava pochi secondi; chiuso il cerchio, Jaromir interminabilmente tornava alle tremanti vigilie della sua morte. Poi rifletté che la realtà non suole coincidere con le previsioni; con logica perversa ne dedusse che prevedere un dettaglio circostanziale è impedire che esso accada. Fedele a questa debole magia, inventava, perché non accadessero, particolari atroci; naturalmente finì per temere che questi particolari fossero profetici. Miserabile la notte, procurava di affermarsi in qualche modo nella sostanza fuggitiva del tempo. Sapeva che questo andava precipitando verso l’alba del giorno 29

Jorge Luis Borges, Il miracolo segreto, 1943, (Artifici), in Finzioni, tr. it. F. Lucentini, in Tutte le opere, I Meridiani, Mondadori, 1985, vol. I, p. 740

A Praga, nel marzo del 1939,  lo scrittore ebreo Jaromir Hladík è arrestato dalla Gestapo e condannato a morte. Mentre attende il giorno della fucilazione, ripensa ai libri che ha scritto e soprattutto all’ultimo, che non ha terminato. Gli servirebbe un anno per concluderlo. E per il miracolo segreto che dà il titolo al racconto, nel giorno dell’esecuzione il tempo si ferma, solo per lui , per un anno intero. Dandogli il tempo di finire la sua opera, a memoria, dentro la sua testa, fra le 8 e 44 e le 9 e 2 minuti del 29 marzo. 

Dicono del libro
“Uscito in Argentina nel 1944 e tradotto da Franco Lucentini nel 1955, Finzioni è il libro che ha rivelato Borges in Italia, e che da allora ha acquistato anche da noi la statura di un classico contemporaneo. Diviso in due parti – Il giardino dei sentieri che si biforcano e Artifici – il volume è composto di racconti che di volta i volta sono fantastici, simbolisti, polizieschi, esoterici, tutti volti a creare una sorta di «enciclopedia illusoria» di cui Borges è il magistrale compilatore”

(dalla scheda del libro nell’ed. Einaudi)

 

March 2828 Marzo

28 marzo 2013

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Look at the date of the magazine issue. He pointed to the top heading, just to the left of the page number. It read March 28, 1932

Isaac Asimov, The End of Eternity, 1955 (Tor Books, 2011, p. 226)

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“Leggi la data in cima alla pagina”. Indicò la scritta che diceva: 28 marzo 1932. “Non c’è bisogno di traduzione, vero? I numeri sono quasi uguali a quelli dell’Intertemporale Standard. Non sai che a quell’epoca nessuno aveva mai visto un fungo atomico? Nessuno avrebbe potuto riprodurlo con tanta accuratezza, tranne…” “Aspetta un momento, è solo uno schizzo” disse il Calcolatore, cercando di ritrovare il suo equilibrio. “Può darsi che la somiglianza col fungo atomico sia casuale.” “Ah, sì? Guarda di nuovo le parole, allora.” Harlan indicò la scritta in maiuscolo, All the Talk Of  the Market. “Le iniziali formano la parola Atom, che in inglese vuol dire atomo. Me la chiami coincidenza? Direi proprio di no”

 Isaac Asimov, La fine dell’Eternità, 1955, tr.it. G. Lippi, Mondadori, 1987, p. 202

L’Eternità gode di un equilibrio estremamente delicato, nel mondo immaginato da Asimov in questo romanzo, dove si può viaggiare attraverso i secoli e la storia muta a ogni cambiamento della Realtà effettuato da tecnici del Tempo. Dove si rischia, tornando a un momento già attraversato, di incontrare se stessi. E dove diverse Realtà alternative possono esistere.
Ma c’è stata un’epoca in cui il passato era irreversibile, “la Realtà fluiva ciecamente lungo la linea della massima probabilità”, per esempio il Ventesimo secolo. Lì è finito uno dei personaggi di questo complicato racconto e da lì, dal 1932, sta mandando un messaggio in codice per essere rintracciato. Un messaggio affidato a un anacronismo: il disegno di un fungo atomico su una rivista del 28 marzo 1932.  

Dicono del libro
“In un futuro ancora molto lontano l’uomo ha imparato a viaggiare nel tempo, spostandosi con disinvoltura da un secolo all’altro e organizzando traffici commerciali tra ere diverse. Il viaggio nel tempo permette anche di tenere l’umanità sotto rigido controllo, modificando tutti quegli elementi che potrebbero provocare gravi turbamenti nella storia. A effettuare i cambiamenti sono delegati gli analisti e i tecnici della rigida casta degli Eterni, gli unici in grado di manipolare passato e futuro”

(dalla quarta di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)