17 Marzo

17 marzo 2013

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Udì nuovamente i passi che si allontanavano e, per due o tre volte, si chiese:”Di chi sono questi passi?”. Ebbe l’impressione che fossero passi familiari. Sì, li conosceva bene, così come le mani che lo avevano girato… “Ma sono i miei! Il diciassette marzo, la strada, vicino a Brezftoht…” Perse per un attimo coscienza, poi udì nuovamente risuonare i passi e gli sembrò ancora che fossero i suoi, che fosse lui e nessun altro che correva così, lasciandosi dietro, disteso sulla strada, il proprio corpo, quello che lui stesso aveva appena abbattuto

   Ismail Kadaré, Aprile spezzato, 1982, tr. it. F. Celotto, Guanda, 1993, p. 173

 

Il 17 marzo è la data fatale che apre e chiude la storia di Gjorg, il giovane protagonista di una faida decennale, che oppone la sua ad un’altra famiglia albanese. Per vendicare un fratello ammazzato tempo prima, Gjorg è costretto a uccidere un uomo, e lo fa in quel giorno di marzo, “sorridente e gelido allo stesso tempo”. Da quel momento egli ha trenta giorni di tregua, prima che la famiglia dell’ucciso possa a sua volta vendicarsi su di lui. In quel mese deve pagare il “riscatto del sangue” alle autorità del territorio e vivere le ultime giornate da uomo libero. È una data spartiacque, che gli tornerà in mente con forza anche alla fine della vicenda. Non sa che, se non avesse commesso l’omicidio, quel 17 marzo sarebbe stato il primo giorno “bianco”, senza violenza, “da un secolo, forse da due, tre, cinque secoli, forse addirittura dall’origine stessa del riscatto del sangue”.

 

 

Dicono del libro
“C’è una terra, scabra e selvaggia, in cui il tempo sembra essersi fermato, e in cui la vita e la morte degli uomini sono scanditi da un unico inflessibile giudice: la faida. È lì, sugli altipiani all’interno dell’Albania (in quel paesaggio geografico e morale di cui è l’irripetibile cantore), che Ismail Kadaré ha intessuto la trama di questo avvincente romanzo. Il 17 marzo di un anno imprecisato (prima, comunque, dell’avvento del comunismo in Albania) il giovane Gjorg Berisha ha dovuto uccidere Zef Kryeqyqe, l’assassino di suo fratello”
(dal risvolto di copertina dell’ed. Guanda, op. cit.)

 

Altre storie che accadono oggi

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“… Colpo di genio. Fece un cablo per direttissima. Avete lo Weekly Freeman del 17 marzo?…”
James Joyce, Ulisse
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“… Erano le undici der diciassette marzo e il dottor Ingravallo, a via D’Azeglio, aveva già un piede sur predellino…”
Carlo Emilio Gadda, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana

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“… secondo il Times del 17 marzo, il Grande Fratello nel suo discorso del giorno avanti aveva predetto che il fronte dell’India meridionale sarebbe stato tranquillo…” George Orwell, 1984 (segnalazione di Ilaria Restivo)

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“…Nel passato si ricorda il 17 marzo dell’anno di grazia e di Paola…”
Alessandro Bergonzoni, È già mercoledì e io no

 

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“…Il 17 marzo, giorno della manifestazione biannuale per il rispetto dei contratti collettivi, Théo indossa un completo di alpaca color perla…”
Daniel Pennac, Il paradiso degli orchi (segnalazione di Matteo Piccioni)« »

Udì nuovamente i passi che si allontanavano e, per due o tre volte, si chiese: “Di chi sono questi passi?”. Ebbe l’impressione che fossero passi familiari. Sì, li conosceva bene, così come le mani che lo avevano girato… “Ma sono i miei! Il diciassette marzo, la strada, vicino a Brezftoht…” Perse per un attimo coscienza, poi udì nuovamente risuonare i passi e gli sembrò ancora che fossero i suoi, che fosse lui e nessun altro che correva così, lasciandosi dietro, disteso sulla strada, il proprio corpo, quello che lui stesso aveva appena abbattuto

   Ismail Kadaré, Aprile spezzato, 1982, tr. it. F. Celotto, Guanda, 1993, p. 173

Il 17 marzo è la data fatale che apre e chiude la storia di Gjorg, il giovane protagonista di una faida decennale, che oppone la sua ad un’altra famiglia albanese. Per vendicare un fratello ammazzato tempo prima, Gjorg è costretto a uccidere un uomo, e lo fa in quel giorno di marzo, “sorridente e gelido allo stesso tempo”. Da quel momento egli ha trenta giorni di tregua, prima che la famiglia dell’ucciso possa a sua volta vendicarsi su di lui. In quel mese deve pagare il “riscatto del sangue” alle autorità del territorio e vivere le ultime giornate da uomo libero. È una data spartiacque, che gli tornerà in mente con forza anche alla fine della vicenda. Non sa che, se non avesse commesso l’omicidio, quel 17 marzo sarebbe stato il primo giorno “bianco”, senza violenza, “da un secolo, forse da due, tre, cinque secoli, forse addirittura dall’origine stessa del riscatto del sangue”.

Dicono del libro
“C’è una terra, scabra e selvaggia, in cui il tempo sembra essersi fermato, e in cui la vita e la morte degli uomini sono scanditi da un unico inflessibile giudice: la faida. È lì, sugli altipiani all’interno dell’Albania (in quel paesaggio geografico e morale di cui è l’irripetibile cantore), che Ismail Kadaré ha intessuto la trama di questo avvincente romanzo. Il 17 marzo di un anno imprecisato (prima, comunque, dell’avvento del comunismo in Albania) il giovane Gjorg Berisha ha dovuto uccidere Zef Kryeqyqe, l’assassino di suo fratello”
(dal risvolto di copertina dell’ed. Guanda, op. cit.)

16 Marzo

16 marzo 2013

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“Era il sedici di questo mese.”
“Il sedici”.  “Alle sette, trentasette minuti e venti secondi.” Venti secondi: ho controllato l’orologio.” (…) Comunque, il 16 marzo, quando il cielo s’era schiarito, che cosa avevano visto
 o creduto di vedere i due astronomi di Whaston?… Nientemeno che un bolide di forma sferica, che si spostava con straordinaria rapidità da nord a sud, e così luminoso da lottare vittoriosamente contro la luce diffusa del sole. Nonostante la rapidità con cui si spostava, siccome doveva distare dalla terra un certo numero di chilometri sarebbe stato possibile seguirlo per qualche tempo, se una nebbia intempestiva non fosse sopravvenuta a impedire ogni osservazione

Jules Verne, La caccia al meteorite, 1908 (post.), tr. it. tr. it. A cura di G. Ferrata, M. Spagnol, Mondadori 1970, pp.25-26

La vicenda fantastica di un meteorite d’oro – di cui uno scienziato cerca di indirizzare la caduta in Groenlandia – ha inizio nel mese di marzo, in Virginia, quando due  astronomi dilettanti scorgono un corpo celeste passare nel cielo. Da quel 16 marzo ha inizio, prima negli Stati Uniti e poi in tutto il mondo, la caccia al meteorite che dà il titolo a questo romanzo, in cui le date, le ore, le coordinate geografiche, le distanze dal suolo terrestre, le condizioni atmosferiche, sono parte integrante della storia. 

Dicono del libro
“Non esistono precise notizie sulla data di nascita di questo romanzo, pubblicato nel 1908, tre anni dopo la morte di Verne, quasi insieme a vari altri da lui lasciati inediti. La caccia al meteorite (La Chasse au Météore) si distacca in ogni modo largamente dalle immaginazioni tragiche o ansiose sul futuro dell’umanità, frequenti nell’ultimo periodo vissuto dallo scrittore (…) D’altra parte rientra nettamente in quel settore molto ampio dei Viaggi straordinari, dove fisica e astronomia sono presenti quasi di continuo”
(dall’introduzione di G. Ferrata, ed. Mondadori, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… ‘Addò l’ha rubato’? ‘A piazza Vittorio.’ La mattina di mercoledì giorno 16 [marzo], dopo la retata delle ninfe…”
Carlo Emilio Gadda, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana

 

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“… Alle 5 del mattino, ora di Greenwich, il martedì 16 marzo… l’U-653 navigava in superficie verso est per tornare in Francia. Nell’Atlantico settentrionale erano le 3 del mattino…”
Robert Harris, Enigma« »

“Era il sedici di questo mese.”
“Il sedici”.  “Alle sette, trentasette minuti e venti secondi.” Venti secondi: ho controllato l’orologio.” (…) Comunque, il 16 marzo, quando il cielo s’era schiarito, che cosa avevano visto
 o creduto di vedere i due astronomi di Whaston?… Nientemeno che un bolide di forma sferica, che si spostava con straordinaria rapidità da nord a sud, e così luminoso da lottare vittoriosamente contro la luce diffusa del sole. Nonostante la rapidità con cui si spostava, siccome doveva distare dalla terra un certo numero di chilometri sarebbe stato possibile seguirlo per qualche tempo, se una nebbia intempestiva non fosse sopravvenuta a impedire ogni osservazione

Jules Verne, La caccia al meteorite, 1908 (post.), tr. it. tr. it. A cura di G. Ferrata, M. Spagnol, Mondadori 1970, pp.25-26

La vicenda fantastica di un meteorite d’oro – di cui uno scienziato cerca di indirizzare la caduta in Groenlandia – ha inizio nel mese di marzo, in Virginia, quando due  astronomi dilettanti scorgono un corpo celeste passare nel cielo. Da quel 16 marzo ha inizio, prima negli Stati Uniti e poi in tutto il mondo, la caccia al meteorite che dà il titolo a questo romanzo, in cui le date, le ore, le coordinate geografiche, le distanze dal suolo terrestre, le condizioni atmosferiche, sono parte integrante della storia. 

Dicono del libro
“Non esistono precise notizie sulla data di nascita di questo romanzo, pubblicato nel 1908, tre anni dopo la morte di Verne, quasi insieme a vari altri da lui lasciati inediti. La caccia al meteorite (La Chasse au Météore) si distacca in ogni modo largamente dalle immaginazioni tragiche o ansiose sul futuro dell’umanità, frequenti nell’ultimo periodo vissuto dallo scrittore (…) D’altra parte rientra nettamente in quel settore molto ampio dei Viaggi straordinari, dove fisica e astronomia sono presenti quasi di continuo”

(dall’introduzione di G. Ferrata, ed. Mondadori, op. cit.)

 

March 1515 Marzo

15 marzo 2013

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So day by day Malli grew more Ariel, just as, day by day, Herr Soerensen grew more Prospero, and the date of The Tempest’sfirst performance in Christianssand was already fixed for March 15th

Karen Blixen, tempests (Anecdotes of Destiny)

 

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Due giorni prima del quattordicesimo compleanno di Sophie, il 15 marzo 1796, anniversario del suo fidanzamento – tuttora non autorizzato, e per la verità neanche discusso con suo padre – Fritz andò dai gioiellieri di Tennstedt per farsi fare un’ulteriore modifica al suo anello. Questo avrebbe dovuto contenere un minuscolo ritratto di Sophie, spiegò, ricavato dalla miniatura che aveva deluso tutti – non c’era altro da fare. Perlomeno c’era la sua espressione stupita, avida, e il suo misto di scuro e di chiaro. Sul lato opposto, disse loro di incidere le parole – Sophie sey mein schuz geist – “Sophie sii il mio Spirito Guardiano”. Nella poesia per il suo compleanno scrisse:
Quello che cercavo, ho trovato:
Quello che ho trovato, mi ha cercato

Penelope Fitzgerald, Il fiore azzurro, 1995, tr. it. M. d’Amico, Sellerio, 1998, p. 164


Il giovane Friedrich von Hardenberg, prima di diventare noto col nome d’arte di Novalis, cerca la sua strada fra gli studi universitari, le letture, i primi abbozzi delle sue riflessioni sul linguaggio e sulla natura, delle sue poesie e delle sue storie (fra cui Il fiore azzurro, che dà il titolo a questa ricostruzione romanzata della sua vita). L’incontro con la giovanissima Sophie si trasforma subito in fidanzamento. Alla fine del Settecento, quando la prospettiva di vita era breve, minata soprattutto dalla tisi – malattia di cui moriranno sia Sophie sia lo stesso Novalis – non era insolito sposarsi appena adolescenti. O almeno promettersi di farlo, come accade alla data del 15 di marzo e del suo anniversario.

Dicono del libro
Il fiore azzurro, infine, crea (…) tutto un mondo remoto, quello di una fetta di Germania provinciale nell’ultimo decennio del Settecento, dove l’eco lontana della Rivoluzione francese alimenta la ricerca dell’assoluto nel petto di un giovane predestinato, il goffo, egocentrico e geniale Friedrich von Hardenberg che in seguito assumerà il nom de plume di Novalis (…) L’episodio centrale è il rapporto di Hardenberg con la bambina che il futuro poeta idealizzò, un  po’ come Dante fece con Beatrice”
(dalla Nota di M. d’Amico nell’ed. Sellerio, op. cit.)

 

March 1414 Marzo

14 marzo 2013

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“Call the first witness,” said the King; and the White Rabbit blew three blasts on the trumpet and called out, “First witness!”
The first witness was the Hatter. He came in with a teacup in one hand and a piece of bread and butter in the other.
“You ought to have finished,” said the King. “When did you begin?”
The Hatter looked at the March Hare, who had followed him into the court, arm in arm with the Dormouse. “Fourteenth of March, I think it was,” he said

Lewis Carroll, Alice’s Adventures in Wonderland

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Il primo testimone era il Cappellaio. Si presentò con una tazza di tè in mano e un pezzo di pane imburrato nell’altra. – Chiedo perdono, vostra Maestà, – cominciò, – se sono qui con queste cose; ma non avevo ancora finito il mio tè quando sono stato convocato.
– Dovresti aver finito, – disse il Re. – Quando iniziasti?
Il Cappellaio guardò la Lepre Marzola, che l’aveva seguito in tribunale a braccetto del Ghiro. – Il quattordici marzo, mi pare, – disse.
– Il quindici, – disse la Lepre Marzola.
– Il sedici, – disse il Ghiro.
– Prendetene nota, – disse il Re alla giuria; e la giuria diligentemente annotò sulle lavagnette tutte e tre le date, poi fece la somma e convertì il totale in scellini e penny

Lewis Carroll, Alice nel paese delle meraviglie, 1865, tr. it. A. Ceni, Einaudi, 2003, p. 107

La porta principale attraverso cui si entra nel Paese delle Meraviglie è quella del Tempo, avverte Stefano Bartezzaghi nell’introduzione all’edizione Einaudi delle Avventure di Alice. Il tempo – già di per sé una meraviglia, un indovinello senza soluzione – è il protagonista di situazioni e dialoghi paradossali. Le avventure di Alice si svolgono in maggio: lo dice la bambina, dopo aver incontrato la Lepre Marzola (“forse, poiché siamo di maggio, non matta da legare”). Più avanti, nel capitolo Un tè da matti, viene fuori la data del 4, insieme con un mirabile orologio che, invece dell’ora, segna il giorno del mese. Poiché il Paese delle Meraviglie è un luogo di discussioni, anche la data è oggetto di negoziazione, come in questo capitolo XI (Chi rubò le crostate?), in cui il testimone è contraddetto dalla Lepre Marzola e dal Ghiro e le cifre delle date sono commutate in denaro. Poiché il Paese delle Meraviglie è un luogo di non-certezze, anche la data pare il 14 marzo, ma anche il 15 o il 16. Dipende dall’unità di misura o di cambio del Tempo.

 

Dicono del libro
“Le avventure straordinarie della piccola Alice in un bizzarro mondo alla rovescia sono molto piú di un classico per l’infanzia. Se da un lato vi si può leggere una parabola che svela le assurdità e le incoerenze della vita adulta, dall’altro vi si coglie, immediata, una raffinatissima abilità linguistica, dove il gusto per il paradosso e il calembour, il nonsenso e la parodia si esprimono con impareggiabile inventiva. Un classico, quindi, cui hanno guardato molti protagonisti della letteratura del Novecento da Queneau a Nabokov”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Einaudi, op. ci.t)

 

13 Marzo

13 marzo 2013

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Il Nautilus aveva ripreso imperturbato la rotta verso sud seguendo a grande velocità il 50° meridiano. Voleva giungere al polo? Mi pareva impossibile perché ogni tentativo fino allora compiuto di spingersi laggiù non aveva avuto successo. La stagione era inoltre molto avanzata dato che il 13 marzo nella zona antartica corrisponde al 13 settembre in quella boreale, cioè all’inizio del periodo equinoziale

Jules Verne, Ventimila leghe sotto i mari, 1870, tr. it. a cura di L. Tamburini, Einaudi,1995, p. 271

La conquista del polo Sud (“quel punto sconosciuto in cui si incrociano tutti i meridiani del globo”)da parte del Nautilus del capitano Nemo, è raccontata da Verne nella seconda  parte di Ventimila leghe sotto i mari. L’avvicinamento ha inizio il 13 marzo, a ridosso di quella che nell’emisfero boreale è la stagione primaverile, mentre nell’emisfero antartico – come non manca di far notare l’autore – è l’autunno. 

 

Dicono del libro
“Alla fregata americana Abramo Lincoln è affidato un compito impegnativo, quello di intercettare e catturare l’essere mostruoso che va compiendo singolari quanto misteriose imprese nei mari di mezzo mondo. I tre protagonisti della spedizione – uno scienziato, il suo servo e un fiociniere – avranno presto modo di constatare come il gigantesco pesce di cui si sono posti alla caccia altro non sia che un avveniristico sommergibile, il Nautilus, guidato da un singolare capitano, Nemo. Questa scoperta sarà l’inizio di una serie di mirabolanti avventure: i tre ospiti del misterioso capitano incontreranno e combatteranno piovre gigantesche, cacceranno in foreste sottomarine, vedranno la perduta Atlantide, assisteranno al crudele affondamento di una nave e del suo equipaggio”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Einaudi, op. cit.)

 

 

Altre storie che accadono oggi

 

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“… Tredici marzo! Vigilia della distribuzione dei premi al teatro Vittorio Emanuele, la festa grande e bella di tutti gli anni…”
Edmondo De Amicis, Cuore

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“… Il 13 marzo, quasi tre mesi dopo, raggiunti gli 85° 15′ di latitudine, Clark, Mew w io lasciammo il Boreal…”
Matthew P. Shiel, La nube purpurea

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“… 13 marzo 1994 Signore e signori. Moriamo perché abbiamo un corpo, ed è ogni volta l’estinzione di una cultura…”
Daniel Pennac, Storia di un corpo
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Il Nautilus aveva ripreso imperturbato la rotta verso sud seguendo a grande velocità il 50° meridiano. Voleva giungere al polo? Mi pareva impossibile perché ogni tentativo fino allora compiuto di spingersi laggiù non aveva avuto successo. La stagione era inoltre molto avanzata dato che il 13 marzo nella zona antartica corrisponde al 13 settembre in quella boreale, cioè all’inizio del periodo equinoziale

Jules Verne, Ventimila leghe sotto i mari, 1870, tr. it. a cura di L. Tamburini, Einaudi,1995, p. 271

La conquista del polo Sud (“quel punto sconosciuto in cui si incrociano tutti i meridiani del globo”)da parte del Nautilus del capitano Nemo, è raccontata da Verne nella seconda  parte di Ventimila leghe sotto i mari. L’avvicinamento ha inizio il 13 marzo, a ridosso di quella che nell’emisfero boreale è la stagione primaverile, mentre nell’emisfero antartico – come non manca di far notare l’autore – è l’autunno. 

Dicono del libro
“Alla fregata americana Abramo Lincoln è affidato un compito impegnativo, quello di intercettare e catturare l’essere mostruoso che va compiendo singolari quanto misteriose imprese nei mari di mezzo mondo. I tre protagonisti della spedizione – uno scienziato, il suo servo e un fiociniere – avranno presto modo di constatare come il gigantesco pesce di cui si sono posti alla caccia altro non sia che un avveniristico sommergibile, il Nautilus, guidato da un singolare capitano, Nemo. Questa scoperta sarà l’inizio di una serie di mirabolanti avventure: i tre ospiti del misterioso capitano incontreranno e combatteranno piovre gigantesche, cacceranno in foreste sottomarine, vedranno la perduta Atlantide, assisteranno al crudele affondamento di una nave e del suo equipaggio”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Einaudi, op. cit.)

 

12 Marzo

12 marzo 2013

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Durante il cattivo tempo che per tutta la settimana scorsa ha infierito lungo la costa, sulla nostra regione si è abbattuta una catastrofe che, secondo ogni umana previsione, avrebbe provocato la deplorevole perdita di vite umane oltre che di un ottimo vapore costiero perfettamente atto alla navigazione; ma all’ultimissimo momento, come per una grazia della provvidenza, più funeste conseguenze sono state felicemente scongiurate grazie al coraggio di un’animosa ragazza. Presentiamo ai nostri lettori un breve resoconto del dramma.
Mercoledì 12 marzo la nave passeggeri Sofie Hosewinckel salpò da Arendal diretta a Christianssand. La visibilità era scarsa, c’era neve con forte vento di sud-est. Nel tardo pomeriggio il vento si tramutò in fortunale e, come tutti sanno, fummo assaliti  dal peggior uragano che mai abbia, a memoria d’uomo, sconvolto la nostra costa. La Sofie Hosewinckel aveva a bordo sedici passeggeri, trai quali era il noto e stimato capocomico Herr Valdemar Soerensen con la sua compagnia, diretto a Christianssand ove avrebbe dovuto dare una rappresentazione

Karen Blixen, Tempeste, 1958,  tr. it. P. Ojetti in Capricci del destino, Feltrinelli 1984, p.82

Una piccolo compagnia teatrale, diretta dal capocomico Herr Soerensen, si sta recando a Christianssand per rappresentare La tempesta di Shakespeare. Fa parte della compagnia la giovane Malli, destinata a interpretare la parte di Ariel, lo spirito dell’aria. La prima rappresentazione è prevista per la metà di marzo e la compagnia parte da Arendal, su una nave passeggeri dell’armatore Hosewinckel, il giorno 12 marzo. È una data centrale, intorno a cui la vicenda si snoda. Fra il tardo pomeriggio e la notte – come riporta la Gazzetta di Christianssand – una violenta tempesta mette in pericolo i viaggiatori e la stessa imbarcazione ed è grazie a Malli – fedele al ruolo che le è assegnato nella Tempesta recitata –  che la nave riesce scampare dalla tempesta reale e a guadagnare il porto. 

Dicono del libro
Capricci del destino, l’ultimo libro pubblicato in vita da Karen Blixen, contiene cinque fra i suoi racconti più significativi (…) il personaggio più significativo del libro è Ariele, intorno al quale ruota Tempeste, un racconto che prende l’avvio dalla messa in scena del capolavoro di Shakespeare architettata da un artista visionario: la giovane che personifica Ariele, e insegna agli altri a vivere all’altezza dei suoi sogni, incarna anche l’inevitabilità della rinunzia di cui è vittima chi sceglie di essere anzitutto un artista”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Feltrinelli, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“…Il dodici marzo, pochi minuti prima di mezzogiorno di una dolce giornata primaverile (…) accadde qualcosa di meraviglioso..” Fred Uhlman, Un’anima non vile« »

Durante il cattivo tempo che per tutta la settimana scorsa ha infierito lungo la costa, sulla nostra regione si è abbattuta una catastrofe che, secondo ogni umana previsione, avrebbe provocato la deplorevole perdita di vite umane oltre che di un ottimo vapore costiero perfettamente atto alla navigazione; ma all’ultimissimo momento, come per una grazia della provvidenza, più funeste conseguenze sono state felicemente scongiurate grazie al coraggio di un’animosa ragazza. Presentiamo ai nostri lettori un breve resoconto del dramma.
Mercoledì 12 marzo la nave passeggeri Sofie Hosewinckel salpò da Arendal diretta a Christianssand. La visibilità era scarsa, c’era neve con forte vento di sud-est. Nel tardo pomeriggio il vento si tramutò in fortunale e, come tutti sanno, fummo assaliti  dal peggior uragano che mai abbia, a memoria d’uomo, sconvolto la nostra costa. La Sofie Hosewinckel aveva a bordo sedici passeggeri, trai quali era il noto e stimato capocomico Herr Valdemar Soerensen con la sua compagnia, diretto a Christianssand ove avrebbe dovuto dare una rappresentazione

Karen Blixen, Tempeste, 1958,  tr. it. P. Ojetti in Capricci del destino, Feltrinelli 1984, p.82

Una piccolo compagnia teatrale, diretta dal capocomico Herr Soerensen, si sta recando a Christianssand per rappresentare La tempesta di Shakespeare. Fa parte della compagnia la giovane Malli, destinata a interpretare la parte di Ariel, lo spirito dell’aria. La prima rappresentazione è prevista per la metà di marzo e la compagnia parte da Arendal, su una nave passeggeri dell’armatore Hosewinckel, il giorno 12 marzo. È una data centrale, intorno a cui la vicenda si snoda. Fra il tardo pomeriggio e la notte – come riporta la Gazzetta di Christianssand – una violenta tempesta mette in pericolo i viaggiatori e la stessa imbarcazione ed è grazie a Malli – fedele al ruolo che le è assegnato nella Tempesta recitata –  che la nave riesce scampare dalla tempesta reale e a guadagnare il porto. 

Dicono del libro
Capricci del destino, l’ultimo libro pubblicato in vita da Karen Blixen, contiene cinque fra i suoi racconti più significativi (…) il personaggio più significativo del libro è Ariele, intorno al quale ruota Tempeste, un racconto che prende l’avvio dalla messa in scena del capolavoro di Shakespeare architettata da un artista visionario: la giovane che personifica Ariele, e insegna agli altri a vivere all’altezza dei suoi sogni, incarna anche l’inevitabilità della rinunzia di cui è vittima chi sceglie di essere anzitutto un artista”

(dalla quarta di copertina dell’ed. Feltrinelli, op. cit.)

 

11 Marzo

11 marzo 2013

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Il presidente si servì due volte senza risparmiare lodi, e andò in sollucchero per le fette di banana matura fritta e per l’insalata di avocado, anche se non spartì le nostalgie.  Lázara si rassegnò ad ascoltare fino al dolce, quando Homero si infilò senza che venisse a proposito nel vicolo cieco dell’esistenza di Dio. 
“Io ci credo che esiste” disse il presidente, “ma non ha nulla a che vedere con gli   esseri umani. E’ preso da cose molto più importanti.
 “Io credo solo negli astri” disse Lázara. E scrutò la reazione del presidente.
“Lei in  che giorno è nato?”
“Undici marzo.”
“Così doveva essere” disse Làzara con un sussulto trionfale, e domandò con garbo:
“Non saranno troppi due Pesci alla stessa tavola?”

Gabriel García Márquez, Buon viaggio, signor presidente, 1992, tr. it. A. Morino in Dodici racconti raminghi, Mondadori 1992, p.29

A Ginevra, a tavola di due connazionali emigrati, un ex presidente in esilio e in disgrazia – giunto in Svizzera dalla Martinica per curare una seria malattia – ripercorre le alterne fortune della sua vita: i rovesci politici, la lontananza dalla patria, la condizione di esule. Fuori è autunno e già freddo, mentre il cibo in tavola evoca i Caraibi e la conversazione dirige verso lo zodiaco e il destino. Lázara, la moglie dell’autista d’ambulanza che ha invitato il presidente – prima sperando di trarne qualche vantaggio economico e poi affezionandosi all’anziano malato che interroga i fondi di caffè – “aveva una fiducia cieca nei suoi pronostici astrali”. Dentro di sé ha indovinato che il presidente è del segno dei Pesci.  Come lo è, del resto, lo stesso scrittore Gabriel García Márquez.

 

Dicono del libro
“Frutto di una lunga e singolare elaborazione, nati come appunti ‘per scrivere sulle cose strane che succedono ai latino-americani in Europa’, abbozzati per qualche anno su un quaderno poi perduto e quindi recuperati alla memoria in un continuo ‘andar raminghi fra il tavolo e il cestino’, sono racconti che proprio nel tempo, nei meravigliosi inganni con cui la memoria si sovrappone alla realtà, trovano il presupposto della loro esistenza”
(dalla bandella dell’ed. Mondadori, op. cit.)

 

 

 

 

Altre storie che accadono oggi

 

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“… Lunedì 11 marzo 1940. Effetti secondari del KO. Pressione interna sugli occhi, stamattina…”
Daniel Pennac, Storia di un corpo
pittura
Jean-Antoine Gros, Napoleone Bonaparte visita gli appestati a Giaffa l’11 marzo 1799, 1804 (olio su tela), Parigi, Louvre« » 

Il presidente si servì due volte senza risparmiare lodi, e andò in sollucchero per le fette di banana matura fritta e per l’insalata di avocado, anche se non spartì le nostalgie.  Lázara si rassegnò ad ascoltare fino al dolce, quando Homero si infilò senza che venisse a proposito nel vicolo cieco dell’esistenza di Dio. 
“Io ci credo che esiste” disse il presidente, “ma non ha nulla a che vedere con gli   esseri umani. E’ preso da cose molto più importanti.
 “Io credo solo negli astri” disse Lázara. E scrutò la reazione del presidente.
“Lei in  che giorno è nato?”
“Undici marzo.”
“Così doveva essere” disse Làzara con un sussulto trionfale, e domandò con garbo:
“Non saranno troppi due Pesci alla stessa tavola?”

Gabriel García Márquez, Buon viaggio, signor presidente, 1992, tr. it. A. Morino in Dodici racconti raminghi, Mondadori 1992, p.29

A Ginevra, a tavola di due connazionali emigrati, un ex presidente in esilio e in disgrazia – giunto in Svizzera dalla Martinica per curare una seria malattia – ripercorre le alterne fortune della sua vita: i rovesci politici, la lontananza dalla patria, la condizione di esule. Fuori è autunno e già freddo, mentre il cibo in tavola evoca i Caraibi e la conversazione dirige verso lo zodiaco e il destino. Lázara, la moglie dell’autista d’ambulanza che ha invitato il presidente – prima sperando di trarne qualche vantaggio economico e poi affezionandosi all’anziano malato che interroga i fondi di caffè – “aveva una fiducia cieca nei suoi pronostici astrali”. Dentro di sé ha indovinato che il presidente è del segno dei Pesci.  Come lo è, del resto, lo stesso scrittore Gabriel García Márquez.

Dicono del libro
“Frutto di una lunga e singolare elaborazione, nati come appunti ‘per scrivere sulle cose strane che succedono ai latino-americani in Europa’, abbozzati per qualche anno su un quaderno poi perduto e quindi recuperati alla memoria in un continuo ‘andar raminghi fra il tavolo e il cestino’, sono racconti che proprio nel tempo, nei meravigliosi inganni con cui la memoria si sovrappone alla realtà, trovano il presupposto della loro esistenza”

(dalla bandella dell’ed. Mondadori, op. cit.)

 

 

Giorno, ora, luce. La ricerca dell’artista Spencer Finch

Finch Moonlight March 10 2009

Il moto di rivoluzione della terra intorno al sole, combinato con la rotazione del nostro pianeta su se stesso, trasforma continuamente le condizioni luminose locali. La luce, quella parte della radiazione elettromagnetica visibile dall’occhio umano, è in relazione con il tempo, il tempo delle stagioni, dell’alternanza giorno-notte, delle ore, degli istanti, delle più piccole porzioni temporali misurabili.
Nell’Ottocento, il pittore Claude Monet, per restituire con i colori a olio le variazioni della luce sulla facciata della cattedrale di Rouen, correva letteralmente contro il tempo, mentre la sera sottraeva lunghezze d’onda alla luce diurna.
L’artista Spencer Finch (New Haven, Connecticut, 1962) – interessato ai nessi fra luce, percezione, colore e memoria, indagati con diversi mezzi, dai pastelli ai LED – è autore di una serie di opere connotate dalla presenza della data: giorno/mese/anno, ora o intervallo di tempo. La data, insieme con la località, indica l’esatto punto spazio-temporale in cui un’esperienza percettiva è avvenuta, diventando poi l’oggetto del lavoro artistico. Che consiste di una parte tecnico-scientifica (la determinazione dello spettro luminoso per mezzo di un colorimetro; la sua traduzione in colore; l’analisi della composizione del pigmento) e di una trasposizione creativa con mezzi e supporti diversi (tubi di luce fluorescente, vetri con filtri colorati, LED, proiezioni) adattati ai luoghi in cui l’opera verrà esposta.
Moonlight (Luna County, New Mexico July 13, 2003) si concentra per esempio sulla luce lunare osservata nel deserto del New Mexico il 13 luglio di dieci anni fa.
Un’altra luce lunare (Moonlight. Venice March 10, 2009) Finch la presentò alla Biennale di Venezia del 2009, curata da Daniel Birnbaum. In un ambiente dell’Arsenale, ricreò la luce lunare del 10 marzo – così come l’aveva vista, proprio a Venezia, in Campo Bandiera e Moro – schermando le vetrate dell’Arsenale con gel colorati che, filtrando la luce del giorno, producevano un effetto-notte.
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March 1010 Marzo

10 marzo 2013

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March 10th:”I said hello to the sea. It was difficult to give it a kiss though”

Silvina Ocampo, The Diary of Porfiria Bernal

 

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Mi sbagliavo nel credere che non l’avremmo mai persa. Il dieci marzo, il suo compleanno, telefonò da Santa Cruz per dirci che lei e Rick si erano sposati quel pomeriggio, e che stavano andando in Canada. La notizia mi lasciò stordito e incredulo, non potevo credere di aver sbagliato i miei calcoli e ripensai alle mie colpe  verso di lei. Per parafrasare la canzone, era così bello avere una ragazza in casa, e  ora se n’era andata. Era stata importante nel tessuto delle nostre vite, il filo luminoso che dava il colore, adorata e rispettata dai suoi fratelli, incensata e viziata da sua madre e un bellissimo mistero per suo padre

John Fante, A ovest di Roma (Il mio cane stupido), 1986 (post.) tr. it. A. Osti, Fazi Editore, Roma, 1998, p. 92

Point Dume, la “punta più a nord che forma la baia di Santa Monica”, “agglomerato suburbano” in cui il protagonista – dopo vent’anni che ci abita – ancora si perde se c’è la nebbia, è il luogo in cui lo scrittore Henry Molise vive con la sua famiglia. Nell’inverno di un anno imprecisato si susseguono incontri e abbandoni: l’arrivo di un cane di grossa taglia, inviso alla moglie, alla prole e ai vicini e l’allontanarsi dei figli, ormai cresciuti. Dopo diverse brevi fughe con il furgone del fidanzato Rick, Tina se ne va definitivamente, sposandosi il giorno del suo compleanno, il 10 marzo, una data su cui Henry Molise si trova a meditare, nella stanza della figlia, diventata ormai “una parte della casa spiritualmente morta, un luogo di tristi fantasmi”.

Dicono del libro
“Quattro figli (più o meno ribelli e scansafatiche) dediti all’erba e alla musica di Frank Zappa, una moglie stanca e annoiata, una gloriosa casa a forma di ipsilon sulla costa dell’oceano: la vita di Henry Molise, scrittore cinquantenne in crisi di ispirazione sembrerebbe destinata a una quotidianità prevedibile fatta di litigi e rappacificazioni domestiche, libri malriusciti e sbornie solenni. Ma durante una sera di pioggia qualcosa di imprevisto accade, un altro elemento si aggiunge di forza alla sua sgangherata famiglia a turbarne il già traballante equilibrio: è un gigantesco cane akita, ottuso e testardo (e irrimediabilmente, profondamente frocio). E non c’è nulla da fare: Stupido, questo il suo nome, non se ne vorrà andare, innescherà anzi un’incredibile serie di meccanismi a catena fino a portare il povero Molise sull’orlo di un tragicomico disastro”

(dalla seconda di copertina dell’ed. Fazi, op. cit.)

 

9 Marzo

9 marzo 2013

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La mattina del nove marzo attendevo la famiglia Kusano sulla banchina d’una stazione nelle vicinanze della sua casa. La fila di negozi prospiciente i binari era stata condannata dal governo a cedere il posto a una striscia di terreno sgombro, adibita a arginare le fiamme in caso d’incendio, e si poteva scorgere nei minimi particolari l’opera di demolizione già in pieno fermento, che lacerava la limpida aria primaverile con tonfi aspri, assordanti. Fra le strutture abbattute si notavano superfici di legno nudo appena scoperte, che abbagliavano gli occhi.
Le mattine erano ancora fredde

Yukio Mishima, Confessioni di una maschera, 1949, tr. it. M. Bonsanti, Feltrinelli, 1992, p. 126

Nel 1945, ultimo anno di guerra, il protagonista di Confessioni di una maschera ha vent’anni e viene mandato, come tutti i suoi coetanei, a lavorare in una fabbrica di aeroplani. A febbraio dovrebbe tornare agli studi universitari, ma una serie di attacchi aerei modifica i piani e quel marzo del 1945 è uno strano mese di “vacanza in piena guerra”. Il 9 marzo (data di un bombardamento micidiale), il ragazzo è in attesa del treno che lo porterà in visita a un amico partito volontario. In questa, come in altre date, eventi esterni si intrecciano a incontri, attrazioni, inconcludenze, creando quella memoria soggettiva che  è una sorta di “indipendenza dal tempo”.

Dicono del libro
“Un giovane cui ‘difetta in via assoluta qualsiasi forma di voglia carnale per l’altro sesso’ deve imparare a vivere celando la propria autentica identità. In pagine in cui risultano indissolubilmente commisti sessualità e candore, esultanza e disperazione, il protagonista di questo romanzo, un classico della letteratura giapponese, confessa le esperienze cruciali attraverso le quali è giunto a conoscere se stesso”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Feltrinelli, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… 9 marzo 1971. Ammissione. Scesero al pronto soccorso a mezzogiorno e si sedettero sulla panca…”
Michael Crichton, Il terminale uomo

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“… Ecco ritorno con la mente al tempo del primo latte/ era il 9.3.57 …”
99 Posse, Miracolo (segnalazione di Michele Brescia)

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“… 9 marzo. Mi son fatto tatuare tutto il corpo con una cartina geografica del mondo…”
Alessandro Bergonzoni, È già mercoledì e io no« »

La mattina del nove marzo attendevo la famiglia Kusano sulla banchina d’una stazione nelle vicinanze della sua casa. La fila di negozi prospiciente i binari era stata condannata dal governo a cedere il posto a una striscia di terreno sgombro, adibita a arginare le fiamme in caso d’incendio, e si poteva scorgere nei minimi particolari l’opera di demolizione già in pieno fermento, che lacerava la limpida aria primaverile con tonfi aspri, assordanti. Fra le strutture abbattute si notavano superfici di legno nudo appena scoperte, che abbagliavano gli occhi.
Le mattine erano ancora fredde

Yukio Mishima, Confessioni di una maschera, 1949, tr. it. M. Bonsanti, Feltrinelli, 1992, p. 126

Nel 1945, ultimo anno di guerra, il protagonista di Confessioni di una maschera ha vent’anni e viene mandato, come tutti i suoi coetanei, a lavorare in una fabbrica di aeroplani. A febbraio dovrebbe tornare agli studi universitari, ma una serie di attacchi aerei modifica i piani e quel marzo del 1945 è uno strano mese di “vacanza in piena guerra”. Il 9 marzo (data di un bombardamento micidiale), il ragazzo è in attesa del treno che lo porterà in visita a un amico partito volontario. In questa, come in altre date, eventi esterni si intrecciano a incontri, attrazioni, inconcludenze, creando quella memoria soggettiva che  è una sorta di “indipendenza dal tempo”.

Dicono del libro
“Un giovane cui ‘difetta in via assoluta qualsiasi forma di voglia carnale per l’altro sesso’ deve imparare a vivere celando la propria autentica identità. In pagine in cui risultano indissolubilmente commisti sessualità e candore, esultanza e disperazione, il protagonista di questo romanzo, un classico della letteratura giapponese, confessa le esperienze cruciali attraverso le quali è giunto a conoscere se stesso”

(dalla quarta di copertina dell’ed. Feltrinelli, op. cit.)

 

8 Marzo

8 marzo 2013

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L’otto marzo, alle sei della mattina, con addosso tutte le sue decorazioni, stava facendosi dettare da Ascanio la minuta di una lettera a Vienna – era già la terza – e si dava da fare con grande austerità e applicazione a scriverla in bella calligrafia su un foglio di carta con il ritratto di Sua Maestà in filigrana. Nello stesso momento Fabrizio entrò nella stanza della contessa Pietranera.
“Parto,” le disse, “vado dall’Imperatore, che è anche re d’Italia. Aveva tanta amicizia per tuo marito! Passerò per la Svizzera. Vasi, quel mio amico, quello che vende barometri, mi ha dato il suo passaporto, stanotte, a Menaggio. E adesso dammi un po’ di soldi, perché ho solo due napoleoni. Ma se occorre andrò a piedi.”
La contessa si mise a piangere. Era spaventata, e felice

Stendhal, La Certosa di Parma, 1839, tr. it. E. Tadini, Garzanti, 1983, p. 24

Lasciata l’isola d’Elba, dove era stato confinato, Napoleone è sbarcato sulla costa francese il primo marzo del 1815, dando inizio a quelli che sarebbero stati chiamati i “cento giorni” del suo ritorno. La notizia si diffonde velocemente e arriva – nella storia narrata da Stendhal – nella dimora del marchese del Dongo, fedele servitore degli Austriaci. Mentre l’anziano marchese scrive a Vienna, la stessa mattina dell’8 marzo il giovane Fabrizio, vicino agli ideali napoleonici, decide di raggiungere il suo eroe, di cui vedrà la sconfitta, il 18 giugno, nella battaglia di Waterloo. 

 

Dicono del libro
“Con la Certosa Stendhal riprende il  tema fondamentale delle sue opere maggiori: il conflitto tra reazione e rivoluzione nella società del suo tempo. Dopo la Francia postnapoleonica (Il rosso e il nero) e quella di Luigi Filippo (Lucien Leuwen), è ora la volta dell’Italia smembrata e oppressa dai governi dispotici restaurati dalla Santa Alleanza. Teatro dell’azione è un’immaginaria Parma retta da una dinastia (i Farnese) in realtà estinta da un secolo”
(dall’introduzione di P. Bellocchio, ed. Garzanti, op. cit.)

 

 

Altre storie che accadono oggi

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“… Ebbè; oggi siamo agli otto di marzo…”
Renato Fucini, La fonte di Pietrarsa (All’aria aperta)


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“…Caroline era sbarcata a Milano l’8 marzo del 1987. Aveva sei anni…”
Athos Bigongiali, Avvertimenti contro il mal di terra

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“… Il novantaquattro, 8 marzo. La Sarajevo degli amanti non si arrende….”
Izet Sarajlić, Ultimo tango a Sarajevo (segnalazione di Valeria Reali)

PAZ
Andrea Pazienza, L’otto m’arzo (segnalazione di Silvia Veroli)

 

Comani_8 marzo 1914
” …8 marzo. Giornata internazionale della donna. Ho invitato tutte le lavoratrici e le madri della Germania a partecipare alla nona assemblea pubblica per il diritto di voto alle donne…” da Daniela Comani, Sono stata io « »

L’otto marzo, alle sei della mattina, con addosso tutte le sue decorazioni, stava facendosi dettare da Ascanio la minuta di una lettera a Vienna – era già la terza – e si dava da fare con grande austerità e applicazione a scriverla in bella calligrafia su un foglio di carta con il ritratto di Sua Maestà in filigrana. Nello stesso momento Fabrizio entrò nella stanza della contessa Pietranera.
“Parto,” le disse, “vado dall’Imperatore, che è anche re d’Italia. Aveva tanta amicizia per tuo marito! Passerò per la Svizzera. Vasi, quel mio amico, quello che vende barometri, mi ha dato il suo passaporto, stanotte, a Menaggio. E adesso dammi un po’ di soldi, perché ho solo due napoleoni. Ma se occorre andrò a piedi.”
La contessa si mise a piangere. Era spaventata, e felice

Stendhal, La Certosa di Parma, 1839, tr. it. E. Tadini, Garzanti, 1983, p. 24

Lasciata l’isola d’Elba, dove era stato confinato, Napoleone è sbarcato sulla costa francese il primo marzo del 1815, dando inizio a quelli che sarebbero stati chiamati i “cento giorni” del suo ritorno. La notizia si diffonde velocemente e arriva – nella storia narrata da Stendhal – nella dimora del marchese del Dongo, fedele servitore degli Austriaci. Mentre l’anziano marchese scrive a Vienna, la stessa mattina dell’8 marzo il giovane Fabrizio, vicino agli ideali napoleonici, decide di raggiungere il suo eroe, di cui vedrà la sconfitta, il 18 giugno, nella battaglia di Waterloo. 

Dicono del libro
“Con la Certosa Stendhal riprende il  tema fondamentale delle sue opere maggiori: il conflitto tra reazione e rivoluzione nella società del suo tempo. Dopo la Francia postnapoleonica (Il rosso e il nero) e quella di Luigi Filippo (Lucien Leuwen), è ora la volta dell’Italia smembrata e oppressa dai governi dispotici restaurati dalla Santa Alleanza. Teatro dell’azione è un’immaginaria Parma retta da una dinastia (i Farnese) in realtà estinta da un secolo”
(dall’introduzione di P. Bellocchio, ed. Garzanti, op. cit.)

 

7 Marzo

7 marzo 2013

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Tranne qualche giorno in Egitto, non mi fermai una sola volta, nel corso del viaggio di ritorno; arrivai al piccolo porto di Imbro una sera tranquilla, all’ora del tramonto, il 7 marzo (secondo i miei calcoli); ormeggiai la Speranza accanto al piccolo molo; poi, con l’aiuto del motore centrale ad aria, tirai su dalla stiva la mia malconcia automobile (“malconcia” per via del tifone nell’oceano Pacifico, che aveva rotto i cavi che la sorreggevano e l’aveva sbattuta a babordo, capovolta). Percorsi in macchina la stradina senza finestre del villaggio, tra i platani e i cipressi che conoscevo bene, e le mimose del Nilo, e i gelsi, e le palme di Trebisonda

Matthew P. Shiel, La nube purpurea, 1901, tr. it. R. Wilcock, Adelphi, 1969, p. 232

 

Il medico inglese Adam Jeffson è l’unico superstite di una spedizione verso il Polo Nord e di una catastrofe planetaria – in forma di nube velenosa e profumata – che ha ucciso tutti (o quasi) gli abitanti della terra, lasciandolo padrone di città, miniere, tesori, territori senza confini. Preso da impeti distruttivi e desideri di ricostruzione, Adam edifica un palazzo regale nell’isola turca di Imbro, prima di scoprire – proprio in Turchia – che un altro essere vivente è sopravvissuto. La fonte delle straordinarie vicende di Adam è in una serie di quaderni scritti da una medium e trasmessi da un amico al narratore. Nelle pagine a volte lacunose, piene di salti temporali e spaziali, le coordinate geografiche e le date – come questa sera del 7 marzo – fanno da suggestive cornici al filo del racconto. 

Dicono del libro
“Immaginate un Robinson Crusoe che abbia per scena, invece di un’isola sperduta, il mondo intero; in cui il protagonista, invece di sperimentare tutte le risorse del raziocinio, passi per tutti i deliri di una solitudine allucinante, affollata di cadaveri e di relitti; immaginate che le vicende del romanzo si svolgano dopo la fine del mondo, provocata da una catastrofe di demoniaca sottigliezza, che estingue l’umanità conservandola immobile come uno sterminato museo di cere, imbalsamata in un delicato profumo di pèsca; e che la narrazione di questa fine del mondo e dell’inizio di una nuova vita sia spinta da un soffio epico, guidata da una continua lucidità visionaria”
(dalla bandella dell’ed. Adelphi, op. cit.)

 

 

Altre storie che accadono oggi

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“…La voce da imbonitore e la risata asinina della donna avevano profanato per la prima volta i locali della F.&S. il 7 marzo 1941 (Martin era un asso per le date)…”
James Thurber, Il più grand’uomo del mondo

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“7 marzo…Oggi, per la seconda volta quest’anno, la chiave era a terra, presso la libreria nello studio di mio marito…” Junichiro  Tanizaki, La chiave

 

 

 

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“… Era il sette di marzo, la falda del cappello di Mahler si era afflosciata nella pioggerella

sottile…”  Torgny Lindgren, Il pappagallo di Mahler« »

Tranne qualche giorno in Egitto, non mi fermai una sola volta, nel corso del viaggio di ritorno; arrivai al piccolo porto di Imbro una sera tranquilla, all’ora del tramonto, il 7 marzo (secondo i miei calcoli); ormeggiai la Speranza accanto al piccolo molo; poi, con l’aiuto del motore centrale ad aria, tirai su dalla stiva la mia malconcia automobile (“malconcia” per via del tifone nell’oceano Pacifico, che aveva rotto i cavi che la sorreggevano e l’aveva sbattuta a babordo, capovolta). Percorsi in macchina la stradina senza finestre del villaggio, tra i platani e i cipressi che conoscevo bene, e le mimose del Nilo, e i gelsi, e le palme di Trebisonda

Matthew P. Shiel, La nube purpurea, 1901, tr. it. R. Wilcock, Adelphi, 1969, p. 232

Il medico inglese Adam Jeffson è l’unico superstite di una spedizione verso il Polo Nord e di una catastrofe planetaria – in forma di nube velenosa e profumata – che ha ucciso tutti (o quasi) gli abitanti della terra, lasciandolo padrone di città, miniere, tesori, territori senza confini. Preso da impeti distruttivi e desideri di ricostruzione, Adam edifica un palazzo regale nell’isola turca di Imbro, prima di scoprire – proprio in Turchia – che un altro essere vivente è sopravvissuto. La fonte delle straordinarie vicende di Adam è in una serie di quaderni scritti da una medium e trasmessi da un amico al narratore. Nelle pagine a volte lacunose, piene di salti temporali e spaziali, le coordinate geografiche e le date – come questa sera del 7 marzo – fanno da suggestive cornici al filo del racconto. 

Dicono del libro
“Immaginate un Robinson Crusoe che abbia per scena, invece di un’isola sperduta, il mondo intero; in cui il protagonista, invece di sperimentare tutte le risorse del raziocinio, passi per tutti i deliri di una solitudine allucinante, affollata di cadaveri e di relitti; immaginate che le vicende del romanzo si svolgano dopo la fine del mondo, provocata da una catastrofe di demoniaca sottigliezza, che estingue l’umanità conservandola immobile come uno sterminato museo di cere, imbalsamata in un delicato profumo di pèsca; e che la narrazione di questa fine del mondo e dell’inizio di una nuova vita sia spinta da un soffio epico, guidata da una continua lucidità visionaria”
(dalla bandella dell’ed. Adelphi, op. cit.)

 

6 Marzo

6 marzo 2013

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Il 6 marzo del 1953 il maestro Bonanni disse a mia madre: “Questo bambino le darà  grandi soddisfazioni”. Mi piacciono molto le date: sono chiare e vere. Ma questa data è né più né meno che una combinazione alfabetica irrobustita da qualche cifra. Quale marzo, che 6, quale millenovecentocinquantatré? E’ un giorno di un mese e di un anno che ho davvero vissuto: Anche la frase del maestro Bonanni è stata davvero pronunciata.  Ma il loro contatto su questo foglio è arbitrario: mi serve solo per evocare una storia che è lunga poche righe

Domenico Starnone, Fuori registro, 1991, Feltrinelli, p. 32

A scuola la scansione del tempo è tutto: la “gelatina delle ore” è stabilita dall’orario definitivo e i giorni scorrono uno dopo l’altro, insieme ai registri e alle “pile di carte grigie” ,che si vanno accumulando negli anni di scuola del protagonista del racconto, prima allievo e poi a sua volta insegnante.  Arbitrarie ed evocative, le date si rincorrono, e il narratore richiama il giorno del suo ingresso in prima elementare, il I ottobre del 1948, per poi tornare a quel 6 marzo 1953, un “giorno di un mese e di un anno che ho davvero vissuto”. 

Dicono del libro
“Tra tutti i ripetenti, l’insegnante è il più ripetente di tutti. Gli studenti, come sassi in una fionda, fanno un po’ di giri e poi fischiano via. L’insegnante resta, anno scolastico dietro anno scolastico, imbambolato dalla giostra su cui è salito a sei anni senza sapere che non sarebbe sceso più”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Feltrinelli, op. cit.)

 

Altre storie che accadono oggi

 

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“… nel primo pomeriggio del 6 marzo di tre anni fa persi in un sol colpo due incisivi…”
Domenico Starnone, Denti

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“… Che data porta? – Ecco lì, rispose Puck. Sechsdrei. Il sei di marzo. Abbiamo decifrato tutto il materiale di questa settimana…” Robert Harris, Enigma

 

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Jonas Mekas, Tuesday March 6, 2007 Peter Kubelka plays a Tibetan gong, 365 Day Project

 

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“…un pranzo per festeggiare il 60° compleanno del padrone di casa, sabato 6 marzo alle ore sette…”
Erich Segal, Love story« »

Il 6 marzo del 1953 il maestro Bonanni disse a mia madre: “Questo bambino le darà  grandi soddisfazioni”. Mi piacciono molto le date: sono chiare e vere. Ma questa data è né più né meno che una combinazione alfabetica irrobustita da qualche cifra. Quale marzo, che 6, quale millenovecentocinquantatré? E’ un giorno di un mese e di un anno che ho davvero vissuto: Anche la frase del maestro Bonanni è stata davvero pronunciata.  Ma il loro contatto su questo foglio è arbitrario: mi serve solo per evocare una storia che è lunga poche righe

Domenico Starnone, Fuori registro, 1991, Feltrinelli, p. 32

A scuola la scansione del tempo è tutto: la “gelatina delle ore” è stabilita dall’orario definitivo e i giorni scorrono uno dopo l’altro, insieme ai registri e alle “pile di carte grigie” , che si vanno accumulando negli anni di scuola del protagonista del racconto, prima allievo e poi a sua volta insegnante.  Arbitrarie ed evocative, le date si rincorrono, e il narratore richiama il giorno del suo ingresso in prima elementare, il I ottobre del 1948, per poi tornare a quel 6 marzo 1953, un “giorno di un mese e di un anno che ho davvero vissuto”. 

Dicono del libro
“Tra tutti i ripetenti, l’insegnante è il più ripetente di tutti. Gli studenti, come sassi in una fionda, fanno un po’ di giri e poi fischiano via. L’insegnante resta, anno scolastico dietro anno scolastico, imbambolato dalla giostra su cui è salito a sei anni senza sapere che non sarebbe sceso più”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Feltrinelli, op. cit.)

 

5 Marzo

5 marzo 2013

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“Iside mi chiamano, Iside regina. Sono qui, ora, dopo tutte le tue miserabili avventure – ci sono io ora, benevola, propizia. Basta con i pianti, dimentica i lamenti, scaccia la tristezza!  Invece sta’ attento, attento a quanto ti ordino. Il giorno che nascerà proprio da questa notte, da sempre mi è sacro. Questo, sì,  è il giorno in cui si placa il tempo d’inverno, in cui le tempeste d’onde del mare si quietano, in cui sulla calma distesa marina ora possono correre le navi – e una nuova nave mi dedicano i miei sacerdoti, con tutto il suo carico di primizie. Questo giorno sacro tu devi attendere, senza ansia, sereno, fidandoti di me. Ci sarà un sacerdote in testa al corteo, e porterà un serto di rose in mano, insieme al sistro. Non esitare – scosta la folla e, rapido, avvicinati al sacerdote, per baciargli la mano; strappagli le rose e, subito, ecco che sei libero della pelle  di questa orribile bestia, odiosa da tempo anche a me” 

Apuleio, L’asino d’oro o Metamorfosi, XI, 5-6, traduzione di Monica Centanni

Il 5 marzo è, nel racconto di Apuleio, il giorno della liberazione di Lucio dalle sembianze d’asino in cui l’aveva imprigionato un incantesimo venuto male.
Dopo innumerevoli avventure, incontri, storie nelle storie (fra cui quella, bellissima, di Amore e Psiche), nell’XI libro dell’Asino d’oro o Metamorfosi – grazie all’intervento della dea Iside – Lucio ritorna finalmente se stesso. Il 5 marzo è la festa di Iside, la dea che percorre il mondo per rimettere insieme i pezzi sbranati del figlio Osiris, e infine riesce nell’impresa, inaugurando il culto misterico che dall’Egitto si diffonde in tutto il mondo ellenistico e romano. A Roma il 5 marzo è la festa  del Navigium Isidis – il corteo al seguito di una nave ornata di fiori e di primizie che sfilava sul Tevere in mezzo a una folla mascherata e festosa, a festeggiare la fine dell’inverno e la rinascita della natura. Su quella festa guidata da un ‘currus navalis’ si sovrimporrà  il calendario cristiano con il ‘carnevale’ che precede l’attesa della Pasqua di resurrezione. È questo, scrive Apuleio, un “giorno sereno, pieno di sole, tanto che gli uccelli rallegrati dal tepore primaverile si mettono dolcemente a cantare, festeggiando anch’essi con tutta la loro gioia la madre degli astri, la signora delle stagioni, la regina di tutto l’universo”. (m.c.)

 

Dicono del libro
“Più che alle opere oratorie e filosofiche la gloria di Apuleio è naturalmente affidata al suo romanzo: Metamorfosi o Asino d’oro (…) Composto nella piena maturità, il romanzo, in 11 libri, è intitolato nella tradizione manoscritta Metamorphoseon libri, cioè  ‘Libri delle trasformazioni, delle metamorfosi’ o semplicemente ‘Metamorfosi’, ma fin dall’antichità è noto anche con il titolo, che secondo Sant’Agostino risalirebbe ad Apuleio stesso, di Asinus aureus, ‘Asino d’oro’, dove non sappiamo se l’epiteto aureo sia riferito al pregio letterario o all’utilità edificante dello scritto o se non indichi invece che l’asino di cui si tratta è una creatura eccezionale, un asino dotato di ragione”
(Federico Roncoroni, dall’introduzione all’ed. Garzanti, Milano 1974)

Altre storie che accadono oggi

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“… Ci siamo incontrati per la prima volta il 5 marzo dell’era Hiei (1710).
Quanto è distante da questo mondo il ciliegio selvatico?…”
Yamamoto Tsunetomo, Hagakure

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“…Elena il 5 di marzo ha venduto il paltò…” Cristiano De André (segnalazione di Michele Brescia)

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“… Ho l’onore d’essere, oggi mercoledì 5 Marzo allo spuntar del giorno di V. E. L’umil. dev. oss. Servitore G.C….”
Giacomo Casanova,  Il duello

 

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“Iside mi chiamano, Iside regina. Sono qui, ora, dopo tutte le tue miserabili avventure – ci sono io ora, benevola, propizia. Basta con i pianti, dimentica i lamenti, scaccia la tristezza!  Invece sta’ attento, attento a quanto ti ordino. Il giorno che nascerà proprio da questa notte, da sempre mi è sacro. Questo, sì,  è il giorno in cui si placa il tempo d’inverno, in cui le tempeste d’onde del mare si quietano, in cui sulla calma distesa marina ora possono correre le navi – e una nuova nave mi dedicano i miei sacerdoti, con tutto il suo carico di primizie. Questo giorno sacro tu devi attendere, senza ansia, sereno, fidandoti di me. Ci sarà un sacerdote in testa al corteo, e porterà un serto di rose in mano, insieme al sistro. Non esitare – scosta la folla e, rapido, avvicinati al sacerdote, per baciargli la mano; strappagli le rose e, subito, ecco che sei libero della pelle  di questa orribile bestia, odiosa da tempo anche a me” 

Apuleio, L’asino d’oro o Metamorfosi, XI, 5-6, traduzione di Monica Centanni

Il 5 marzo è, nel racconto di Apuleio, il giorno della liberazione di Lucio dalle sembianze d’asino in cui l’aveva imprigionato un incantesimo venuto male.
Dopo innumerevoli avventure, incontri, storie nelle storie (fra cui quella, bellissima, di Amore e Psiche), nell’XI libro dell’Asino d’oro o Metamorfosi – grazie all’intervento della dea Iside – Lucio ritorna finalmente se stesso. Il 5 marzo è la festa di Iside, la dea che percorre il mondo per rimettere insieme i pezzi sbranati del figlio Osiris, e infine riesce nell’impresa, inaugurando il culto misterico che dall’Egitto si diffonde in tutto il mondo ellenistico e romano. A Roma il 5 marzo è la festa  del Navigium Isidis – il corteo al seguito di una nave ornata di fiori e di primizie che sfilava sul Tevere in mezzo a una folla mascherata e festosa, a festeggiare la fine dell’inverno e la rinascita della natura. Su quella festa guidata da un ‘currus navalis’ si sovrimporrà  il calendario cristiano con il ‘carnevale’ che precede l’attesa della Pasqua di resurrezione. È questo, scrive Apuleio, un “giorno sereno, pieno di sole, tanto che gli uccelli rallegrati dal tepore primaverile si mettono dolcemente a cantare, festeggiando anch’essi con tutta la loro gioia la madre degli astri, la signora delle stagioni, la regina di tutto l’universo”. (m.c.)

Dicono del libro
“Più che alle opere oratorie e filosofiche la gloria di Apuleio è naturalmente affidata al suo romanzo: Metamorfosi o Asino d’oro (…) Composto nella piena maturità, il romanzo, in 11 libri, è intitolato nella tradizione manoscritta Metamorphoseon libri, cioè  ‘Libri delle trasformazioni, delle metamorfosi’ o semplicemente ‘Metamorfosi’, ma fin dall’antichità è noto anche con il titolo, che secondo Sant’Agostino risalirebbe ad Apuleio stesso, di Asinus aureus, ‘Asino d’oro’, dove non sappiamo se l’epiteto aureo sia riferito al pregio letterario o all’utilità edificante dello scritto o se non indichi invece che l’asino di cui si tratta è una creatura eccezionale, un asino dotato di ragione”

(Federico Roncoroni, dall’introduzione all’ed. Garzanti, Milano 1974)

 

 

Tre volte 4 marzo. Da Holmes alla II guerra mondiale

4 marzo 1.

Uno studio in rosso segna l’incontro fra il dottor Watson e Sherlock Holmes, dapprima coinquilini e poi collaboratori. È il resoconto di Watson a ripercorrere il primo caso che li vede vicini, l’omicidio di due uomini e la cattura del loro assassino-giustiziere, un caso in cui Holmes rivela – per la prima volta davanti a Watson –  il suo metodo di indagine, che coglie nel segno assai prima e assai meglio dei metodi in uso fino ad allora a Scotland Yard. Dopo il racconto delle sue vicende di medico in servizio nell’esercito, delle sue ferite, del suo ritorno a Londra, della sua sistemazione in Baker Street, Watson viene al punto e fissa il giorno in cui – proprio grazie alla rivelazione dell’attività di Holmes – anche la sua vita subirà una svolta. Era il 4 di marzo (“ho buoni motivi per ricordarmelo” / “as I have good reason to remember”). Quel giorno arriva la notizia del primo omicidio avvenuto nella notte e Watson viene trasportato nell’indagine, prima dubbioso e poi sempre più entusiasta di avere a che fare con Holmes (Arthur Conan Doyle, Uno studio in rosso, 1887).
4 marzo 2.
Nell’inverno del 1943, Thomas Jericho, matematico inglese in servizio a Bletchley Park, il centro per la decifrazione dei messaggi segreti, si trova al King’s College di Cambridge, per riprendersi da un esaurimento nervoso.

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March 44 Marzo

4 marzo 2013

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It was upon the 4th of March, as I have good reason to remember, that I rose somewhat earlier than usual, and found that Sherlock Holmes had not yet finished his breakfast. The landlady had become so accustomed to my late habits that my place had not been laid nor my coffee prepared. With the unreasonable petulance of mankind I rang the bell and gave a curt intimation that I was ready. Then I picked up a magazine from the table and attempted to while away the time with it, while my companion munched silently at his toast. One of the articles had a pencil mark at the heading, and I naturally began to run my eye through it

Arthur Conan Doyle, A Study in Scarlet, 1887

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Era il 4 marzo  (e io ho i miei buoni motivi per ricordarmene). Mi alzai un po’ prima del solito e trovai Sherlock Holmes che ancora non aveva finito la prima colazione. La padrona di casa si era tanto assuefatta alle mie abitudini di dormiglione  che non mi aveva preparato il posto a tavola. Con l’irragionevole petulanza del genere umano, suonai il campanello e annunciai bruscamente che aspettavo il caffè, poi presi una rivista che era sulla tavola e tentai di ammazzare il tempo leggendo, mentre il mio compagno sbocconcellava in silenzio il pane tostato. Uno degli articoli aveva un segno a matita vicino al titolo e, naturalmente, cominciai a scorrerlo

Arthur Conan Doyle, Uno studio in rosso, 1887, tr.it. A. Tedeschi, Mondadori, 2012, p. 22

Il dottor John H. Watson, ex ufficiale medico dell’esercito britannico tornato dall’Afghanistan, al cui diario è affidata la narrazione di Uno studio in rosso, ha buoni motivi per ricordare la data del 4 marzo. Da alcune settimane è andato ad abitare al numero 221 B di Baker Street, condividendo l’alloggio con Sherlock Holmes, di cui ancora non ha individuato la professione. Il 4 di marzo ha l’occasione di vedere per la prima volta all’opera Holmes, chiamato a collaborare dalla polizia londinese alle indagini per un omicidio accaduto nella notte. Passo dopo passo, Watson è coinvolto e ammirato dal metodo di Holmes, basato sull’osservazione dei minimi dettagli, sulla scomposizione analitica dei fatti, sul dipanamento della “matassa incolore della vita”, da cui isolare – come un artista che dipinga – i fili rossi del crimine. Grazie a tale metodo, il tempo accaduto è ripercorso all’indietro, smontato e rimontato, e alcuni giorni (il 4 marzo, il 4 maggio, il 4 agosto) fanno da perno a questa ricostruzione, che porta la vicenda da Londra allo Utah e di nuovo a Londra, a quel 4 di marzo che tanto doveva colpire Watson.

 

Dicono del libro
“Il 1887 rappresenta una data di grande importanza per la letteratura poliziesca. Nel novembre di quell’anno, infatti, Arthur Conan Doyle, all’epoca sconosciuto medico di periferia, dava alle stampe Uno studio in rosso, il romanzo che vedeva l’esordio di due tra i più famosi personaggi letterari di tutti i tempi: il dottor Watson, sotto le cui modeste spoglie si celava un alter ego dell’autore, e il geniale e inimitabile Sherlock Holmes, il detective per antonomasia”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)

3 Marzo

3 marzo 2013

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Un mozzo dall’alto della coffa gridò: “Terra!”. Era il suolo della Grecia, con le montagne della Morea che si scorgevano all’orizzonte. Un vento fresco portava la nave, che correva veloce. Il nome della Grecia risvegliò il coraggio di Octave: “Ti saluto, “si disse “o terra degli eroi!”. E a mezzanotte, il 3 di marzo, mentre la luna sorgeva dietro il monte Kalos, una mistura d’oppio e di digitale preparata da lui stesso liberò dolcemente Octave da quella vita che era stata così agitata per lui. All’alba lo trovarono senza moto sul ponte, sdraiato su alcuni cordami. Aveva il sorriso sulle labbra, e la sua rara bellezza colpì persino i marinai incaricati di seppellirlo. La causa della sua morte fu sospettata in Francia dalla sola Armance

Stendhal, Armance, 1827, tr. it. M. Bonfantini, Einaudi 1976, p.180

Il tre marzo è la data che chiude la storia di una coppia di giovani francesi al tempo della Restaurazione. Lui è Octave de Malivert, “gentiluomo ventenne” affascinante e tormentato; lei è la cugina Armance de Zohiloff. La loro attrazione reciproca attraversa ostacoli esterni e interni. Dopo sposati, Octave decide di andare a combattere per la libertà del popolo greco, lasciando la moglie in Francia. Si darà la morte sulla nave che lo porta in Grecia, dopo aver scritto, ogni giorno del viaggio, una lettera. 

Dicono del libro
“Storia del tormentato amore tra due giovani, ‘Armance’ (1827) è il primo romanzo di Stendhal, che vi prova i temi che gli sono cari, gli abbandoni amorosi e poetici, l’arguzia sottile. Tanto da offrire un esempio tipico in ogni storia stendhaliana, del rapporto tra interessi sociali e politici, da un lato, e sfrenato individualismo, esclusiva passione d’amore, dall’altro”

(dalla quarta di copertina dell’ed. Einaudi, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… Il giorno dopo, il 3 marzo, passata l’una dopo mezzogiorno, duecentocinquanta membri del club e cinquanta invitati attendevano per il pranzo il caro ospite…”
Lev Tolstoj, Guerra e pace


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“… La lettera portava la data del 3 marzo. Dopo aver finito di leggere restai seduto sulla veranda a guardare il giardino…”
Murakami Haruki, Norwegian Wood« »

Un mozzo dall’alto della coffa gridò: “Terra!”. Era il suolo della Grecia, con le montagne della Morea che si scorgevano all’orizzonte. Un vento fresco portava la nave, che correva veloce. Il nome della Grecia risvegliò il coraggio di Octave: “Ti saluto, “si disse “o terra degli eroi!”. E a mezzanotte, il 3 di marzo, mentre la luna sorgeva dietro il monte Kalos, una mistura d’oppio e di digitale preparata da lui stesso liberò dolcemente Octave da quella vita che era stata così agitata per lui. All’alba lo trovarono senza moto sul ponte, sdraiato su alcuni cordami. Aveva il sorriso sulle labbra, e la sua rara bellezza colpì persino i marinai incaricati di seppellirlo. La causa della sua morte fu sospettata in Francia dalla sola Armance

Stendhal, Armance, 1827, tr. it. M. Bonfantini, Einaudi 1976, p.180

Il tre marzo è la data che chiude la storia di una coppia di giovani francesi al tempo della Restaurazione. Lui è Octave de Malivert, “gentiluomo ventenne” affascinante e tormentato; lei è la cugina Armance de Zohiloff. La loro attrazione reciproca attraversa ostacoli esterni e interni. Dopo sposati, Octave decide di andare a combattere per la libertà del popolo greco, lasciando la moglie in Francia. Si darà la morte sulla nave che lo porta in Grecia, dopo aver scritto, ogni giorno del viaggio, una lettera. 

Dicono del libro
“Storia del tormentato amore tra due giovani, ‘Armance’ (1827) è il primo romanzo di Stendhal, che vi prova i temi che gli sono cari, gli abbandoni amorosi e poetici, l’arguzia sottile. Tanto da offrire un esempio tipico in ogni storia stendhaliana, del rapporto tra interessi sociali e politici, da un lato, e sfrenato individualismo, esclusiva passione d’amore, dall’altro”

(dalla quarta di copertina dell’ed. Einaudi, op. cit.)

 

March 22 Marzo

2 marzo 2013

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Oh yes, it is Kew! Well, Kew will do. So here we are at Kew, and I will show you to-day (the second of March) under the plum tree, a grape hyacinth, and a crocus, and a bud, too, on the almond tree

 

Virginia Woolf, Orlando

 

 

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In questo 2 marzo 1937 fa ancora molto freddo, ma gli aromi acerbi della primavera incipiente sono già nell’aria. In nessun luogo della terra il preludio della primavera è profumato più che in questa città prossima alle Prealpi. Teta ha spedito il suo bagaglio ben sigillato alla sorella, la vedova del signor Zikan, controllore capo delle privilegiate Ferrovie Meridionali. In quel bagaglio si trova anche la cetra che tanto le sta a cuore

Franz Werfel, Il cielo rubato, 1938, tr. it. G. Bianchetti, Piemme, 1992, p. 109

Il due marzo si chiude una fase della vita della cuoca Teta Linek, originaria di Hustopec in Moravia. Per anni è stata a servizio presso la famiglia Argan, fra Vienna e la tenuta di Grafenegg. Mentre i giorni trascorrono sempre simili uno dopo l’altro, Teta investe tutto il suo lavoro e i suoi guadagni di domestica in un progetto che ha a che fare con l’eternità: mantiene agli studi un nipote perché diventi sacerdote e preghi per la sua anima. Il piano non andrà secondo le previsioni di Teta che ancora, quel due di marzo, mentre lascia il servizio, non sospetta che il giovane nipote la stia ingannando. E neppure che la attende -verso la fine del pontificato di Pio XI – uno straordinario viaggio a Roma, nel cuore della religione cattolica e al termine dei suoi giorni. 

Dicono del libro
“Il romanzo è la vicenda d’una povera domestica che per tutta la vita insegue un sogno ingenuo e scaltro, pio e sacrilego al tempo stesso: assicurarsi la salute eterna, un posticino personale in paradiso, grazie alle continue preghiere e intercessioni d’un sacerdote di sua proprietà: un nipote da lei fatto studiare con sacrifici durissimi. Werfel segue questa povera vicenda di eroismo e di meschinità con l’acutezza di uno psicanalista”

(dalla quarta di copertina dell’ed. Piemme, op. cit.)

 

March 11 marzo

1 marzo 2013

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“He was just finishing up his boot training at Parris Island, South Carolina – where the scuttlebutt was that the marines were to hit the Japanese beaches on March 1, 1946 – when the atomic bomb was dropped on Hiroshima”

Philip Roth, American Pastoral, 1997

 

 

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Già da parecchio era cessato il cattivo tempo; la stagione veniva avanti; e all’improvviso fiorirono i mandorli. Era il primo di marzo. Scendo il mattino in Piazza di Spagna. I contadini hanno spogliato dei suoi rami bianchi la campagna, e i fiori di mandorlo caricano le ceste dei venditori. La mia attrazione è così forte  che ne compro un fascio intero. Ci vogliono tre uomini a portarlo. Rientro insieme a tutta quella primavera. I rami si impigliano nelle porta, dei petali nevicano sul tappeto

 André Gide, L’immoralista, 1902, tr. it. A. Cerinotti, Demetra, 1993, p. 127

La data del primo marzo compare verso la fine del racconto che il protagonista, Michel, fa ad alcuni amici per spiegare gli ultimi decisivi avvenimenti della sua vita. Il matrimonio con Marceline, il soggiorno in Africa, fatto di lunghi “giorni senza ore”, la malattia ai polmoni da cui si è ripreso, la scoperta dell’omosessualità. E poi, in una specie di simmetria, la malattia della moglie che, incinta, perde il bambino, e di nuovo i viaggi, il lago di Como, Firenze, Roma, dove arrivano alle soglie della primavera, per proseguire ancora verso sud. 

Dicono del libro
“L’immoralista vide le stampe nel 1902 e segna una tappa importante nella vita e nell’opera di Gide: nella vita, perché lo scrittore decide di uscire allo scoperto, ancor prima di fronte a se stesso che al suo pubblico, rispetto alla sua omosessualità; nell’opera, perché la ricerca di uno stile, fino a quel momento caratterizzato da prove discutibili, approda finalmente a un risultato convincente”

(dall’introduzione all’ed. Demetra, op. cit.)

 

February 2828 Febbraio

28 febbraio 2013

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“What is the day of the month?” asked he of Jacopo, who sat down beside him. “The 28th of February.” “In what year?” “In what year—you ask me in what year?”

Alexandre Dumas, The Count of Montecristo, 1844-45

 

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“Oggi quanti ne abbiamo del mese?” domandò Dantès a Jacopo che era venuto a sedere vicino a lui dopo aver perduto di vista il castello d’If.  
“Il 28 febbraio”, rispose questi. 
“Di che anno?” domandò ancora Dantès.
 “Come di che anno?… Voi domandate di che anno?”
“Si,” rispose il giovane, “vi domando di che anno”
“Avete dimenticato in che anno siamo?”
 “Che volete? E’ stata così grande la paura di questa notte,” disse ridendo Dantès, “in cui poco è mancato che non perdessi la vita, che la mia memoria ne è rimasta sconvolta; vi domando dunque di quale anno siamo noi ai 28 di febbraio?”
“Dell’anno 1829”, rispose Jacopo.
Erano 14 anni precisi, giorno per giorno, che Dantès era stato arrestato. Era entrato nel castello d’If  a 19 anni, e ne usciva a 33. Un doloroso sorriso passò sulle sue labbra

Alexandre Dumas, Il conte di Montecristo, 1844-46, tr. it. E. Franceschini, BUR, 2006, pp. 153-154

Fuggito dal castello d’If, dove è stato tenuto ingiustamente prigioniero molti anni, e salvato in mare da un bastimento di contrabbandieri a cui dice di essere un naufrago, Edmond Dantès ha perso la cognizione del tempo e la prima notizia che chiede riguarda proprio la data. Nel febbraio di quattordici anni prima – 1815 -aveva avuto inizio la narrazione, con l’arrivo di Dantès a Marsiglia, il suo fidanzamento, il complotto dei suoi nemici e l’arresto. 

Dicono del libro
“Le trame della gelosia spezzano la vita del giovane Edmond Dantès: appena nominato capitano di bastimento, in procinto di sposare la bella Mercedes, perde tutto a causa del complotto ordito contro di lui da tre uomini rosi dall’invidia. Viene accusato di tradimento e incarcerato, il suo nome macchiato d’infamia. Ma nelle opprimenti segrete del Castello d’If il desiderio di riscatto si fa strada grazie all’incontro con il sapiente abate Faria e alla promessa di un favoloso tesoro nascosto sull’isola di Montecristo. Un luogo fiabesco e carico di mistero, in nome del quale Edmond costruirà la sua nuova vita, cambiando identità per preparare meglio un’inesorabile vendetta”

(dalla scheda del libro sul sito BUR)