Ti con zero per l’anno nuovo

Un post breve per ricordare che a Roma, al Palazzo delle Esposizioni, la grande mostra “Tre stazioni per Arte-Scienza” ci accompagna nel passaggio dal 2021 al 2022. Aperta fino alla fine di febbraio, la mostra offre tre diversi percorsi nel rapporto fra l’arte e la scienza. Uno segue il filo della storia, rintracciando nella città di Roma le vestigia, i personaggi, i luoghi della ricerca scientifica nel passato e nel presente, con un affaccio sul futuro prossimo. Un altro percorso si avventura nel tema dell’Incertezza, come categoria pervasiva, che investe anche le scienze “esatte”. Il terzo percorso è quello che prende il nome dal testo di Italo Calvino del 1967, Ti con zero, in cui lo scrittore si prefiggeva di “vedere il tempo con la concretezza con cui si vede lo spazio”.
In questa sezione della mostra trovano posto opere sorprendenti, che richiedono una partecipazione attenta per coglierne le dimensioni e gli obiettivi: “algoritmi che usano l’errore come sistema generativo di forme, apparati biologici sintetici, microbi eucarioti intuitivi e intelligenze artificiali, processi di trasformazione dei territori, desertificazioni, esplorazioni spaziali e panorami marziani”. Opere che parlano di ambiti in cui la ricerca è in fieri, dalla genetica al clima, alle reti, con lo sguardo e la perizia dell’arte che trasforma materie e dati in un’esperienza percettiva e cognitiva insieme. 
Nel saggio che apre il catalogo, le curatrici di questa sezione – Paola Bonani, Francesca Rachele Oppedisano, Laura Perrone – partono da Ti con zero,  “concetto astratto e fertile luogo di proiezioni immaginative” e anche “condizione di sospensione spazio-temporale” impostasi durante la pandemia, per illustrare  con chiarezza le tappe della mostra, in cui si intrecciano – in un gioco dei tempi – artisti del passato (fra cui Dürer, Steiner, Boetti, De Dominicis,opalka, Smithson) e artisti e artiste contemporanee, di diverse generazioni, da Penone, Tacita Dean, Carsten Nicolai, Pierre Huyghe, ai più giovani Adelita Husni-Bey, Tega Brain, daniel Steegman Mangrané…

Il sito della mostra Tre stazioni per Arte-Scienza
Palazzo delle Esposizioni, Roma
fino al 27 febbraio 2022

Il tempo in tasca: al Museo della Figurina

I calendari portatili: c’è chi li considerava oggetti trascurabili e chi invece ne era attratto fortemente. C’è chi li collezionava e chi li gettava via terminato l’anno a cui erano collegati. C’è chi ormai non li usa proprio più, delegando il registro dei giorni alla funzione calendariale di telefoni e palmari. 
Ma c’è stata un’epoca – a partire dal 1900, lungo i decenni dell’art déco – in cui i calendari tascabili (in un versione arricchita di colori e odori) hanno popolato la vita quotidiana di tante persone, soprattutto di sesso maschile, poiché – come testimoniano memorie, diari, racconti e collezioni – era nella bottega del barbiere che questi oggetti si trovavano.
Piccoli almanacchi in forma di libriccino di 12 o 16 facciate, in cui ogni mese dell’anno era illustrato con figure femminili, scene e dettagli di vita elegante e spensierata, nello stile armonioso dell’epoca d’oro della decorazione grafica e litografica.

Dal 15 settembre 2017 , fino al 18 febbraio 2018, a Modena, nel Museo della Figurina, una mostra permette di vederne dei magnifici esemplari, realizzati da artisti di talento – fra cui De Bellis, Codognato, Umberto Brunelleschi (e molti altri recuperati dalla ricerca), attivi nella prima metà del XX secolo nel campo dell’illustrazione e dell’immagine riprodotta.
L’arte in tasca. Calendarietti, réclame e grafica 1920-1940 è il titolo di questa esposizione, curata da Giacomo Lanzilotta, che usa il “calendarietto del barbiere” come bussola di un percorso espositivo articolato sui temi che il piccolo oggetto interseca: la fisionomia di un gusto e le sue tracce figurative, cinematografiche e letterarie, il fascino per l’esotico, il ruolo della seduzione nella réclame, la profumeria. 


Piccolo per estensione e per considerazione, ma carico di una sua forza immaginifica, il calendarietto del barbiere si presentava infatti profumato con essenze reclamizzate all’interno. 
In quello della profumeria milanese Sirio – illustrato da Costantino Grondano nel 1922 – è la fragranza di acacia a dare al calendario quello che, con termine ora un po’ desueto, è chiamato l’olezzo. 
Il profumo esalta le immagini, aggiunge dimensioni impalpabili alle scene, trasforma il piccolo oggetto cartaceo in un dispositivo sinestetico che apre l’accesso alla memoria e all’immaginazione di chi viene in contatto con esso. Il profumo, collegato al luogo (il salone del barbiere)  e alla funzione di questi oggetti (sorta di proto-gadget pubblicitari) è un elemento interessante anche in relazione al tempo. Dall’esperienza olfattiva narrata da Marcel Proust al principio della Ricerca del tempo perduto, alle recenti considerazioni di Carlo Rovelli e Bjung-Chul Han, l’olfatto emerge come veicolo di un viaggio nella memoria che schiude alla coscienza “ampi spazi di tempo”.
In modo empirico e commerciale, ammiccante e leggero, i calendarietti del barbiere alludevano anch’essi all’odore del tempo, accostando la griglia dei giorni dell’anno nuovo alla linea libera delle forme, alla seduttività dei colori e all’effetto conturbante dei profumi.  

La mostra, prodotta in occasione del festivalfilosofia 2017 (Modena, Carpi, Sassuolo 15-17 settembre), prevede anche dei percorsi olfattivi.
Il catalogo con testi di Giacomo Lanzilotta e Maurizio De Paoli, riccamente illustrato e denso di collegamenti e informazioni inedite, è pubblicato da Franco Cosimo Panini.
Info sul sito funzionalissimo del Museo della Figurina di Modena.

Antonella Sbrilli @asbrilli

Una tesi su Diconodioggi

Dal Gioco dei giorni narrati (Giunti, 1994) alla versione in Realtà Virtuale Oculus Rift della mostra Dall’oggi al domani. 24 ore nell’arte contemporanea (Museo Macro di Roma, 2016), passando – nell’arco di venti anni – per il database della raccolta di citazioni sui giorni, per questo blog e per la rete dei social: è questo il tema di una lusinghiera – per Diconodioggi – tesi di laurea discussa in quest’anno accademico presso l’Accademia di Belle Arti di Frosinone.

tesi Accademia Frosinone

L’autrice è Martina Frattarelli e la sua relatrice Loredana Finicelli, docente presso il Corso di laurea in Conservazione e restauro dei materiali dell’arte contemporanea.

Titolo della tesi: “Dall’oggi al domani. 24 ore nell’arte contemporanea. Caratteri di innovazione nella comunicazione multimediale dell’esposizione.

La tesi ripercorre con chiarezza l’origine e l’evoluzione del progetto e il suo riversamento su canali editoriali, mezzi e situazioni diverse: un libro antologico, un database relazionale, una mostra animata da eventi e interazioni, una ricostruzione VR, un blog collaborativo. Ecco l’indice:

Capitolo 1: I progetti editoriali
1.1 Il Gioco dei giorni narrati
1.2 La Bustina di Minerva
1.3 Il Database
1.4 Dicono di oggi: “Era una notte buia e tempestosa. Va bene, ma in quale data?”
1.5 Da Toni A. Brizi ad Antonella Sbrilli

Capitolo 2: La Mostra.Dall’oggi al domani. 24 ore nell’arte contemporanea
2.1 Le nuove concezioni temporali nel ‘900
2.2. Il tempo nell’arte del ‘900. La performance, l’happening. Fluxus
2.3 L’arte di Alighiero Boetti
2.4 Alighiero Boetti e il tempo
2.5 La mostra: sviluppo e caratteri innovativi
2.5.1 Lo sponsor Bulgari
2.5.2 I percorsi tematici. Un rapido sguardo alla mostra
2.5.3. La comunicazione. La didattica e l’interazione con il pubblico

Capitolo 3: L’applicazione multimediale
3.1 La premessa: “Nel Cerchio dell’arte”
3.2. Realizzazione del progetto virtuale
3.3. Arte e tecnologie

Bibliografia e sitografia chiudono questo lavoro, che – speriamo – trovi diffusione e seguito.
(a.s.)

 

Mostre che ritornano (in Realtà Virtuale)

La mostra Dall’oggi al domani. 24 ore nell’arte contemporanea – che per 155 giorni ha scandito il tempo al Macro di Roma, via Nizza – si è chiusa fisicamente  il 2 ottobre 2016.
Le opere sono state staccate dalle pareti e tolte dalle teche, le installazioni smontate… Eppure qualcosa – oltre al catalogo e alle tante foto e interazioni sui social network – rimane, di questa mostra che ha abitato e animato le sale al primo piano del Museo Macro, qualcosa che riguarda la sua dimensione spaziale. Di che si tratta?

Realtà Virtuale 24 gennaio 2017 Macro
Di una versione in Realtà Virtuale, esplorabile tramite appositi visori Oculus Rift, che consente di muoversi negli spazi della mostra, girare intorno alle installazioni, fermarsi sulle pareti, girovagare, avere una visione d’insieme e di dettaglio di una ventina di opere fra quelle esposte. Un percorso che consente di ricollocare ogni opera nel luogo in cui si trovava, di coglierne le relazioni di vicinanza con le altre, il dialogo che si percepisce – dal vivo – durante una visita museale. E che l’esplorazione virtuale può di nuovo suggerire, ponendosi come un modo consistente di mantenere la memoria di un evento temporaneo, come appunto una mostra.

vr macro 24 gennaio 2017
Martedì 24 gennaio 2017, nel Museo Macro di Roma (via Nizza), per un pomeriggio, i visitatori possono rientrare virtualmente nelle sale espositive. Appuntamento alle 17,30 nella Sala Cinema per esplorare la postazione e parlarne con le curatrici della mostra, gli sviluppatori e alcuni esperti di musei, mostre, documentazione, politiche culturali.Qui informazioni e dettagli.

Vr Macro 2017 gennaio 24

Realizzata in collaborazione con la Ripartizione Cultura della Provincia Autonoma di Bolzano, la versione in Realtà Virtuale della mostra romana è visitabile presso il Centro Trevi di Bolzano (via Cappuccini 28), all’interno dei progetto multimediale  Il Cerchio dell’arte, che propone continue sperimentazioni sugli scambi fra arte, tecnologie, comunicazione e didattica. Dedicato ogni volta a un tema diverso, Il Cerchio dell’arte sviluppa quest’anno il tema “tempo e denaro”, proponendo ai visitatori un video immersivo, esplorazioni di opere tramite touch-screen, giochi e interazioni e anche la presenza di due dipinti in prestito. Qui tutte le informazioni.

(a.s) @asbrilli

La forza degli anni (e della creatività)

Fino al 10 dicembre 2016, presso lo spazio polifunzionale EX[de]PO’ in Corso Duca di Genova 22 a Ostia, si può visitare una mostra collettiva, frutto dell’attività dei Laboratori d’Arte della Comunità di Sant’Egidio di Roma. Il titolo dell’esposizione è La forza degli annia indicare che il tema affrontato dagli artisti e dai curatori è il tempo; il tempo che passa e che si accumula, lasciando i suoi segni profondi sulle cose e sulle persone. Il segno più evidente del trascorrere degli anni è l’invecchiamento, che porta con sé la condizione della solitudine, la fragilità, spesso l’esclusione, rovesciando in negativo i valori proverbiali della vecchiaia come l’esperienza, la memoria profonda, la visione da un altro punto di vista.

coppa-santegidioNei Laboratori d’Arte della Comunità di Sant’Egidio – che si svolgono insieme alle attività quotidiane di assistenza e inclusione – il tema dell’invecchiare è stato affrontato da persone con disabilità, fra cui artisti con diverse esperienze alle spalle (la Biennale del 2013 e gli eventi ospitati al MAXXI nel 2015-2016) ed altri all’inizio di un percorso espressivo. In mostra ci si trova di fronte con piacere e sorpresa a una vasta gamma di linguaggi creativi: dipinti materici che usano il colore in modo insieme espressivo e simbolico; disegni che colgono l’essenziale delle forme e lo arricchiscono di ironia (come la Venere e il Cupido invecchiati di Marianna Caprioletti e i ritratti di “grandi vecchi” di Sara Curcio); assemblage come le cortecce che propongono “una percezione tattile delle rughe” di Giovanni Battista La Marra; sculture arricchite di pensiero e di giochi di parole, come la Ma_nonna con bambino di Moira Risciogli; oggetti, come la campana di vetro che imprigiona la chiave (Chiudiamo ciò che chiude di Marco Magliocchetti); e ancora video interviste (Fili di memoria); quaderni, situazioni concettuali, come il toccante bicchier d’acqua posto su una mensola in alto, accanto  alla scritta rossa “Ho sete”, opera del Laboratorio Vigne Nuove o la parete occupata dalla ripetizione della frase Fuori tutti, o ancora la coppa piena di bigliettini da pescare per leggere la frase che ci tocca: “Senza vecchiaia non c’è futuro”, “Tutti abbiamo bisogno di qualcuno”.
venere-invecchiata
Tutte le opere presenti in mostra sono accompagnate da didascalie esemplari, che illustrano insieme la tecnica di cui ciascuna opera è fatta e la sua intenzione e mettono in alcuni casi a disposizione del visitatore una breve frase dell’artista che racconta il contesto (“Quando ero piccolo… andavo all’istituto”). Si percepiscono, lungo il percorso nelle sale dell’EX[de]PO’ di Ostia, le tante dimensioni di questa mostra: le opere sono la manifestazione tangibile (da vedere, da toccare, con cui interagire) di un lavoro creativo comune e disseminato, che nasce dalla relazione di scambio quotidiano all’interno dei Laboratori d’Arte della Comunità. Come si legge nella presentazione, queste opere “affrontano temi quali l’alleanza tra le generazioni e il valore della memoria; propongono alternative all’istituzionalizzazione degli anziani e suggeriscono di guardare alla fragilità (degli anni ma anche delle diverse condizioni di disabilità) come ad un valore prezioso da difendere”.
La mostra resterà aperta fino al 10 dicembre, giorno in cui sarà premiata l’opera più votata da una giuria popolare. L’invito è dunque a recarsi nello spazio espositivo di Ostia e a scegliere l’opera che si sente più affine alla propria riflessione sul tempo che passa, sapendo che anche questa azione fa parte della mostra, la completa e la espande.
Antonella Sbrilli (@asbrilli)

 

Il Tempo val bene due mostre, alla Galleria Nazionale di Roma

La Galleria Nazionale di Roma presenta due mostre nelle sale di viale delle Belle Arti, entrambe incardinate sul tema del Tempo.
La prima, curata da Saretto Cincinelli e aperta fino al 29 gennaio 2017,  si intitola The Lasting. L’intervallo e la durata. Occupa la grande sala centrale e allestisce – intorno a opere di Fontana, Calder e Medardo Rosso, appartenenti alla collezione permanente – una scelta di artisti coinvolti nei termini del titolo, che mette in risonanza i concetti di persistenza e passaggio.
The Lasting rivendica l’emergenza del tempo, l’importanza del suo fluire, della durata, dell’intervallo, della sedimentazione, della latenza…” si legge nel catalogo, dove gli artisti sono raccolti in sezioni dai titoli evocativi: Il tempo della creazione e l’impronta del tempo; Il tempo della metamorfosi; Il tempo dell’interpretazione, dell’attesa e della collaborazione.
Al visitatore il compito di rintracciare questi caratteri nelle opere e fra di esse, davanti alle teche, alle miniature, alle tende sbiadite, alle lastre di cera e paraffina, alle foto di vecchi cinema, alle tracce di lumache, ai bronzi che ricalcano i legni della laguna veneziana e prendono la forma di clessidre.
La misurazione del tempo è una invenzione e una convenzione, scrive in catalogo Francesco Piccolo in uno dei 24 bellissimi appunti del suo Tentativo di catalogare il tempo, ma “il tempo che passa non è inventato”.
Nel suo fregarsene degli orologi e dei calendari, nel suo costringere il linguaggio a cercare sempre nuove metafore e acrobazie per avvicinarvisi, il tempo pervade l’arte in maniere continuamente nuove.
Bonito Oliva definisce portatori del tempo i protagonisti della sua Enciclopedia delle arti contemporanee; l’urgenza del tempo è evocata dalla XVI conferenza dell’International Society for the Study of Time (Time’s Urgency, Edimburgo 2016); il tempo, i tempi, l’oggi, il domani, il qui e ora, il tempo-reale, i fusi orari, sono ubiqui nelle ricerche, nelle mostre, negli esperimenti relazionali in corso. Per fare un esempio, l’esposizione di Manfredi Beninati (ottobre 2016, Firenze Galleria Poggiali) ha per titolo Domenica 10 dicembre 2039, una data che non esiste nel calendario, poiché quel 10 dicembre sarà un sabato.
Nel catalogo di The Lasting, la direttrice della Galleria, Cristiana Collu – che pure desidera lasciare da parte il tempo convenzionale e lineare – cita, con una sorta di affetto, due date: la festa di Ognissanti, giorno in cui ha preso in carico la Galleria e il Solstizio d’estate, giorno di inaugurazione della mostra.
Diconodioggi non può non notarle, seguendo le trame del tempo finzionale: il primo novembre è scandito dalle citazioni formidabili di tre scrittrici, Virginia Woolf,  Antonia S. Byatt, Jennifer Egan; mentre il Solstizio di giugno è ancorato alla pagina della Montagna incantata (o magica) di Thomas Mann, che ricama sul paradosso di un giorno che segna insieme il culmine della luce e l’inizio del suo decrescere.

La seconda contemporanea mostra della Galleria Nazionale si intitola Time is out of joint e si presenta come una sistemazione temporanea (fino al 2018) delle collezioni, in dialogo con alcune opere in prestito.
Anche qui una data: l’avvio della mostra è caduto il 10 ottobre, “due giorni prima della scoperta dell’America” (come si legge in un racconto di Tabucchi, Il gatto dello Cheshire), ma soprattutto il giorno in cui nell’incompiuto romanzo di René Daumal, Il Monte Analogo, il gruppo di esploratori – fra cui il narratore – si imbarca su uno yacht a due alberi dal nome L’Impossibile, diretto verso una montagna sfuggita fino ad allora all’osservazione e la cui cima è inarrivabile “con i mezzi finora conosciuti”.
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Ha un sentore di spedizione verso spazi inconsueti anche l’apertura di questa mostra, che sceglie come titolo una battuta dell’Amleto, “il tempo  [in alcune traduzioni ‘il mondo’] è fuor dei cardini; ed è un dannato scherzo della sorte ch’io sia nato per riportarlo in sesto”.
Anche in questo caso, e in modo ancora più pervasivo che in The Lasting, la mano da giocare passa subito al visitatore, che negli spazi completamente bianchi della Galleria  incontra opere accostate non per vicinanza storica, ma per analogie, collegamenti, rimandi, affinità, buon (o problematico) vicinato.
Un imponente ipertesto navigabile in grandezza naturale che, in ogni sala, invita a decifrare i nessi fra le opere che lo compongono. La linea diritta della storia che scorre da un prima a un dopo è messa da parte e il suo posto è preso dall’idea della compresenza e dell’intreccio.
Del resto, la citazione della tragedia di Shakespeare, “Time is out of joint”, è anche il titolo di un racconto distopico dello scrittore statunitense Philip K. Dick. Pubblicato nel 1959, il racconto (tradotto in italiano come Tempo fuori luogo e Tempo fuor di sesto) è uno straordinario trattato sulla natura della realtà.
In una cittadina americana, in un periodo che somiglia alla fine degli anni ’50, il protagonista è il campione di un concorso a premi, in cui bisogna indovinare in quale zona di una mappa quadrettata apparirà un omino verde. È un gioco. O almeno così sembra, fino a quando alcuni indizi portano il protagonista a dubitare che la normalità della sua vita quotidiana (compreso il concorso) sia autentica. Dettagli fuori posto, brevi allucinazioni, elenchi telefonici anacronistici: la realtà è in sincrono con chi la percepisce? è un continuo compatto, consecutivo e condiviso? o non presenta invece delle crepe – non visibili a tutti nello stesso modo e momento – attraverso cui trapelano segnali dal passato o dal futuro, strati di altri tempi?
Questa seconda mostra nella Galleria Nazionale mette decisamente in opera l’idea dello scardinamento dei tempi e del loro riversarsi nel presente.
Ogni sala si presenta  a sua volta come una mostra a tema, un’arena di collegamenti, un invito a decifrare gli indizi che collegano due o più epoche distanti, richiamate nell’attualità dello stesso luogo e del visitatore che vi si trova in quel momento. Ogni opera una porta d’uscita e d’ingresso nel tempo di chi la guarda e la ricolloca; ogni gruppo di opere un nodo di reti orizzontali e diacroniche.

Roma, Galleria Nazionale: Canova, Pascali, Penone. Ph: Stella Bottai

Roma, Galleria Nazionale: Canova, Pascali, Penone. Ph: Stella Bottai

Questo tipo di disposizione è una sfida per la didattica e anche un invito a nozze per progettare quella che attualmente si chiama gamification, cioè l’applicazione di forme di gioco in contesti non ludici.
Quanti gradi (o quadri) di separazione dividono un’opera dall’altra? per quali vie sono arrivate vicine, attraversando la storia, la rilettura critica, l’immaginazione letteraria, la serendipity? (un gioco simile è stato proposto alla Gnam nel 2015 in occasione dei Giochi di Sala).
E un gioco d’artista partecipativo è effettivamente già in corso alla Galleria Nazionale: si tratta del Museum Beauty Contest, un concorso di bellezza fra le più belle figure femminili e maschili rappresentate nelle opere della Galleria; inventato dall’artista Paco Cao, coinvolge il pubblico per diversi mesi, fino alla finale nel marzo 2017.
Ma questa proposta di disposizione è un invito a nozze anche per la progettazione di realtà aumentate che raccontino – oltre alla vita delle opere – anche le forme delle precedenti sistemazioni delle sale o per il rilascio di app (o l’avvio di laboratori) che consentano di ricreare una propria parziale configurazione temporanea. Ritrovare il pavimento specchiante di Alfredo Pirri che introduceva nella Gnam, ricostituire le quadrerie, spostare, ricombinare, fermare una configurazione.
Il tempo come linea, il tempo come cerchio, il tempo come rete, il tempo come blocco dove tutto continua ad avvenire nel momento in cui lo si racconti di nuovo, emergono come artifici paralleli di rappresentazione.

Antonella Sbrilli (@asbrilli)

Il mese di marzo 1969 in una mostra di Siegelaub

Nel 1969 Seth Siegelaub realizza una mostra di cui esiste solo il catalogo, dal titolo One Month. 31 artisti sono invitati a riempire con un’opera – o con la loro sola risposta –  i 31 giorni del mese di marzo dell’anno in cui gli americani sarebbero andati sulla Luna. In questo post Marina Andrea Colizzi racconta la curiosa storia di una mostra in forma di calendario.

One Month. March 1-31, 1969 è il secondo di tre progetti strettamente collegati tra loro che il curatore statunitense Seth Siegelaub realizza tra il gennaio e il settembre del 1969; si tratta di January 5-31, 1969, un’esposizione caratterizzata dall’assenza di opere in mostra ad eccezione del catalogo, e July, August, September 1969, un testo in cui si riporta la documentazione della realizzazione dei progetti di 11 artisti nel corso di tre mesi.
Per la realizzazione di One Month, Siegelaub stila una lista di 31 artisti, tanti quanti i giorni che compongono il mese di marzo, e assegna a ciascuno di loro un giorno del mese; ogni artista è invitato a inviare un contributo che deve essere realizzato nel giorno cui è stato associato. Ad ogni contributo viene quindi dedicata una pagina del catalogo/calendario.

Seth Siegelaub ColizziLa prima pagina è occupata dal calendario del mese di marzo del 1969; nella seconda viene riprodotta la lettera standard che il curatore invia a ognuno dei 31 artisti, completata negli spazi vuoti dal nome dell’ artista e dal giorno a lui assegnato.

Nelle lettere, spedite il 21 gennaio 1969, sono illustrate le istruzioni da seguire per poter partecipare, secondo le quali entro il 15 febbraio ogni artista potrà scegliere una di tre modalità con cui intende collaborare al progetto:

1)  Aderire alla mostra con il proprio nome nell’elenco dei partecipanti, accompagnato da una descrizione della propria opera e/o delle informazioni relative ad essa

2)  Aderire alla mostra con il proprio nome nell’elenco dei partecipanti, privo di ulteriori informazioni

3)  Non comparire nell’elenco dei partecipanti.

Il nome di ogni artista che non risponderà entro il 15 febbraio non comparirà nell’elenco dei partecipanti.

L’elenco dei nomi degli artisti e i loro lavori saranno pubblicati e distribuiti a livello internazionale; tutte le risposte saranno da considerarsi di proprietà di chi pubblica il catalogo.

Partecipano con il proprio nome o inviando un contributo Terry Atkinson, Michael Baldwin, Robert Barry, Rick Barthelme, Iain Baxter, James Byars, John Chamberlain, Ron Cooper, Barry Flanagan, Alex Hay, Douglas Huebler, Robert Huot, Stephen Kaltenbach, Joseph Kosuth, Christine Kozlov, Richard Long, Robert Morris, Claes Oldenburg, Dennis Oppenheim, Alan Ruppersberg, Robert Smithson, De Wain Valentine, Lawrence Weiner, e Ian Wilson, mentre le pagine assegnate a Carl Andre, Mike Asher, Dan Flavin, On Kawara, Sol Lewitt, Bruce Nauman e Ed Ruscha rimangono bianche, senza darci la possibilità di sapere se la causa sia il desiderio di non comparire tra i partecipanti o l’assenza di una risposta alla richiesta di Siegelaub entro il 15 febbraio 1969.
siegelaub

I contributi più interessanti sono quelli in cui compaiono le coordinate spaziali e temporali dei progetti realizzati in occasione della mostra, come ad esempio il lavoro inviato da Richard Long, che consiste nella descrizione di quattro fotografie scattate nei pressi di Bristol il 21 marzo: mezzanotte tra il 20 e il 21 marzo, fotografia che mostra il livello della marea del fiume Avon, nel tratto in cui attraversa il quartiere di Hotwells; alba – alle ore 6.00 -, fotografia dal Bristol Suspension Bridge; crepuscolo – alle ore 18.30 – , fotografia dal Severn Bridge; mezzanotte tra il 21 e il 22 marzo, replica dello scatto del fiume Avon ad Hotwells.

Anche il lavoro di Douglas Huebler è strettamente legato alle coordinate spazio-temporali, ma in maniera del tutto differente: Huebler seleziona 31 intervalli di tempo nel corso delle 24 ore del 14 marzo e assegna ciascun intervallo di tempo ad ognuno dei 31 artisti invitati a partecipare alla mostra One Month. Secondo le istruzioni di Huebler, ogni artista dovrà riferire la propria posizione fisica relativa al preciso intervallo di tempo assegnatogli, facendo riferimento alla propria ora locale. Il contributo in catalogo di Huebler è costituito dalla descrizione del suo progetto; una lista dei nomi dei 31 artisti, accompagnati da orario assegnato e posizione fisica, andrà a completare il lavoro.

Del tutto originale è infine il contributo inviato da Terry Atkinson e Michael Baldwin. I due artisti, cui vengono assegnati due giorni consecutivi – rispettivamente 3 e 4 marzo – inviano lo stesso testo con il quale si comunica che entrambi accettano il giorno assegnato (“Both Michael Baldwin and myself accept the day we have each been allocated/Both Terry Atkinson and myself accept the day we have each been allocated”), che il lavoro di ciascuno sarà recapitato “entro due settimane” e che consterà in tre o quattro fogli dattiloscritti.

Sfogliando One Month di Seth Siegelaub consultiamo un calendario fatto delle azioni degli artisti, non solo di quelli che vi hanno preso parte attiva, ma anche di quelli che, lasciando una pagina bianca, stimolano la curiosità di noi lettori riguardo alla loro giornata del marzo 1969.
Su Siegelaub e il tempo, vedi qui

Marina Andrea Colizzi