14 Novembre | 14th November

14 novembre 2024

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I no longer keep track of the date. Would you say – my dream of the 14th November last? There are intervals, but they are between dreams, and there is no consciousness of them left. The world around me is dissolving, leaving here and there spots of time. The world is a cancer eating itself away. . . I am thinking that when the great silence descends upon all and everywhere music will at last triumph. When into the womb of time everything is again withdrawn chaos will be restored and chaos is the score upon which reality is written. You, Tania, are my chaos. It is why I sing. It is not even I, it is the world dying, shedding the skin of time. I am still alive, kicking in your womb, a reality to write upon. 

Henry Miller, Tropic of Cancer, 1934

Non sto più dietro al calendario. Direte: ma il sogno del 14 novembre scorso? Ci sono intervalli, ma fra un sogno e l’altro, non ne rimane coscienza. Il mondo intorno a noi si dissolve, lasciando qua e là chiazze di tempo. Il mondo è un cancro che si divora… Penso a quando il grande silenzio scenderà su tutto e dappertutto; allora infine trionferà la musica. E quando tutto si sarà ritratto in grembo al tempo, tornerà il caos, ed il caos è la partitura su cui è scritta la realtà. Tania, tu sei il mio caos. Ecco perché canto. Non io, è il mondo che muore, che depone la pelle temporale. Ma io ancora vivo, ancora ti scalcio in grembo, sono ancora una realtà di cui si possa scrivere

 Henry Miller, Tropico del cancro, 1934, tr. it. L. Bianciardi, Feltrinelli 1973, p.16

 

È l’autunno del secondo anno a Parigi per il protagonista di Tropico del Cancro, un giovane americano senza “soldi, né risorse, né speranze”, ma con la sicurezza di essere un artista. A Parigi, nei primi anni Trenta, abita in un albergo dal nome italiano, Villa Borghese, gestito dall’amico Boris che compare proprio all’inizio del romanzo, con le sue idee sul Tempo e i pidocchi. Insieme a Boris, compaiono gli amici e le amiche di Montparnasse, fra cui Tania, evocata in questa pagina che parla di sogni, di sesso e ancora di tempo. 

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3 Novembre

3 novembre 2024

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E quando abbiamo finito di caricare le casse sul camion, uno di quegli ufficiali viene da me forse perché ero il più vecchio e mi dà la mano da stringere, ma vigliacco se io gliel’ho stretta. È stata una scena, chiedete alla gente di Alba che stava a vedere dalle finestre e non respirava nemmeno più per la paura che succedesse qualcosa da un momento all’altro. E questo è capitato il 3 di novembre ed è stata una cosa speciale perché se non è speciale che un vivo giochi la sua pelle per portare a casa dei morti, allora di speciale non c’è più niente

Beppe Fenoglio, Vecchio Blister, 1952, in I ventitré giorni della città di Alba, Mondadori 1974, p.66

Il racconto del vecchio Blister, un partigiano che si è macchiato di un furto e attende la sentenza dei compagni, rievoca un episodio della storia di Alba. Conquistata il 10 ottobre del 1944 dalle forze partigiane, la città piemontese cade di nuovo in mano all’esercito della Repubblica Sociale “alle ore due pomeridiane del giorno 2 novembre 1944”. E il 3 novembre, il vecchio Blister recupera i cadaveri dei partigiani morti nella battaglia del giorno prima.

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30 Agosto

30 agosto 2024

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Una volta all’anno, ma sempre in un bel mese, mi arrivano per posta dieci cartoline illustrate di Napoli. Le ricevo tutte insieme, un pacchetto di immagini, un piccolo film; dietro ogni cartolina leggo semplicemente la data e una firma: Luigi De Manes. È un mio vecchio amico, fu giovane con me; scrive il mio indirizzo e il suo nome sulle cartoline e per il resto si rimette a ciò che esse presumibilmente resusciteranno nel destinatario, solo che costui voglia degnare di una affettuosa occhiata i luoghi riprodotti. Bene. Dieci “illustrate al platino”, ossia lucide e lisce come i medaglioni; dunque, caro Luigi, ecco i facilissimi pensieri che mi sono derivati dalle tue cartoline del 30 agosto, senti”

Giuseppe Marotta, Cartoline, in L’oro di Napoli, 1947, ed. cons. Bompiani, 1961, p. 79

Il 30 agosto, come ogni anno, il narratore – trasferitosi da Napoli a Milano – riceve dieci cartoline della sua città. Senza messaggi, portano solo la firma dell’amico che le invia e la data estiva, del “bel mese” di agosto, quando “l’aria odora di alberi e di carne giovane, non so, come se le foglie crescessero sul capo di un bambino”.
Tutte insieme, costituiscono un “piccolo film”, fatto di diversi episodi accaduti nelle strade, sulle spiagge, in barca. Memoria e nostalgia si condensano nelle dieci immagini che aprono un varco nel tempo e subito lo richiudono: “il passato non serve a niente e l’avvenire sembra o è altrettanto inutile”.

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26 Agosto

26 agosto 2024

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– Niente è accaduto, i fatti sono sempre quelli. I fatti sono lì; – era tornato alla tavola e premeva con le palme aperte sullo scartafaccio del Diario – quel che importa, che mi sconvolge, non sono i fatti, tutti li sanno; sono i rapporti, le concorrenze, la interpretazione; è qui – e con l’indice, lungo e secco che pareva un bastone, picchiava sui margini coperti di note minutissime in inchiostro rosso.
Maurizio ricordò i vaneggiamenti sul ventisei di agosto, che a suo tempo Carmela gli aveva raccontati, e respirò. Carmela uscì in un riso ebete, ma l’abate la fulminò. Narcisa rimaneva fredda e attenta. Poiché ora lo sguardo febbrile dell’abate era arrivato su lei, ella disse rigidamente:
– Per conto mio, le prometto il più rigoroso segreto.
– Ecco; lo confesso, io m’ero ingannato allora, quando ho trovato quella coincidenza di date

Massimo Bontempelli, Gente nel tempo, 1937, ed. cons. Mondadori 1942, pp. 114-115

“È a forza di anniversari che il tempo se ne va tanto presto, invece gli uomini ci hanno una vera passione”. Nella storia della famiglia Medici, le date hanno una fatale importanza, scandendo la successione della scomparsa dei componenti, a partire dalla nonna delle due protagoniste (le sorelle Nora e Dirce), la “Gran Vecchia”, morta il 26 agosto del 1900. È una suggestione collettiva che coinvolge, oltre alla famiglia, l’intero paese e soprattutto l’abate Clementi, che registra su un Diario il ritmo “astrale” delle date di famiglia, a partire da quel 26 agosto di inizio secolo, per poi ammettere che “non importa morire, importa non sapere quando”. “Se uno quando c’è ci pensasse forte, ma ben forte, mi pare che il tempo non dovrebbe andarsene a questo modo”.

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30 Luglio | 30 juillet

30 luglio 2024

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La jeune fille écrit sur la carte postale.
Sur la carte postale, du côté de l’écriture, il y a maintenant le nom de la jeune fille, la date, 30 juillet 1980, et la date et l’heure à laquelle il devra venir dans dix ans, le 30 juillet 1990, minuit.
Du côté de l’image il y a l’endroit de la plage de la veille, au croisement du chemin des tennis, de la promenade et de la rue de Londre, si belle, elle dit, la plus belle de toutes, sa préférée, belle comme  un tunnel de lumière de soleil devant la mer

Marguerite Duras, Yann Andréa Steiner, 1992

La ragazza scrive la cartolina. Sulla cartolina, dalla parte della corrispondenza ora c’è il nome della ragazza, la data, 30 luglio 1980 e la data e l’ora in cui lui dovrà tornare tra dieci anni, il 30 luglio 1990, a mezzanotte. Dalla parte dell’illustrazione c’è il punto della spiaggia del giorno prima, all’incrocio tra il sentiero per i campi da tennis, la passeggiata e la rue de Londres, così bella dice lei, la più bella di tutte, la sua preferita, bella come un tunnel di luce del sole davanti al mare

Marguerite Duras, Yann Andréa Steiner, 1992, tr. it. L. Prato Caruso, Feltrinelli 1993, p.75

Estate del 1980: la storia della convivenza della narratrice con un giovane, Yann, che potrebbe essere suo figlio, è intrecciata con altre storie, immaginate o intuite nella stessa estate nella località delle Roches Noires, nel nord della Francia. In una di queste storie, la giornata del 30 luglio, una giornata in cui il cielo sembra “di lacca azzurra”, è richiamata due volte: nel presente del racconto (il 1980) e nel futuro 1990, in uno strano appuntamento nel tempo fissato su una cartolina comprata nel bazar.

 

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28 Luglio | 28 de julio

28 luglio 2024

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De las funestas consecuencias que puede traer la creencia de que el 28 de julio llega el 28 de julio.¡ Isaac había convencido a su hermano Julio que el 28 de julio debía celebrarse el 28 de julio! Julio Carbajal dudaba.
– Estamos en diciembre de 2192, Isaac. Huarautambo se prepara para la Navidad. El mismo padre Chasàn arma un nacimiento en la iglesia de Yanahuanca.
Isaac consultò un calendario de la antigüedad.
– Estamos en julio de 1962. Dentro de quince días se celebrará la independencia. ¡Tú festeja en 28 el 28!

Manuel Scorza, Cantar de Agapito Robles (cantar quatro), 1977

Delle funeste conseguenze che può comportare il convincimento che il 28 luglio cada il 28 luglio.
Isaac aveva convinto suo fratello Julio che il 28 luglio doveva essere festeggiato il 28 luglio! Julio Carbajal esitava. 
“Siamo nel dicembre 2192, Isaac. Huarautambo si prepara per il Natale. Lo stesso padre Chasán sta organizzando un presepio nella chiesa di Yanahuanca.”
Isaac consultò un calendario dell’antichità.
“Siamo nel luglio 1962. Fra quindici giorni si celebra l’indipendenza. Tu festeggia il 28 il 28!”

Manuel Scorza, Cantare di Agapito Robles, 1977, tr. it. A. Morino, ed. cons. Feltrinelli, 1983, p. 98

Durante la tirannia del giudice Montenegro, nella regione peruviana di Huanuco, anche il tempo è stato modificato. I mesi hanno durata variabile, i giorni vanno avanti e indietro secondo l’arbitrio del tiranno, per cui l’anno della vicenda, il 1962, è diventato il 2192. E il mese di luglio, nel quale ricorre l’indipendenza del Perù – 28 luglio 1821 – è diventato periodo natalizio. Mentre l’indio leggendario Agapito Robles prepara la rivolta, i due fratelli Carbajal – uno dei quali è maestro di scuola – consultano un calendario gregoriano, precedente quello imposto dalla dittatura, e con coraggio decidono di festeggiare l’anniversario dell’indipendenza nel giorno in cui cade, il 28 di luglio. Ci vorranno molte lotte per spodestare il tiranno Montenegro e riportare anche il tempo nei suoi binari, ridando a mesi e giorni i nomi consueti e alle date la loro storia.

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3 Luglio

3 luglio 2024

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Era il tre luglio. C’erano un’afa e una calura insopportabili. A Velciàninov era capitata una giornata fastidiosissima; tutta la mattina aveva dovuto girare a piedi o in vettura, e in prospettiva c’era la necessità imprescindibile di far visita quella sera stessa a un signore di cui aveva bisogno, uomo d’affari e consigliere di stato, nella sua villa, da qualche parte sul Fiumicello Nero, e coglierlo in casa di sorpresa. Dopo le cinque Velciàninov entrò finalmente in un ristorante (molto dubbio, ma francese), sul Nevskij prospékt presso il ponte della Polizia, sedette nel suo solito angolo al suo tavolino e chiese il suo pranzo quotidiano

Fiodor Dostoevskij, L’eterno marito, 1870, tr. it. A. Polledro, Mondadori 1989, p. 10

È il 3 luglio di un anno dell’Ottocento, quando ha inizio la vicenda di Velciàninov, che invece di partire per la villeggiatura, decide di restare a Pietroburgo per stare dietro a una causa. È un uomo sui quarant’anni, soffre d’insonnia e da qualche tempo ha l’impressione di essere seguito. Lo aspetta in effetti l’incontro con il marito di una sua ex amante e con una bambina di otto anni, Liza, forse la figlia avuta da quella relazione. Preso da questa rivelazione e dalle sue conseguenze, Velciàninov dimentica “perfino il tempo”, in quel luglio afoso trascorso in città.

 

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29 Giugno

29 giugno 2024

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Sebbene, specie da principio, lo sforzo fosse durissimo, mi feci una sorta di punto d’onore di sottostare scupolosamente ai divieti di Micòl. Basti dire che essendomi laureato il 29 di giugno, ed avendo immediatamente ricevuto dal professor Ermanno un caldo bigliettino di felicitazioni nel quale era contenuto, tra l’altro, un invito a cena, credetti opportuno rispondere di no, che mi dispiaceva ma non potevo. Scrissi che avevo mal di gola, e che il papà mi proibiva di uscire la sera. La ragione vera del mio rifiuto, tuttavia, era che dei venti giorni di esilio impostimi da Micòl, ne erano trascorsi soltanto sedici

Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini, Einaudi, 1962, p. 241

Nella storia dell’amicizia del narratore con la famiglia Finzi-Contini – soprattutto con la giovane Micòl – nella Ferrara degli anni Venti e Trenta del Novecento, si incontrano poche date. Alcune richiamano avvenimenti storici, come le infauste leggi razziali contro gli Ebrei, emanate nel 1938. La data del 29 giugno appare verso la fine della vicenda, è il giorno della laurea del protagonista, la cui felicità è incrinata dalla promessa fatta a Micòl di non vedersi per un po’. Il 29 giugno richiama, come un chiasmo, il primo incontro fra i due giovani, nel giugno del ’29 quando il narratore, rimandato agli esami di licenza ginnasiale, era capitato sotto il muro di cinta della dimora dei Finzi-Contini. E Micòl, allora tredicenne, l’aveva invitato a scavalcare il muro per entrare nel giardino. Quando la vicenda viene raccontata, la famiglia Finzi-Contini è stata decimata dalla guerra e dall’Olocausto e il narratore si chiede: “Quanti anni sono passati da quel remoto pomeriggio di giugno?”

Il 29 giugno 2015 a Fahrenheit – Radio 3 Rai conversazione di Tommaso Giartosio con Alberto Bertoni, Roberto Pazzi e Antonella Sbrilli su Giorgio Bassani e i suoi 29 giugno (leggi razziali del 29 giugno 1939 e nascita del figlio dello scrittore).

 

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2 Giugno | June 2nd

2 giugno 2024

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Quinn was nowhere now. He had nothing, he knew nothing, he knew that he knew nothing. Not only had he been sent back to the beginning, he was now before the beginning, and so far before the beginning that it was worse than any end he could imagine.
His watch read nearly six. Quinn walked home the way he had come, lengthening his strides with each new block. By the time he came to his street, he was running. It’s June second, he told himself. Try to rememberr that.This is New York and tomorrow will be June third. If all goes well, the following day will be the fourth. But nothing is certain

Paul Auster, City of Glass, (The New York Trilogy), 1985

Adesso Quinn non era in nessun luogo. Non aveva niente, non sapeva niente. Non soltanto era stato rimandato alla partenza; ora si trovava prima della partenza, in un punto così antecedente alla partenza da essere peggio di qualunque arrivo immaginabile.
Il suo orologio faceva quasi le sei. Tornò a casa per la stessa strada dell’andata, allungando il passo di isolato in isolato. Prima di raggiungere la sua via, aveva incominciato a correre. È il due di giugno, disse fra sé. Cerca di ricordarlo. Questa è New York, e domani sarà il tre di giugno. Se tutto va bene, l’indomani sarà il quattro giugno. Ma niente è sicuro

Paul Auster, Città di vetro, 1985, tr. it. M. Bocchiola, Trilogia di New York, Einaudi, 1996, p. 109

La vicenda di Daniel Quinn, scrittore di romanzi gialli che firma con lo pseudonimo di William Wilson (nome tratto da un racconto di Edgar Allan Poe), è iniziata nel mese di maggio. In una telefonata notturna, Quinn è stato interpellato col nome di Paul Auster e incaricato- come fosse un detective – di una strana inchiesta. Deve proteggere un uomo, Peter Stillman, dal padre – omonimo – che lo ha tenuto segregato per anni per fare degli esperimenti sul linguaggio. Pedinamenti, ricerche, dialoghi fra persone e personaggi, nomi e pseudonimi, hanno luogo nella città di New York all’insegna del doppio e del dubbio, mentre maggio diventa giugno e offre, con la sequenza dei giorni, un appiglio, forse. 

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Date in coincidenza: Joyce, Svevo e un libro di Enrico Terrinoni

Date in coincidenza: Joyce, Svevo e un libro di Enrico Terrinoni

di Sandra Muzzolini

Nella recensione al libro di Antonella Sbrilli Il gioco dei giorni narrati, primo nucleo del progetto editoriale di cui fa parte questo blog, Umberto Eco scrive: “Si sa di autori che hanno situato la loro vicenda in una data precisa per ragioni magico-sentimentali, perché era un giorno in cui a loro (non ai personaggi) era accaduto un evento mirabile, e in tal senso un crononimo lasciato cadere quasi per caso può tener luogo di una rinnovata dichiarazione d’amore.”
Questa osservazione vale sicuramente per una delle date letterarie più note, quel 16 giugno 1904 in cui si svolge l’Ulisse di Joyce e che oggi è festeggiato in Irlanda e in altri paesi come “Bloomsday”.
Sappiamo infatti che Joyce scelse quel giorno perché era una delle date più importanti nella sua storia d’amore con Nora Barnacle. Ma l’attenzione e la fascinazione dello scrittore irlandese per le date, i nomi e i numeri vanno ben oltre questa scelta, come ci spiega in un libro uscito alcuni mesi fa lo studioso Enrico Terrinoni, esperto traduttore di Joyce.

La vita dell’altro – Svevo, Joyce: un’amicizia geniale (Bompiani, 2023) ci offre una ricca e ben documentata ricostruzione del rapporto d’amicizia tra i due scrittori, delle loro affinità elettive ed anche caratteriali. Sorprendono le numerose corrispondenze tra i due scrittori e le loro opere, tra le loro vite e quelle dei loro personaggi, quei continui travasi dal piano dell’esistenza a quello della scrittura per i quali Svevo coniò il concetto di “vita letteraturizzata”.  Scrive Terrinoni in una postfazione specificamente dedicata alle coincidenze: “Le loro vite, come i loro libri, sono infatti abitate anche da numeri, cifre, date, orari che le colorano di misteriosi echi. Quasi che entrambi sfogassero in rare ricorrenze numeriche certe attitudini vagamente superstiziose.”

Joyce era particolarmente, anzi maniacalmente, attento alle date, cui assegnava un valore magico, augurale. Era sempre felice di scoprire coincidenze che riguardavano le date dei compleanni delle persone con cui entrava in contatto. Era nato a Dublino il 2 febbraio 1882 e in quella stessa data fu pubblicato l’Ulisse, nel 1922; il 2 febbraio 1939 ricevette le prime copie rilegate del Finnegans Wake. Sarà stato sicuramente contento di scoprire che anche l’amico triestino aveva scelto questa data per uno snodo fondamentale del romanzo La coscienza di Zeno: “Oggi, 2 febbraio 1886, passo dagli studii di legge a quelli di chimica. Ultima sigaretta!!”.

Ci sono anche altri aspetti del libro di Terrinoni che i lettori di questo blog sicuramente apprezzano: il discorso sul tempo, rilevante in entrambi gli scrittori, e il gusto per l’invenzione linguistica e per i giochi di parole. La sovrapposizione di letteratura e vita, gli intrecci che uniscono le opere dei due scrittori in un misterioso entanglement e la circolarità e simultaneità del tempo della narrazione trovano un’originale sintesi nei titoli di gusto joyciano di alcuni capitoli: Narravita, Senilitalia, Zenotipia e Finizio.

Sandra Muzzolini, 12 aprile 2024

6 Aprile | April 6th

6 aprile 2024

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Tess stood in reverie a long time before she thought of asking ‘Liza-Lu to come in and sit down. When she had done so, and ‘Liza-Lu was having some tea, she came to a decision. It was imperative that she should go home. Her agreement did not end till Old Lady-Day, the sixth of April, but as the interval thereto was not a long one she resolved to run the risk of starting at once.

Thomas Hardy, Tess of the d’Urbervilles, 1891

Tess rimase a lungo sospesa nel le proprie fantasticherie prima di decidersi a far entrare Liza-Lu e invitarla a sedersi. Poco dopo, mentre Liza-Lu sorseggiava un poi di tè. Tess prese la decisione. Doveva assolutamente tornare a casa. Il suo contratto scadeva il giorno della Vecchia Annunciazione, il sei di aprile, ma, giacché non mancava poi molto, pensò di correre il rischio e partire subito. 

Thomas Hardy, Tess dei d’Urberville, 1891, tr. it. M. Esposito, Feltrinelli 2016

Prima che anche in Inghilterra – nel Settecento – entrasse in vigore il calendario gregoriano, il giorno dell’Annunciazione (25 marzo) era celebrato il 6 aprile. Era una data importante, che segnava le scadenze dei contratti di lavoro nelle campagne. E anche dopo il cambio di calendario, la data dell’antica festa dell’Annunciazione rimase quella dei traslochi degli agricoltori da una fattoria all’altra. La vicenda della giovane Tess è a una nuova svolta: il padre è appena morto e la sua famiglia deve lasciare la casa; sta per incontrare ancora Alec d’Urberville, il falso parente che l’ha messa incinta di un bambino (poi morto), incrinando la sua reputazione e rovinando il suo matrimonio con Angel Clare, che l’aveva sposata senza conoscere quell’episodio. Il 6 aprile, giornata di vento pungente, Tess parte con il carro in cerca di un alloggio e incontro alle nuove svolte del suo destino. 

 

Dicono del libro

Dicono del libro
“Quando leggiamo ‘Tess dei d’Urberville’, ci sembra che i tesori di immaginazione visionaria, che da secoli si erano annidati in ogni angolo della campagna inglese, si ridestino clamorosamente. La solenne fantasia architettonica, che aveva creato i pilastri e gli altari di Stonehenge: la fantasia superstiziosa, che serpeggiava nelle foreste druidiche; l’ebbrezza alcoolica, che scintillava sulle scene elisabettiane e nelle birrerie del Wessex; le avventure del romanzo settecentesco, da Defoe a richardson, le più fosche invenzioni romantiche – tutto quanto era esistito di meravigliosamente e assurdamente anglosassone si dà convegno in queste brughiere, in questi campi funestati dall’inverno o intiepiditi dalla dolcezza dell’autunno”
(Pietro Citati, dall’introduzione all’ed. Rizzoli, op. cit.)

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4 Aprile | April 4th

4 aprile 2024

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The thing that he was about to do was to open a diary. This was not illegal (nothing was illegal, since there were no longer any laws), but if detected it was reasonably certain that it would be punished by death, or at least a forced-labor camp. Winston fitted a nib into the pen holder and sucked it to get the grease off. The pen was an archaic instrument, seldom used even for signatures, and he had procured one, furtively and with some difficulty, simply because of a feeling that the beautiful creamy paper deserved to be written on with a real nib instead of being scratched with an ink pencil. Actually he was not used to writing by hand. Apart from very short notes, it was usual to dictate everything into the speakwrite, which was of course impossible for his present purpose. He dipped the pen into the ink and then faltered for just a second. A tremor had gone through his bowels. To mark the paper was the decisive act. In small clumsy letters he wrote:  April 4th, 1984

 

George Orwell, 1984, 1949

La cosa che si disponeva a fare consisteva nell’incominciare un diario. Ciò non era illegale (nulla era illegale, poiché non c’erano più leggi); ma se comunque fosse stato scoperto, non c’era dubbio che sarebbe stato condannato a morte, o a venticinque anni almeno di lavori forzati. Winston infilò un pennino nella cannuccia e lo succhiò, come s’usa, per facilitare la presa dell’inchiostro. La penna era uno strumento antiquato, che si adoperava assai di rado, perfino per le firme importanti, e lui se n’era procurata una di nascosto e non senza difficoltà, solo perché sentiva che quei bei fogli color crema meritavano che ci si scrivesse sopra con un vero pennino, anziché d’essere grattati con una delle tante matite a inchiostro. Veramente non aveva l’abitudine di scrivere a mano. Con l’eccezione di qualche breve appunto, di solito dettava ogni cosa al dittografo, un apparecchio che registrava e trascriveva tutto ciò che si diceva in un microfono, e che era assurdo pensar di adoperare nella presente circostanza. Intinse la penna nel calamaio e quindi esitò un istante. Ebbe un tremito fin nelle budella. Segnare la carta sarebbe stato l’atto decisivo. Con certe piccole goffe cifre, scrisse: “4 aprile 1984”

George Orwell, 1984, 1949, tr. it. G. Baldini, Mondadori 1989, pp.10-11

 È una fresca e limpida giornata di aprile quando Winston Smith comincia a scrivere il suo diario, su un quaderno ingiallito comprato da un robivecchi. È il 4 aprile 1984, anche se dell’anno non è sicuro, perché, nel mondo dominato dal Grande Fratello, non “era possibile buttar giù una qualsiasi data se non con l’approssimazione d’un anno o due”. Ha deciso di scrivere il diario grazie al fatto che il suo appartamento ha una rientranza nel muro, dalla quale è possibile rimanere fuori dal campo visivo del teleschermo che controlla l’interno della casa. Addetto alla correzione delle notizie  a stampa per renderle conformi al regime, Winston non si adatta del tutto alle regole del Grande Fratello e il diario è la prima forma di autonomia che egli manifesta.  

 

Dicono del libro

Dicono del libro
“1984. Londra. Il mondo è diviso in due iperstati simili e in guerra fra loro. In Oceania la società è governata secondo i principi del Socing, il Socialismo Inglese, dal Grande Fratello, che tutto vede e tutto sa. I suoi occhi sono le telecamere che spiano di continuo nelle case, il suo braccio è la psicopolizia che interviene al minimo sospetto. Tutto è permesso, non c’è legge scritta. Tranne pensare, se non secondo il Socing. Tranne amare, se non per riprodursi. Tranne divertirsi, se non con i programmi TV di propaganda. Dal loro rifugio, in uno scenario desolante da medioevo postnucleare, l’ultimo uomo in Europa (questo il titolo che avrebbe preferito l’autore) e la sua compagna lottano disperatamente per conservare un granello di umanità”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)

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14 Marzo | March 14

14 marzo 2024

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The first witness was the Hatter. He came in with a teacup in one hand and a piece of bread-and-butter in the other. ‘I beg pardon, your Majesty,’ he began, ‘for bringing these in: but I hadn’t quite finished my tea when I was sent for.’
‘You ought to have finished,’ said the King. ‘When did you begin?’
The Hatter looked at the March Hare, who had followed him into the court, arm-in-arm with the Dormouse.
‘Fourteenth of March, I think it was,’ he said.
‘Fifteenth,’ said the March Hare.
‘Sixteenth,’ added the Dormouse.
‘Write that down,’ the King said to the jury, and the jury eagerly wrote down all three dates on their slates, and then added them up, and reduced the answer to shillings and pence

Lewis Carroll, Alice in Wonderland, 1865

Il primo testimone era il Cappellaio. Si presentò con una tazza di tè in mano e un pezzo di pane imburrato nell’altra. – Chiedo perdono, vostra Maestà, – cominciò, – se sono qui con queste cose; ma non avevo ancora finito il mio tè quando sono stato convocato.
– Dovresti aver finito, – disse il Re. – Quando iniziasti?
Il Cappellaio guardò la Lepre Marzola, che l’aveva seguito in tribunale a braccetto del Ghiro. – Il quattordici marzo, mi pare, – disse.
– Il quindici, – disse la Lepre Marzola.
– Il sedici, – disse il Ghiro.
– Prendetene nota, – disse il Re alla giuria; e la giuria diligentemente annotò sulle lavagnette tutte e tre le date, poi fece la somma e convertì il totale in scellini e penny

Lewis Carroll, Alice nel paese delle meraviglie, 1865, tr. it. A. Ceni, Einaudi, 2003, p. 107

La porta principale attraverso cui si entra nel Paese delle Meraviglie è quella del Tempo, avverte Stefano Bartezzaghi nell’introduzione all’edizione Einaudi delle Avventure di Alice. Il tempo – già di per sé una meraviglia, un indovinello senza soluzione – è il protagonista di situazioni e dialoghi paradossali. Le avventure di Alice si svolgono in maggio: lo dice la bambina, dopo aver incontrato la Lepre Marzola (“forse, poiché siamo di maggio, non matta da legare”). Più avanti, nel capitolo Un tè da matti, viene fuori la data del 4, insieme con un mirabile orologio che, invece dell’ora, segna il giorno del mese. Poiché il Paese delle Meraviglie è un luogo di discussioni, anche la data è oggetto di negoziazione, come in questo capitolo XI (Chi rubò le crostate?), in cui il testimone è contraddetto dalla Lepre Marzola e dal Ghiro e le cifre delle date sono commutate in denaro. Poiché il Paese delle Meraviglie è un luogo di non-certezze, anche la data pare il 14 marzo, ma anche il 15 o il 16. Dipende dall’unità di misura o di cambio del Tempo.

 

Dicono del libro

Dicono del libro
“Le avventure straordinarie della piccola Alice in un bizzarro mondo alla rovescia sono molto piú di un classico per l’infanzia. Se da un lato vi si può leggere una parabola che svela le assurdità e le incoerenze della vita adulta, dall’altro vi si coglie, immediata, una raffinatissima abilità linguistica, dove il gusto per il paradosso e il calembour, il nonsenso e la parodia si esprimono con impareggiabile inventiva. Un classico, quindi, cui hanno guardato molti protagonisti della letteratura del Novecento da Queneau a Nabokov”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Einaudi, op. ci.t)

 

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22 Febbraio | 22 February

22 febbraio 2024

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He poured himself a nightcap and went into the study to perform the nightly ritual of altering the date of the calendar on his desk. Saturday, 21 February. Great Heavens! It was Sunday morning! Sunday, 22 February. Exactly eight days since the infernal business at the Hanging Rock.
As soon as Albert had attended to the horses he flung himself fully clothed on his unmade truckle bed and fell asleep. He seemed to have hardly laid his head on the pillow before he was wide awake and staring at the little square of grey light at the window, with the events of yesterday, no longer confused by physical exhaustion as they had been last night, falling neatly into place like the pieces of a fretwork puzzle. Except that one of the key pieces was missing. Which was it, and where exactly fit it fit into the pattern?
Joan Lindsay, Picnic at Hanging Rock, 1967, Penguin Books, 1970, p. 90

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Si versò un bicchierino di liquore ed entrò nello studio per compiere il rito serale di cambiare la data sul calendario dello scrittorio. Sabato, 21 febbraio. Santo Cielo!  Era domenica mattina! Domenica, 22 febbraio. Esattamente otto giorni dal dannato affare alla Hanging Rock. Albert, appena terminato di accudire ai cavalli, si buttò tutto vestito sulla branda non rifatta e si addormentò. Gli pareva di avere posato la testa sul guanciale solo da un momento ed era già completamente sveglio e fissava il minuscolo quadrato di luce grigia alla finestra; intanto gli avvenimenti del giorno prima, non più confusi per la stanchezza fisica come lo erano la sera precedente, si collocavano ordinatamente al loro posto come i pezzi di un rompicapo. Ma mancava uno dei pezzi chiave. Qual era? E dove andava sistemato esattamente nel disegno? 

Joan Lindsay, Picnic a Hanging Rock, 1967, tr. it. M.V. Malvano, Sellerio 1993, p.101

L’uomo che cambia la data sul calendario dello scrittoio è il colonnello Fitzhubert, lo zio di Mike, il giovane aristocratico che, con l’amico stalliere Albert, ha visto per l’ultima volta le ragazze scomparse ad Hanging Rock la settimana prima. Durante un picnic organizzato dal collegio Appleyard nel giorno di San Valentino, Miranda, Marion, Irma, Edith e un’insegnante di matematica si sono allontanate in direzione della grande roccia vulcanica, mentre gli orologi sono tutti fermi a mezzogiorno. Solo Edith è tornata indietro, sconvolta da qualcosa che non è in grado di spiegare. Il giovane Mike non si dà pace e continua la ricerca solitaria delle ragazze, mentre lo zio lo aspetta a casa e si accorge che è passato un altro giorno dallo strano accadimento.“Non esiste un solo attimo su questo globo rotante che non sia, per milioni di individui, non misurabile con i comuni sistemi di computo del tempo: un frammento di eternità per sempre privo di rapporto con il tempo e l’orologio”.

Dicono del libro
Dicono del libro
“Hanging Rock, la roccia vulcanica che sorge isolata e improvvisa nella macchia australiana a nord di Melbourne, fu davvero teatro, nel 1900, dell’evento narrato in questo libro: la scomparsa mai spiegata di due fanciulle e una matura insegnante di college, seguita dalla immediata rovina di tante esistenze a quelle vite collegate (…) ‘Se Picnic a Hanging Rock sia realtà o fantasia, i lettori dovranno deciderlo per proprio conto’ “(dalla bandella dell’ed. Sellerio, op. cit.)

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“Era ora” un film con le date dipinte

Il fim Era ora (2022), “commedia esistenziale” diretta da Alessandro Aronadio, interpretata da Edoardo Leo e Barbara Ronchi, distribuita da Netflix, è un piccolo regalo per chi è attratto dal grande tema del tempo e delle invenzioni narrative che ne raccontano i paradossi e i vincoli. La storia – ispirata a Long Story Short di Josh Lawson – è imperniata sul giorno del compleanno del protagonista Dante, un manager talmente concentrato sulla vita lavorativa che passa dal 26 ottobre del suo quarantesimo compleanno a quelli successivi senza rendersi conto di ciò che accade ai suoi cari: la moglie delicata illustratrice, la figlia Galadriel, il padre che perde la memoria, gli amici, le colleghe.
Solo nelle 24 ore del compleanno, il tempo della sua vita coincide con quello condiviso dagli altri, e Dante fa i conti con i cambiamenti di cui non si è accorto nel ritmo condensato delle sue giornate iperattive.
Una parte importante della storia è affidata alla figura della moglie Alice, che firma i suoi disegni con un datario, un vecchio timbro a data da ufficio, in cui le cifre giorno-mese-anno vanno sistemate manualmente.

A chi conosce il panorama degli artisti contemporanei interessati al tempo, non può non venire in mente la tecnica di Federico Pietrella, che ha sviluppato negli anni uno stile peculiare, in cui le forme rappresentate nelle sue tele – paesaggi, interni, ritratti –  sono ottenute proprio attraverso datari. E difatti, nel film, dal dettaglio della data si passa a vedere una grande composizione in cui il volto emerge dalla sapiente trama, più e meno fitta, più e meno regolare, delle date.


Ma anche i disegni di Alice hanno una fonte artistica reale, le opere dell’illustratrice e scrittrice Beatrice Alemagna,  pluripremiata, fra l’altro, per il libro, dal titolo assai pertinente, Un grande giorno di niente. Aver inserito gli stili di questi due artisti italiani nella narrazione dà al film un valore aggiunto, un’intensità visiva che accende la curiosità e permane nella memoria.

(a.s.)

Su diconodioggi: Le date dell’artista Federico Pietrella, di Franco Chirico
e Notizie da una mostra sul tempo

Trasformare le date in immagini con l’IA

Le multiformi ricerche in corso sull’Intelligenza Artificiale e il machine learning stanno aprendo nuove strade anche alla creazione di immagini generate a partire da grandi database di riproduzioni. Le così dette reti generative avversarie (GAN) hanno prodotto esempi plausibili di ritratti in stile sette-ottocentesco, che assomigliano, senza replicarle, alle immagini di addestramento (uno di questi ritratti fu venduto da Christie’s  nel 2018), scatenando discussioni sull’autorialità, sul valore, sulla natura estetica di questi nuovi prodotti tecnologici e creativi. 
Di recente, diversi progetti in corso  – fra cui Dall-E e Midjourney – mettono a disposizione di utenti invitati dei software che trasformano input di testi in immagini, creando aggregati visivi che mescolano fotorealismo, fantasy, stili artistici canonici, effetti cromatici ecc.
Come spiega Pietro Minto nell’articolo Un’intelligenza artificiale può creare arte? (Il Post, maggio 2022), si tratta di immagini prodotte

“da un’intelligenza artificiale. O, più precisamente, da un modello di linguaggio chiamato Generative Pre-trained Transformer (GPT), in grado di generare immagini (ma anche testi) sulla base di input testuali. Questo genere di modelli, normalmente, deve essere «allenato» dai suoi ricercatori, che scelgono, curano e inseriscono nel sistema documenti e testi in modo che l’intelligenza artificiale li possa analizzare, imparando i meccanismi della scrittura o dell’arte umana. La caratteristica principale di GPT è la sua relativa indipendenza: una volta ricevute le enormi moli di documenti su cui basarsi, il modello di linguaggio evolve, come se imparasse da solo senza bisogno di “spiegazioni”.

Gli utenti invitati che stanno usando Dall-E o Midjourney, e condividendo i risultati sui social network, rivelano una gamma di potenzialità degli strumenti e della loro risonanza con le chiavi di ricerca testuali utilizzate. C’è chi chiede all’algoritmo di produrre figure o scene alla maniera di artisti famosi, chi scrive incipit di romanzi, chi storyboard di fumetti (è il caso dell’artista Francesco D’Isa) e qualcuno anche delle date, vere o fantastiche.

Immettendo il testo “30 febbraio 2068” in Dall-E si ottiene la sequenza cosmica sopra riprodotta, mentre l’immagine in apertura e in chiusura, accesa di rossi, è la risposta di Midjourney all’inserimento della stessa data impossibile: scene narrative da un mondo con altri calendari. (as)


La coerenza del tempo: Letizia Cariello

Nella sua pagina Instagram, l’artista Letizia Cariello accoglie con una scelta di immagini legate alla sua ricerca sul tempo: dettagli delle sue opere – fra cui spicca la serie dedicata ai calendari -, scorci di natura, incontri, letture significative. Gli hashtag che accompagnano le immagini sono selezionati con cura:  #dayafterday, #nulladiesinelinea,#listentotime e molti altri che raccontano nella forma della scrittura breve quello che le opere fanno con le loro materie e le loro forme.
Laureata in Storia dell’arte all’Università di Milano e in Pittura all’Accademia di Brera, docente di Disegno anatomico nella stessa Accademia, Letizia Cariello – come si legge nel suo sito – “intende intercettare la coerenza del tempo”, cercando di renderne percettibili le tracce. Il filo rosso, con cui lega oggetti quotidiani e trapunta fotografie è una delle espressioni di questo intento.

Così come la scrittura dei calendari, forme circolari riempite fittamente e ritmicamente di lettere e numeri, date sintetizzate in un codice alfanumerico personale che attira chi guarda nel cerchio ottico di una lingua da decifrare.
Artista dalle letture raffinate e multidisciplinari, votata alla riflessione, Letizia Cariello spiega con grande efficacia l’impulso alla creazione dei suoi calendari con un esempio: quando viene nominato un giorno nel futuro, lei inizia a cercarlo perché quel giorno non c’è ancora; entità inafferrabile e ansiogena, la porzione di futuro diventa addomesticabile nel momento in cui l’artista costruisce con le date un ponte nel tempo.
Ecco qui la sua spiegazione in un video dal titolo I calendari compulsivi.

A questo indirizzo il sito dell’artista e la sua  pagina Instagram

(as)

Il codice delle date: Marcello De Angelis

Time Frame è una tipologia di opere di Marcello De Angelis (Villafranca VR, 1977), un artista la cui ricerca è rivolta – come dichiara egli stesso in apertura del suo sito – ad “imbrigliare la materia pittorica entro un ordine razionale”, utilizzando schemi, griglie, procedure, regole, codici. 
Le opere del ciclo Time Frame, per esempio, si presentano come tele di 15×20 cm, su cui sono raffigurate, su righe sovrapposte, due sequenze di segni di colore diverso, stanghette verticali in leggero rilievo, il cui ritmo sottende un mistero da risolvere. E infatti si tratta  della traduzione in codice binario di due date: il giorno di nascita del committente dell’opera, e il giorno in cui l’opera viene commissionata. I colori variano, a seconda del gusto e del caso (oro e verde su fondo azzurro nell’esemplare qui riprodotto). 

Dietro questa configurazione tattile, visiva e matematica, c’è un certosino lavoro sul rapporto fra il codice e le date (e dunque il tempo), a cui De Angelis si dedica dal 2016, quando introduce l’uso del codice binario per la serie di opere CODEX (CDX), dapprima per codificare i colori e poi – via via che la serie procede –  per rappresentare pittoricamente in codice binario l’anno, il mese, la settimana e il giorno in cui l’opera è stata dipinta, con i suoi colori. 
Memore delle sequenze ipnotiche di tele nere con date bianche di On Kawara, De Angelis si applica a studiare la disposizione per esporre la sua serie: “in alto a sinistra una tela isolata con la codifica del primo e dell’ultimo giorno dell’anno. Accanto, dodici righe di tele a rappresentare i 12 mesi dell’anno. Per ogni riga 4 o 5 tele a rappresentare le settimane  di ogni singolo mese… e gli spazi vuoti quando non ho dipinto”.

A sua volta, dietro la serie CODEX, c’è una ricerca procedurale che risale alla formazione di De Angelis, laureato in Industrial Design al Politecnico di Milano. 
“Punto di partenza dei miei lavori è un disegno, un bozzetto che viene successivamente rielaborato al computer mediante un programma di modellazione grafica. Nascono così delle griglie vettoriali costituite da linee e curve tangenti, forme geometriche che vengono successivamente trasferite sulla tela. Da questa struttura ordinata creo una fitta trama di tratti di colore allineati”. 
Su questa base, si inserisce una tecnica particolare, che De Angelis affina con gli anni e che consiste nell’iniettare il colore acrilico sulla superficie della tela utilizzando l’ago di una siringa (strumento di cura, ma anche di morte, allusione alle polarità, agli ossimori, ai paradossi dell’esistenza e del linguaggio).
Da un punto di vista tecnico, l’injection painting produce effetti cangianti che variano con la luce, arricchendo le superfici di spessore e dinamismo. 
È con questa procedura che De Angelis realizza una serie di ritratti non fisiognomici, ma digitali, nel senso che raffigurano l’impronta del dito pollice del committente.
Ognuno di questi ritratti è una sorta di sineddoche, come spiega lo stesso artista, poiché l’impronta digitale è una piccola zona che identifica l’intera persona.
“Attraverso l’impronta – così altamente personalizzante e al contempo apparentemente priva di personalità – pongo l’attenzione sia sul singolo individuo che sulla collettività, senza distinzione di sesso, età, colore della pelle o tratti somatici.

Da questi ritratti deriva una sorta di paradosso analogico-digitale, se si considera il significato originario dei termini digitale e analogico e la loro contrapposizione: digitale poiché  attiene alle dita e alla loro rappresentazione attraverso il segno dell’impronta; analogico in quanto testimonianza della reale presenza dell’individuo nel momento in cui ha lasciato la sua impronta, la sua orma, traccia del suo passaggio nella vita, costante nel tempo, senza cambiare col passare degli anni, sempre uguale dalla nascita alla morte”.

Il tempo con le sue scansioni collettive e private, il tempo del lavoro in atelier, lento e laborioso, sono le cornici concettuali e procedurali delle opere di questo artista, che ha dedicato riflessioni creative al tema dello scarto, della stratificazione, della durata, del diario. 
Ex libris è il nome che raccoglie – in una sorta di libro d’artista – le tracce quotidiane lasciate a margine del suo lavoro, schizzi, piccoli disegni, semplici macchie di colore. 
“Queste tavole, raccolte ogni mese in un cofanetto in plexiglass, rappresentano un diario intimo e personale, la storia evolutiva dei miei quadri, lo scorrere lento del tempo mescolato alle vibrazioni dei colori che di giorno in giorno ho usato per dipingere”. 
Nel percorso di De Angelis, ogni serie di opere risponde a un nucleo di regole, che in parte variano e in parte permangono, appoggiate sulla griglia dei giorni e sulla filigrana dei segni. 

Antonella Sbrilli (@asbrilli)

Immagini: courtesy Marcello De Angelis

 

Memoria per le date e tempo ciclico

Luglio 2018: diversi articoli riportano la ricerca di Valerio Santangelo e Patrizia Campolongo  su un gruppo di persone – donne e uomini di varia età – dotate di una formidabile memoria autobiografica. Come Funes nel racconto di Borges, i dettagli delle giornate trascorse, anche molto lontane nel tempo, tornano in superficie in modo vivido e inarrestabile.
“Non ho bisogno di un’agenda e non ho mai avuto il diario a scuola. È un dono che non riesci a spiegare agli altri. Per me il tempo è circolare: le cose successe 10 anni fa, le vivo come se fossero accadute oggi” – racconta una delle persone coinvolte in questa ricerca (fonte un articolo de La Stampa, 12 luglio 2018).
“Con il tempo ho imparato a scindere i ricordi del passato da quelli di oggi. La mia mente gli dà la stessa importanza. è come se vivessi un eterno presente. Se mi sveglio la mattina e vedo che è l’11 luglio mi vengono in mente tutti i compleanni di chi è nato quel giorno e quello che ho fatto l’11 luglio di ogni anno della mia vita”.
Le date funzionano come una griglia su cui appoggiare le esperienze, per poi  richiamarle, e non solo quelle macroscopiche, ma anche quelle minuscole, in apparenza ininfluenti e cancellabili.
Chi segue Diconodioggi sa che il repertorio di racconti organizzati per giorno in cui la storia si svolge nella finzione risponde a suo modo alla forza mnemonica della data: la data incontra – nel momento della lettura – il tempo presente, scatenando in chi legge una catena di ricordi anche autobiografici. 


Il calendario come sistema di memoria, la stringa giorno-mese come accesso al passato, che avviene seguendo percorsi profondi e misteriosi, anche sinestetici, come si legge ancora nell’articolo citato: “E la cosa particolare è che associo anche i colori, una sorta di sinestesia mentale:l’11 lo vedo nero, il luglio viola, il 2 rosso e lo 0 grigio”.
E come aveva raccontato nei suoi studi Oliver Sacks: vedi questo post sui colori delle date

2020: la ricerca è andata avanti e ha permesso di “identificare le aree del cervello specificamente deputate a dare una dimensione temporale ai ricordi, organizzando quelle informazioni che nelle persone comuni restano memorie indistinte e sfocate”. I risultati degli studi di Valerio Santangelo, Tiziana Pedale, Simone Macrì, Patrizia Campolongo sono pubblicati sulla rivista Cortex: Enhanced cortical specialization to distinguish older and newer memories in highly superior autobiographical memory (https://doi.org/10.1016/j.cortex.2020.04.029).
Come si legge nella pagina Sapienza che riporta gli aggiornamenti della ricerca “c
omprendere i sistemi neurobiologici alla base dell’iper-funzionamento della memoria – concludono i ricercatori – fornisce importanti indicazioni su quali aree è necessario intervenire per stimolare il ripristino di un funzionamento adeguato della memoria in persone con deficit o lesioni neurologiche”.
(a.s.)

 

Daybook: il calendario di “Documenta 14”

Il tempo della terra e il tempo delle comunità, il tempo storico e il tempo personale si incontrano fatalmente nelle griglie dei calendari. Lo sanno gli artisti, che hanno regalato innumerevoli varianti creative alla forma calendariale, e lo sanno – da alcuni decenni – i curatori di mostre e cataloghi, che scelgono la successione regolare delle date per alloggiare opere e autori. L’esempio più recente lo troviamo nella rassegna Documenta 14, in corso nella città tedesca di Kassel. La mostra quinquennale, dedicata a ricerche artistiche di taglio politico, sociale, ecologico, partecipativo, e svoltasi quest’anno, oltre che nella sede consueta di Kassel, anche ad Atene, offre – accanto al catalogo, ai booklet e alle mappe – un Daybook. Si tratta di un diario-agenda, in cui i giorni e le date (quelle della durata della mostra e quelle scelte dagli artisti, come vedremo) si presentano come formato organizzativo dei contenuti e come spunto per attraversamenti personali da parte dei lettori.

Al posto dei numeri delle pagine, il Daybook riporta, in alto al centro di ciascuna doppia pagina, le date in cui la rassegna si svolge: dall’8 aprile (stampigliato sulla copertina) al 17 settembre 2017. Le prime pagine (e dunque i primi giorni) ospitano l’indice e l’introduzione; le ultime un’appendice con l’esergo, il colophon, l’elenco degli sponsor e dei collaboratori, i ringraziamenti, lo spazio per le annotazioni. Il nucleo centrale – le doppie pagine che vanno dal 15 aprile al 3 settembre – è dedicato a 143 artisti fra quelli presenti alla rassegna. 
Sfogliando il Daybook, la prima azione che viene da fare è cercare l’artista che corrisponde alla data in corso, o a date che abbiano una risonanza per chi legge. E mentre emerge la curiosità di sapere quale criterio abbia determinato l’associazione fra artisti e date, ci si accorge che nella pagina di sinistra è presente un riquadro nero che riporta un’altra data. Dunque, oltre al calendario progressivo che va dall’aprile al settembre 2017, un’altra time-line si dipana sfogliando questo catalogo temporale. Una time-line fatta di date discontinue, che vanno da un futuro indistinto al passato preistorico, attraversando i secoli a ritroso e con salti enormi. Queste date sono state scelte dagli artisti su invito dei curatori: sono giorni e tempi che hanno, per ciascuno dei partecipanti, un significato particolare, sul piano intimo o pubblico, storico o fantastico. Sono queste date, messe in ordine dal futuro al passato, a determinare l’ordine di apparizione degli artisti nella sequenza dell’impaginato. 
Un doppio criterio cronologico governa così il Daybook di Documenta 14: la griglia del calendario convenzionale condiviso e i giorni vaganti nella memoria degli artisti interpellati. Insieme, invitano a esplorare la varietà geografica e concettuale delle presenze tenendosi attaccati a un foglio di diario con la familiare sequenza giorno-mese. Un accorgimento che coinvolge chi legge, facendo appello al bagaglio personale di giorni accumulati nella memoria e nell’immaginazione. 
Tre riferimenti puntellano l’introduzione al Daybook: il film di Guy Debord del 1959 Sul passaggio di alcune persone attraverso un’unità di tempo piuttosto breve;  l’incipit di Sotto il vulcano di Malcolm Lowry e la poesia Itaca di Kavafis: passaggi di tempo, lunga durata e condizione effimera, viaggi, distanze. E anche, tempo-reale: queste date – si legge sempre nell’introduzione – in sé “non significano niente di speciale, ma ciascuna di loro può diventare significativa, per via di eventi personali e politici che avranno luogo nel corso dello svolgimento di Documenta 14”. 
Ma si può sfogliare il Daybook anche leggendo – in sequenza o casualmente – i riquadri neri con le date scelte da ciascun artista e le motivazioni: ne viene fuori uno spaccato vivido della storia di ognuno, che rivela di più di quanto possa fare il testo critico che accompagna la scheda dell’artista, o l’immagine riprodotta. La scelta di un punto nel tempo svela i contesti, le aspettative, gli obiettivi, talvolta la fisionomia profonda di ciascuno. 

Il cinese Wang Bing (allocato al 9 giugno) sceglie il 29 gennaio 1987 “un giorno qualunque nella storia, ma un giorno molto importante per me” – scrive nel suo riquadro nero – poiché quel giorno ha visto per la prima volta l’oceano, ha preso in mano una videocamera e le immagini hanno iniziato a riempire la sua vita.
Giorni qualunque che diventano eccezionali, anniversari di eventi storici, tragedie collettive, gioie personali, compleanni, nascite, morti, inizi di rivolte, proclamazioni di indipendenze, censure. C’è chi immagina un futuro senza data, chi un “giorno qualunque”, chi sceglie l’avverbio deittico per eccellenza “oggi” (“this current day matters the most”, afferma il lituano Algirdas Šeškus), chi lascia il riquadro nero e spoglio (il polacco Artur Żmijewski) e chi sprofonda nel neolitico, o nell’inizio (“In the beginning was the Word”, dicono Marie Cool e Fabio Balducci), o nella negazione del tempo calcolabile (la nigeriana Otobong Nkanga).
Una variegata “cronologia discontinua di tipo storico, personale, speculativo emerge da questi contributi”, scrivono i curatori. E questo è un altro modo di visitare la mostra Documenta 14, anche dopo la chiusura, perché l’artificio del calendario permette di ritornare ciclicamente in punti del tempo dispersi nelle linee del passato.

Fra i precedenti dell’uso della griglia calendariale in cataloghi: la mostra di Seth Siegelaub; il catalogo Effemeridi su e intorno Marcel Duchamp (Venezia 1993), il catalogo di Hanne Darboven alla Diaart.org (ora rimosso); l’opera Sono stata io. Diario 1900-1999 di Daniela Comani. Altri riferimenti nella mostra Dall’oggi al domani. 24 ore nell’arte contemporanea (Macro, Roma, 2016). 

Antonella Sbrilli @asbrilli