4 Giugno | June 4th

4 giugno 2023

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To most of the Tobakofils first-class passengers the afternoon of June 4th 1901, in the Atlantic, on the meridian of Iceland and the latitude of Ardis, seemed little conducive to open-air frolics: the fervor of its cobalt sky kept being cut by glacial gusts, and the wash of an old-fashioned swimming pool rhythmically flushed the green tiles, but Lucette was a hardy girl used to bracing winds no less than the detestable sun

Vladimir Nabokov, Ada, or Ardor, 1969

Alla maggior parte dei passeggeri di prima classe della Tobakoff, il pomeriggio del 4 giugno 1901, nell’Atlantico, sul meridiano dell’Islanda e alla latitudine di Ardis, non sembrava propizio agli svaghi all’aria aperta: il cielo di un vivido blu cobalto era solcato da continue folate d’aria gelida e l’acqua della vecchia piscina inondava ritmicamente le piastrelle verdi del bordo; ma Lucette era una ragazza intrepida, abituata ai venti corroboranti non meno che alla detestabile luce del sole

Vladimir Nabokov, Ada o ardore, 1969, tr. it. M. Crepax, Adelphi,  p. 492

La cronaca familiare raccontata da Nabokov nel romanzo Ada o ardore è intricata come un bosco. Le relazioni fra coniugi, cugini, genitori, figli e figlie, fratelli e sorelle, sono presentate all’inizio del libro in un albero genealogico che, però, non dice tutta la verità sui legami di sangue. Nel corso della vicenda, ci si accorge che i due protagonisti principali – Van e Ada, legati da un’attrazione prodigiosa – sono più che cugini. Anche lo spazio e il tempo non coincidono con le nozioni comuni: la Terra è una terra aumentata, dove luoghi esistenti si sovrappongono ad altri fantastici e il Tempo è addirittura l’oggetto di un racconto nel racconto. Le date sono scelte con cura da Nabokov, che nasconde il suo compleanno (23 aprile) e quello della moglie Vera (5 gennaio) nella trama. Il 4 giugno – si è verso la fine della vicenda – Van è imbarcato su una nave, dove si trova anche la sorella minore di Ada, Lucette, che va incontro al suo destino. Quest’opera di Nabokov è stata rappresentata dalla bottega teatrale Fanny & Alexander, di Chiara Lagani e Luigi De Angelis, in una serie di spettacoli che seguono diverse tracce nella mole complessa del romanzo. Sul 4 giugno, l’ultimo giorno di Lucette, Chiara Lagani ha scritto questo commento per Diconodioggi:

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3 Giugno

3 giugno 2023

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Ma nel calendario non mancano le date e con un po’ d’immaginazione ognuna di esse potrebbe adattarsi al buon proponimento. Ricordo, perché mi parve contenesse un imperativo estremamente categorico, la seguente: “Terzo giorno del sesto mese del 1912 ore 24”. Suona come se ogni cifra raddoppiasse la posta

Italo Svevo, La coscienza di Zeno, 1923, ed. Giunti, 1994, p. 15

Nei suoi tentativi di smettere di fumare – che lo hanno portato anche in una casa di cura – Zeno Cosini annette una grande importanza alla data dell’ultima sigaretta. “Le mie giornate finirono coll’essere piene di sigarette e di propositi di non fumare più”. Le date delle tante ultime sigarette sono segnate sulle pareti, sui libri, sulla ghiaia: sono collegate ad avvenimenti storici, anniversari pubblici e privati o sono scelte in base a concordanze e relazioni fra le cifre, come questa del 3. 6. 12 ore 24, in cui la sequenza aritmetica è ironicamente (e inutilmente) salutata come un buon segno per la riuscita del proposito. 

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31 Maggio | 31. Mai

31 maggio 2023

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Ich kann nicht einen Brief von einem 31. Mai beantworten, die Zahl 31 darf überhaupt nicht verwendet und profaniert werden. Was bildet dieser Herr aus München sich ein? wie kann er mich aufmerksam machen auf den 31. Mai? was geht ihn mein 31 Mai. an? Ich gehe rasch aus dem Zimmer, Fräulein Jellinek soll nicht merken, dass ich zu weinen anfange, sie soll abheften und ordnen, sie soll diesem Herrn überhabt keine Antwort geben. Alle Antworten haben Zeit, Zeit bis nach Sommer…

Ingerborg Bachmann, Malina, 1971

Non posso rispondere a una lettera di un 31 maggio, il numero 31 non si deve assolutamente usare né profanare. Cosa crede questo signore di Monaco? Come può richiamare la mia attenzione sul 31 maggio! che gli importa del mio 31 maggio! Esco svelta dalla stanza, la signorina Jellinek non deve accorgersi che comincio a piangere, deve catalogare e ordinare, non deve dare proprio nessuna risposta a questo signore. Per tutte le risposte c’è tempo, c’è tempo fin dopo l’estate, in bagno mi viene in mente un’altra volta, io, con una tremenda angoscia, con una fretta pazzesca, scriverò oggi un’altra lettera decisiva, implorante, ma da sola. La signorina Jellinek deve fare il conto delle ore, non ho tempo adesso, ci auguriamo una buona estate. Suona il telefono, ma la signorina Jellinek deve andare. Di nuovo, buona estate! Buone vacanze! Molti saluti al dott. Krawanja, anche se non lo conosco personalmente. Il telefono squilla

Ingeborg Bachmann, Malina, 1971, tr. it. M. G. Manucci, Adelphi 1973 (ed. cons.1987), p.132

Dopo aver presentato i personaggi della storia: Ivan, i due bambini, Malina e sé stessa, la narratrice presenta il luogo: Vienna, e il tempo: Oggi. “Solo sulla data ho dovuto riflettere a lungo, perché è quasi impossibile per me dire ‘oggi’, sebbene ogni giorno si dica, anzi si debba dire ‘oggi’”. L’impossibilità di concepire e nominare quest’unità di tempo è un tema importante della narrazione, fatta di pensieri, memorie, sogni, trascrizioni di telefonate, dialoghi e lettere, lettere ricevute e inviate, come questa arrivata il 31 maggio, data che scatena di nuovo l’angoscia del tempo e una catena di riflessioni su oggi, ieri, domani. “Ma non è ancora domani. Prima che emergano ieri e domani debbo farli tacere in me. È oggi. Sono qui e oggi.”

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28 Maggio | Der achtundzwanzigste Mai

28 maggio 2023

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Der achtundzwanzigste Mai!
In diesem Augenblick schlug die Turmuhr halb acht, der Herr Postdirektor trat ein, seine Sporen klirrten leise und übermütig, sie kicherten, und der Herr Postdirektor ging feierlich an den Wandkalender und enthüllte den neuen Tag. Erst jetzt war’s der achtundzwanzigste Mai geworden!
Dieser achtundzwanzigste Mai wurde einer der wichtigsten Tage meines Lebens. Ich beschloß nämlich abzureisen.

Joseph Roth, April. Die Geschichte einer Liebe, 1925

Link per leggere la novella in tedesco

“Il 28 maggio!
In quell’istante l’orologio della torre batté le sette e mezzo e il signor direttore delle poste fece il suo ingresso: gli speroni tintinnarono lievi e insolenti, quasi ridacchiavano, ed egli andò solenne verso il calendario e scoprì il nuovo giorno. Ora soltanto era il 28 maggio!
Questo 28 maggio divenne uno dei giorni più importanti della mia vita. Decisi infatti di partire”

Joseph Roth. Aprile. Storia di un amore, tr. it. in Il mercante di coralli, Adelphi, Milano 1981, ed. digitale 2018

Novella breve di Joseph Roth, Aprile. Storia di un amore (1925) racconta in prima persona il soggiorno del narratore in una piccola città di provincia. Mentre intrattiene una relazione con Anna, cameriera dell’hotel dove alloggia, e madre di un bimbo avuto da un uomo sposato, il narratore si innamora  di una ragazza che vede affacciarsi dalla finestra della casa sopra l’ufficio postale. Incapace di cogliere l’occasione di presentarsi alla fanciulla che gli viene descritta come molto malata; incerto se restare o partire, il narratore prende la decisione di lasciare la città il 28 maggio. La data occupa, nel racconto, un posto consistente, legato a un rito che si svolge quotidianamente nel caffè della città dove, ogni mattina, il direttore delle Poste strappa il foglietto della data da un grande calendario a parete: “il signor direttore strappava via da decenni i vecchi giorni e scopriva i nuovi, con riguardo e umiltà, non come un Dio, ma come un servo di Dio”.
Quella mattina, però, un commesso viaggiatore, dopo colazione, “andò al calendario appeso al muro e strappò, risoluto, la data del giorno prima, quasi che con quel gesto creasse l’oggi, il nuovo giorno, superbo e possente come un Dio”.
Il narratore si preoccupa per il direttore delle Poste che, entrando di lì  a poco, “avrebbe guardato sgomento il calendario al muro, si sarebbe confuso con i giorni della settimana e le date e non avrebbe più capito il mondo”.
Per questo si dà da fare a raccogliere, lisciare e riattaccare il foglietto in tempo per l’arrivo del direttore, in tempo per la ripetizione del rito che sancisce l’arrivo di quel ventotto maggio.
Joseph Roth sarebbe morto a Parigi nel 1939, quattordici anni dopo la pubblicazione della novella, il 27 maggio, che è la data del “giorno prima”, il giorno del foglietto staccato e riattaccato sul grande calendario a muro del caffè.

 

 

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27 Maggio | 27. Mai

27 maggio 2023

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Ich überlese die vorstehenden Zeilen und kann nicht umhin, ihnen eine gewisse Unruhe und Beschwerteit des Atemzuges anzumerken, die nur zu kennzeichnend ist für den Gemütszustand, in dem ich mich heute, den 27. Mai 1943, drei Jahre nach Leverkühns Tode, will sagen: drei Jahre nachdem er aus tiefer Nacht in die tiefste gegangen, in meinem langjährigen kleinen Studierzimmer zu Freising an der Isar niedersetze, um mit der Lebensbeschreibung meines in Gott ruhenden – o möge es so sein! – in Gott ruhenden unglücklichen Freundes den Anfang zu machen, – kennzeichnend, sage ich, fur einen Gemütszustand, worin herzpochendes Mitteilunbedürfnis und tiefe Scheu vor dem Unzukömmlichen sich auf die bedrängendste Weise vermischen

Thomas Mann, Doktor Faustus, 1947

Rileggo le righe precedenti e non posso fare a meno di notarvi una certa inquietudine, una certa pesantezza di respiro fin troppo significativa di quello stato d’animo in cui oggi, il 27 maggio 1943, due anni dopo la morte di Leverkühn, vale a dire due anni dopo che da una notte già fonda egli è entrato nella profondissima, io, qui a Freising sull’Isar, nel mio vecchio studio, mi accingo a iniziare la biografia dell’infelice amico che – oh possa esser così – riposa in Dio…

  Thomas Mann, Doctor Faustus, 1947, tr. it. E. Pocar, Mondadori 1984, p.19

La vita del compositore tedesco Adrian Leverkühn narrata da un amico è il sottotitolo del Doctor Faustus, la storia di un musicista la cui esistenza attraversa e riverbera le vicende della Germania della prima metà del Novecento. Dopo studi di teologia, Adrian si è dedicato alla composizione musicale; ha contratto – quasi volontariamente – la sifilide da una prostituta e, durante un soggiorno a Palestrina, ha avuto un allucinatorio incontro col diavolo, con il quale ha stretto, come Faust, un patto sul tempo: ventiquattro anni di creatività straordinaria e poi la dannazione, che arriva già in vita come perdita di sé per i postumi della malattia. La vicenda – dopo la morte di Adrian – è raccontata dall’amico Serenus Zeitblom, che comincia il suo resoconto in data 27 maggio 1943. Un altro musicista legato al diavolo – Niccolò Paganini – era morto poco più di cento anni prima, nel 1840, il 27 maggio. 

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16 Maggio | 16 Maja

16 maggio 2023

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DNIA 16 MAJA 1973 ROKU
Jedna z tych wielu dat, / które nie mówią mi już nic. / Dokąd w tym dniu chodziłam, / co robiłam – nie wiem. / Gdyby w pobliżu popełniono zbrodnię / – nie miałabym alibi. / Słońce błysło i zgasło /poza moją uwagą. / Ziemia się obróciła / bez wzmianki w notesie….

Wisława Szymborska, Dnia 16 Maja 1973 roku (Koniec i początek), 1993

Il 16 maggio 1973 / Una delle tante date / che non mi dicono più nulla. / Dove sono andata quel giorno, / che cosa ho fatto – non lo so. / Se lì vicino fosse stato commesso un delitto / – non avrei un alibi. / Il sole sfolgorò e si spense / senza che ci facessi caso. / La terra ruotò / e non ne presi nota …

Wisława Szymborska, Il 16 maggio 1973,  La fine e l’inizio (1993), in Vista con granello di sabbia, a cura di P. Marchesani, Adelphi, 2008, p. 201

Dalle piccole misure degli attimi e dei secondi; alle ere geologiche; alle non-misure dell’eternità e dell’infinito: sono tanti i riferimenti che la poetessa polacca Szymborska (Premio Nobel nel 1996) dedica al tempo. Si può incontrare nelle sue poesie l’ora esatta del sorgere e calare del sole in un certo oggi, o la descrizione di quattro precisi minuti fra le 13 e 16 e le 13 e 20. E poi mesi e stagioni, giorni della settimana (“lo scorso martedì”) e anche, come in questo caso, la data completa di una giornata degli anni Settanta, in apparenza del tutto dimenticata.

 

Dicono del libro

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14 Aprile

14 aprile 2023

 

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Ormai, in quella mattina del mercoledì 14 di aprile dell’anno del Signore 1204, ovvero seimilasettecentododici dall’inizio del mondo, come si usava calcolare a Bisanzio, da due giorni i barbari si erano definitivamente impossessati di Costantinopoli. L’esercito bizantino così scintillante di armature e di scudi e di elmi quando era in parata, e la guardia imperiale dei mercenari inglesi e danesi, armati delle loro terribili bipenni, che ancora il venerdì avevano tenuto testa ai nemici battendosi con ardimento, avevano ceduto il lunedì quando i nemici avevano infine violato le mura. Era stata una vittoria così improvvisa che i vincitori stessi si erano arrestati timorosi, verso sera, attendendosi una riscossa

Umberto Eco, Baudolino, 2000, Bompiani

 

Dicono del libro
“In quella zona del basso Piemonte dove, anni dopo, sorgerà Alessandria, Baudolino, un piccolo contadino fantasioso e bugiardo, conquista Federico Barbarossa e ne diventa figlio adottivo. Baudolino affabula e inventa ma, quasi per miracolo, tutto quello che immagina, produce Storia. Così, tra le altre cose, costruisce la mitica lettera del Prete Gianni, che prometteva all’Occidente un regno favoloso, nel lontano Oriente, governato da un re cristiano. Avventura picaresca, romanzo storico in cui emergono in germe i problemi dell’Italia contemporanea, storia di un delitto impossibile, racconto fantastico, teatro di invenzioni linguistiche esilaranti, questo libro celebra la forza del mito e dell’utopia” (dalla scheda del libro nel sito libreriauniversitaria.it)

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12 Aprile

12 aprile 2023

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Data memorabile per me il 12 aprile del 1891.
Avevo compiuto da circa un mese trentaquattro anni. Da un pezzo mi notavo nel volto, e precisamente alla coda degli occhi e su la fronte, certi lievi solchi che mi pareva non si potessero ancora chiamar propriamente rughe. Credevo almeno che il numero degli anni miei potesse tuttavia permettermi di non chiamarli tali. Momentanei increspamenti de la pelle, che – sotto l’azione del pensiero, del riso, dell’abituale atteggiarsi della fisionomia – erano divenuti stabili. Ma rughe, no

Luigi Pirandello, Prudenza, 1901, in Novelle per un anno. Appendice, Giunti, 1994, tomo III, p. 2601

La “mattina di quel memorabile 12 aprile” (una data che torna anche in altre novelle di Pirandello) segna per il protagonista il passaggio da una fase all’altra della sua esistenza. Da una parte la giovinezza, la poesia, i capelli lunghi, dall’altra la maturità, un impiego, forse un matrimonio. Il passaggio è sancito dal doloroso taglio della barba e dei capelli, dopo il quale non solo la sua amante ma neanche egli stesso si riconosce (“Hai ragione: non son più io! Ti saluto per sempre, cara!”)

 

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8 Aprile

8 aprile 2023

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Poi, un giorno che sembrava qualunque, prese distrattamente dal tavolo una carta assorbente usata e ci vergò sopra, con l’inchiostro nero, due cose: lo schizzo di una facciata e un nome: Crystal Palace. Posò la penna. E sentì quel che sente una ragnatela quando incontra la stupìta traiettoria di una mosca attesa per ore.
Lavorò al progetto, giorno e notte, per tutto il tempo che gli restava. Non aveva mai immaginato qualcosa di più grande e di sconcertante. La fatica gli rosicchiava la mente, una sotterranea e febbrile emozione scavava cunicoli nei suoi disegni e nei suoi calcoli. Intorno, la vita qualunque macinava i suoi rumori. Lui li percepiva appena. Solo, giaceva in una bolla di acre silenzio, in compagnia della sua fantasia e della sua stanchezza. 
Consegnò il suo progetto l’ultimo giorno utile, il mattino dell’8 aprile

Alessandro Baricco, Castelli di rabbia, 1991, Bompiani 1991, pp.131-32

Reso pubblico il 13 marzo 1849, il concorso per la costruzione del palazzo dell’Esposizione Universale di Londra si chiude l’8 aprile. L’architetto Hector Horeau, reduce da una tragedia familiare (la moglie Monique si è suicidata), incerto nella salute e con una visionaria fissazione per il vetro, partecipa al concorso, consegnando il suo progetto l’ultimo giorno utile, alla data spartiacque dell’8 aprile. Le vicende di quello che sarà il Crystal Palace si intrecceranno da allora con quelle degli altri personaggi di questo libro, fra dati veri e plausibili, luoghi inventati e tempi non lineari.

 

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4 Aprile | April 4th

4 aprile 2023

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The thing that he was about to do was to open a diary. This was not illegal (nothing was illegal, since there were no longer any laws), but if detected it was reasonably certain that it would be punished by death, or at least a forced-labor camp. Winston fitted a nib into the pen holder and sucked it to get the grease off. The pen was an archaic instrument, seldom used even for signatures, and he had procured one, furtively and with some difficulty, simply because of a feeling that the beautiful creamy paper deserved to be written on with a real nib instead of being scratched with an ink pencil. Actually he was not used to writing by hand. Apart from very short notes, it was usual to dictate everything into the speakwrite, which was of course impossible for his present purpose. He dipped the pen into the ink and then faltered for just a second. A tremor had gone through his bowels. To mark the paper was the decisive act. In small clumsy letters he wrote:  April 4th, 1984

 

George Orwell, 1984, 1949

La cosa che si disponeva a fare consisteva nell’incominciare un diario. Ciò non era illegale (nulla era illegale, poiché non c’erano più leggi); ma se comunque fosse stato scoperto, non c’era dubbio che sarebbe stato condannato a morte, o a venticinque anni almeno di lavori forzati. Winston infilò un pennino nella cannuccia e lo succhiò, come s’usa, per facilitare la presa dell’inchiostro. La penna era uno strumento antiquato, che si adoperava assai di rado, perfino per le firme importanti, e lui se n’era procurata una di nascosto e non senza difficoltà, solo perché sentiva che quei bei fogli color crema meritavano che ci si scrivesse sopra con un vero pennino, anziché d’essere grattati con una delle tante matite a inchiostro. Veramente non aveva l’abitudine di scrivere a mano. Con l’eccezione di qualche breve appunto, di solito dettava ogni cosa al dittografo, un apparecchio che registrava e trascriveva tutto ciò che si diceva in un microfono, e che era assurdo pensar di adoperare nella presente circostanza. Intinse la penna nel calamaio e quindi esitò un istante. Ebbe un tremito fin nelle budella. Segnare la carta sarebbe stato l’atto decisivo. Con certe piccole goffe cifre, scrisse: “4 aprile 1984”

George Orwell, 1984, 1949, tr. it. G. Baldini, Mondadori 1989, pp.10-11

 È una fresca e limpida giornata di aprile quando Winston Smith comincia a scrivere il suo diario, su un quaderno ingiallito comprato da un robivecchi. È il 4 aprile 1984, anche se dell’anno non è sicuro, perché, nel mondo dominato dal Grande Fratello, non “era possibile buttar giù una qualsiasi data se non con l’approssimazione d’un anno o due”. Ha deciso di scrivere il diario grazie al fatto che il suo appartamento ha una rientranza nel muro, dalla quale è possibile rimanere fuori dal campo visivo del teleschermo che controlla l’interno della casa. Addetto alla correzione delle notizie  a stampa per renderle conformi al regime, Winston non si adatta del tutto alle regole del Grande Fratello e il diario è la prima forma di autonomia che egli manifesta.  

 

Dicono del libro

Dicono del libro
“1984. Londra. Il mondo è diviso in due iperstati simili e in guerra fra loro. In Oceania la società è governata secondo i principi del Socing, il Socialismo Inglese, dal Grande Fratello, che tutto vede e tutto sa. I suoi occhi sono le telecamere che spiano di continuo nelle case, il suo braccio è la psicopolizia che interviene al minimo sospetto. Tutto è permesso, non c’è legge scritta. Tranne pensare, se non secondo il Socing. Tranne amare, se non per riprodursi. Tranne divertirsi, se non con i programmi TV di propaganda. Dal loro rifugio, in uno scenario desolante da medioevo postnucleare, l’ultimo uomo in Europa (questo il titolo che avrebbe preferito l’autore) e la sua compagna lottano disperatamente per conservare un granello di umanità”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)

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29 Marzo | Veintinueve marzo

29 marzo 2023

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Se fijó el día veintinueve de marzo, a las nueve a.m. (…)
Antes del día prefijado por Julius Rothe, murió centenares de muertes, en patios cuyas formas y cuyos ángulos fatigaban la geometría, ametrallado por soldados variables, en número cambiante, que a veces lo ultimaban desde lejos; otras, desde muy cerca. Afrontaba con verdadero temor (quizá con verdadero coraje) esas ejecuciones imaginarias; cada simulacro duraba unos pocos segundos; cerrado el círculo, Jaromir interminablemente volvía a las trémulas vísperas de su muerte. Luego reflexionó que la realidad no suele coincidir con las previsiones; con lógica perversa infirió que prever un detalle circunstancial es impedir que éste suceda. Fiel a esa débil magia, inventaba, para que no sucedieran, rasgos atroces; naturalmente, acabó por temer que esos rasgos fueran proféticos. Miserable en la noche, procuraba afirmarse de algún modo en la sustancia fugitiva del tiempo. Sabía que éste se precipitaba hacia el alba del día veintinueve

Jorge Luis Borges, El milagro secreto, 1943

L’esecuzione fu fissata  per il 29 marzo, alle nove di mattina. (…) Prima del giorno fissato da Julius Rothe, morì centinaia di morti, in cortili le cui forme e i cui angoli esaurivano la geometria, mitragliato da soldati variabili, in numero cangiante, che a volte lo finivano da lontano, altre da molto vicino. Affrontava con vero timore (forse con vero coraggio) queste esecuzioni immaginarie; ogni finzione durava pochi secondi; chiuso il cerchio, Jaromir interminabilmente tornava alle tremanti vigilie della sua morte. Poi rifletté che la realtà non suole coincidere con le previsioni; con logica perversa ne dedusse che prevedere un dettaglio circostanziale è impedire che esso accada. Fedele a questa debole magia, inventava, perché non accadessero, particolari atroci; naturalmente finì per temere che questi particolari fossero profetici. Miserabile la notte, procurava di affermarsi in qualche modo nella sostanza fuggitiva del tempo. Sapeva che questo andava precipitando verso l’alba del giorno 29

Jorge Luis Borges, Il miracolo segreto, 1943, (Artifici), in Finzioni, tr. it. F. Lucentini, in Tutte le opere, I Meridiani, Mondadori, 1985, vol. I, p. 740

A Praga, nel marzo del 1939,  lo scrittore ebreo Jaromir Hladík è arrestato dalla Gestapo e condannato a morte. Mentre attende il giorno della fucilazione, ripensa ai libri che ha scritto e soprattutto all’ultimo, che non ha terminato. Gli servirebbe un anno per concluderlo. E per il miracolo segreto che dà il titolo al racconto, nel giorno dell’esecuzione il tempo si ferma, solo per lui , per un anno intero. Dandogli il tempo di finire la sua opera, a memoria, dentro la sua testa, entro le 9 e 2 minuti del 29 marzo. 

 

Dicono del libro

Dicono del libro
“Uscito in Argentina nel 1944 e tradotto da Franco Lucentini nel 1955, Finzioni è il libro che ha rivelato Borges in Italia, e che da allora ha acquistato anche da noi la statura di un classico contemporaneo. Diviso in due parti – Il giardino dei sentieri che si biforcano e Artifici – il volume è composto di racconti che di volta i volta sono fantastici, simbolisti, polizieschi, esoterici, tutti volti a creare una sorta di «enciclopedia illusoria» di cui Borges è il magistrale compilatore”
(dalla scheda del libro nell’ed. Einaudi)

 

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22 Marzo

22 marzo 2023

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Tutto sembra irreale. Come se fossi un altro che mi osserva. Mettere per iscritto per essere sicuro che è vero.
Oggi è il 22 marzo.
Dove sono la tonaca e la parrucca?
Cosa ho fatto ieri sera? Ho come una nebbia nella testa.
Non ricordavo neppure dove portasse la porta in fondo alla stanza. 
Ho scoperto un corridoio (mai visto?) pieno di abiti, parrucche, paste e ceroni come usano gli attori

Umberto Eco, Il cimitero di Praga, Bompiani, 2010, p. 33

“Lungo il XIX secolo, tra Torino, Palermo e Parigi, troviamo una satanista isterica, un abate che muore due volte, alcuni cadaveri in una fogna parigina, un garibaldino che si chiamava Ippolito Nievo, il falso bordereau di Dreyfus per l’ambasciata tedesca, la crescita di quella falsificazione nota come “I protocolli dei Savi Anziani di Sion”, che ispirerà a Hitler i campi di sterminio, gesuiti che tramano contro i massoni, massoni, carbonari e mazziniani che strangolano i preti con le loro stesse budella, un Garibaldi artritico dalle gambe storte, i piani dei servizi segreti piemontesi, francesi, prussiani e russi, le stragi nella Parigi della Comune, orrendi ritrovi per criminali che tra i fumi dell’assenzio pianificano esplosioni e rivolte di piazza, falsi notai, testamenti mendaci, confraternite diaboliche e messe nere. Ottimo materiale per un romanzo d’appendice di stile ottocentesco, tra l’altro illustrato come i feuilletons di quel tempo. Un particolare: eccetto il protagonista, tutti i personaggi di questo romanzo sono realmente esistiti e hanno fatto quello che hanno fatto. E anche il protagonista fa cose che sono state veramente fatte, tranne che ne fa molte, che probabilmente hanno avuto autori diversi. Accade però che, tra servizi segreti, agenti doppi, ufficiali felloni ed ecclesiastici peccatori, l’unico personaggio inventato di questa storia sia il più vero di tutti” (dalla scheda del libro sul sito ibs).

 

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17 Marzo | 17 Mars

17 marzo 2023

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Dëgjonte ende hapat që po largoheshin che dy – tri herë pyeti veten: të kujt janë vallë? Iu dukën si hapa të njohur. Ah, po ata ishin krejt të njohur, ashtu si edhe duart që e kthyen mbarë… Janë të miat, tha me vete. Në shtatëmbëdhjetë mars, udha pranë Brezftohtit… Një grimë e humbi ndërgjegjen, pastaj prapë dëgjoi kumbimin e hapave dhe përsëri iu duk se ata ishin krejt hapat e tij dhe ishte ai vetë e askush tjetër, që po ngarendte kështu, duke lënë pas, të shtrirë midis rrugës, trupin e vet, që porsa e kishte vrarë.

Ismail Kadare, Prilli i thyer, 1982, Onufri, Tiranë

 

Udì nuovamente i passi che si allontanavano e, per due o tre volte, si chiese: “Di chi sono questi passi?”. Ebbe l’impressione che fossero passi familiari. Sì, li conosceva bene, così come le mani che lo avevano girato… “Ma sono i miei! Il diciassette marzo, la strada, vicino a Brezftoht…” Perse per un attimo coscienza, poi udì nuovamente risuonare i passi e gli sembrò ancora che fossero i suoi, che fosse lui e nessun altro che correva così, lasciandosi dietro, disteso sulla strada, il proprio corpo, quello che lui stesso aveva appena abbattuto

Ismail Kadaré, Aprile spezzato, 1982, tr. it. F. Celotto, Guanda, 1993, p. 173

Il 17 marzo è la data fatale che apre e chiude la storia di Gjorg, il giovane protagonista di una faida decennale, che oppone la sua ad un’altra famiglia albanese. Per vendicare un fratello ammazzato tempo prima, Gjorg è costretto a uccidere un uomo, e lo fa in quel giorno di marzo, “sorridente e gelido allo stesso tempo”. Da quel momento egli ha trenta giorni di tregua, prima che la famiglia dell’ucciso possa a sua volta vendicarsi su di lui. In quel mese deve pagare il “riscatto del sangue” alle autorità del territorio e vivere le ultime giornate da uomo libero. È una data spartiacque, che gli tornerà in mente con forza anche alla fine della vicenda. Non sa che, se non avesse commesso l’omicidio, quel 17 marzo sarebbe stato il primo giorno “bianco”, senza violenza, “da un secolo, forse da due, tre, cinque secoli, forse addirittura dall’origine stessa del riscatto del sangue”.

 

Dicono del libro

Dicono del libro
“C’è una terra, scabra e selvaggia, in cui il tempo sembra essersi fermato, e in cui la vita e la morte degli uomini sono scanditi da un unico inflessibile giudice: la faida. È lì, sugli altipiani all’interno dell’Albania (in quel paesaggio geografico e morale di cui è l’irripetibile cantore), che Ismail Kadaré ha intessuto la trama di questo avvincente romanzo. Il 17 marzo di un anno imprecisato (prima, comunque, dell’avvento del comunismo in Albania) il giovane Gjorg Berisha ha dovuto uccidere Zef Kryeqyqe, l’assassino di suo fratello”
(dal risvolto di copertina dell’ed. Guanda, op. cit.)

 

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14 Marzo | March 14

14 marzo 2023

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The first witness was the Hatter. He came in with a teacup in one hand and a piece of bread-and-butter in the other. ‘I beg pardon, your Majesty,’ he began, ‘for bringing these in: but I hadn’t quite finished my tea when I was sent for.’
‘You ought to have finished,’ said the King. ‘When did you begin?’
The Hatter looked at the March Hare, who had followed him into the court, arm-in-arm with the Dormouse.
‘Fourteenth of March, I think it was,’ he said.
‘Fifteenth,’ said the March Hare.
‘Sixteenth,’ added the Dormouse.
‘Write that down,’ the King said to the jury, and the jury eagerly wrote down all three dates on their slates, and then added them up, and reduced the answer to shillings and pence

Lewis Carroll, Alice in Wonderland, 1865

Il primo testimone era il Cappellaio. Si presentò con una tazza di tè in mano e un pezzo di pane imburrato nell’altra. – Chiedo perdono, vostra Maestà, – cominciò, – se sono qui con queste cose; ma non avevo ancora finito il mio tè quando sono stato convocato.
– Dovresti aver finito, – disse il Re. – Quando iniziasti?
Il Cappellaio guardò la Lepre Marzola, che l’aveva seguito in tribunale a braccetto del Ghiro. – Il quattordici marzo, mi pare, – disse.
– Il quindici, – disse la Lepre Marzola.
– Il sedici, – disse il Ghiro.
– Prendetene nota, – disse il Re alla giuria; e la giuria diligentemente annotò sulle lavagnette tutte e tre le date, poi fece la somma e convertì il totale in scellini e penny

Lewis Carroll, Alice nel paese delle meraviglie, 1865, tr. it. A. Ceni, Einaudi, 2003, p. 107

La porta principale attraverso cui si entra nel Paese delle Meraviglie è quella del Tempo, avverte Stefano Bartezzaghi nell’introduzione all’edizione Einaudi delle Avventure di Alice. Il tempo – già di per sé una meraviglia, un indovinello senza soluzione – è il protagonista di situazioni e dialoghi paradossali. Le avventure di Alice si svolgono in maggio: lo dice la bambina, dopo aver incontrato la Lepre Marzola (“forse, poiché siamo di maggio, non matta da legare”). Più avanti, nel capitolo Un tè da matti, viene fuori la data del 4, insieme con un mirabile orologio che, invece dell’ora, segna il giorno del mese. Poiché il Paese delle Meraviglie è un luogo di discussioni, anche la data è oggetto di negoziazione, come in questo capitolo XI (Chi rubò le crostate?), in cui il testimone è contraddetto dalla Lepre Marzola e dal Ghiro e le cifre delle date sono commutate in denaro. Poiché il Paese delle Meraviglie è un luogo di non-certezze, anche la data pare il 14 marzo, ma anche il 15 o il 16. Dipende dall’unità di misura o di cambio del Tempo.

 

Dicono del libro

Dicono del libro
“Le avventure straordinarie della piccola Alice in un bizzarro mondo alla rovescia sono molto piú di un classico per l’infanzia. Se da un lato vi si può leggere una parabola che svela le assurdità e le incoerenze della vita adulta, dall’altro vi si coglie, immediata, una raffinatissima abilità linguistica, dove il gusto per il paradosso e il calembour, il nonsenso e la parodia si esprimono con impareggiabile inventiva. Un classico, quindi, cui hanno guardato molti protagonisti della letteratura del Novecento da Queneau a Nabokov”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Einaudi, op. ci.t)

 

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28 Febbraio | 28 Février

28 febbraio 2023

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Quel quantième du mois tenons-nous? demanda Dantès à Jacopo, qui était venu s’asseoir après de lui, en perdant de vue le château d’If.
—Le 28 février, répondit celui-ci.
—De quelle année? demanda encore Dantès.
—Comment, de quelle année! Vous demandez de quelle année?
—Oui, reprit le jeune homme, je vous demande de quelle année.
—Vous avez oublié l’année où nous sommes?
—Que voulez-vous! J’ai eu si grande peur cette nuit, dit en riant Dantès, que j’ai failli en perdre l’esprit; si bien que ma mémoire en est demeurée toute troublée: je vous demande donc le 28 de février de quelle année nous sommes?
—De l’année 1829», dit Jacopo.
Il y avait quatorze ans, jour pour jour, que Dantès avait été arrêté.
Il était entré à dix-neuf ans au château d’If, il en sortait à trente-trois ans.
Un douloureux sourire passa sur ses lèvres

Alexandre Dumas, Le Comte de Monte-Cristo, 1844-46

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“Oggi quanti ne abbiamo del mese?” domandò Dantès a Jacopo che era venuto a sedere vicino a lui dopo aver perduto di vista il castello d’If.  
“Il 28 febbraio”, rispose questi. 
“Di che anno?” domandò ancora Dantès.
“Come di che anno?… Voi domandate di che anno?”
“Si,” rispose il giovane, “vi domando di che anno”
“Avete dimenticato in che anno siamo?”
“Che volete? E’ stata così grande la paura di questa notte,” disse ridendo Dantès, “in cui poco è mancato che non perdessi la vita, che la mia memoria ne è rimasta sconvolta; vi domando dunque di quale anno siamo noi ai 28 di febbraio?”
“Dell’anno 1829”, rispose Jacopo.
Erano 14 anni precisi, giorno per giorno, che Dantès era stato arrestato. Era entrato nel castello d’If  a 19 anni, e ne usciva a 33. Un doloroso sorriso passò sulle sue labbra

Alexandre Dumas, Il conte di Montecristo1844-46, tr. it. E. Franceschini, BUR, 2006, pp. 153-154

Fuggito dal castello d’If, dove è stato tenuto ingiustamente prigioniero molti anni, e salvato in mare da un bastimento di contrabbandieri a cui dice di essere un naufrago, Edmond Dantès ha perso la cognizione del tempo e la prima notizia che chiede riguarda proprio la data. Nel febbraio di quattordici anni prima – 1815 -aveva avuto inizio la narrazione, con l’arrivo di Dantès a Marsiglia, il suo fidanzamento, il complotto dei suoi nemici e l’arresto.

Dicono del libro
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26 Febbraio | 26 февраля

26 febbraio 2023

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26-го февраля 1807 года старый князь уехал по округу. Князь Андрей, как и большей частью во время отлучек отца, оставался в Лысых Горах. Маленький Николушка был нездоров уже четвертый день. Кучера, возившие старого князя, вернулись из города и привезли бумаги и письма князю Андрею.

Лев Толстой, ВОЙНА И МИР, 1867-69

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Il 26 febbraio del 1807, il vecchio principe era partito per la sua circoscrizione. Come accadeva quasi sempre durante le assenze di suo padre, il principe Andrej era rimasto a Lysye Gory. Già da tre giorni il piccolo Nikoluska era ammalato. I cocchieri che avevano accompagnato il vecchio principe, tornarono dalla città, portando delle lettere e altre carte per il principe Andrej. 

Lev Tolstoj, Guerra e pace, 1867-69, tr. it. P. Zveteremich, Garzanti, Milano 1974 (1985), p. 554

Dicono del libro
Sette anni occorsero a Tolstoj (dal 1863 al 1869) per comporre uno dei capolavori della letteratura ottocentesca. L’ossatura del romanzo, sullo sfondo delle guerre napoleoniche – dal 1805 alla travolgente insurrezione di tutto il popolo russo nel 1812 – è data dalle vicende di due grandi famiglie dell’alta nobiltà, i Rostov e i Bolkonskij, depositari dei valori autentici e genuini, intrecciate a quelle dei corrotti e dissoluti Kuragin. Spiccano, nella moltitudine di personaggi, le figure di Natasa, fanciulla e poi donna di straordinaria purezza e d’indole forte e impetuosa; del principe Andrei, che porta il suo orgoglio nella guerra, nella prigionia e nell’infelice amore per Natasa; dell’enigmatico e complesso Pierre Bezuchov, capace di autentica adesione al dolore del mondo”.
Scheda del volume citato presente nel sito ibs.

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22 Febbraio | 22 February

22 febbraio 2023

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He poured himself a nightcap and went into the study to perform the nightly ritual of altering the date of the calendar on his desk. Saturday, 21 February. Great Heavens! It was Sunday morning! Sunday, 22 February. Exactly eight days since the infernal business at the Hanging Rock.
As soon as Albert had attended to the horses he flung himself fully clothed on his unmade truckle bed and fell asleep. He seemed to have hardly laid his head on the pillow before he was wide awake and staring at the little square of grey light at the window, with the events of yesterday, no longer confused by physical exhaustion as they had been last night, falling neatly into place like the pieces of a fretwork puzzle. Except that one of the key pieces was missing. Which was it, and where exactly fit it fit into the pattern?
Joan Lindsay, Picnic at Hanging Rock, 1967, Penguin Books, 1970, p. 90

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Si versò un bicchierino di liquore ed entrò nello studio per compiere il rito serale di cambiare la data sul calendario dello scrittorio. Sabato, 21 febbraio. Santo Cielo!  Era domenica mattina! Domenica, 22 febbraio. Esattamente otto giorni dal dannato affare alla Hanging Rock. Albert, appena terminato di accudire ai cavalli, si buttò tutto vestito sulla branda non rifatta e si addormentò. Gli pareva di avere posato la testa sul guanciale solo da un momento ed era già completamente sveglio e fissava il minuscolo quadrato di luce grigia alla finestra; intanto gli avvenimenti del giorno prima, non più confusi per la stanchezza fisica come lo erano la sera precedente, si collocavano ordinatamente al loro posto come i pezzi di un rompicapo. Ma mancava uno dei pezzi chiave. Qual era? E dove andava sistemato esattamente nel disegno? 

Joan Lindsay, Picnic a Hanging Rock, 1967, tr. it. M.V. Malvano, Sellerio 1993, p.101

L’uomo che cambia la data sul calendario dello scrittoio è il colonnello Fitzhubert, lo zio di Mike, il giovane aristocratico che, con l’amico stalliere Albert, ha visto per l’ultima volta le ragazze scomparse ad Hanging Rock la settimana prima. Durante un picnic organizzato dal collegio Appleyard nel giorno di San Valentino, Miranda, Marion, Irma, Edith e un’insegnante di matematica si sono allontanate in direzione della grande roccia vulcanica, mentre gli orologi sono tutti fermi a mezzogiorno. Solo Edith è tornata indietro, sconvolta da qualcosa che non è in grado di spiegare. Il giovane Mike non si dà pace e continua la ricerca solitaria delle ragazze, mentre lo zio lo aspetta a casa e si accorge che è passato un altro giorno dallo strano accadimento.“Non esiste un solo attimo su questo globo rotante che non sia, per milioni di individui, non misurabile con i comuni sistemi di computo del tempo: un frammento di eternità per sempre privo di rapporto con il tempo e l’orologio”.

Dicono del libro
Dicono del libro
“Hanging Rock, la roccia vulcanica che sorge isolata e improvvisa nella macchia australiana a nord di Melbourne, fu davvero teatro, nel 1900, dell’evento narrato in questo libro: la scomparsa mai spiegata di due fanciulle e una matura insegnante di college, seguita dalla immediata rovina di tante esistenze a quelle vite collegate (…) ‘Se Picnic a Hanging Rock sia realtà o fantasia, i lettori dovranno deciderlo per proprio conto’ “(dalla bandella dell’ed. Sellerio, op. cit.)

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3 Febbraio

3 febbraio 2023

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Le date sulle pareti della mia stanza erano impresse coi colori più varii ed anche ad olio. Il proponimento, rifatto con la fede più ingenua, trovava adeguata espressione nella forza del colore che doveva far impallidire quello dedicato al proponimento anteriore. Certe date erano da me preferite per la concordanza delle cifre  […] Ma non si creda che occorrano tanti accordi in una data per dare rilievo ad un’ultima sigaretta. Molte date che trovo notate sui libri o quadri preferiti, spiccano per la loro deformità. Per esempio il terzo giorno del secondo mese del 1905 ore sei! ha un suo ritmo quando ci si pensa, perché ogni singola cifra nega la precedente

Italo Svevo, La coscienza di Zeno, 1923, Dall’Oglio, Milano 1938 (ed. cons. 1976), pp. 32, 33

La data del 3 febbraio del 1905 alle sei è una delle tantissime sequenze giorno-mese-anno-ora a cui Zeno affida la possibilità di smettere di fumare e, nel farlo, di affermare la propria forza di volontà. La sua stanza da studente è stata talmente ricoperta di date di ultime sigarette, che ha dovuto farla tappezzare a sue spese, ma lungi dall’aiutarlo, il segnare la data accresce il gusto dell’Ultima Sigaretta e, insieme, la ricerca di sempre nuove concordanze numeriche, mentre il XIX secolo diventa Novecento. 

Dicono del libro

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22 Gennaio

22 gennaio 2023

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Non seppe resistere alla tentazione di prendere un trenino per Soria, di attraversare i campi di Castiglia, di recarsi in pellegrinaggio in un luogo sobrio e essenziale dove lo chiamava una poesia. La camera della pensione Cuevas era rimasta intatta: un tavolo, una sedia, un letto, un attaccapanni. Vagò commosso, per le stradette di quella cittadina modesta, circondata dal deserto lunare della Castiglia; poi in una libreria antiquaria, dopo ripetute insistenze, trovò un ritratto di Machado con una dedica autografa in un angolo: 22 gennaio 1939. Il poeta stava fuggendo verso la frontiera, verso la morte, stretto dal cerchio franchista

Antonio Tabucchi, Il rancore e le nuvole, 1985, in Piccoli equivoci senza importanza, ed. cons. Feltrinelli, 1988, p. 90

Nella faticosa carriera accademica – e nell’altrettanto disagevole vita familiare – del protagonista, il viaggio in Spagna segna una svolta, che lo porterà a cogliere occasioni di rivincita e di successo. Nume tutelare della sua nuova condizione è il grande poeta spagnolo Machado, che insegnò nella città di Soria, dove – nel racconto – viene ritrovata la fotografia con la dedica del 22 gennaio 1939, un mese prima che il poeta morisse, fuggendo dalla Spagna verso la Francia. 

Dicono del libro

Dicono del libro
“Malintesi, incertezze, comprensioni tardive, inutili rimpianti, ricordi forse ingannevoli, errori sciocchi e irrimediabili: le cose fuori luogo esercitano su di me un’attrazione irresistibile (…) Il rancore e le nuvole è un racconto realistico”
(Antonio Tabucchi)

 

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18 Gennaio | Januar 18

18 gennaio 2023

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Am achtzehnten Januar siebenunddreißig, auf knirschendem hartgetretenem Schnee, in einer Nacht, die nach mehr Schnee roch, nach soviel Schnee roch, wie sich jemand nur wünschen kann, der alles dem Schnee überlassen möchte, sah ich Jan Bronski rechts oberhalb meines Standortes die Straße überqueren, am Juwelierladen, ohne aufzublicken, vorbeigehen, dann zaudern oder eher wie auf Anruf still stehn; er drehte sich, oder drehte es ihn — und da stand Jan vor dem Schaufenster zwischen weißbeladenen, leisen Ahornbäumen.
Günter Grass, Die Blechtrommel, 1959

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Era il diciotto gennaio del trentasette. A tarda sera, su una neve scrocchiante indurita dai passi, mentre il cielo sembrava promettere ancora neve, tanta neve quanta ne può desiderare solo chi sa come essa gli sia propizia, vidi Jan Bronski attraversare la strada e, a monte del mio appostamento, passare senza levare lo sguardo davanti alla gioielleria, poi, dopo un attimo di esitazione, fermarsi come obbedendo a un richiamo; si voltò – o meglio fu voltato – ed ecco Jan fermo davanti alla vetrina, sotto i silenti aceri dai rami carichi di neve

Günter Grass, Il tamburo di latta, 1959, tr. it. L. Secci, V. Ruberl, ed. cons. Feltrinelli 1974, p. 126

Decenni di storia europea sono ripercorsi in questo romanzo, dalla fine dell’Ottocento al secondo dopoguerra, osservati dalla città di Danzica (la città dello scrittore Grass) e narrati dal personaggio di Oskar Matzerath. Nato, nella narrazione, i primi di settembre del 1924, forse frutto della relazione adulterina della madre con il cugino Jan Bronski, Oskar ha deciso di fermare la sua crescita all’età (e all’altezza) dei tre anni, coltivando un antagonismo nei confronti del mondo, che si esprime nell’ossessione verso un tamburo di latta, da cui non si separa mai, e nella capacità di spaccare i vetri con la voce. Nell’anno 1937, in pieno regime nazionalsocialista, Oskar si dedica a far cadere in tentazione concittadini e parenti, aprendo – con la sua voce potente – delle fessure nei vetri delle gioiellerie, attraverso cui le persone, inevitabilmente, sottraggono preziosi e si trasformano in ladri. La sera del 18 gennaio, in un paesaggio innevato, Oskar sta per tentare il suo presunto padre Jan, che ruberà una collana di rubini per la mamma.
La data del 18 gennaio richiama, nella storia germanica, la proclamazione di Gugliemo I imperatore, nel 1871. 

Dicono del libro

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