L’eterno settembre del meteo

Nel settembre del 2023 Forward Edizioni ha pubblicato Sereno, un libro-d ‘artista della fotografa romana Fulvia Bernacca. Della dimensione di un palmo di mano, molto curato nell’allestimento, avvolto da una sovraccoperta di pergamino,  “Sereno è un viaggio tra le nuvole e nel tempo, un racconto visivo e poetico sulla figura del colonnello del meteo Edmondo Bernacca”.
Le pagine, alcune opache e altre trasparenti, creano diversi livelli di visibilità dei testi, leggibili al dritto e al rovescio, e delle immagini di cieli, carte meteorologiche, foto di famiglia che – come nel libro-gioco Più e meno di Munari – si sovrappongono, arricchendosi a vicenda di segni, sfumature, compresenze.
A trent’anni dalla scomparsa di Bernacca (1914-1993), il primo meteorologo della televisione italiana, la nipote Fulvia affida a un’opera visiva e tattile un possibile racconto della sua figura.
I documenti rinvenuti nell’archivio professionale e in quello privato, le tante informazioni e anche gli stereotipi sul celebre colonnello, che ha dato uno stile inconfondibile alle previsioni del tempo,  sono sottoposti dall’autrice a un processo di decantazione che li rende leggeri e connessi.
Chi fosse interessato alla storia biografica del protagonista, in questo libro non la trova, non in forma diretta e lineare; le tracce della sua vita e delle sue attività, della rete dei suoi affetti, così come  quelle della disciplina meteorologica, sono disseminate – con un loro ritmo – nel piccolo volume: una citazione, una serie di cieli, una definizione scientifica, una fotografia d’archivio, una carta del meteo, un testo autografo, di nuovo una serie di cieli e così via. 


Chi legge può scegliere con quale intervallo sfogliare il libro e accostarsi al suo ritmo, seguendo il tema del cielo (“che è stato sempre la mia vita, da militare e da giornalista”), la magnetica tassonomia delle nuvole, i disegni delle carte, le foto discrete della famiglia Bernacca, le immagini degli strumenti, le citazioni.
Diconodioggi ha seguito una presenza ricorrente in questa narrazione: quella delle date di settembre. Nato un 5 di settembre, scomparso un 15 di settembre, Edmondo Bernacca – riandando alle svolte della sua esistenza privata e lavorativa – si sofferma sull’affollarsi delle date di questo mese nella sua vita (“settembre punteggerà altre date importanti”). 
Mese di riflessioni, di cambi di stagione e di orizzonti, mese che esalta la sensibilità per il meteo e per il tempo, che sembrano muoversi insieme nelle correnti calde e fredde dell’aria e dell’ora.
Avvolto dalla sovraccoperta trasparente, Sereno è racchiuso fra due alette che portano disegnate le frecce dell’aria fredda e dell’aria calda, convergenti verso le pagine di un libro che fluisce.

Le immagini sono tratte dal sito Sereno di Fulvia Bernacca

(Antonella Sbrilli)

26 Agosto

26 agosto 2023

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– Niente è accaduto, i fatti sono sempre quelli. I fatti sono lì; – era tornato alla tavola e premeva con le palme aperte sullo scartafaccio del Diario – quel che importa, che mi sconvolge, non sono i fatti, tutti li sanno; sono i rapporti, le concorrenze, la interpretazione; è qui – e con l’indice, lungo e secco che pareva un bastone, picchiava sui margini coperti di note minutissime in inchiostro rosso.
Maurizio ricordò i vaneggiamenti sul ventisei di agosto, che a suo tempo Carmela gli aveva raccontati, e respirò. Carmela uscì in un riso ebete, ma l’abate la fulminò. Narcisa rimaneva fredda e attenta. Poiché ora lo sguardo febbrile dell’abate era arrivato su lei, ella disse rigidamente:
– Per conto mio, le prometto il più rigoroso segreto.
– Ecco; lo confesso, io m’ero ingannato allora, quando ho trovato quella coincidenza di date

Massimo Bontempelli, Gente nel tempo, 1937, ed. cons. Mondadori 1942, pp. 114-115

“È a forza di anniversari che il tempo se ne va tanto presto, invece gli uomini ci hanno una vera passione”. Nella storia della famiglia Medici, le date hanno una fatale importanza, scandendo la successione della scomparsa dei componenti, a partire dalla nonna delle due protagoniste (le sorelle Nora e Dirce), la “Gran Vecchia”, morta il 26 agosto del 1900. È una suggestione collettiva che coinvolge, oltre alla famiglia, l’intero paese e soprattutto l’abate Clementi, che registra su un Diario il ritmo “astrale” delle date di famiglia, a partire da quel 26 agosto di inizio secolo, per poi ammettere che “non importa morire, importa non sapere quando”. “Se uno quando c’è ci pensasse forte, ma ben forte, mi pare che il tempo non dovrebbe andarsene a questo modo”.

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24 Agosto | 24 août

24 agosto 2023

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Mais à quelle époque de la vie de Pompéi était-il transporté? Une inscription d’édilité, gravée sur une muraille, lui apprit, par le nom des personnages publics, qu’on était au commencement du règne de Titus, – soit en l’an 79 de notre ère. – Une idée subite traversa l’âme d’Octavien ; la femme dont il avait admiré l’empreinte au musée de Naples devait être vivante, puisque l’éruption du Vésuve dans laquelle elle avait péri eut lieu le 24 août de cette même année ; il pouvait donc la retrouver, la voir, lui parler… Le désir fou qu’il avait ressenti à l’aspect de cette cendre moulée sur des contours divins allait peut-être se satisfaire, car rien ne devait être impossible à un amour qui avait eu la force de faire reculer le temps et passer deux fois la même heure dans le sablier de l’éternité.

 Théophile Gautier, Arria Marcella. Souvenir de Pompéi, 1852

Ma in quale epoca della vita di Pompei era stato trasportato? Un’iscrizione edile scolpita su un muro gli fece capire, dal nome dei personaggi pubblici, che si era all’inizio del regno di Tito, cioè nell’anno 79 della nostra era. Un pensiero improvviso attraversò la mente di Octavien: la donna di cui aveva ammirato l’impronta al museo di Napoli doveva essere viva perché l’eruzione del Vesuvio nella quale era morta era avvenuta il 24 agosto di quell’anno. Poteva dunque ritrovarla, vederla, parlarle… Il desiderio folle che aveva provato vedendo quella cenere modellata su forme divine poteva essere soddisfatto, perché nulla doveva essere impossibile a un amore che aveva avuto la forza di far tornare indietro il tempo e di far passare due volte la stessa ora nella clessidra dell’eternità

Théophile Gautier, Arria Marcella, 1852, in Il vello d’oro e altri racconti, tr. it. L. Binni, Giunti 1993, p.155

In un anno dell’Ottocento, Octavien, un giovane francese in viaggio a Napoli con due amici, visita il Museo e s’incanta di fronte alla vetrina, dove è conservato un pezzo di lava nera che reca l’impronta di un seno e di un fianco femminili. Arrivato a Pompei e trovata la casa da cui proviene l’impronta, Octavien vive – o immagina di vivere – un’esperienza prodigiosa. Mentre i suoi amici dormono fra i fumi del vino Falerno, Octavien visita di nuovo, da solo, le rovine. Per lui “la ruota del tempo era uscita dalla sua carreggiata” , riportandolo a un giorno che precede di poco il 24 agosto del 79 dopo Cristo, data (peraltro contestata da rilevamenti recenti) dell’eruzione del Vesuvio che seppellì la città. Un’ondulazione del tempo, un ritorno del passato – o una sincope, come apparirà agli amici che lo ritrovano svenuto – gli permette di trovarsi di fronte ad Arria Marcella, in un punto nodale della storia antica.

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22 Agosto

22 agosto 2023

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Così arrivò il ventidue di agosto e così vennero le tre Notti di Ferro.
La prima Notte di Ferro. Alle nove il sole tramonta. Sopra la terra si stende un’ombra opaca, si vedono alcune stelle e, due ore dopo, appare un barlume di luna. Col fucile e col cane me ne vado nel bosco, accendo un focherello e il bagliore della fiamma si insinua fra i tronchi dei pini. Non c’è brina.
La prima Notte di Ferro! dico fra me. E una gioia violenta per il tempo e il luogo mi confonde e mi scuote stranamente

Knut Hamsun, Pan, 1894, tr. it. E. Pocar, in Pan. L’estrema gioia, Mondadori, 1941, p. 88-89

Il tenente Glahn ricorda l’estate del 1855 , quando “il tempo passava molto veloce, senza confronto più veloce di adesso”. Nella foresta norvegese di betulle, popolata di animali ma anche carica di silenzi, Glahn ha trascorso un tempo speciale, in ascolto della natura e di sé stesso. Più adatto alla vita solitaria che alle relazioni umane e amorose, Glahn è sensibile a ogni manifestazione della natura, alle lievi variazioni di luce e calore che accompagnano il cambiamento della stagione. La notte del ventidue agosto – la prima delle notti di agosto in cui comincia ad apparire il primo ghiaccio – il sole tramonta alle nove e Glahn si prepara a passarla all’aperto, mentre un aurora boreale “passa sopra il cielo del Nord”. Lo scrittore norvegese Knut Hamsun – premio Nobel nel 1920 – era nato nel 1859, il 4 agosto.

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18 Agosto

18 agosto 2023

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Quella domenica 18 agosto è, fra i giorni della mia vita, uno dei tre o quattro che mi recito da cima a fondo, quando voglio cercare di raggiungere l’estasi di rivivermi. Mi spiego: io col passato ho rapporti di tipo vizioso, e lo imbalsamo in me, lo accarezzo senza posa, come taluno fa coi cadaveri amati. Le strategie per possederlo sono le solite, e le adopero tutt’e due. Dapprincipio mi visito da forestiero turista, con agio, sostando davanti a ogni cocciopesto, a ogni anticaglia regale; bracconiere di ricordi, non voglio spaventare la selvaggina. Poi metto da parte le lusinghe, l’educazione, lancio a ritroso dentro me stesso occhi crudeli di Parto, lesti a cogliere e a fuggire. Dagli attimi che dissotterro – quanti ne ho vissuti apposta per potermeli ricordare!- non so cavare pensieri, io non ho una testa forte, e il pensiero o mi spaventa o mi stanca. Ma bagliori, invece… bagliori di luce e ombra, e quell’odore di accaduto, rimasto nascosto con milioni d’altri per anni e anni in un castone invisibile, quassopra, dietro la fronte… Sento a volte che basterebbe un niente, un filo di forza in più o un demone suggeritore… e sforzerei il muro, otterrei, io che il Non Essere indigna e l’Essere intimidisce, il miracolo del Bis, il bellissimo Riessere

Gesualdo Bufalino, Diceria dell’untore, 1981, ed. cons. Bompiani, 1992, p. 75

I giorni dell’estate del 1946, al sanatorio della Rocca nei pressi di Palermo, passano come i gradini della “scala mobile di una Rinascente”, che si assottigliano inesorabilmente e spariscono uno dopo l’altro. Di tutti i giorni che il narratore trascorre nella casa di cura, in compagnia di altri ammalati di tubercolosi – ai quali è destinato a sopravvivere – uno, in particolare, torna nei suoi ricordi. Domenica 18 agosto è la data dell’incontro con la giovane Marta per una passeggiata in città, fra chioschi di granite, viali di palme e confidenze via via più intime, che porteranno ad altri rari ma intensi appuntamenti. Una giornata degna di essere rivissuta, richiamata al presente come un bis a teatro.

Vai a Cartolina per un 18 agosto

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13 Agosto | 13 août

13 agosto 2023

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Tout ce que vous voudrez, mais avant d’écrire cette prolongation, vous devrez raconter la fin de ce 13 août 1925.
Ce ne sera pas une prolongation, ce sera un flash-back! Comprenez-moi: les cartilages sont mon chaînon manquant, articulations ambivalentes qui permettent d’aller de l’arrière vers l’avant mais aussi de l’avant vers l’arrière, d’avoir accès à la totalité du temps, à l’éternité! Vous me demandez la fin de ce 13 août 1925? Mais ce 13 août 1925 n’a pas de fin, puisque l’éternité a commencé ce jour-là

Amélie Nothomb, Hygiène de l’assassin, 1997

Tutto quello che vuole, ma prima di scrivere questa continuazione, mi deve raccontare la fine di quel 13 agosto 1925.
Non sarà una continuazione, sarà un flashback! Mi comprenda bene: le cartilagini sono il mio anello mancante, articolazioni ambivalenti che permettono di andare dall’indietro in avanti ma anche dall’avanti all’indietro, di avere accesso alla totalità del tempo, all’eternità! Mi chiedeva la fine di quel 13 agosto 1925? Ma quel 13 agosto 1925 non ha fine, perché l’eternità è cominciata quel giorno.

Amélie Nothomb, Igiene dell’assassino, 1997, tr. it. B. Bruno, Ugo Guanda editore su licenza Voland, p. 148

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30 Luglio | 30 juillet

30 luglio 2023

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La jeune fille écrit sur la carte postale.
Sur la carte postale, du côté de l’écriture, il y a maintenant le nom de la jeune fille, la date, 30 juillet 1980, et la date et l’heure à laquelle il devra venir dans dix ans, le 30 juillet 1990, minuit.
Du côté de l’image il y a l’endroit de la plage de la veille, au croisement du chemin des tennis, de la promenade et de la rue de Londre, si belle, elle dit, la plus belle de toutes, sa préférée, belle comme  un tunnel de lumière de soleil devant la mer

Marguerite Duras, Yann Andréa Steiner, 1992

La ragazza scrive la cartolina. Sulla cartolina, dalla parte della corrispondenza ora c’è il nome della ragazza, la data, 30 luglio 1980 e la data e l’ora in cui lui dovrà tornare tra dieci anni, il 30 luglio 1990, a mezzanotte. Dalla parte dell’illustrazione c’è il punto della spiaggia del giorno prima, all’incrocio tra il sentiero per i campi da tennis, la passeggiata e la rue de Londres, così bella dice lei, la più bella di tutte, la sua preferita, bella come un tunnel di luce del sole davanti al mare

Marguerite Duras, Yann Andréa Steiner, 1992, tr. it. L. Prato Caruso, Feltrinelli 1993, p.75

Estate del 1980: la storia della convivenza della narratrice con un giovane, Yann, che potrebbe essere suo figlio, è intrecciata con altre storie, immaginate o intuite nella stessa estate nella località delle Roches Noires, nel nord della Francia. In una di queste storie, la giornata del 30 luglio, una giornata in cui il cielo sembra “di lacca azzurra”, è richiamata due volte: nel presente del racconto (il 1980) e nel futuro 1990, in uno strano appuntamento nel tempo fissato su una cartolina comprata nel bazar.

 

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29 Luglio

29 luglio 2023

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Il giorno 29 luglio dell’anno 2157 la temperatura esterna a Parigi era di meno undici gradi. Nevicava esattamente da un mese e sei giorni, e quasi tutti gli edifici della città vecchia erano sepolti. La vita proseguiva però regolarmente sottoterra nelle metropolitane, nelle vie-condotto, nei giardini botanici e nei forum a temperatura costante di otto gradi. Dall’ultimo piano dell’immensa piramide incastonata nel ghiaccio un uomo infreddolito guardava la distesa gelata e spoglia stendersi per chilometri e chilometri, interrotta solo dalla luce di qualche slitta

Stefano Benni, Terra!, 1983, Feltrinelli 1983, p.14

Dopo una serie di guerre mondiali e una crisi energetica, la terra è immersa in una nuova glaciazione. La popolazione di uomini, robot, cyborg, vive in un inverno perenne, in città verticali e paesaggi simulati, mentre il potere è spartito fra grandi alleanze e una piccola federazione. Il 29 luglio del 2157 è la data, a Parigi, di una riunione segreta di questa federazione: si decide l’avvio di una missione verso un pianeta simile alla terra – Terra due – scoperto proprio all’inizio di quel mese. In una gelida giornata di fine luglio, inizia la ricerca, che dai confini dello spazio s’intreccia con i segreti degli Inca, passando per i nodi del tempo: “Una è la vita / dal futuro / torna il passato / dal passato / torna il futuro”.

 

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28 Luglio | 28 de julio

28 luglio 2023

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De las funestas consecuencias que puede traer la creencia de que el 28 de julio llega el 28 de julio.¡ Isaac había convencido a su hermano Julio que el 28 de julio debía celebrarse el 28 de julio! Julio Carbajal dudaba.
– Estamos en diciembre de 2192, Isaac. Huarautambo se prepara para la Navidad. El mismo padre Chasàn arma un nacimiento en la iglesia de Yanahuanca.
Isaac consultò un calendario de la antigüedad.
– Estamos en julio de 1962. Dentro de quince días se celebrará la independencia. ¡Tú festeja en 28 el 28!

Manuel Scorza, Cantar de Agapito Robles (cantar quatro), 1977

Delle funeste conseguenze che può comportare il convincimento che il 28 luglio cada il 28 luglio.
Isaac aveva convinto suo fratello Julio che il 28 luglio doveva essere festeggiato il 28 luglio! Julio Carbajal esitava. 
“Siamo nel dicembre 2192, Isaac. Huarautambo si prepara per il Natale. Lo stesso padre Chasán sta organizzando un presepio nella chiesa di Yanahuanca.”
Isaac consultò un calendario dell’antichità.
“Siamo nel luglio 1962. Fra quindici giorni si celebra l’indipendenza. Tu festeggia il 28 il 28!”

Manuel Scorza, Cantare di Agapito Robles, 1977, tr. it. A. Morino, ed. cons. Feltrinelli, 1983, p. 98

Durante la tirannia del giudice Montenegro, nella regione peruviana di Huanuco, anche il tempo è stato modificato. I mesi hanno durata variabile, i giorni vanno avanti e indietro secondo l’arbitrio del tiranno, per cui l’anno della vicenda, il 1962, è diventato il 2192. E il mese di luglio, nel quale ricorre l’indipendenza del Perù – 28 luglio 1821 – è diventato periodo natalizio. Mentre l’indio leggendario Agapito Robles prepara la rivolta, i due fratelli Carbajal – uno dei quali è maestro di scuola – consultano un calendario gregoriano, precedente quello imposto dalla dittatura, e con coraggio decidono di festeggiare l’anniversario dell’indipendenza nel giorno in cui cade, il 28 di luglio. Ci vorranno molte lotte per spodestare il tiranno Montenegro e riportare anche il tempo nei suoi binari, ridando a mesi e giorni i nomi consueti e alle date la loro storia.

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5 Giugno | June 5

5 giugno 2023

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At three-thirty A.M. on the night of June 5, 1992, the top telepath in the Sol System fell off the map in the offices of Runciter Associates in New York City. That started videophones ringing. The Runciter organization had lost track of too many of Hollis’ psis during the last two months; this added disappearance wouldn’t do.
“Mr. Runciter? Sorry to bother you.” The technician in charge of the night shift at the map room coughed nervously as that massive, sloppy head of Glen Runciter swam up to fill the vidscreen

Philip K. Dick, Ubik, 1969

Alle tre e trenta della notte del 5 giugno 1992, il miglior telepate del Sistema Solare scomparve dalla mappa situata negli uffici della Runciter Associates a New York City. Ciò diede inizio agli squilli dei videofoni. L’organizzazione di Runciter aveva perso le tracce di troppo psi appartenenti al gruppo di Hollis negli ultimi due mesi; quell’ultima sparizione era la goccia finale.
“Signor Runciter? Dolente di disturbarla.”
Il tecnico incaricato del turno notturno alla sala delle mappe tossicchiò nervosamente, mentre la massiccia testa scompigliata di Glen Runciter si sollevava a riempire il videoschermo

Philip K. Dick, Ubik, 1969, tr. it. G. Montanari, Fanucci Editore, 1998, p. 245

Ha inizio con una videochiamata a Glen Runciter, il 5 giugno del 1992, la vicenda narrata in Ubik. In quello che nel 1969 – quando il libro è stato pubblicato – sembra un anno ancora lontano, fra la vita e la morte c’è uno stadio intermedio in cui vivi e semivivi possono comunicare; gli individui hanno sviluppato talenti telepatici e anti-telepatici, capacità di leggere nel pensiero e di contrastare la lettura, mentre lo spray Ubik (dal latino ubique, ovunque) inverte il deterioramento della materia. Regressioni nel tempo lineare che s’innestano una nell’altra e scambi di stato fra chi è vivo e chi è morto mettono continuamente in dubbio la consistenza della realtà; la fine torna all’inizio. E tutto comincia con una chiamata a Glen Runciteralle tre e mezza del mattino del 5 giugno.  

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Alla ricerca di una cronosofia

 

Cronosofia: una saggezza del tempo che si dimostri adatta alle forme che il rapporto con la dimensione temporale ha preso nel mondo contemporaneo, dove quattro regimi competono e si affollano sulle nostre vite: il Fato ineludibile dei ritmi biologici, l’imperativo del Progresso, l’onnipresenza tirannica dell’Ipertempo tecnologico, la minaccia della Scadenza legata alla catastrofe ecologica.
Il filosofo belga Pascal Chabot, nel suo saggio Avoir le temps. Essai de chronosophie, propone un affondo in queste forme del tempo, comparando la loro presenza, seguendone le trasformazioni, registrando le singolarità.
Si addentra nell’analisi degli schemi del tempo, quelle “strutture civili” condivise da gruppi sociali nelle varie epoche; lavora – consapevole che il tema “mette duramente a prova il nostro linguaggio” – sulle parole e le metafore del tempo; si appoggia a creazioni artistiche (i glifi di Nazca, la lanterna di Borromini, il monumento di Tatlin, la Spiral Jetty di Smithson, fino a Sphere Spirals di Escher) per illustrare le sue considerazioni sulla spirale che unisce forme cicliche e lineari.
Passando agilmente da considerazioni filosofiche a esempi della nostra via quotidiana, da fonti mitologiche a manufatti e dispositivi della tecnica, dalla sociologia alla finanza, Chabot conduce il lettore al punto apicale del suo ragionamento.
Nel capitolo dedicato alla figura della Scadenza, la frase “non avere tempo” – da cui il saggio aveva avuto inizio – si espande dalla condizione individuale alla prospettiva della sopravvivenza del genere umano sulla terra, generando nuovi sentimenti, come ad esempio “l’afuturalgia, il dolore di sentirsi privati di un futuro”. Lungi da atteggiamenti apocalittici e riduzionisti, Chabot invita a ragionare sulla necessità di pensare in quattro dimensioni, affrontare insieme i quattro schemi, fondere il diacronico e il sincronico in una “meta-spirale” aperta e complessa.
L’ultimo paragrafo è dedicato al concetto dell’Occasione, il momento opportuno, il kairos del pensiero greco. “L’Occasione” – dice Chabot – “è come un’uscita dal tempo”, è il momento della risoluzione veloce, dell’agire, del cogliere un’opportunità; è anche il tramite per “uscire dalla filosofia, per concretizzare la cronosofia”.

Pascal Chabot, Avere tempo. Saggio di cronosofia (2021), tr. it. S. Bertolini, Treccani Libri 2023

10 Maggio | May 10

10 maggio 2023

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He had reached the end of the house. A washing machine, mop hanging from a rack, package of Dash soap, a stack of magazine and newspapers. Reaching into the stack he dragged out a handful, dropping them, opening them at random. The date on a newspaper made him stop searching: he stood holding it. May 10, 1997. Almost forty years in the future. His eyes took in the headlines.Meaningless jumbo of isolated trivia: a murder, bond issue to raise funds for parking lots, death of famous scientist, revolt in Argentina. And, near the bottom, the headline: Venusian ore deposits object of dispute

Philip K. Dick, Time is out of Joint, 1959

Era arrivato al termine della casa. Una lavatrice, uno spazzolone appeso a un gancio, un fustino di Dash, una pila di riviste e giornali.
Pescando nel mucchio, ne tirò su qualcuna e l’aprì a caso.
La data di un giornale gli fece interrompere la ricerca; restò lì a fissarla.
10 maggio 1997.
Quasi quarant’anni nel futuro. Scorse i titoli. Un miscuglio insignificante di banalità senza relazione tra loro: un assassinio, un’emissione di buoni del tesoro finalizzata alla raccolta di fondi per la costruzione di aree di parcheggio, la morte di un famoso scienziato, una rivolta in Argentina. E, in taglio basso, un altro titolo: Contesi i giacimenti minerari di Venere.

Philip K. Dick, Tempo fuori luogo, 1959, tr. it. G. Pannofino, Sellerio, Palermo, 1999, pp. 194-95

In una cittadina americana, in un periodo che somiglia alla fine degli anni Cinquanta, le giornate di Ragle Gumm trascorrono in una routine stressante: entro la fine di ogni pomeriggio deve inviare la soluzione di un gioco a premi indetto da un giornale, per rimanere così in cima alla classifica dei solutori. Grazie al suo intuito e a un complesso sistema di calcolo, Ragle riesce a indovinare, con minimi errori, in quale zona di una mappa quadrettata apparirà l’omino verde del gioco. È un gioco. O almeno così sembra, fino a quando alcuni indizi fanno dubitare Ragle e la sua famiglia che la normalità della loro vita quotidiana (compreso il concorso a premi) sia autentica. Dettagli fuori posto, brevi allucinazioni, elenchi telefonici anacronistici. Quando Ragle si imbatte nella copia del giornale datato 10 maggio 1997, comincia ad avvicinarsi a una spiegazione di quello che sta accadendo (sulla terra e non solo) e in cui lui – con il suo talento per la decrittazione – ha un ruolo centrale.

 

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7 Maggio

7 maggio 2023

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Una luminosità gialloambrata era tutto ciò che appariva all’orizzonte, mentre, a destra, ancora s’intravedeva la costa bassa e nuda del Portogallo, finché non sparve, come un’ombra, definitivamente. Allora, a quella luce rosata si mescolò un certo verde-livido, e le onde, pur senza agitarsi, divennero più grosse. Era l’una del 7 maggio, e durante la notte e la mattinata erano passate altre miglia, senza che perciò lo scenario mutasse, allorché al Daddo che se ne stava sul ponte, un po’ pensieroso, al suo sguardo fanciullesco, si presentò lontanissimo, in quella luminosità, un punto verde-bruno, a forma di corno, o ciambella spezzata, che non risultava sulla carta. Chiese al marinaio di che potesse trattarsi (aveva pensato, in un primo momento, a un branco di cetàcei, dato che quel punto, per quanto piccolo, presentava delle gibbosità), e Salvato gli rispose che poteva sbagliarsi, ma sembrava proprio l’isola di Ocaña…

Anna Maria Ortese, L’iguana, 1965, Rizzoli 1978, p.20, altra ed. Adelphi, 1986

La storia è cominciata a Milano in aprile, quando Aleardo, chiamato anche Daddo, ha deciso di avventurarsi in barca in cerca di un lembo di terra da acquistare. Da Genova è arrivato a Lisbona e poi, dopo due giorni di navigazione, il 7 di maggio, è giunto in vista della piccola isola di Ocaña, non segnata sulle carte nautiche. Lì lo attende l’incontro con una strana famiglia di nobili portoghesi e con la bestiola, l’iguana, che dà il titolo al libro. Fra i misteri che avvolgono l’isoletta e i suoi abitanti, il tempo ha una presenza tutta sua: “ il tempo, o Senhora, non è che una distanza e il passato e il futuro  regnano insieme all’appassionato e fulmineo attimo”. 

 

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Come il tempo si rivela nell’arte: un libro di Beatrice Peria

“Parlare di prospettiva invisibile significa riconoscere l’esistenza di un’altra prospettiva“, scrive la storica dell’arte Beatrice Peria in un libro importante, in cui l’autrice affronta da docente e da iconologa il tema immenso della presenza del tempo nelle espressioni artistiche dal medioevo al contemporaneo.  Accanto alla prospettiva geometrica che organizza l’esperienza e la rappresentazione dello spazio, la studiosa si interroga sulla prospettiva invisibile del tempo, suggerendo, sin dall’incipit del volume, che “il tempo può essere espresso, implicato, evocato, comunicato, ma forse non rappresentato (…) se non in modo obliquo, attraverso forme e modi altri che qui vogliamo cercare di mettere in luce”. Le forme e i modi che Beatrice Peria presenta sono il frutto di una ricerca lunga e consistente, basata su fondamenti teorici e storici che includono Aby Warburg ed Etienne Souriau, su una ricchissima selezione di opere (benissimo illustrate nel testo) e su una struttura in cinque capitoli che servono allo stesso tempo da isole tematiche e da bussole per orientarsi nella lunga trasformazione della storia delle immagini. Il primo capitolo, dedicato ai Calendari, si apre con i calendari figurati, le raffigurazioni dei mesi e dei lavori, i cicli astrologici, e arriva all’epoca contemporanea, dove la griglia calendariale è intesa come dispositivo concettuale. Il secondo capitolo tratta del tema della Vanitas rintracciando la metamorfosi dei suoi simboli, teschi, frutti, bolle di sapone, dal grande repertorio della pittura rinascimentale e barocca ai linguaggi che esprimono la fragilità dell’epoca presente. Nel terzo capitolo La Narrazione il tempo è analizzato all’interno delle strategie di narrazione per immagini, e qui gli esempi arrivano anche dal mondo antico, appoggiandosi a fonti teoriche, estetiche, linguistiche. Istante/Durata è il titolo del quarto nucleo di indagine, in cui le serie di Monet, così come la cronofotografia rivelano l’emergere di un desiderio di rappresentare la trasformazione incessante del visibile; desiderio che procede nel tempo e si ritrova, modificato, in tanti esempi di fotografia contemporanea. Infine, Memoria/memorie conclude l’impresa di questo volume, intessendo un ragionamento sui rapporti fra memoria e immagini, documenti, storia, con omaggi all’Atlante Mnemosyne di Warburg e a protagonisti del Novecento come Richter, Kiefer, Boltansky.
Uno dei pregi del libro è proprio l’accostamento giudizioso fra passato e presente, fra opere del canone tradizionale ed espressioni contemporanee, che sbalzano il lettore da una temporalità all’altra, rivelando affinità, anacronismi, continuità e sorprese, che danno una scossa al flusso del tempo.

Beatrice Peria, La prospettiva invisibile. Forme visuali della temporalità nell’arte, L’Erma di Bretschneider, Roma – Bristol, 2022

30 Aprile | 30 Abril

30 aprile 2023

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Beatriz Viterbo murió en 1929; desde entonces, no dejé pasar un treinta de abril sin volver a su casa. Yo solía llegar a las siete y cuarto y quedarme unos veinticinco minutos; cada año aparecía un poco más tarde y me quedaba un rato más; en 1933, una lluvia torrencial me favoreció: tuvieron que invitarme a comer. No desperdicié, como es natural, ese buen precedente; en 1934, aparecí, ya dadas las ocho, con un alfajor santafecino; con toda naturalidad me quedé a comer. Así, en aniversarios melancólicos y vanamente eróticos, recibí las graduales confidencias de Carlos Argentino Daneri. […]
El treinta de abril de 1941 me permití agregar al alfajor una botella de coñac del país.

Jorge Luis Borges, El Aleph, 1949

Beatriz Viterbo morì nel 1929; da allora non lasciai passare un trenta d’aprile senza tornare alla sua casa. Solevo arrivare alle sette e un quarto e fermarmi un venticinque minuti; ogni anno comparivo un po’ più tardi e restavo un po’ di più; nel 1933, una pioggia torrenziale mi favorì: dovettero invitarmi a cena. Profittai, naturalmente, di quel buon precedente; nel 1934 comparvi alle otto suonate, con un torrone di Santa Fé; con tutta naturalezza rimasi a cena. Così, in anniversari melanconici e vanamente amorosi, ricevetti le graduali confidenze di Carlos Argentino Daneri. (…)
Il trenta aprile del 1941 mi permisi di aggiungere al torrone due bottiglie di cognac locale

Jorge Luis Borges, L’Aleph, 1949, tr. it. F. Tentori Montalto, I Meridiani, Mondadori, 1985, vol. I, p.887, p. 888

La casa di calle Garay a Buenos Aires, dove ha abitato Beatriz Viterbo e dove continuano ad abitare dopo la sua morte il padre e il cugino Carlos Argentino Daneri, custodisce in cantina – sotto la stanza da pranzo – l’Aleph: un oggetto indefinibile che contiente tutti i punti dello spazio, mostrandoli senza sovrapposizioni in un unico gigantesco istante. L’Aleph è stato scoperto da Carlos Argentino Daneri, scrittore di noiosi poemi, che lo mostra a Borges, amico di famiglia, legato alla bella e fragile Beatriz. Beatriz, che è morta in un giorno di febbraio dell’estate australe, era nata il trenta di aprile e il Borges del racconto, per anni, continua a onorare questa data, come fa anche il Borges scrittore, che la sceglie in (almeno) altre due storie: Funes, o della memoria e La notte dei doni. 

 

Dicono del libro

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Era su era nel giardino planetario di Pietro Ruffo

Allestita nella galleria Lorcan O’Neill di Roma, la mostra Il Giardino Planetario espone una serie di opere recenti che l’artista Pietro Ruffo dedica al tema del complesso equilibrio fra specie umana e pianeta, raccolte sotto al titolo Antropocene.
Ai visitatori che si aggirano nella prima sala della galleria, scenograficamente arricchita da tendaggi su cui è riprodotta una imponente foresta primordiale, la prima cosa che Ruffo dice è che la Terra si è sempre modificata e continuerà a farlo e che il punto su cui concentrarsi non è tanto e solo la nostra capacità di rovinare il pianeta, quanto quella di distruggere la nostra possibilità di vivere in esso, su di esso, insieme.
Artista, architetto – che di volta in volta si fa studioso di cartografia, botanica, geologia, antropologia, archeologia – Ruffo si ispira per il titolo della mostra a un saggio omonimo di Gilles Clément, il filosofo paesaggista e agronomo francese autore del Manifesto del terzo paesaggio, mentre le singole opere fanno riferimento al concetto di antropocene, una definizione che – con una dose di presunzione – usa il nome della nostra specie per definire un’era evolutiva.
Nella scia delle sue creazioni, caratterizzate dall’uso di mappe geografiche e carte antiche, dall’intaglio e dalla sovrapposizione di strati, Ruffo dà vita a una collezione di vedute arricchite: ogni immagine rappresenta un luogo in cui è stato ritrovato un teschio dei nostri antenati; da questo incipit si dispiega il palinsesto di forme vegetali, animali, minerali, cartografiche, raccordate da inserti di colore e dalla sagoma, spesso dissimulata e latente, del teschio di partenza.
«Questi lavori sono dei lavori classici sul paesaggio a cui però ho voluto aggiungere anche un elemento legato al tempo», spiega bene Ruffo. Ogni opera richiede infatti una strategia di indagine che sfogli percettivamente e cognitivamente gli strati di tempo accumulati in una porzione di paesaggio, avvicinati da Ruffo – con sapienza e leggerezza – in un modo che richiama gli assemblaggi di Piranesi, i libri animati dell’Ottocento: diorami dello spazio tempo da smontare e rimontare con responsabilità e piacere.   

Pietro Ruffo, Il Giardino Planetario, Galleria Lorcan O’Neill, Roma, vicolo dei Catinari
14 marzo 2023 – 29 aprile 2023
Il sito dell’artista: pietroruffo.com

(a.s.)

3 Aprile

3 aprile 2023

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Il 3 aprile verso le cinque. In macchina da piazza della Scala vuol prendere via Verdi ma il semaforo è rosso; stipate intorno le auto, i pedoni che passano, il sole ancora alto, una giornata bellissima, in quel mentre immaginò la Laide sul bordo della pista di Modena dove diceva di andare a posare per le fotografie di moda, è là felice di essere stata ammessa in quel mondo eccezionale di cui i giornali parlano tanto in termini quasi di favola, è là che scherza con due giovani 

Dino Buzzati, Un amore, 1963, Mondadori 1979, pp. 79-80

L’architetto milanese Antonio Dorigo, in febbraio, in una casa d’appuntamenti, ha conosciuto Adelaide, una ragazza col fisico da ballerina, da cui rimane irretito. Durante i mesi invernali Dorigo si è legato sempre più alla ragazza, che non ricambia il suo sentimento e ha una vita sua, in locali notturni e con altri uomini. Nel pomeriggio del 3 aprile, in mezzo al traffico di Milano, “all’altezza del palazzo di Brera lo prese lo sgomento perché in questo preciso istante ha capito di essere completamente infelice senza nessuna possibilità di rimedio” e perché  il pensiero di lei “lo perseguita in ogni istante millimetrico della giornata”. 

 

Dicono del libro

Dicono del libro
“Nella cornice di una Milano grigia, caliginosa e triste, fra salotti di case d’appuntamento e strade impregnate degli odori dei «camini, sfiatatoi delle caldaie a nafta, ciminiere delle raffinerie Coloradi, camion ruggenti e fogne», si sviluppa la vicenda dell’architetto Antonio Dorigo, 49 anni, che nell’inverno del 1960 incontra una giovanissima squillo, sedicente ballerina del teatro alla Scala di Milano”
(dalla recensione del libro in Italialibri.net)

 


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28 Marzo | March 28

28 marzo 2023

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“Look at the date of the magazine issue”.
He pointed to the top heading, just to the left of the page number. It read March 28, 1932. Harlan said, “That scarcely needs translation. The numbers are about those of Standard Intertemporal and you see it’s the 19.32nd Century. Don’t you know that at that time no human being who had ever lived had seen the atomic mushroom cloud. No one could possibly reproduce it so accurately, except…”
“Now, wait. It’s just a line pattern,” said Twissel trying to retain his equilibrium. “It might resemble the mushroom cloud only coincidentally. “Might it? Will you look at the wording again?” Harlan’s fingers punched out the short lines: “All the— Talk— Of the— Market. The initials spell out ATOM, which is English for atom. Is that coincidence, too? Not a chance”

Isaac Asimov, The End of Eternity, 1955

“Leggi la data in cima alla pagina”. Indicò la scritta che diceva: 28 marzo 1932. “Non c’è bisogno di traduzione, vero? I numeri sono quasi uguali a quelli dell’Intertemporale Standard. Non sai che a quell’epoca nessuno aveva mai visto un fungo atomico? Nessuno avrebbe potuto riprodurlo con tanta accuratezza, tranne…” “Aspetta un momento, è solo uno schizzo” disse il Calcolatore, cercando di ritrovare il suo equilibrio. “Può darsi che la somiglianza col fungo atomico sia casuale.” “Ah, sì? Guarda di nuovo le parole, allora.” Harlan indicò la scritta in maiuscolo, All the Talk Of  the Market. “Le iniziali formano la parola Atom, che in inglese vuol dire atomo. Me la chiami coincidenza? Direi proprio di no”

 Isaac Asimov, La fine dell’Eternità, 1955, tr.it. G. Lippi, Mondadori, 1987, p. 202

L’Eternità gode di un equilibrio estremamente delicato, nel mondo immaginato da Asimov in questo romanzo, dove si può viaggiare attraverso i secoli e la storia muta a ogni cambiamento della Realtà effettuato da tecnici del Tempo. Dove si rischia, tornando a un momento già attraversato, di incontrare se stessi. E dove diverse Realtà alternative possono esistere.
Ma c’è stata un’epoca in cui il passato era irreversibile, “la Realtà fluiva ciecamente lungo la linea della massima probabilità”, per esempio il Ventesimo secolo. Lì è finito uno dei personaggi di questo complicato racconto e da lì, dal 1932, sta mandando un messaggio in codice per essere rintracciato. Un messaggio affidato a un anacronismo: il disegno di un fungo atomico su una rivista del 28 marzo 1932.  

 

Dicono del libro

Dicono del libro
“In un futuro ancora molto lontano l’uomo ha imparato a viaggiare nel tempo, spostandosi con disinvoltura da un secolo all’altro e organizzando traffici commerciali tra ere diverse. Il viaggio nel tempo permette anche di tenere l’umanità sotto rigido controllo, modificando tutti quegli elementi che potrebbero provocare gravi turbamenti nella storia. A effettuare i cambiamenti sono delegati gli analisti e i tecnici della rigida casta degli Eterni, gli unici in grado di manipolare passato e futuro”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)

 

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24 Marzo

24 marzo 2023

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 24 marzo 1958

In determinate condizioni di atmosfera, di ora e di luce possiamo vedere anche a occhio nudo i tre piccoli satelliti artificiali che l’uomo lanciò dalla Terra verso gli spazi interplanetari dal 1955 al 1958; e ivi sono rimasti appesi, presumibilmente per sempre, girando girando intorno a noi. In certi crepuscoli d’inverno quando l’aria è come cristallo, tre minuscoli punti brillano, di un fisso e corrucciato splendore; due vicini che quasi si toccano, uno più in là, solitario

Dino Buzzati, 24 marzo 1958, in Sessanta racconti, 1958, Mondadori, p. 293

Il 24 marzo 1958 è la data della messa in orbita dell’ultimo di una serie di tre satelliti che – da allora al presente immaginato nel racconto, il 1975 – continuano a girare intorno alla Terra. È una data più importante della scoperta dell’America o della rivoluzione francese, dopo la quale l’umanità è cambiata. Gli ultimi messaggi trasmessi dall’equipaggio alludono infatti a una strana musica e all’arrivo in un luogo che forse è il paradiso. Gli astronauti non sono tornati dai viaggi e i tre satelliti continuano a girare, lasciando il dubbio che il regno dei cieli – con la sua musica sovrumana – sia pericolosamente vicino, proprio alle porte del pianeta Terra, di questa “pulce delle pulci disseminate nell’Universo”.

 

Dicono del libro

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“Era ora” un film con le date dipinte

Il fim Era ora (2022), “commedia esistenziale” diretta da Alessandro Aronadio, interpretata da Edoardo Leo e Barbara Ronchi, distribuita da Netflix, è un piccolo regalo per chi è attratto dal grande tema del tempo e delle invenzioni narrative che ne raccontano i paradossi e i vincoli. La storia – ispirata a Long Story Short di Josh Lawson – è imperniata sul giorno del compleanno del protagonista Dante, un manager talmente concentrato sulla vita lavorativa che passa dal 26 ottobre del suo quarantesimo compleanno a quelli successivi senza rendersi conto di ciò che accade ai suoi cari: la moglie delicata illustratrice, la figlia Galadriel, il padre che perde la memoria, gli amici, le colleghe.
Solo nelle 24 ore del compleanno, il tempo della sua vita coincide con quello condiviso dagli altri, e Dante fa i conti con i cambiamenti di cui non si è accorto nel ritmo condensato delle sue giornate iperattive.
Una parte importante della storia è affidata alla figura della moglie Alice, che firma i suoi disegni con un datario, un vecchio timbro a data da ufficio, in cui le cifre giorno-mese-anno vanno sistemate manualmente.

A chi conosce il panorama degli artisti contemporanei interessati al tempo, non può non venire in mente la tecnica di Federico Pietrella, che ha sviluppato negli anni uno stile peculiare, in cui le forme rappresentate nelle sue tele – paesaggi, interni, ritratti –  sono ottenute proprio attraverso datari. E difatti, nel film, dal dettaglio della data si passa a vedere una grande composizione in cui il volto emerge dalla sapiente trama, più e meno fitta, più e meno regolare, delle date.


Ma anche i disegni di Alice hanno una fonte artistica reale, le opere dell’illustratrice e scrittrice Beatrice Alemagna,  pluripremiata, fra l’altro, per il libro, dal titolo assai pertinente, Un grande giorno di niente. Aver inserito gli stili di questi due artisti italiani nella narrazione dà al film un valore aggiunto, un’intensità visiva che accende la curiosità e permane nella memoria.

(a.s.)

Su diconodioggi: Le date dell’artista Federico Pietrella, di Franco Chirico
e Notizie da una mostra sul tempo