Darren Almond: tra orologi e pleniluni, di Elena Lago

 

“E sono ormai convinto da molte lune / dell’inutilità irreversibile del tempo” canta Rino Gaetano in una sua canzone del 1974. Seppur reso nella sua “inutile irreversibilità”, il tempo è atteso, osservato, narrato, fotografato da Darren Almond, artista inglese, nato a Wigan nel 1971. Sin all’infanzia è affascinato dagli orari, dallo scorrere del tempo, dalle distanze geografiche. È un pendolare, un trainspotter, guarda i treni come se fosse un modo per fuggire dalla sua piccola città. Ecco la premessa al mondo degli orari e degli orologi. Gli eventi temporali sono “spazializzati” con mezzi cinematografici, si gioca tra la distanza spaziale e la presenza temporale, nell’opera del 1996 A Real Time Piece, un’istallazione video che prevedeva la proiezione dell’immagine dello studio londinese dell’artista sul muro di un negozio abbandonato, in un’altra parte della città. Un tavolo, una sedia e un orologio appeso al muro. Nessuno entra nella stanza, non accade nulla, unica eccezione, ogni sessanta secondi lo scorrere dei numeri del flip-clock che provoca un rumore sorprendente. L’opera dura 24 ore e il rumore sopraggiunge 1440 volte. Intanto, dalla finestra entra la luce che ci fa percepire non soltanto il tempo come durata, ma anche come variazione atmosferica. Gli spettatori prendono parte ad un grande orologio ambientale, un’intensa esperienza in cui il tempo viene trasformato in un evento teatrale immersivo. Questo lavoro conduce poi a Tuesday (1440 Minutes), del 1997, opera costituita da 1440 fotografie che documentano il cambiamento naturale della luce nello studio ogni minuto per ventiquattro ore (di un martedì), disposte in ventiquattro cornici con sessanta foto ciascuna.
tideTutte le opere di Almond, probabilmente, sono dei cronometri in cui diverse temporalità si fanno sentire: il tempo della memoria, il tempo del corpo umano, il tempo cosmico, il tempo misurato dagli orologi. Nel 1997 alla mostra Sensation, alla Royal Academy of Arts di Londra, espone A Bigger Clock, lavoro ispirato dagli orologi digitali nelle stazioni della British Railway. Non appena le palette dei numeri ruotano nell’orologio, il meccanismo produce un rumoroso e amplificato suono che ricorda il passaggio di ogni minuto. Lo stesso meccanismo viene ripreso circa dieci anni dopo con l’opera Tide, del 2008. Questa volta non è un solo orologio ad essere appeso alla parete, ma seicento, sincronizzati alla stessa ora. Il muro, o meglio la marea (Tide) di orologi ci ricorda con più forza che il tempo passa inesorabilmente (o irreversibilmente!), sempre tramite il suono alla fine di ogni minuto, quasi a creare una musica eterna e simultanea, come se il tempo invadesse lo spazio.
Almond non lavora solamente con il tempo numerico e meccanico dell’orologio ma anche con i tempi della natura. Sin dal 1999, si dedica ad un progetto intitolato Fullmoon, una serie di fotografie a colori che mostrano diversi paesaggi con la luna piena. La vera originalità di quest’opera sta nel fatto che Almond ha utilizzato un tempo di esposizione molto lungo, circa di quindici minuti. Un quarto d’ora capace di trasformare scenari notturni in panorami diurni. Il chiaro di luna conferisce alle immagini una qualità spettrale, infondendo nelle foto una versione contemporanea del concetto di sublime. È qui che il tempo, tramite la fotografia, dimostra di essere eterno, immutabile, ma allo stesso tempo infinitamente cangiante. L’artista afferma: “every four weeks there’s another chance to make a photograph” e segue i passi di altri artisti del passato, come Turner, Constable o Friedrich. Come lui, si reca infatti ad ammirare le scogliere dell’isola di Rügen sul Mar Baltico e le fotografa al chiaro di luna, creando un’atmosfera sospesa nel tempo.
Nel 2012, Almond si è dedicato a una serie di lavori su tela, in cui la superficie è divisa in diversi pannelli, distribuiti secondo una griglia, ciascuno dei quali riporta la metà di un numero che non coincide mai con l’altra metà. Queste opere quindi si riferiscono a un tempo che subisce una sorta di interruzione, come se il suo naturale passaggio, tanto presente nelle precedenti opere, sia inciampato in qualcosa che non gli permette di scorrere, ma lo fa tornare indietro o lo fa andare “troppo avanti”, creando una specie di vortice confuso o di diverse Possibilità di incontri (il titolo delle opere è, infatti, Chance Encounter). Questi incontri casuali generano alfabeti diversi e combinazioni variabili, nuovi modi di misurare la realtà, fatta di numeri e parole calati nel tempo.
Elena Lago

L’immagine: Darren Almond, Tide, 2008, 600 digital wall clocks, Perspex, electro-mechanics, steel, vinyl, computerized electronic control system and components, courtesy of White Cube Gallery, London.
I link alle gallerie che rappresentano Darren Almond: http://whitecube.com/ http://www.matthewmarks.com/