10 Gennaio

10 gennaio 2013

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Né adagio né presto altri tre mesi erano passati. Natale si era già dissolto nella lontananza, anche il nuovo anno era venuto portando per qualche minuto agli uomini strane speranze. Giovanni Drogo già si preparava a partire. Occorreva ancora la formalità della visita medica, come gli aveva promesso il maggiore Matti, e poi sarebbe potuto andare. Egli continuava a ripetersi che questo era un avvenimento lieto, che in città lo aspettava una vita facile, divertente e forse felice, eppure non era contento. Il mattino del 10 gennaio entrò nell’ufficio del dottore, all’ultimo piano della Fortezza

Dino Buzzati, Il deserto dei Tartari, 1940, Mondadori, 1984, pp. 84-85

Finita l’Accademia militare, il tenente Giovanni Drogo è arrivato alla Fortezza Bastiani in settembre, con la sensazione che la sua vera vita avesse inizio allora. Trascorsi tre mesi e le feste, Drogo decide di chiedere un permesso per tornare nella sua città. Per questo si presenta alla visita medica il mattino del 10 gennaio. Ma qualcosa, alla fine, gli fa cambiare idea e resta alla Fortezza, dove il tempo si consuma “con il suo immobile ritmo”, fra abitudini, attese di azioni eroiche di cui non si crea l’occasione, ripetizioni di situazioni simili. Uno dei temi di questo racconto è la scansione irregolare del tempo, che appare continuamente come una risorsa inesauribile e come qualcosa che è sfuggito per sempre. 

Dicono del libro
“La magia costituisce il lievito delle pagine migliori di Buzzati e restituisce il suono più vero della scoperta.” Così scrive Alberico Sala presentando il romanzo Il deserto dei tartari, il più famoso romanzo di Buzzati. Il tema della vita come rinunzia è tipica dell’arte dello scrittore veneto-milanese che, senza mai perdere di vista l’elemento reale, in questo suo romanzo ricrea il clima rarefatto dell’allegoria. Giovanni Drogo, tenente di prima nomina destinato a Forte Bastiani, si avvia alla meta con l’indefinibile presentimento che qualcosa nella sua vita stia portando a una totale sulitudine. La fortezza, enorme, gialla, situata ai limiti del deserto, una volta regno dei mitici nemici, i Tartari, lo accoglie con la sua maestosa imponenza. Il tenete Drogo viene contaminato da quel clima eroico di avidità di gloria, che sembra pietrificare, in un’attesa perenne, ufficiali e soldati”.
(Dalla quarta di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)

9 Gennaio

9 gennaio 2013

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Quattro giorni or sono, il nove gennaio, ricevetti con la posta del pomeriggio una lettera raccomandata il cui indirizzo rivelava la calligrafia del mio collega, e vecchio compagno di scuola, Henry Jekyll. Ne fui sorpreso non poco poiché non avevamo mai avuto l’abitudine di ricorrere a scambi epistolari. Oltretutto l’avevo incontrato la sera prima trattenendomi con lui a cena, e, per quanto potessi immaginare, non c’era nulla nei nostri rapporti che richiedesse una simile procedura formale. Il contenuto della missiva aumentò il mio stupore

Robert L. Stevenson, Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde, 1886, tr. it. A. Brilli, Mondadori, 1993, p. 52

Verso le tre di un mattino d’inverno”, “in una tipica notte di marzo gelida e ventosa”, in giornate buie, senza paesaggio, si svolge lo strano caso del medico Henry Jekyll che, sperimentando droghe che alterano la personalità, si trasforma nel pericoloso criminale Edward Hyde. La reversibilità di questa trasformazione diventa via via più difficile e Hyde, verso le undici di una sera d’ottobre, uccide un uomo. Mentre Jekyll è sopraffatto dal suo rovescio, cercano di portargli aiuto l’amico avvocato Utterson e  il collega Lanyon. La data del 9 gennaio è riportata proprio nel memoriale del dottor Lanyon, che sarà testimone in diretta della metamorfosi Jekyll-Hyde e avrà fra le mani il taccuino del dottore, fitto di centinaia di date che riportano i suoi inquietanti esperimenti.

Dicono del libro
“La storia di Jekyll e Hyde segna il culmine della fascinosa indagine stevensoniana sulla scissione della personalità, di quello scandalo che, come notava G. K. Chesterton, ci obbliga a riconoscere non tanto che sotto la pelle di un uomo ce ne sono due, quanto che due uomini sono la medesima persona”
Attilio Brilli (prefazione ed. Mondadori, op. cit.)

Un secolo in 366 giorni. Ich war’s di Daniela Comani

Comani Corraini L’opera di Daniela Comani (un cui dettaglio è visibile come sfondo di queste pagine) si intitola Ich war’s. Tagebuch 1900-1999 (Sono stata io. Diario 1900-1999) e racconta l’intero secolo XX concentrando una selezione di fatti epocali in un anno virtuale di 366 giorni. Nata, sulla soglia del passaggio del millennio, dalla sensazione di pesantezza del secolo che si concludeva, l’opera ha tre versioni: si può ascoltare in diverse lingue europee, fra cui il tedesco, lingua in cui l’opera è stata concepita; si può leggere sfogliando un libro; si può guardare, montata su un grande pannello: un muro di date e parole. Nella versione audio, l’ascolto va dal primo gennaio al 31 dicembre che, nella selezione, corrispondono rispettivamente alla fondazione del partito comunista tedesco (1-1-1919) e alla fuga da Cuba di Batista il 31 dicembre del 1958. Nel libro e nell’allestimento, il lettore può compulsare il diario come vuole, andando da una data all’altra. La caratteristica di questa selezione è che tutti gli avvenimenti riportati, gli attentati, i libri, i suicidi, i trattati, sono raccontati dall’autrice in prima persona, da cui il titolo Sono stata io. Ne risulta il diagramma di un secolo, appoggiato sull’impalcatura condivisa del calendario. Per un approfondimento > Date e dati del XX secolo nell’opera Ich war’s. Tagebuch 1900-1999, di Daniela Comani.

macro comani

Una versione dell’opera è esposta nel corso della mostra Dall’oggi al domani. 24 ore nell’arte contemporanea (Museo Macro di Roma, via Nizza 138, dal 29 aprile al 2 ottobre 2016). Antonella Sbrilli (@asbrilli)

8 Gennaio

8 gennaio 2013

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Rividi Schlaggenberg nell’anno nuovo, il sabato dopo l’Epifania, l’8 gennaio; e solo per pochi minuti, di notte, fra altra gente. Quella sera c’era una delle solite grandi baldorie o gozzoviglie in massa, preparate dal capitano di cavalleria barone von Eulenfeld, cui partecipava gente presa da tutte le parti e trasportata addirittura in automobile. (…) Era un terribile pandemonio che si scatenava attraverso i piccoli bar e caffè del centro, come attraverso le osterie suburbane e alla fine, dopo un avvicendarsi d’innumerevoli tappezzerie, caffè, bettole, alloggi privati, ateliers, cabarets e locali notturni di ogni specie, il tutto si concludeva in una di quelle perfette nebulose alla Eulenfeld che, anche per la “sbornia” (così la chiamava il capitano) a cose fatte spesso non era facile localizzare

Heimito von Doderer, I demoni, 1956, tr. it. C. Bovero, Einaudi, 1979, vol. I, p.64

Dicono del libro
“L’opera di Heimito von Doderer (Vienna 1896-1966) segna l’epilogo della grande tradizione narrativa che, sviluppatasi all’ombra dell’impero absburgico in dissoluzione, culmina nei romanzi di Musil e di Broch. Ed è la risposta a quell’esperienza storica, che viene interpretata da Doderer come conseguenza di un predominio sempre piu manifesto della «falsa coscienza» ideologica. Nei «Demoni» l’autore tenta un’interpretazione personalissima – affascinante, anche se talora sconcertante – dell’alienazione che sta alla radice di buona parte della letteratura d’avanguardia. Se ne discosta tuttavia perché conserva nella sua narrazione tutto ciò che manca di solito al romanzo contemporaneo: un mondo ricco di colori e pieno di vitalità, che sprigiona una forza consolatrice e rassicurante, una padronanza assoluta del mondo poetico, una sapiente maestria nel muovere un’imponente schiera di personaggi, i cui destini intrecciati formano il tessuto imprevedibile della vita”

7 Gennaio

7 gennaio 2013

 

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Per le anatre avevo inventato una specie di amo, fatto con spille e con acini di granturco, che mettevo a galleggiare nell’acqua sopra delle foglie che tenevo fissate con una bacchetta infilzata nel fango della riva; ma erano poche le anatre che abboccavano e se una rimaneva prigioniera, le altre andavano via con i loro voli che disegnavano una lettera altissima nel cielo.
Queste lettere delle anatre erano altri segnali del mutare dell’invernata, finché mi trovai al 7 gennaio, giorno del mio compleanno

Paolo Volponi, La macchina mondiale, 1965, Garzanti 1973, p. 206

Dal suo angolo di campagna marchigiana, Anteo Crocioni – scienziato e filosofo autodidatta, fine osservatore della natura – riflette sul sistema dell’esistente, sulle generazioni di individui che, come macchine autopoietiche, producono altri individui, ripetendo autonomamente l’opera dei progettisti dell’universo. Lavora a un trattato sulla “genesi e sulla palingenesi”, per la costituzione di una “nuova Accademia dell’Amicizia”, corredato di schemi e disegni, e ragiona sulla costruzione di macchine esperte in grado di migliorare l’evoluzione dell’uomo stesso. Emarginato e avversato dalla famiglia di origine e da quella della moglie Massimina, che scappa a Roma, Anteo pellegrina fra le Marche e la capitale, sempre inseguendo le sue ricerche e la donna amata, finché viene rimandato a casa con un foglio di via. Il giorno del compleanno, 7 gennaio, è una data immersa nella natura, nella neve, nelle tracce degli animali. Una data naturale, tanto diversa dalle date burocratiche dei verbali dei tribunali, con cui il romanzo si apre, e da quelle di cronaca nera, che si affollano verso la fine della storia. 

Dicono del libro
“La macchina mondiale (1965) è il secondo romanzo di Paolo Volponi, che vi intreccia magistralmente i temi e i modi espressivi che gli sono cari: il rapporto fra mondo contadino e mondo industriale-cittadino, la carica eversiva dell’ideologia contro i ritardi, le chiusure e le sordità morali della società italiana, la fervida sperimentazione linguistica e stilistica. Per Volponi, come per Anteo, la vera pazzia è di quanti accettano l’infelicità e l’ingiustizia senza accorgersi della possibilità di una vita rinnovata e felice”

 

Altre storie che accadono oggi

 

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“… Tuttavia il mattino successivo, sette gennaio, un martedì, la cerca riprese…”
Rainer Maria Rilke, I quaderni di Malte Laurids Brigge

 

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“… Il 7 gennaio, alle 4 e 14 a.m., sobriamente camuffato da andino boliviano, salii sul Panamericano…”
Jorge Luis Borges, Adolfo Bioy Casares, Le notti di Goliadkin 

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Per le anatre avevo inventato una specie di amo, fatto con spille e con acini di granturco, che mettevo a galleggiare nell’acqua sopra delle foglie che tenevo fissate con una bacchetta infilzata nel fango della riva; ma erano poche le anatre che abboccavano e se una rimaneva prigioniera, le altre andavano via con i loro voli che disegnavano una lettera altissima nel cielo.
Queste lettere delle anatre erano altri segnali del mutare dell’invernata, finché mi trovai al 7 gennaio, giorno del mio compleanno

Paolo Volponi, La macchina mondiale, 1965, Garzanti 1973, p. 206

Dal suo angolo di campagna marchigiana, Anteo Crocioni – scienziato e filosofo autodidatta, fine osservatore della natura – riflette sul sistema dell’esistente, sulle generazioni di individui che, come macchine autopoietiche, producono altri individui, ripetendo autonomamente l’opera dei progettisti dell’universo. Lavora a un trattato sulla “genesi e sulla palingenesi”, per la costituzione di una “nuova Accademia dell’Amicizia”, corredato di schemi e disegni, e ragiona sulla costruzione di macchine esperte in grado di migliorare l’evoluzione dell’uomo stesso. Emarginato e avversato dalla famiglia di origine e da quella della moglie Massimina, che scappa a Roma, Anteo pellegrina fra le Marche e la capitale, sempre inseguendo le sue ricerche e la donna amata, finché viene rimandato a casa con un foglio di via. Il giorno del compleanno, 7 gennaio, è una data immersa nella natura, nella neve, nelle tracce degli animali. Una data naturale, tanto diversa dalle date burocratiche dei verbali dei tribunali, con cui il romanzo si apre, e da quelle di cronaca nera, che si affollano verso la fine della storia. 

Dicono del libro
“La macchina mondiale (1965) è il secondo romanzo di Paolo Volponi, che vi intreccia magistralmente i temi e i modi espressivi che gli sono cari: il rapporto fra mondo contadino e mondo industriale-cittadino, la carica eversiva dell’ideologia contro i ritardi, le chiusure e le sordità morali della società italiana, la fervida sperimentazione linguistica e stilistica. Per Volponi, come per Anteo, la vera pazzia è di quanti accettano l’infelicità e l’ingiustizia senza accorgersi della possibilità di una vita rinnovata e felice”

 

Vie del tempo. Un gioco di Stefano Bartezzaghi

Lisbona rua 1 de dezembroEra il 1997: Stefano Bartezzaghi, nella sua rubrica La posta in gioco su “La Stampa”, proponeva ai suoi lettori l’impresa delle Vie del tempo, una raccolta di “giorni instradati, ovvero vie che, nelle varie città d’Italia e del vasto mondo, ricordano non un nome ma una data”. Uno stradario di date, un calendario di strade in cui possono rientrare anche le strade citate  nelle storie, come, ad esempio, la Rua do Primeiro de Dezembro, nella Lisbona di Saramago.

6 Gennaio

6 gennaio 2013

 

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L’inverno terminò quell’anno sotto il segno di una congiuntura astronomica particolarmente favorevole. I pronostici colorati del calendario fiorivano in rosso sulla neve ai bordi dei mattini. Il rosso fiammeggiante delle domeniche e delle feste gettava il suo riflesso su metà della settimana, e quei giorni bruciavano a freddo in un fuoco falso, di paglia, i cuori illusi battevano per un attimo più in fretta, accecati da quel rosso annunciatore, che non annunciava niente ed era solo un allarme prematuro, una finzione colorata del calendario dipinta in vivace cinabro sulla copertina della settimana. A partire dall’Epifania, sedevamo ogni notte alla bianca parata del tavolo risplendente di calendari e di argenti, facendo solitari senza fine

Bruno Schulz, La cometa, 1938, tr. it. A. Vivanti Salmon, in Le botteghe color cannella,Einaudi, Torino, 2001, p. 281

Dicono del libro
“Metamorfosi, travestimenti, viaggi nello spazio e nel tempo (basta come pretesto, ad esempio, un vecchio album di francobolli) si accavallano con l’ausilio di una lingua poetica scoppiettante di metafore. Scettico sulle possibilità di conoscenza umane, Schulz dette libero sfogo alla fantasia e alla ‘mitizzazione’ della realtà”  (bandella edizione Einaudi, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

 

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“… Il 6 gennaio 1482 non è però un giorno che la storia ricordi…”
Victor Hugo, Notre-Dame de Paris

 

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“… Oggi per me è una bellissima giornata. Viva la Befana!…”
Vamba, Il giornalino di Gian Burrasca 

 

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“… perché è il colmo che anche il giorno della Befana si debba fare politica…”
Manuel Vázquez Montalbán, Assassinio al Comitato Centrale

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“… Oggi è il 6 gennaio: festa della Befana. Domani tornerò a scuola…”
Aurelio Picca, L’esame di maturità« »

L’inverno terminò quell’anno sotto il segno di una congiuntura astronomica particolarmente favorevole. I pronostici colorati del calendario fiorivano in rosso sulla neve ai bordi dei mattini. Il rosso fiammeggiante delle domeniche e delle feste gettava il suo riflesso su metà della settimana, e quei giorni bruciavano a freddo in un fuoco falso, di paglia, i cuori illusi battevano per un attimo più in fretta, accecati da quel rosso annunciatore, che non annunciava niente ed era solo un allarme prematuro, una finzione colorata del calendario dipinta in vivace cinabro sulla copertina della settimana. A partire dall’Epifania, sedevamo ogni notte alla bianca parata del tavolo risplendente di calendari e di argenti, facendo solitari senza fine

Bruno Schulz, La cometa, 1938, tr. it. A. Vivanti Salmon, in Le botteghe color cannella,Einaudi, Torino, 2001, p. 281

Dicono del libro
“Metamorfosi, travestimenti, viaggi nello spazio e nel tempo (basta come pretesto, ad esempio, un vecchio album di francobolli) si accavallano con l’ausilio di una lingua poetica scoppiettante di metafore. Scettico sulle possibilità di conoscenza umane, Schulz dette libero sfogo alla fantasia e alla ‘mitizzazione’ della realtà”  (bandella edizione Einaudi, op. cit.)

365 Day Project di Jonas Mekas

Segue la forma del calendario l’opera 365 Day Project dell’artista Jonas Mekas. Nato nel 1922 in Lituania, internato in Germania durante la guerra e poi attivo negli Stati Uniti, Mekas è una figura di primo piano nella storia del cinema d’avanguardia. Cineasta, critico, fondatore di riviste, animatore di gruppi, ha dato grande impulso alla conservazione e alla diffusione del cinema sperimentale con la sua Film-Makers’ Cinematheque, poi confluita nell’Anthology Film Archive. La documentazione della vita quotidiana attraverso riprese brevi, montate con materiali sonori disparati, commenti fuori campo, memorie, trova un’espressione  peculiare in 365 Day Project, costituita di un video per ogni giorno dell’anno 2007. (a.s.)

I Librivori: corti d’autore

LibrivoriRisale al 1995 il progetto de I Librivori, una rubrica quotidiana per l’emittente televisiva Videomusic. Sulla traccia del Gioco dei giorni narrati, il progetto  – di Dinamo Italia, Antonella Sbrilli, Valerio Eletti – prevedeva che ogni giorno un attore leggesse, commentasse, interpretasse la citazione del giorno. La cronaca immaginaria della giornata avrebbe dovuto trovare posto fra le notizie del telegiornale e quelle del meteo, ma a ridosso della produzione, l’emittente musicale passò dalla proprietà della famiglia Marcucci a Cecchi Gori e il progetto non ebbe seguito. Rimangono alcune puntate pilota, fra le quali: Daria Nicolodi legge La campana di vetro di Sylvia Plath (17 agosto); Roberto “Freak” Antoni legge Il Giornalino di Gian Burrasca di Vamba (9 dicembre); Rosa Masciopinto e Giovanna Mori leggono Il castello di Kafka (3 giugno). Produzione Dinamo Italia (Stefano Scialotti, Massimo Lancellotti, Stefano Aria).
Antonella Sbrilli (@asbrilli)

 

5 Gennaio

5 gennaio 2013

 

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Così trascorsero mesi e mesi, tanti perché ella compisse vent’anni, e una mattina, era la vigilia dell’Epifania, il 5 gennaio del 1900, una data impossibile da dimenticare, Ersilia aveva fatto il turno di notte e usciva dall’ospedale. Erano le sette di mattina, già nell’atrio il freddo tagliava il viso; fuori il cielo era bujo, come se l’alba non si decidesse a spuntare; i lampioni a gas erano ancora illuminati sulla piazza e sotto il porticato, a metà del quale, degli uomini stavano attorno a un falò acceso dagli spazzini. Di nuovo, il cuore le salì in gola, prima ancora di poter dire a se stessa la ragione. Metello dava le spalle al falò, le mani dietro il dorso; indossava un cappotto marrone col bavero tirato fin sulla bocca, un cappello dalla tesa grande calata, ma lo stesso, quando egli si mosse, già ella lo aveva riconosciuto

Vasco Pratolini, Metello, 1955, Mondadori, 1965, p. 115

Dicono del libro
“Firenze, l875. Metello Salani nasce nel rione popolare di San Niccolò e, anche se si trasferisce quasi subito a vivere in campagna con gli zii, non dimentica la sua città d’origine. Lì è morto suo padre, annegato in Arno. Lì riconosce le sue radici. E lì fa ritorno non appena gli riesce, a soli quindici anni, in cerca di lavoro e fortuna. Sotto l’ala protettrice di Betto, il vecchio anarchico che gli farà da padre, Metello inizia a lavorare come muratore nei cantieri edili e si avvia a un apprendistato non solo nel mestiere, ma anche nella vita: muove i primi passi nel movimento sindacale, incontra Ersilia, si innamora, conosce il carcere e la lotta politica, sperimenta la tentazione e il tradimento. Dall’infanzia alla maturità, l’esistenza di Metello personaggio tra i più carismatici e poetici di Pratolini – si snoda attraverso le tappe principali della storia di un’Italia agli albori: una nazione ritratta all’indomani dell’Unità, travagliata da duri conflitti di classe, ancora – e sempre – in cerca di se stessa”

Altre storie che accadono oggi

 

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“.. L’affaire di Marina e Demon cominciò il giorno del compleanno di lui, di lei e di Daniel Veen: il 5 gennaio 1868…”
Vladimir Nabokov, Ada 

 

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“… I giorni passarono con una rapidità spaventosa; dovevamo ripartire il 5 gennaio…”
Michel Houellebecq, Piattaforma

 

 

 

 

 

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Così trascorsero mesi e mesi, tanti perché ella compisse vent’anni, e una mattina, era la vigilia dell’Epifania, il 5 gennaio del 1900, una data impossibile da dimenticare, Ersilia aveva fatto il turno di notte e usciva dall’ospedale. Erano le sette di mattina, già nell’atrio il freddo tagliava il viso; fuori il cielo era bujo, come se l’alba non si decidesse a spuntare; i lampioni a gas erano ancora illuminati sulla piazza e sotto il porticato, a metà del quale, degli uomini stavano attorno a un falò acceso dagli spazzini. Di nuovo, il cuore le salì in gola, prima ancora di poter dire a se stessa la ragione. Metello dava le spalle al falò, le mani dietro il dorso; indossava un cappotto marrone col bavero tirato fin sulla bocca, un cappello dalla tesa grande calata, ma lo stesso, quando egli si mosse, già ella lo aveva riconosciuto

Vasco Pratolini, Metello, 1955, Mondadori, 1965, p. 115

Dicono del libro
“Firenze, l875. Metello Salani nasce nel rione popolare di San Niccolò e, anche se si trasferisce quasi subito a vivere in campagna con gli zii, non dimentica la sua città d’origine. Lì è morto suo padre, annegato in Arno. Lì riconosce le sue radici. E lì fa ritorno non appena gli riesce, a soli quindici anni, in cerca di lavoro e fortuna. Sotto l’ala protettrice di Betto, il vecchio anarchico che gli farà da padre, Metello inizia a lavorare come muratore nei cantieri edili e si avvia a un apprendistato non solo nel mestiere, ma anche nella vita: muove i primi passi nel movimento sindacale, incontra Ersilia, si innamora, conosce il carcere e la lotta politica, sperimenta la tentazione e il tradimento. Dall’infanzia alla maturità, l’esistenza di Metello personaggio tra i più carismatici e poetici di Pratolini – si snoda attraverso le tappe principali della storia di un’Italia agli albori: una nazione ritratta all’indomani dell’Unità, travagliata da duri conflitti di classe, ancora – e sempre – in cerca di se stessa”

4 Gennaio

4 gennaio 2013

 

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Comprai l’attrezzatura da pesca e le esche, e andavo fuori cento metri oltre la mia casa, prendevo corbine e sgombri, e una volta presi un halibut. Li portavo a casa, li cucinavo ed erano pessimi, li buttavo fuori sulla sabbia, e gabbiani vigili piombavano giù e se li portavano via. Un giorno dissi: devo scrivere qualcosa. Scrissi una lettera a mia madre, ma non riuscii a metterci la data. Non avevo la cognizione del tempo. Andai a trovare la giapponese e le domandai la data.
‘Il quattro gennaio’ disse lei.
Sorrisi. Ero stato lì due mesi, e non mi erano sembrati più di due settimane 

John Fante, Sogni di Bunker Hill, 1982, tr. it. F. Durante, Marcos y Marcos, Milano, 1996, p. 121

Dicono del libro
Ultimo romanzo di John Fante, Sogni di Bunker Hill è “il romanzo di uno scrittore a Hollywood. Il problema dello scrittore Arturo Bandini è sì quello del denaro, ma soprattutto quello della scrittura. Una volta ottenuto l’impiego negli studios, trovandosi a ricevere una quantità per lui enorme di danaro senza produrre una sola riga, la nevrosi gli si presenta. Vuole essere uno scrittore, ma si accorge di essere pagato per non esserlo. Come uscirne? Nell’unico modo che Arturo Bandini conosce: viaggiando, fuggendo (…) Bandini torna ben presto a essere il disperato di sempre, il vagabondo perenne delle città nella polvere”
Pier Vittorio Tondelli (prefazione edizione Marcos y Marcos, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

 

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“… La mattina del 4 gennaio 1925 mia madre fu colta dalle doglie…”
Yukio Mishima,Confessioni di una maschera 

 

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“… Sono nato il 4 gennaio 1951, nella prima settimana del primo mese del primo anno della seconda metà del ventesimo secolo…”
Haruki Murakami, A sud del confine, a ovest del sole

 

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“4 genn.1929  La vita, insomma, è molto solida o molto instabile? Sono ossessionata da questa contraddizione ”
Virginia Woolf  (segnalazione di Adriana Giuffrida ‏@melanthea)

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Comprai l’attrezzatura da pesca e le esche, e andavo fuori cento metri oltre la mia casa, prendevo corbine e sgombri, e una volta presi un halibut. Li portavo a casa, li cucinavo ed erano pessimi, li buttavo fuori sulla sabbia, e gabbiani vigili piombavano giù e se li portavano via. Un giorno dissi: devo scrivere qualcosa. Scrissi una lettera a mia madre, ma non riuscii a metterci la data. Non avevo la cognizione del tempo. Andai a trovare la giapponese e le domandai la data.
‘Il quattro gennaio’ disse lei.
Sorrisi. Ero stato lì due mesi, e non mi erano sembrati più di due settimane 

John Fante, Sogni di Bunker Hill, 1982, tr. it. F. Durante, Marcos y Marcos, Milano, 1996, p. 121

Dicono del libro
Ultimo romanzo di John Fante, Sogni di Bunker Hill è “il romanzo di uno scrittore a Hollywood. Il problema dello scrittore Arturo Bandini è sì quello del denaro, ma soprattutto quello della scrittura. Una volta ottenuto l’impiego negli studios, trovandosi a ricevere una quantità per lui enorme di danaro senza produrre una sola riga, la nevrosi gli si presenta. Vuole essere uno scrittore, ma si accorge di essere pagato per non esserlo. Come uscirne? Nell’unico modo che Arturo Bandini conosce: viaggiando, fuggendo (…) Bandini torna ben presto a essere il disperato di sempre, il vagabondo perenne delle città nella polvere”
Pier Vittorio Tondelli (prefazione edizione Marcos y Marcos, op. cit.)

3 Gennaio

3 gennaio 2013

 

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Fin da S. Silvestro spirava un forte vento di nord-est, che nei giorni seguenti si accrebbe quasi fino a diventare una tempesta, e il pomeriggio del tre gennaio corse la voce che una nave non era riuscita ad entrare in porto, ed era naufragata a cento metri dal molo; era una nave inglese… Furono tratti in salvo tutti quanti, e mezz’ora dopo, tornando a casa con Innstetten, Effi avrebbe voluto gettarsi sulla sabbia e piangere. Un sentimento puro aveva trovato nuovamente posto nel suo cuore, ed essa si sentiva infinitamente felice che fosse così. Questo era accaduto il tre di gennaio

Theodor Fontane, Effi Briest, 1895, tr. it. E. Linder, Garzanti, 1981, p. 150

Effi è stata una spensierata fanciulla tedesca, che ha lasciato la casa paterna per seguire il marito nel profondo nord, in un ambiente desolato e solitario. Gli anni sono trascorsi fra abitudini pedanti e poco calore, malgrado la nascita di una figlia. L’arrivo di un nuovo comandante del distretto, un viaggio notturno in slitta durante le feste di Natale, la trascinano nell’avventura e nell’ambiguità. Il 3 di gennaio di un anno alla fine dell’Ottocento, mentre assiste al salvataggio dei marinai, Effi prova una gioia  pura, così diversa dalla sua condizione. E quel giorno ha come un presentimento, per contrasto, dei giorni infelici che la attendono.

Dicono del libro
“Effi Briest, più ancora di Emma Bovary, tradisce non per passione, ma per noia, per rompere la monotonia della vita coniugale. La sua vicenda è narrata con grande penetrazione psicologica da Fontane ed è stata anche ripresa in un bellissimo film del regista tedesco Rainer Fassbinder.”

 

Altre storie che accadono oggi

 

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“…’Non sarò libero prima del mese di gennaio’ ‘Che giorno?’ ‘Le va bene il 3? Verso le sette al Criterion?'”
Raymond Queneau, Gli ultimi giorni

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“.. lo Svedese aveva trovato la data 3/1/68 scritta, con la sua calligrafia, nel quaderno a spirale…”
Philip Roth, Pastorale americana

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Ben McLaughlin, January 3 2003: Raymond Baxter has condemmed the BBC for axing ‘Tomorrow’s World, 2003, olio su tavola

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“… Il quinto paio di scarpe lo comperai il 3 gennaio del ’72 in un posto denominato Lake Elsinore…”
Paul Auster, Moon Palace

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Il 3 gennaio i terroristi, guidati da Scamarcio, danno l’assalto al carcere di Rovigo, La prima linea di Renato De Maria (segnalazione di Enrico Magrelli @enricomagrelli) 

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Fin da S. Silvestro spirava un forte vento di nord-est, che nei giorni seguenti si accrebbe quasi fino a diventare una tempesta, e il pomeriggio del tre gennaio corse la voce che una nave non era riuscita ad entrare in porto, ed era naufragata a cento metri dal molo; era una nave inglese… Furono tratti in salvo tutti quanti, e mezz’ora dopo, tornando a casa con Innstetten, Effi avrebbe voluto gettarsi sulla sabbia e piangere. Un sentimento puro aveva trovato nuovamente posto nel suo cuore, ed essa si sentiva infinitamente felice che fosse così. Questo era accaduto il tre di gennaio

Theodor Fontane, Effi Briest, 1895, tr. it. E. Linder, Garzanti, 1981, p. 150

Effi è stata una spensierata fanciulla tedesca, che ha lasciato la casa paterna per seguire il marito nel profondo nord, in un ambiente desolato e solitario. Gli anni sono trascorsi fra abitudini pedanti e poco calore, malgrado la nascita di una figlia. L’arrivo di un nuovo comandante del distretto, un viaggio notturno in slitta durante le feste di Natale, la trascinano nell’avventura e nell’ambiguità. Il 3 di gennaio di un anno alla fine dell’Ottocento, mentre assiste al salvataggio dei marinai, Effi prova una gioia  pura, così diversa dalla sua condizione. E quel giorno ha come un presentimento, per contrasto, dei giorni infelici che la attendono.

Dicono del libro
“Effi Briest, più ancora di Emma Bovary, tradisce non per passione, ma per noia, per rompere la monotonia della vita coniugale. La sua vicenda è narrata con grande penetrazione psicologica da Fontane ed è stata anche ripresa in un bellissimo film del regista tedesco Rainer Fassbinder.”

 

2013: l’anno del biliardo. Un calendario di Paolo Bernacca

Da venticinque anni, il grafico e illustratore romano Paolo Bernacca (autore, fra l’altro, di giochi, agende e di dipinti sui fari), dedica un calendario all’anno nuovo, scegliendo un’immagine che rappresenti graficamente (con analogia benaugurante) le ultime cifre della data.
Paolo Bernacca 2013 Gli ori del sette di denari, due bicchieri sovrapposti, due punti e una virgola, una faccia del dado, una coppia di ciliegie, e così via per venticinque varianti, che sono altrettanti esercizi di poesia visiva sui numeri, sulla forma delle date e sull’andamento dei mesi. Il 2013 pesca la sua immagine dal gioco del biliardo: la palla con la cifra rappresenta anche lo zero e i dodici mesi si dispongono in una carambola che allude al tempo e al gioco.
Da venticinque anni, il grafico e illustratore romano Paolo Bernacca (autore, fra l’altro, di giochi, agende e di dipinti sui fari), dedica un calendario all’anno nuovo, scegliendo un’immagine che rappresenti graficamente (con analogia benaugurante) le ultime cifre della data. Gli ori del sette di denari, due bicchieri sovrapposti, due punti e una virgola, una faccia del dado, una coppia di ciliegie, e così via per venticinque varianti, che sono altrettanti esercizi di poesia visiva sui numeri, sulla forma delle date e sull’andamento dei mesi. Il 2013 pesca la sua immagine dal gioco del biliardo: la palla con la cifra rappresenta anche lo zero e i dodici mesi si dispongono in una carambola che allude al tempo e al gioco.