A memoria di rosa: Giulia Parlato

Le fotografie di Giulia Parlato esposte in una sala della diciottesima Quadriennale (Roma, Palazzo delle Esposizioni) colpiscono per un effetto di inversione che rende misteriose le cose vicine e familiari quelle lontane, finché le due distanze  – quella minuscola delle foglie, dei fiori, di un paralume, di un vetro di finestra e quella enorme della luna, dell’orizzonte, della massa terrestre – , si incontrano e si uniscono, provocando in chi osserva uno stato di accettazione visiva: tutto è familiare, tutto è inspiegabile. Misure e durate diverse e incomparabili, stati di permanenza e di instabilità convivono nella trama di queste fotografie e dell’immagine vibrante tratta da un video che pure è esposta.
Il titolo che le unisce è The Vanished Rose Grower ed è la stessa autrice a raccontarne l’origine  nella storia di un parente, Francesco, “coltivatore di rose, pittore e poeta autodidatta” scomparso nel 1964 in Nuova Zelanda. Questa vicenda legata al suo “album di famiglia” e i tratti della persona scomparsa, solitario, colto, distaccato dalla realtà, l’hanno indotta a intraprendere una ricerca nella regione di Waitakere. Una ricerca fatta di lunghe camminate randomiche tra le foreste rigogliose e le spiagge scure della natura neozelandese, con la macchina fotografica come bussola e rilevatore di “tensioni sottili e zone opache”.
L’esercizio di Giulia Parlato per l’esplorazione delle tracce vegetali, minerali, animali, storiche e per le zone infrasottili e medianiche, insieme con la potenza ambivalente della regione australe, hanno contribuito alla creazione di questo nucleo di immagini in cui evocazione e visione sono un tutt’uno. 


La forza del titolo poi non è  da sottovalutare. Il “giardiniere delle rose scomparso” ricorda, forse di proposito, una frase che viene dalla cultura illuminista del Settecento: “A memoria di rosa, non s’è mai visto morire un giardiniere”.
È un aforisma dello scrittore francese Fontanelle, riportato da Denis Diderot nel suo trattato in forma di dialogo Il sogno di D’Alembert, che la casa editrice Sellerio ha pubblicato con una postilla di Eugenio Scalfari dal titolo Il sogno di una rosa.

La frase – si legge nella sinossi della casa editrice palermitana – aleggia per tutto il dialogo “ad ammonire che il limite, negativo, della possibilità di conoscere non può essere scambiato, positivamente, con il limite della possibilità di essere della realtà” e contiene, in spunti e anticipazioni, “le domande discusse oggi dalla filosofia della mente”.
Francesco, scomparendo alle sue rose, e Giulia Parlato, che è andata in cerca delle sue tracce, proseguono il dialogo, leggero e profondo, sui limiti dell’esserci, sulla percezione delle reciproche durate e sulla bellezza effimera di rose, conversazioni e fotografie.

The Vanished Rose Grower di Giulia Parlato (Palermo, 1993), in esposizione alla 18ª Quadriennale d’arte – Fantastica, nella sezione curata da Emanuela Mazzonis di Pralafera (“Il tempo delle immagini. Immagini fuori controllo?”), Roma, Palazzo delle Esposizioni, fino al 18 gennaio 2026

(Antonella Sbrilli)