17 Gennaio

17 gennaio 2024

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Il giorno diciassette gennaio dello stesso anno, qualche ora prima di iniziare la celebrazione solenne per San’Antonio Abate, ovvero il santo patrono del paese, il parroco aveva ricevuto una lettera consegnata a mano dal fattore delle tenute Palla. Nella lettera si rendeva noto al signor parroco che, da un numero di anni superiore a quelli con cui si misurano le cose umane, nella parrocchia di Sant’Antonio Abate le celebrazioni solenni avevano inizio solo quando la persona più importante del paese, e cioè il marchese Palla, aveva potuto prendere posto a sedere con comodo sulla panca a lui riservata.
Don Icilio, ricevuta la lettera, attese fino alle undici in punto, con la chiesa gremita

Marco Malvaldi, Milioni di milioni, 2012, Sellerio, pp. 56-57

Dicono del libro

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25 Dicembre | the 25th day of December

25 dicembre 2023

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If I were to believe in the stars I should have to believe that I was completely under the reign of Saturn. Everything that happened to me happened too late to mean much to me. It was even so with my birth. Slated for Christmas I was born a half hour too late. It always seemed to me that I was meant to be the sort of individual that one is destined to be by virtue of being born on the 25th day of December, Admiral Dewey was born on that day and so Jesus Christ… perhaps Krishnamurti too, for all I know. Anyway that’s the sort of guy I was intended to be.

Henry Miller, Tropic of Capricorn, 1939

Se credessi nelle stelle dovrei credere che io fossi proprio sotto l’influenza di Saturno. Tutto quel che mi succedeva era troppo tardi per significare qualcosa. Fu così anche la mia nascita. Fissato per Natale, venni al mondo con mezz’ora di ritardo. Parve sempre a me che io dovevo essere il tipo di individuo che uno è destinato a diventare per esser nato il 25° giorno di dicembre. L’ammiraglio Dewey nacque in quel giorno, e così Gesù Cristo… forse anche Krishnamurti, ch’io sappia. Comunque questo ero il tipo che io dovevo essere

Henry Miller, Tropico del Capricorno, 1939, tr. it. L. Bianciardi, Feltrinelli 1987, p. 67

In Tropico del Capricorno, romanzo largamente autobiografico che prende il titolo dal segno zodiacale di questo periodo, lo scrittore americano Henry Miller (nato il 26 dicembre del 1891), si presenta sotto le spoglie del protagonista della storia. Un giovane inquieto e contraddittorio, che guarda spietatamente dentro di sé mentre vive, negli anni Venti, a New York, impiegato nell’ufficio del personale della Cosmodemonic Telegraph Company. In questa pagina il discorso cade sulla data di nascita, giorno fatale che può segnare tutto il destino futuro, delle persone comuni, come dei grandi della storia e della religione, Gesù compreso. 

Dicono del libro

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14 Novembre | 14th November

14 novembre 2023

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I no longer keep track of the date. Would you say – my dream of the 14th November last? There are intervals, but they are between dreams, and there is no consciousness of them left. The world around me is dissolving, leaving here and there spots of time. The world is a cancer eating itself away. . . I am thinking that when the great silence descends upon all and everywhere music will at last triumph. When into the womb of time everything is again withdrawn chaos will be restored and chaos is the score upon which reality is written. You, Tania, are my chaos. It is why I sing. It is not even I, it is the world dying, shedding the skin of time. I am still alive, kicking in your womb, a reality to write upon. 

Henry Miller, Tropic of Cancer, 1934

Non sto più dietro al calendario. Direte: ma il sogno del 14 novembre scorso? Ci sono intervalli, ma fra un sogno e l’altro, non ne rimane coscienza. Il mondo intorno a noi si dissolve, lasciando qua e là chiazze di tempo. Il mondo è un cancro che si divora… Penso a quando il grande silenzio scenderà su tutto e dappertutto; allora infine trionferà la musica. E quando tutto si sarà ritratto in grembo al tempo, tornerà il caos, ed il caos è la partitura su cui è scritta la realtà. Tania, tu sei il mio caos. Ecco perché canto. Non io, è il mondo che muore, che depone la pelle temporale. Ma io ancora vivo, ancora ti scalcio in grembo, sono ancora una realtà di cui si possa scrivere

 Henry Miller, Tropico del cancro, 1934, tr. it. L. Bianciardi, Feltrinelli 1973, p.16

 

È l’autunno del secondo anno a Parigi per il protagonista di Tropico del Cancro, un giovane americano senza “soldi, né risorse, né speranze”, ma con la sicurezza di essere un artista. A Parigi, nei primi anni Trenta, abita in un albergo dal nome italiano, Villa Borghese, gestito dall’amico Boris che compare proprio all’inizio del romanzo, con le sue idee sul Tempo e i pidocchi. Insieme a Boris, compaiono gli amici e le amiche di Montparnasse, fra cui Tania, evocata in questa pagina che parla di sogni, di sesso e ancora di tempo. 

Dicono del libro

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3 Settembre | September 3rd

3 settembre 2023

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The thing that was frightening was the mountain that rose up at the east end, a strange  Burmese like mountain with levels and moody terraces and a strange rice paddy hat on top that I kept staring at with a sinking heart even at first when I was healthy and feeling good (and I would be going mad in this canyon in six weeks on the fullmoon night of September 3rd)

Jack Kerouac, Big Sur, 1962

La cosa spaventosa era la montagna che sorge alla estremità est, una strana montagna come quelle birmane con piani livellati e terrazze imbronciate e sulla cima uno strano cappello da risaia che io seguitavo a fissare sentendomi stringere il cuore anche all’inizio quando godevo di buona salute e stavo bene (e in questo canyon sarei impazzito in sei settimane nella notte del plenilunio del 3 settembre)…

Jack Kerouac, Big Sur, 1962, tr. it. B. Oddera, Mondadori, 1976, p. 20

Emanuele Bevilacqua, autore di Guida alla Beat generation e di Album Beat. La generazione di Kerouac, commenta il 3 settembre richiamato, nel libro Big Sur, dallo scrittore Jack Kerouac e racconta la storia inedita dell’incontro mancato fra lo stesso Kerouac e Henry Miller:

“E in questo canyon sarei impazzito in sei settimane nella notte di plenilunio del 3 settembre”. Jack Kerouac scrive Big Sur, uno dei suoi libri più inquieti, quando è già famoso, On the Road era uscito tre anni prima. E’ il 1960, il Re dei Beat è perseguitato dai fan, dai giornalisti, ma soprattutto dall’alcol, cerca rifugio in quest’angolo di costa della California. Chiede a Lawrence Ferlinghetti, editore e poeta, di prestargli il suo piccolo cottage di Bixby Canyon a Big Sur. 
Kerouac rimarrà turbato da quei luoghi, dove la natura trionfa e ridimensiona il ruolo dell’uomo. Jack arriva a Big Sur di notte, quei canyon a precipizio sul mare, il Pacifico che urla fra le gole e il buio quasi totale lo schiacciano. Resisterà pochi giorni, non le sei settimane programmate. Nella sua fuga proverà l’umiliazione di non essere caricato in auto da quelle famigliole che transitano sulla Highway 101. Lo scrittore famoso per la sua avventura sulla strada, è costretto a percorrere a piedi un lungo tratto di strada, ignorato forse da alcuni dei suoi stessi lettori.

Jack Kerouac scrive Big Sur in omaggio a Henry Miller, considerato un po’ il padre della Beat generation. In quegli anni Miller viveva proprio a Big Sur, lo scrittore di Tropico del Cancro e Tropico del Capricorno aveva scelto quei luoghi impervi per isolarsi e scrivere, lontano dalla leggerezza di Los Angeles. Fra l’altro qui scrive anche Big Sur e le arance di Hieronymous Bosch. È curioso che, nonostante la stima reciproca, i due non si siano mai incontrati e che, anzi, Kerouac sia stato protagonista di un appuntamento mancato clamorosamente a Big Sur. 
Miller lo aveva invitato a trascorrere qualche giorno da lui, ma Jack non si presentò mai.
L’incontro lo aveva organizzato Lawrence Ferlinghetti. Jack è entusiasta dell’idea, finalmente l’allievo potrà conoscere il suo maestro spirituale.
Kerouac parte da San Francisco, esce dalla libreria di Ferlinghetti, la City Lights Books ma non fa che pochi passi, lì accanto c’è (e c’è ancora) il Vesuvio, ritrovo di perditempo e di artisti. Decide di bere qualcosa prima di incamminarsi. Telefona a Miller per avvisare che sta arrivando. Poi beve un altro goccetto, si fa tardi. Jack non riesce proprio a uscire dal locale. Forse sente il peso dell’incontro, forse è solo l’alcol che lo impigrisce. Telefona di nuovo annunciando il ritardo, poi beve ancora e ancora, e ancora telefona, fino a notte tarda, mentre a Big Sur la cena si fredda e anche gli animi. Non lascerà il Vesuvio se non all’alba e il grande incontro non si farà, né allora né mai più. (Emanuele Bevilacqua) 

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