7 Ottobre

7 ottobre 2013

 

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Leonida squarciò la lettera con risolutezza. Ma lo strappo non era ancora profondo due centimetri e già le sue mani si fermarono. Accadde ora il contrario di ciò che era accaduto quindici anni prima a Sankt Gilgen. Allora, volendo aprire la lettera, l’aveva strappata. Ora, volendola strappare, la aprì. Dal foglio ferito, l’intera personalità della scrittura femminile azzurro pallido, che si poteva espandere in diverse righe, lo guardava sarcastica. Sopra, in testa alla lettera, con tratti rapidi e precisi, era scritta la data: ” 7 ottobre 1936″. Ecco l’esattezza della donna matematica,  fu il giudizio di Leonida, Amelie non ha mai datato una lettera in tutta la sua vita. Poi lesse: “Egregio signor capodivisione!”

Franz Werfel, Una scrittura femminile azzurro pallido, 1941, tr. it. R. Colorni, Adelphi, Milano, 1991, p. 30

A Vienna, durante un ottobre tanto tiepido da sembrare aprile, l’alto funzionario Leonida, che ha da poco compiuto cinquant’anni ed è stato nominato capodivisione ministeriale, trova – nella posta – una lettera scritta a mano da una grafia femminile. È sposato con Amelie e non pensa più a Vera, dottoressa in filosofia, l’amante che ha lasciato malamente molti anni prima e di cui aveva distrutto, senza leggerla, una lettera. Questa nuova lettera, arrivata “nel bel mezzo di una luminosa giornata di ottobre” , mette in moto una catena di ricordi, di ipotesi, di rimorsi che riguardano le conseguenze nel tempo di azioni lontane, che verranno chiarite  in un’altra giornata di quell’ottobre speciale.

 

Dicono del libro
“Siamo a Vienna, nel 1936. Un alto funzionario ministeriale, sposato a una bella e ricca dama viennese, apre una mattina una lettera. Sulla busta riconosce una scrittura femminile azzurro pallido. Quella lettera si insinua immediatamente, come una lama, nella sua vita troppo levigata e la disarticola dall’interno. Apparentemente, in poche righe molto formali, la scrivente chiede l’aiuto del potente funzionario per trasferire in una scuola viennese un giovane tedesco di diciotto anni. Ma, per il destinatario, quelle righe cifrate significano il riaffiorare di un amore di molti anni prima, un amore cancellato con ogni cura. E il giovane ignoto non sarà forse un figlio ignorato? (…) Questa storia dalla forma perfetta, pubblicata da Werfel in esilio a Buenos Aires, nel 1941, si legge oggi come un amaro gesto di congedo da Vienna e da tutta la civiltà mitteleuropea, quasi una naturale prosecuzione dei racconti dell’ultimo Schnitzler”.
(Dalla bandella dell’ed. Adelphi, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… Ma il sette ottobre, giornata di sole dolce come vino, ebbe un crepuscolo che parve di cupo inverno…”
Anna Banti, Artemisia

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“… Solo quando aprì la porta e si chinò in avanti come al solito per scendere il gradino, seppe che era il 7 ottobre…”
Georges Simenon, Il ranch della Giumenta perduta

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“… Poi non c’è più nulla fino al 7 ottobre, dove scrive: “Luna all’ultimo quarto alle 05,04…”
Javier Marias, Tutte le anime

6 Ottobre

6 ottobre 2013

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Ma il barone Paolo dichiarò lealmente che, sebbene queste triglie fossero ottime, egli continuava a rimpiangere le triglie che aveva mangiato in casa della nuora il 6 ottobre 1902. “Io non capisco più come devo friggerle”, disse la signora Marietta, “ho provato in tutti i modi, ma non riesco mai ad accontentare papà”. “Non è esatto quello che dici”, ribatté il barone, “sono contentissimo di come tu fai friggere le triglie. Queste di oggi, per esempio, sono eccellenti, ma le triglie che ho mangiato a casa tua il 6 ottobre 1902…”, il barone socchiuse gli occhi facendo del presente la luce che si vede al di là di un tunnel, mentre nell’ombra della memoria riappariva una tavola imbandita sotto la pergola, e circondata da gente in gran parte defunta, “avevano qualcosa… io non so bene… un sapore così delicato e insieme così stuzzicante… si sentiva il mare e si sentiva pure la buona frittura…”

Vitaliano Brancati, Paolo il caldo, 1955 (post.), Mondadori 1976, p.60

A Catania, nel palazzo della famiglia Castorini  si consuma il pranzo dell’una, fra discussioni politiche e portate di carne e di pesce. A tavola siede il vecchio barone Paolo – il nonno di quel Paolo che, con la sua ossessione erotica, dà il titolo al libro; è un uomo in grado di bere cinque bicchieri di vino di seguito, a differenza del figlio Michele, che si è già ritirato dalla tavola per tornare nel suo studio. Intorno a un piatto di triglie fritte le lingue si sciolgono “come la campane del sabato santo” e una data precisa del passato – un 6 di ottobre di molti anni prima –  è richiamata al presente nella conversazione: si tratta di un ricordo  suscitato nel barone dai sapori e dagli odori, con un meccanismo tipico della memoria, che è in grado di associare le sensazioni ad alcune date. 

Dicono del libro
Paolo il caldo è la storia di un giovane meridionale invasato di ‘gallismo’ che cerca prima in Sicilia e poi a Roma lo sfogo alla propria sensualità. Sullo sfondo delle sue avventure, ora tragiche ora grottesche, sta il decadimento fisico di una famiglia, mentre nel gioco della sensibilità amorosa, nelle delizie e nelle inquietudini della carne s’insinua l’esperienza della corruzione e della vecchiaia, il senso del peccato e della morte”.
(Dalla quarta di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… 6 ottobre. Volendo evitare di vagabondare troppo a lungo, esco verso le 4 del pomeriggio…”
André Breton, Nadja

 

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“… Il 6 ottobre il presidente Sadat era stato assassinato…”
Murakami Haruki, 1Q84

 

 

#ComePerec – il gioco del 18, 19 e 20 ottobre e le tweet-antologie

Il 18, il 19 e il 20 ottobre del 1974 cadevano di venerdì, sabato e domenica.
In quei tre giorni lo scrittore Georges Perec – nei caffè o sulle panchine della place Saint-Sulpice a Parigi – prese nota di “tutto quello che non si osserva, quello che non ha importanza: quello che succede quando non succede nulla se non lo scorrere del tempo, delle persone, delle auto e delle nuvole”.

timbre Di quella sosta di tre giorni e delle osservazioni che ne derivano è prova il Tentative d’épuisement d’un lieu parisien  tradotto in italiano e curato da Alberto Lecaldano, Tentativo di esaurimento di un luogo parigino  (Voland 2011).
Nel 2013, il 18, il 19 e il 20 ottobre cadono nuovamente di venerdì, sabato e domenica.
Per onorare questi tre giorni e Georges Perec che li scelse in un fine settimana di quasi quarant’anni fa, diconodioggi propone un gioco e un hashtag: #ComePerec

Si partecipa così:
– si sceglie un luogo da osservare, impegnandosi a trascorrervi un po’ di tempo nei tre giorni;
– si inviano a @diconodioggi non meno di 5 e non più 10 tweet con le proprie osservazioni
– uno dei tweet deve indicare il luogo e ogni tweet deve riportare l’hashtag #ComePerec
Alla fine del gioco, i tweet vengono raccolti in tweet-antologie.
Antonella Sbrilli (@asbrilli)

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5 Ottobre

5 ottobre 2013

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Interrompo questo diario, come lo interruppi allora, con stupore, il 5 ottobre, alle dodici di notte, accorgendomi che tutto ciò che Porfiria aveva scritto nel suo diario quasi un anno prima stava verificandosi. Roberto Cárdenas era venuto a mangiare quella sera per la prima volta. E lì avevo, davanti ai miei occhi, la data incredibile, 5 ottobre, scritta sulla pagina del diario, come una testimonianza magica, infernale. Il quaderno era stato in mio potere per tutto quel tempo

Silvina Ocampo, Il diario di Porfiria Bernal, 1961, tr. it. L. Bacchi Wilcock, in Porfiria, Einaudi, 1973, p. 275

Il 5 ottobre è la data in cui il racconto di Antonia Fielding – istitutrice inglese al servizio della famiglia Bernal a Buenos Aires – e il diario della sua piccola allieva Porfiria, si incontrano per un istante nel tempo “reale”, rivelando le doti premonitrici della bambina. Come se vedesse dentro le persone che passano per la sua casa, intuendone i segreti, la piccola Porfiria annota giorno dopo giorno gli accadimenti, le immaginazioni, le visioni, finché la sua voce copre quella del racconto di Antonia, che si è accorta con stupore del potere di quel diario. 

Dicono del libro
Il diario di Porfiria Bernal: una signorina inglese entra in una ricca famiglia d’un quartiere elegante di Buenos Aires come istitutrice d’una bambina. Tra la zitella romantica e repressa e la bambina ai cui occhi nulla sfugge e tutto viene registrato e trasfigurato, si forma come un campo magnetico di impulsi aggressivi e di stregonerie, e la minuta cronaca familiare s’accende di colori visionari”
(I. Calvino, dalla bandella dell’ed. Einaudi, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… Il 5 ottobre. Erano circa le sei di sera: il cielo era ingombro di vapori, tra i quali un bel sole d’autunno filtrava i suoi raggi d’oro…”
Alexandre Dumas, Il conte di Montecristo

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“… Ho una notizia, vecchio mio, Anna e io ci sposeremo, il 5 ottobre…”
 Françoise Sagan, Bonjour tristesse,

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“… scrivo da una strada che ha nome Speranza, dove si riunirono per l’ultima volta i congiurati del 5 ottobre…”
José Saramago, Una lettera con inchiostro di lontano

4 Ottobre

4 ottobre 2013

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Il sole tramontò quattro volte sul suo viaggio e alla fine del quarto giorno, che era il quattro di ottobre del millenovecentoquarantatre, il marinaio, nocchiero semplice della fu regia Marina ‘Ndrja Cambrìa arrivò al paese delle Femmine, sui mari dello scill’e cariddi

Stefano D’Arrigo, Horcynus Orca, Milano, Mondadori, 1975, p. 7.

Comincia così, in un’Italia divisa dall’armistizio dell’8 settembre 1943, il lungo racconto del viaggio di ritorno di ‘Ndrja Cambrìa a Cariddi, dopo aver attraversato a piedi le coste della Calabria, il «paese delle Femmine». A traghettarlo clandestinamente lungo le acque dello Stretto, in una notte senza luna popolata da visioni, sarà la figura ammaliante della «femminota» Ciccina Circè, espressione, già nel suo nome omerico, di una femminilità potente e trasgressiva come il suo linguaggio che ‘Ndrja fa fatica a comprendere («Io, parola mia, non vi riesco a penetrare tutta…»). Il mare dello «scill’e cariddi», quello attraversato e quello che fa da sfondo alle storie di uomini e donne che vivono lungo le sue rive, è il vero polo d’attrazione del romanzo: luogo fisico e mentale, è infatti lingua, letteratura, tempo e memoria. In questo mare-mondo, che contiene l’origine e la fine di tutto, che è genesi e apocalisse, il traghettamento del protagonista tra i contrari della vita ha un alto valore simbolico e figurale. All’arrivo in Sicilia, ‘Ndrja troverà una terra stravolta, devastata dalla guerra, quasi irriconoscibile ai suoi occhi, offesi dal dolore per tanto degrado e tanta miseria. Per di più, il suo nostos coinciderà con quello dell’Orca, il Leviatano simbolo di morte, con cui sembra condividere la parabola esistenziale: quattro giorni impiega ‘Ndrja per arrivare al paese delle femmine, che sarà l’inizio della sua fine, e per quattro giorni l’Orca si aggira nello «scill’e cariddi» prima di “riassommare” e di andare incontro alla morte. 

Il tempo reale entro il quale prendono corpo le 1257 pagine del romanzo si dispiega biblicamente lungo l’arco temporale della creazione, sette giorni, nel corso dei quali le peripezie fisiche e mentali vissute da ‘Ndrja assumono il valore di un’esperienza conoscitiva, che avrà la sua acme nell’incontro con un vecchio «spiaggiatore», «linguto e occhiuto». A lui lo scrittore affida di esporre la sua teoria della conoscenza della vita, fondata su tre diversi gradi: l’ingannevole e infondato «sentitodire», il solido e concreto «vistocogliocchi» e l’immaginifico e fantastico «visto cogli occhi della mente»: «Voi, amico del sole, vi dovete immaginare di vedere…». Allora, se vedi con gli occhi della mente tutto diventa possibile, le distanze tra lingue e culture si annullano e quella lingua di mare dello «scill’e cariddi» è sì Calabria e Sicilia, ma è anche Grecia, Africa, mille e una notte. Tutto diventa possibile perché l’«andamento epico-magico» (M. Corti) della scrittura di D’Arrigo attiva un fervore espressivo che gioca sulla sovrapposizione dei registri stilistici e sulla contaminazione espressionistica di lingua e dialetto. È necessaria una nuova lingua per dire l’indicibile, per raccontare il tempo impastato della storia dell’uomo, anche a rischio che essa diventi un labirinto per il lettore, che deve cercare in vocabolari immaginari o nella memoria di lingue ignote il senso delle parole che il racconto fa fiorire per gemmazione. D’Arrigo è un narratore lirico. L’ultima conferma è nelle parole che chiudono il romanzo: «La lancia saliva verso lo scill’e cariddi, fra i sospiri rotti e il dolidoli degli sbarbatelli, come in un mare di lagrime fatto e disfatto a ogni colpo di remo, dentro, più dentro dove il mare è mare». Parole che riecheggiano simbolicamente i versi epici di una sua più antica poesia, dove il destino del personaggio si conclude oniricamente nello stesso mare in cui ‘Ndrja avrebbe trovato la morte:

«Qui, dove m’assomiglio, in patria,
sui prati, ora in cenere, d’Omero,
io da una guerra reduce, e da quante
un gran figlio mi ricorda mia madre,
perduto con lo scudo o sullo scudo,
desidero tornare spalla a spalla
coi miei amici marinai che vanno
sempre più dentro nei versi, nel mare».
(Sui prati, ora in cenere, d’Omero)

Commento di Gianfranco Crupi

Dicono del libro
Horcynus Orca è un mitico e epico poema della metamorfosi. La concezione del mondo come metamorfosi affonda le sue radici nella religiosità mediterranea… Per questo D’Arrigo ha potuto creare un epos moderno, riprendendo, come Joyce nell’Ulisse, un tema mitico: perché in un’età in cui il mito dominante è quello di dissolvere i miti arcaici, solo la tragedia incommensurabile della loro perdita può essere il tema della tragedia. (Giuseppe Pontiggia)”

(Dalla scheda dell’ed. Rizzoli nel sito ibs)


Altre storie che accadono oggi

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“…Il 4 ottobre scorso, alla fine di uno di quei pomeriggi completamente inoperosi e piuttosto tetri di cui ho il segreto, mi trovavo in rue Lafayette…”

André Breton, Nadja

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“… E così alla fine comprò la palla da baseball, – disse Brian. – E ne ricostruii la storia fino al 4 di ottobre, il giorno dopo la partita…”
Don DeLillo, Underworld

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“… 4 ottobre Oggi è la sua festa. Avrei voluto essergli amico, a Francesco d’Assisi…”
Aurelio Picca, L’esame di maturità

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“… Il quattro di ottobre, per essere precisi. Nessuno azzeccava il numero vincente da molte settimane…”
Paul Auster, La musica del caso

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“… Il 4 ottobre 1957, l’Unione Sovietica lanciò dalla base spaziale di Baykonur, Repubblica del Kazakistan, il primo satellite artificiale della storia…”
Murakami Haruki, La ragazza dello Sputnik
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“… La mattina del 4 ottobre ero alla fermata Odéon ad aspettare il metrò. Mancava poco alle otto…”
Alexander Maksik, Non ti meriti nulla (segnalazione di Sandra Muzzolini)
 

Tempo frattale. L’infinito nascosto nell’infinitesimo

Tempo frattaleL’infinito nascosto nell’infinitesimo
di Valerio Eletti

frattale Mandelbrot

Frattale di Mandelbrot

C’è il tempo lineare, quello della nostra vita e della storia; e c’è un tempo circolare, quello intrappolato nei racconti, che ogni anno torna a intersecarsi con la freccia del tempo quotidiano. Ma Murakami Haruki inventa una diversa tipologia di tempo, in risonanza con un oggi sempre più complesso, virtuale e reticolare: il tempo frattale, al contempo conquista dell’immortalità e abisso di sgomento di fronte all’eternità.
Che significa l’attributo ‘frattale’ applicato al tempo? Intanto diciamo che questo termine, introdotto e poi divulgato mezzo secolo fa da Benoît Mandelbrot, matematico polacco naturalizzato francese, è usato qui come metafora o suggestione, più che come rappresentazione matematica vera e propria: una metafora grazie a cui si proietta nella dimensione tempo il paradosso spaziale di Achille e la tartaruga.
Nel suo romanzo La fine del mondo e il paese delle meraviglie, Murakami racconta due vicende che si svolgono in due mondi paralleli, fuori e dentro la mente del protagonista, vicende che si concludono con una morte-non-morte, proprio grazie all’invenzione del tempo frattale: infatti, nel momento in cui il protagonista muore nel suo tempo “reale”, a Tokyo, il suo alias sopravvive in eterno entrando in un flusso in cui il tempo si arrotola su se stesso in una spirale in cui ogni secondo dura la metà del secondo precedente, anche se viene percepito ancora e sempre come intero.
La sequenza di questi secondi continuamente dimezzati – ma sempre percepiti come interi dal protagonista e dagli abitanti della sua città virtuale – si protrae così all’infinito, inoltrandosi sempre più a fondo nell’infinitesimo, senza poter mai raggiungere la soglia che porterebbe al distacco dell’esistenza dallo scorrere del tempo.
Così, mentre la vita si esaurisce il 3 ottobre, nel ‘paese delle meraviglie’ (la Tokyo surreale del protagonista), continua in eterno il 4 ottobre, dello scenario irreale della ‘fine del mondo’.
Ecco la spiegazione che dà il Professore al protagonista:
“… anche se il suo corpo perisce e la sua coscienza si dissolve, proprio un attimo prima il suo pensiero può afferrare un punto e dividerlo all’infinito. Si ricordi di quell’antico paradosso riguardante la freccia che vola. La freccia che vola è ferma. La morte fisica è la freccia. Vola in linea retta mirando al suo cervello. Nessuno la può evitare. (…) Il tempo fa avanzare la freccia. Tuttavia, come le ho detto, il pensiero divide indefinitamente il tempo. Per questo quel paradosso finisce con l’essere reale. La freccia non arriva mai a destinazione.
– L’immortalità, insomma.
– Esatto. Le persone che vivono nel loro pensiero sono immortali. O se non proprio immortali, ci si avvicinano indefinitamente.”  (v.e.)
(Murakami Haruki, La fine del mondo e il paese delle meraviglie, 1985, trad. it. di Antonietta Pastore, Einaudi 2008, p. 358).

3 Ottobre

3 ottobre 2013

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Edgar fissa la data odierna. 3 ottobre 1951. Registra la data. Se la imprime nella mente. Sa che la cosa non è del tutto inaspettata. È la seconda esplosione atomica dei russi. Ma è una notizia dura da incassare, lo mette in agitazione, lo costringe a pensare alle spie che hanno trasmesso i segreti, alla possibilità di testate nucleari inviate alle forze comuniste in Corea. Se li sente alle spalle, sempre più vicini, che guadagnano terreno, sorpassano. La cosa lo turba, lo cambia fisicamente mentre se ne sta lì impalato, la pelle tesa sulla faccia, lo sguardo fisso.
Rafferty è più in basso sulla rampa rispetto a Hoover.
Sì, Edgar si imprime in testa la data. Pensa a Pearl Harbor, meno di dieci anni prima, anche quel giorno era a New York, e la notizia era stata un bagliore nell’aria, lo scatto di un flash su ogni cosa, oggetti comuni caldi e carichi di elettricità.
Il rumore della folla esplode sopra di loro

Don DeLillo, Underworld, 1997, tr. it. D. Vezzoli, ed. cons. Einaudi, 1999, p. 19

Il 3 ottobre 1951 è la data d’avvio delle vicende – a volte intrecciate e conseguenti, a volte parallele e contigue – del romanzo Underworld. L’Edgar citato nel brano è il capo dell’FBI, il celebre Edgar Hoover: si trova allo stadio, a vedere la partita di baseball fra i Giants e i Dodgers, quando viene a sapere che l’Unione Sovietica ha compiuto un esperimento nucleare. Intanto, un memorabile evento sportivo sta per avere luogo mentre Edgar è preso dalle sue preoccupazioni di stato. La squadra dei Giants vince la partita e la palla della vittoria – con i suoi passaggi di proprietà – sarà d’ora in avanti uno dei fili conduttori della storia. Così come la data – 3 ottobre – le cui cifre sono legate al 13, numero fatale, soprattutto negli Stati Uniti: “I Giants hanno incominciato la corsa al campionato con tredici partite e mezzo meno dei Dodgers. Il mese e il giorno della partita di ieri. Tre del dieci. Somma le cifre e ottieni tredici”.

Dicono del libro
“Il 3 ottobre 1951, al Polo Grounds di New York, si gioca una leggendaria partita di baseball tra i Giants e i Dodgers. Della palla con cui viene battuto l’altrettanto leggendario fuoricampo che assicura la vittoria e il campionato ai Giants si impadronisce un ragazzino nero di Harlem. La palla viene via via rubata, venduta, regalata: la ritroveremo anni dopo in possesso di Nick Shay, un waste manager, un dirigente dell’industria del riciclaggio di origine italiana che nel ’51 era a sua volta un ragazzino, un passo piú in là, nel Bronx.
Nel romanzo di DeLillo i passaggi di mano della mitica palla sono il filo narrativo per la costruzione di un gigantesco quadro dell’America dall’inizio della guerra fredda fino al crollo dell’Unione Sovietica”.
(Dalla scheda del libro nel sito Einaudi)

Altre storie che accadono oggi

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“… gli scabini della città daranno una festa il 3 di ottobre. La cosa si combina a perfezione…”
Alexandre Dumas, I Tre Moschettieri

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“… il giorno delle nozze, fissato per il 3 ottobre, si avvicinava…”
Theodor Fontane, Effi Briest

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“… Il 3 ottobre 1961 ha il presentimento di incontrare, in piazza del Campo a Siena, la sua donna…”
Giuseppe Pontiggia, Vite di uomini non illustri

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“… È il 3 ottobre 1869, Morris lascia in eredità al mondo il suo telaio con metà dell’arazzo di foglie di acanto e metà dei fili in attesa…”
Marisa Volpi, L’intrepido William Morris (Fuoco inglese)

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“… La canzone seguente era Early Autumn, cantata da Woody Herman. La sveglia sul tavolo segnava le 7 e 25. Le 7 e 25 del mattino del 3 ottobre…”
Murakami Haruki, La fine del mondo e il paese delle meraviglie

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2 Ottobre

2 ottobre 2013

 

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Arrotolai il sacco a pelo, lo ficcai nello zaino, misi lo zaino sulle spalle, camminai fino alla stazione e lì chiesi all’impiegato come dovevo fare per tornare a Tokyo a quell’ora. Guardò l’orario dei treni e disse che se prendevo un treno notturno sarei arrivato a Osaka la mattina e da lì avrei potuto prendere lo Shinkansen per Tokyo. Ringraziai e con i cinquemila yen che mi aveva regalato il pescatore comprai un biglietto per Tokyo. Aspettando il treno comprai un giornale e guardai la data. Era il 2 ottobre 1970. Il mio viaggio era durato giusto un mese. Coraggio, torniamo alla realtà, mi dissi

Murakami Haruki, Norwegian Wood. Tokyo Blues, 1987, tr. it. G. Amitrano, ed. cons. Einaudi, 2006, p. 352

Su un aereo per Amburgo, ascoltando una versione orchestrale di Norwegian Wood dei Beatles, un uomo – un giapponese di trentasette anni – è preso dai ricordi del passato, dalle immagini di una ragazza, Naoko, frequentata una ventina di anni prima. Ha inizio così un percorso nella memoria e nel tempo, che si allunga “come le ombre al tramonto”. La prima immagine che rievoca è quella di un paesaggio autunnale, un prato attraversato dal vento di ottobre, una conversazione con Naoko. Gli anni sono quelli fra il 1968 e il 1970: la vita nel collegio per studenti a Tokyo, le manifestazioni all’università, le letture, i rapporti con i rari amici e le ragazze, i dubbi, le scomparse. Dopo la morte della ragazza, il narratore è partito per un viaggio senza una meta precisa, che si conclude – con la decisione di tornare a Tokyo – il 2 di ottobre.

 

Dicono del libro
Norwegian Wood è anche un grande romanzo sull’adolescenza, sul conflitto tra il desiderio di essere integrati nel mondo degli ‘altri’ per entrare vittoriosi nella vita adulta e il bisogno irrinunciabile di essere se stessi, costi quel che costi. Come il giovane Holden, Tōru è continuamente assalito dal dubbio di aver sbagliato o di poter sbagliare nelle sue scelte di vita o di amore, ma è anche guidato da un ostinato e personale senso della morale e da un’istintiva avversione per tutto quello che sa di finto e costruito”.

(Dalla quarta di copertina dell’ed. Einaudi, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… Il 2 ottobre, di buon mattino, si pianta davanti alla caserma e attende con tutta calma che il tenente esca…”
Arthur Schnitzler, Verso la libertà

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“… È  il 2 ottobre (anniversario della nascita di chissà chi)…”
Alessandro Bergonzoni, È già mercoledì  e io no

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“…Il toro Saragoza … il 2 ottobre 1898, scappò dalla gabbia e inseguì e ferì molta gente…”
Ernest Hemingway, Morte nel pomeriggio (segnalazione di Sandra Muzzolini)

I Ottobre

1 ottobre 2013

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L’ottobre venne come sogliono venire i nuovi mesi; il suo è un arrivo modesto e silenzioso sotto tutti i rapporti, senza segni esteriori, un muto insinuarsi dunque, che sfugge facilmente all’attenzione se questa non mantiene un ordine severo. Il tempo in realtà non ha suddivisioni, non ci sono tempeste, non v’è rumoreggiare di tuoni all’inizio del nuovo mese o del nuovo anno, ed anche a quello del nuovo secolo; siamo soltanto noi uomini che spariamo e tuoniamo. Nel caso di Giovanni Castorp, il primo giorno di ottobre fu identico agli ultimi giorni di settembre, fu altrettanto immusonito e freddo come quelli e come gli altri che lo seguirono

Thomas Mann, La montagna incantata, 1924, tr. it. G. Giachetti-Sorteni, Dall’Oglio 1930 (1976), vol. I, p.249


Sulla montagna incantata (o magica, secondo una recente traduzione), il tempo è chiamato continuamente in causa. Sia il tempo meteorologico, poiché su quella montagna delle Alpi svizzere si trova il sanatorio per le malattie dei polmoni, i cui ospiti sono i protagonisti del romanzo, sia – soprattutto – il tempo del calendario. Il soggiorno del giovane ingegnere Giovanni Castorp – in visita a un cugino –  doveva durare meno di un mese, e invece – scopertosi malato – si prolunga per anni, trasformando abitudini e aspettative. Mentre le stagioni cambiano, i giorni avanzano come le lancette di un enorme orologio, e il tempo è sentito come una beffa, un mistero, un trucco senza spiegazione.

Dicono del libro
“Così il gruppo di ricchi cosmopoliti del sanatorio di Davos, affetti da quella che era allora la malattia per eccellenza, la tubercolosi, diventa il simbolo della condizione umana per la quale il dolore sta a fondamento dell’amore e la morte è in sostanza un’iniziazione alla vita: tutto il romanzo diventa così, per usare le parole di Mann, un romanzo di iniziazione”.

(Dalla quarta di copertina dell’ed. Dall’Oglio, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… Il primo ottobre, allo spuntare del giorno, il colonnello Aureliano Buendia, con mille uomini bene armati attaccò Macondo…”
Gabriel García Márquez, Cent’anni di solitudine

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“… il primo ottobre, un mercoledì, è una giornata che non dimenticherò. Anzitutto, Riley mi svegliò schiacciandomi le dita con un piede …”
Truman Capote, L’arpa d’erba

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“… c’era anche il progresso del calendario e forse questo contava più di ogni altra cosa. Adesso erano entrati in ottobre…”
Paul Auster, La musica del caso


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“…in macchina faceva caldo. 37 gradi, il primo ottobre più caldo dal 1906…”

Charles Bukowski, Il capitano è fuori a pranzo (segnalazione di Michele Brescia)

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“…Poiché Baldabiou aveva deciso così, Hjervé Joncour ripartì per il Giappone il primo giorno d’ottobre…”
Alessandro Baricco,  Seta (segnalazione di Laura Serranti)

30 Settembre

30 settembre 2013

 

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Così i giorni, gli ultimi giorni, turbinano nella mia memoria, indistinti, autunnali, tutti eguali come foglie: fino a un giorno diverso da tutti quelli che ho vissuto.
Accadde in autunno, il 30 settembre, il giorno del mio compleanno, particolare che non ebbe alcun peso sugli avvenimenti, a parte il fatto che, sperando in un ricordino finanziario della mia famiglia, aspettavo con impazienza la visita mattutina del portalettere. Anzi, scesi dabbasso per vederlo prima. Se non fossi stato nell’atrio in attesa, Holly non mi avrebbe invitato ad andare a cavallo e, di conseguenza, non avrebbe avuto modo di salvarmi la vita

Truman Capote, Colazione da Tiffany, 1958, tr. it. B. Tasso, ed. cons. Garzanti, 1973, pp. 99-100

Mentre in Europa si combatte una guerra a cui partecipano anche molti soldati americani  – fra cui Fred, il fratello della protagonista di questa storia – la giovane e bizzarra Holiday (Holly) Golightly fa di ogni giorno una festa, come dice il suo nome, o almeno ci prova. Fra l’autunno del 1943 e quello del 1944, a New York, trascorrono le sue vicende, raccontate dal vicino di casa, aspirante scrittore (e riprese nel celebre film, interpretato da Audrey Hepburn). Sposata giovanissima con un veterinario, “stellina cinematografica”, corriere di messaggi in codice per conto di un contrabbandiere in carcere, incinta di un politico brasiliano, Holly è eccentrica e imprendibile, continuamente di passaggio, “in transito”, come è scritto sulla sua porta. Il 30 settembre è una data cruciale nella storia: compleanno del narratore, è il giorno in cui questi cade da cavallo durante un giro in Central Park e in cui Holly viene arrestata per i suoi contatti con la malavita. Il 30 settembre era anche il compleanno dell’autore di Colazione da Tiffany: Truman Capote, nato il 30 settembre del 1924.

Dicono del libro
“Chi è Holiday Golightly, la protagonista del più estroso romanzo breve del più estroso scrittore americano del dopoguerra? È una cover-girl di New York, attrice cinematografica mancata, generosa di sé con tutti, consolatrice di carcerati, chiassosa, eterna bambina. E forse, Holiday è la più incantevole creazione di Capote”:
(Dalla quarte di copertina dell’ed. Garzanti, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… Il 30 settembre, quando la facoltà di medicina elegge i suoi rappresentanti annuali, riempii di gas il pallone…”
Rudolph Raspe, Gottfried Bürger, Il barone di Münchhausen

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“… con  la stessa solennità della prima volta celebrai il 30 settembre, anniversario del mio sbarco sull’isola…”
Daniel Defoe, Robinson Crusoe

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“… Che meraviglioso calendarietto che sei, Celia! Sono sei mesi secondo il calendario o sei mesi lunari? siamo all’ultimo giorno di settembre ora…”
George Eliot, Middlemarch

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“… Il 30 settembre si fece vedere il sole fin dalla mattina e, sperando nel tempo, Lévin cominciò a prepararsi…”
Lev Tolstoj, Anna Karenina

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“… Giurasti e disegnasti una ghirlanda / sul muro, di viole e di saette, / coi nomi e con la data memoranda: / trenta settembre novecentosette…”
Guido Gozzano, La signorina Felicita

29 Settembre

29 settembre 2013

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Fattoria Grange
Old Heanor, 29 settembre 

 […] Questo è il mio quarantesimo inverno. E non c’è nulla che possa fare per tutti gli inverni che sono passati. Ma quest’inverno resterò fedele alla mia fiammella di Pentecoste, e avrò un po’ di pace. Non permetterò che il fiato della gente la spenga. Credo in un mistero superiore che non fa morire nemmeno il croco. E anche se tu sei in Scozia e io sono nei Midlands e non posso stringerti tra le braccia e mettere le mie gambe intorno a te, di te ho ugualmente qualcosa. La mia anima batte dolcemente le ali con te nella fiammella della Pentecoste, ed è come la pace che si raggiunge scopando. Scopando, abbiamo messo al mondo una fiammella. E, scopando, il sole e la terra mettono al mondo i fiori. Ma è una cosa delicata, ci vuole pazienza, ci vuole una lunga pausa

David Herbert Lawrence, L’amante di Lady Chatterley, 1928, tr. it. S. Melani, Garzanti 1987, p.358-61

La lunga lettera del guardacaccia Oliver Mellors a lady Constance, la moglie di Clifford Chatterley, conclude il romanzo di David Herbert Lawrence. È spedita dalla fattoria dove l’uomo sta lavorando in attesa che Constance – che aspetta un figlio da lui – lo raggiunga, per cominciare la nuova vita insieme, lontano dai rispettivi coniugi, una nuova vita in armonia con la natura e con i sensi. In attesa dell’estate, del bambino e della riunione con Constance, Oliver descrive la sua situazione e il suo punto di vista sulla vita, in un giorno di autunno, il 29 settembre, ultima data del libro. 

Dicono del libro
“Per il verismo tattile con il quale racconta l’amore sessuale, per la critica aperta alle convenzioni sociali, per l’apparente esaltazione dell’adulterio, l’opera più famosa di Lawrence (colpita da sentenze di oscenità e volgarità) uscì ‘purgata’ nel 1928, in Inghilterra; sarà pubblicata in edizione integrale solo nel 1960. Lady Chatterley è una “morta viva”: l’ambizione e la sterilità emotiva del marito la imprigionano in una esistenza vuota e disperante, dalla quale la riscatta l’incontro con la delicata sensibilità del guardiacaccia Mellors. Nel romanzo, la possente sensualità degli amanti respira all’unisono con la natura traboccante della campagna inglese dei Midlands, selvaggia e regale a un tempo”.

(Dalla scheda del libro nel sito delle edizioni Garzanti)

Altre storie che accadono oggi

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“… Il 29 settembre scorso, venne commesso ai danni della Banca d’Inghilterra un furto di cinquantacinquemila sterline…”
Jules Verne, Il giro del mondo in ottanta giorni

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“… Ciò avviene il 29 settembre. È un giorno radioso, un giovedì. La Nouvelle France vede il sole salire all’orizzonte verso le 9 del mattino…”
Stanislao Nievo, Le isole del paradiso

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“… L’appunto successivo è del 29 e sembra copiato da un’agenda o da un calendario, perché dice soltanto: “San Michele e tutti gli Angeli. Diciassettesima domenica dopo la Trinità…”
Javier Marias, Tutte le anime

28 Settembre

28 settembre 2013

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28.9.1932 […] Non è questa prima giornata di avvertibile autunno (la prima giornata di freddo non fresco che veste l’estate morta di minore luce) che mi dà, in una trasparenza straniata, una sensazione di proposito morto o di falsa volontà. Eppure non c’è, in questo interludio di cose perdute, una traccia incerta di memoria inutile. È, più dolorosamente, un tedio di stare rammentando ciò che non si ricorda, uno scoraggiamento di ciò che la coscienza ha perso fra alghe o giunchi, in riva a non so cosa. Vedo che la giornata, limpida e immobile, ha un cielo positivo, di un azzurro meno chiaro dell’azzurro profondo. Vedo che il sole, leggermente meno dorato di prima, infiamma di riflessi umidi i muri e le finestre. Mi rendo conto che, nonostante non ci sia vento, o brezza che lo ricordi e lo neghi, nella città indefinita dorme tuttavia una frescura sveglia. Mi rendo conto di tutto ciò, senza pensare o volere, e non ho sonno se non come ricordo, e non ho nostalgia se non come inquietudine

Fernando Pessoa, Il libro dell’inquietudine di Bernardo  Soares, 1982 (post.), tr. it. M. J. De Lancastre, A. Tabucchi, Feltrinelli 1987, p.138


Bernardo Soares, impiegato contabile in una ditta di tessuti, passa le sue giornate nel suo ufficio al centro di Lisbona. Giornate tutte simili, senza grandi avvenimenti esteriori, ma ricche di osservazioni sottili sul tempo, il tempo che passa e quello atmosferico. Il 28 settembre del 1932, Soares riprende a scrivere i suoi pensieri dopo una lunga pausa e si accorge del cambiamento di luce, temperatura e atmosfera che ha portato con sé la prima settimana di autunno. Cerca – come fa sempre – di descrivere le piccole variazioni che segnano il cambiamento, da un giorno all’altro, come stazioni successive della corsa del tempo.

Dicono del libro
“Il libro di Soares è certamente un romanzo. O meglio, è un romanzo doppio, perché Pessoa ha inventato un personaggio di nome Bemardo Soares e gli ha delegato il compito di scrivere un diario. Soares è cioè un personaggio di finzione che adopera la sottile finzione letteraria dell’autobiografia. In questa autobiografia senza fatti di un personaggio inesistente consiste l’unica grande opera narrativa che Pessoa ci abbia lasciato: il suo romanzo”.
(Dalla scheda del libro nel sito della Feltrinelli)

Altre storie che accadono oggi

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“… Mi ricordo che era scritta da Weymouth edatata ventotto settembre, e cominciava: ‘Mia cara signora’, ma non ricordo come continuava…”
Jane Austen, Emma

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“… 28 settembre 1972, Mia cara, ho saputo oggi che sei stata assunta la settimana scorsa. Congratulazioni…”

Ian McEwan, Miele

27 Settembre

27 settembre 2013

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27 settembre 1990
Berlino, Amalienpark

Un altro “giorno dell’anno”, per la trentesima volta. Senza l’indicazione sul calendario non avrei pensato all’obbligo che ho da assolvere oggi. Sono tentata di interrompere questo progetto più per un’inibizione profonda che per l’usuale svogliatezza. Da mezz’ora siedo inattiva davanti al foglio su cui voglio prendere appunti. Conosco da un pezzo la causa dei miei “blocchi”: un’invincibile resistenza a prendere atto di cose che mi toccherebbero troppo da vicino. Naturalmente è sempre possibile descrivere i rituali: alzarsi, fare colazione, bere il tè, sfogliare il giornale, che con mia sorpresa non mi interessa affatto, tanto che adesso già non so più che cosa ho letto. Ma questi rituali mi appaiono troppo insignificanti in un periodo in cui tutto è “fuori dai cardini”. Il tempo fa sempre il suo corso, oggi coperto ma non ancora freddo. Il sole, leggo sul calendario, è sorto alle 5.54 e tramonterà alle 17.48, mentre la luna sorgerà alle 14.50 e tramonterà alle 22.05. Adesso sono le 10.30, e come quasi ogni mattina mi meraviglio di quante attività sono capace di inventarmi per evitare di mettermi alla scrivania

Christa Wolf, Un giorno all’anno 1960-2000, 2003, tr. it. A. Raja, ed. cons. edizioni e/o, 2013, p. 390

Nel 1960, il giornale moscovita Isvestija pubblicò un invito rivolto agli scrittori: raccontare un giorno di quell’anno, per la precisione il 27 settembre. Si trattava di un progetto già tentato negli anni Trenta con il titolo “Un giorno nel mondo”. Un’idea – questa – che porta la giornata dallo sfondo al primo piano della storia, mettendo in luce le ripetizioni e le variazioni che, tutte insieme e giorno dopo giorno, costituiscono la vita. Rispondendo all’invito della rivista, a partire dal 1960, la scrittrice tedesca Christa Wolf  descrive quello che le accade ogni 27 settembre, per quarant’anni di seguito, fino al 2000. Il brano di oggi racconta, dal risveglio svogliato alla cena, il  27 settembre del 1990, un anno “attraversato da un asse intorno al quale il tempo si “rivolge”, un anno di svolta. 

Dicono del libro
Un giorno all’anno è l’opera più personale di Christa Wolf. Per quarant’anni – a partire dal 1960 – l’autrice ha raccontato ogni 27 settembre, annotando tutte le esperienze, i pensieri e i sentimenti vissuti in quel giorno. Il risultato è una testimonianza incisiva e commovente della sua esistenza di scrittrice, di contemporanea, di donna, madre, cittadina della Repubblica democratica tedesca e poi della Repubblica federale tedesca. ‘Come accade la vita?’ – ecco la domanda che occupa la scrittrice lungo tutti questi anni”.
(Dalla quarta di copertina dell’ed. e/o, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… Non ho letto giornali / Non mi sono girato a guardare donne / Non ho aperto la cassetta della posta / Non ho augurato buon giorno…”
Thomas Brasch, Il bel 27 settembre

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“… Nelle prime ore pomeridiane del 27 settembre Luisa ritornava da Porlezza con alcune carte da copiare per il notaio…”
Antonio Fogazzaro, Piccolo mondo antico

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“… Lunedì 27 settembre il tempo si mise al brutto…”
Bruce Chatwin, Che ci faccio qui?

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“… 27 settembre. Marianna, perché non sei qui a passeggiare, a trastullarti, a divertirti con noi…”
Giovanni Verga, Storia di una capinera (segnalazione di @francofri)

Dieci minuti

Descrivere la stessa porzione di tempo (il 27 settembre della scrittrice Christa Wolf) per tanti anni successivi, addirittura quaranta; fotografare o riprendere la stessa porzione di spazio ogni giorno per un anno (i cieli dell’artista Luigi Ghirri, lo studio di Bruce Nauman); analizzare un luogo sostandovi tre giorni successivi (il Tentativo di Georges Perec); chiedere a tante persone di riprendere un giorno solo: il 24 luglio 2010 dell’impresa collettiva Life in a Day, prodotta da Ridley Scott; impresa replicata in diverse nazioni (per l’Italia, la data scelta è il prossimo 26 ottobre 2013, col titolo Italy in a Day e la regia di Gabriele Salvatores).
Nel 2001 l’antologia Pomeriggio/Afternoon – curata dalla rivista “Storie” – ha scelto di concentrare l’attenzione su dieci minuti di un giorno di quell’anno, il 19 aprile, invitando 140 scrittori, cineasti, musicisti a fissarli in simultanea, in qualunque posto si trovassero. Basata sull’idea del Momentismo, “una forma di scrittura contingente, capace di suggellare l’estemporaneità e la sintesi”, la scelta dei dieci minuti /ten minutes è diventata da allora un metodo, un approccio e una cornice per altre iniziative narrative, appoggiate sul tempo breve e sulla pluralità degli sguardi. (a.s.)
Pomeriggio / Afternoon. Dieci minuti alle sei, a cura di G. Bassi, Leconte, 2001

26 Settembre

26 settembre 2013

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Quando la calma fu ristabilita, facemmo avvicinare i due litiganti alla tavola di pietra, pigiare i pollici nel bitume e mettere le loro impronte digitali sul contratto. Quando fu il suo turno, Wainaina, riluttante, gemette come se la carta gli scottasse il pollice. Il contratto diceva:
“Il seguente contratto è stato concluso a Ngong, oggi 26 settembre, fra Wainaina e Kaninu wa Muture, alla presenza del Capo Kinanjui che ne ha preso visione

Karen Blixen, La mia Africa, 1937,  tr. it. L. Drudi Demby, Garzanti, 1966, pp. 137-138

Come oggi, era un 26 settembre, in Kenya, quando la fattoria di Karen Blixen si trasforma in una corte di giustizia, per discutere di un incidente accaduto tempo prima. Intorno alla mola del mulino, fra i testimoni e la folla, la scrittrice danese (che in Africa possedeva una coltivazione di caffè), è riconosciuta come giudice. Il risarcimento del danno è fissato in una vacca e un vitello;  il patto è suggellato dalle impronte digitali delle parti e controfirmato dalla Blixen, che racconta questa giornata nel racconto-diario La mia Africa, ricordando la data precisa di un 26 settembre africano.

Dicono del libro
“Da questo, che è libro di viaggi e romanzo insieme, il lettore italiano può farsi un’idea precisa dell’arte della più grande scrittrice danese, una delle maggiori del nostro tempo; arte scarna e sontuosa, popolare e aristocratica; e nello stesso tempo un’intelligenza sempre sorprendente, quasi divinatoria, nell’afferrare gli aspetti più segreti e umbratili della realtà. Pubblicato nel 1937, questo libro è il sobrio, limpido resoconto della vita della scrittrice nel Kenya. Giglia di Wilhelm Dinesen, ufficiale dell’esercito e autore di un classico della letteratura dell’Ottocento danese, Isak Dinesen, cioè la baronessa Karen von Blixen, arrivò in Africa nel 1914, alla vigilia della prima guerra mondiale”.

(Dalla quarta di copertina dell’ed. Garzanti, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… Fu il 26 settembre che le calme cominciarono a farsi sentire: il vento dapprima calò sensibilmente…”
Emilio Salgari, Gli scorridori del mare

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“… Eran le sei e mezzo di sera del 26 settembre, quando il tuonar dei cannoni e lo squillar di trombe di un’allegra marcia annunciarono che le L.L. Reali Maestà…”
Jens Peter Jacobsen, Maria Grubbe

 

25 settembre

25 settembre 2013

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Lo sapevo, Eccellenza, lo sapevo. Sono stati visti baciarsi Martedì 25 Settembre, la vigilia della partenza di don Tancredi; nel vostro giardino, vicino alla fontana. Le siepi di alloro non sempre sono fitte come si crede. Per un mese ho atteso un passo di vostro nipote, e adesso pensavo già di venire a chiedere a Vostra Eccellenza quali fossero le intenzioni di lui

Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, 1958 (post.), Feltrinelli 1993, p.119

Garibaldi è sbarcato in Sicilia, e l’Italia sta diventando una nazione, mentre a Donnafugata, nel giardino del palazzo di Don Fabrizio Corbera, Principe di Salina, qualcuno osserva due giovani che si baciano. È un 25 settembre che sembra ancora estate e i due sono Tancredi Falconieri, nipote del Principe, e Angelica, bellissima figlia di Calogero Sedara, la cui recente fortuna è frutto di traffici e speculazioni. Il bacio è la prova che suggella l’unione delle due famiglie, un patto matrimoniale fra l’antica nobiltà e la nuova ricchezza, sotto lo stemma azzurro in cui campeggia il Gattopardo. 

Dicono del libro
“Giuseppe Tomasi, duca di Palma e principe di Lampedusa, nacque a Palermo nel dicembre del 1896 e morì a Roma nel Luglio del 1957. Il suo capolavoro, Il Gattopardo, pubblicato un anno e mezzo dopo la sua morte, rimase a lungo inedito, rifiutato da molti ediori, ma al suo apparire fu subito riconosciuto come una delle massime opere letterarie del nostro secolo. Tradotto in tutto il mondo, letto da milioni di lettori, portato sullo schermo, Il Gattopardo è ormai un classico. Siamo in Sicilia, all’epoca del tramonto borbonico: è di scena una famiglia della più alta aristocrazia isolana, colta nel momento rivelatore del trapasso di regime, mentre già incalzavano i tempi nuovi (dall’anno dell’impresa dei Mille di Garibaldi la storia si prolunga fino ai primordi del Novecento)”.
(Dalla scheda del libro sul sito dell’editore Feltrinelli)

Altre storie che accadono oggi

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“… 25 settembre 1933. Oh, gloria di esser vivo! di essere ancora un vivente!…”

William Saroyan, Me stesso sulla terra

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“… Il venticinque settembre milleduecentosessantaquattro, sul far del giorno, il Duca d’Auge salì in cima al torrione del suo castello…”
Raymond Queneau, I fiori blu

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“… Alzò le spalle, definendo il console generale un imbecille; l’indomani sarebbe stato il 25 settembre…”
Thomas Pynchon, Sotto la rosa

Nel tempo – nella vita – social media

Il 22 settembre 2013 si è conclusa la Blogfest di Rimini: i Macchianera Italian Awards 2013  sono stati assegnati e  nella categoria miglior sito letterario – vinta da L’Apprendista Libraio –  diconodioggi.it si è classificato al quinto posto con 2202 voti. È ora di ringraziare tutti quelli che hanno votato, che seguono quotidianamente diconodioggi sia qui, sia su Facebook e Twitter, e che – sempre più numerosi – inviano citazioni di racconti, immagini, canzoni, collegando le date della finzione al presente della lettura. Una curiosità: analizzando le parole che ricorrono nelle biografie delle persone che seguono @diconodioggi su Twitter, i termini più ricorrenti sono questi:

parole cloud

24 Settembre

24 settembre 2013

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24 settembre
Mi sono svegliato tardi e senza appetito. Meglio così perché i soldi che mi restano sono pochi. La pioggia non è diminuita. Alla reception, quando chiedo di Frau Else, mi dicono che è a Barcellona o a Girona, al Gran Hospital, insieme al marito. Sulla gravità delle condizioni di quest’ultimo il commento è inequivocabile: sta morendo. La mia colazione è consistita in un latte e caffè e un croissant. Nel ristorante rimaneva solo un cameriere per servire cinque vecchi surinamesi e me.
L’Hotel del Mar, di colpo, si è svuotato. A metà pomeriggio, seduto sul balcone, mi sono reso conto che il mio orologio non funzionava. Ho cercato di caricarlo, gli ho dato qualche botta, ma non c’è stato niente da fare. Da quanto tempo è fermo? La cosa ha un qualche significato? Lo spero

Roberto Bolaño, Il Terzo Reich, 2010 (postumo), tr. it. I. Carmignani, Adelphi, 2010, p. 308

Il diario del giovane tedesco Udo Berger – in vacanza con la fidanzata in un albergo sulla Costa Brava – è cominciato il 20 di agosto e termina dopo poco più di un mese, insieme con la stagione balneare. Durante quel periodo si è dedicato a un wargame sul Terzo Reich, montato su un grande tavolo nella sua stanza. Oltre a Frau Else, la proprietaria dell’albergo, Udo conosce strani personaggi, con cui ingaggia partite piene di tensione, mentre il tempo del gioco si insinua in quello della vicenda. Fino alla fine del suo soggiorno, il 24 settembre, vigilia della partenza. 

Dicono del libro
“Appena mette piede nella sua stanza d’albergo sulla Costa Brava, il giovane Udo Berger ottiene, dopo molte insistenze, che gli venga portato un grande tavolo, sul quale piazza il wargame di cui è campione assoluto e di cui intende elaborare nuove e più audaci strategie: il Terzo Reich. L’atmosfera è delle più beatamente, ottusamente balneari. Eppure, quasi subito, sentiamo che non tutto è luce, e che nell’ombra sono in agguato fantasmi inquietanti”.

(Dalla bandella dell’ed. Adelphi, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… Milano, 24 settembre. Arrivo, alle sette di sera, morto di stanchezza; corro alla scala.- Il mio viaggio è ripagato…”
Stendhal, Roma, Napoli e Firenze

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“… dichiaro e certifico a termini di legge che, nella causa criminale aperta il 24 settembre 1799 contro i negri della nave San Dominique, venne fatta davanti a me la dichiarazione seguente…”
Herman Melville, Benito Cereno

23 Settembre

23 settembre 2013

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Stavo attento a tutto, anche ai passaggi di stagione, ma la natura non si preoccupa di dare i suoi avvisi. Il 23 settembre si passava dall’Estate all’Autunno, io stavo lì a aspettare, ma non succedeva niente. Nessuno sembrava accorgersene, non avevo notato nulla di speciale, la solita gente che passava con indifferenza sulla strada, niente. Il giorno dopo l’aria era diventata pesante, il cielo nero, carico di onde elettromagnetiche, lampi, tuoni. Forse forse qualcosa incominciava a succedere, mi dicevo

Luigi Malerba, Il serpente, 1966, ed. cons. Mondadori, 1989, pp. 129-30

Da dietro la vetrina del suo negozio di francobolli, il narratore – arrivato a Roma da Parma – guarda la città che si muove, con la sensazione che “alla fine della giornata non è successo niente, l’unica cosa che è successa è la giornata che è passata via senza che succeda niente”. Anche i fatti che vengono raccontati – amori, gelosie, sogni, addirittura un assassinio –  sono incerti, forse mai accaduti, ma solo immaginati dal narratore, sullo sfondo di Roma e di Parma, in un tempo anch’esso incerto, in cui si riconoscono alcune giornate speciali, fra le quali quella dell’equinozio d’autunno (la cui data oscilla in genere fra il 22 e il 23 settembre) e che nell’anno del racconto  cadeva il 23 del mese.

Dicono del libro
“Un uomo maniacalmente geloso della sua amante la uccide, quindi ne divora il cadavere e si autodenuncia: a un livello superficiale, Il serpente di Malerba lo si potrebbe riassumere così. Ma ben altra è la natura profonda, l’assoluta originalità del romanzo. Non soltanto alla lunga confessione dell’uomo si alternano – inquietante controcanto – astratte, folgoranti divagazioni/esortazioni affatto estranee alla ‘trama’ (esortazioni rivolte a chi? E da chi? dall’autore, dal personaggio, da un suo doppio lucidamente ragionatore che scriva in un tempo diverso da quello della narrazione?), ma il lettore non tarda ad apprendere dallo stesso io narrante che egli mente, così che l’intera narrazione annulla in qualche modo se stessa, e, nel progressivo smantellamento di ogni realtà costruita, nello sconvolgente trionfo di una filosofia (o un’etica) del dubbio, dell’incerto, del possibile, in un gioco continuo di realtà e finzioni che si incastrano l’una nell’altra, si intrecciano, si negano, si affermano, il romanzo diviene la negazione di sé, ogni realtà viene rimessa in gioco, nulla appare certo e reale se non l’incerto, e il serpente -per riprendere la metafora suggerita dal titolo -divora inesorabilmente, ininterrottamente, se stesso”.

(Dalla quarta di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… Vi ricordate del 23 settembre? – ella disse. Andrea non aveva ben distinto nella memoria quel ricordo, ma assentì col capo…”
Gabriele D’Annunzio, Il piacere

 

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“… ‘Me lo dai un bacetto?’. Era il 22, o il 23, di settembre…”

Elsa Morante, La Storia (segnalazione di  ggianluca @thumbsupGG)

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“… Mi ricordi come mi ha conosciuto. Il Suo X. La data diceva: Calangute, Goa, 23 settembre…”
Antonio Tabucchi, Notturno indiano

22 Settembre

22 settembre 2013

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Il maggiore ed il preferito era Frodo Baggins. A novantanove anni Bilbo lo adottò e lo portò con sé a Casa Baggins, e tutte le speranze dei Sackville-Baggins sfumarono. Si dà il caso che tanto Bilbo quanto Frodo festeggiassero il compleanno il 22 settembre.
“Sarebbe meglio che tu venissi a stare da me”, disse un giorno Bilbo, “così potremmo festeggiare insieme i nostri compleanni”.
A quell’epoca Frodo era ancora negli enti, come gli Hobbit chiamavano gli irresponsabili anni tra l’infanzia e la maggiore età (33)

John Ronald Reuel Tolkien, Il Signore degli Anelli, 1954-55, tr. it. Q. Principe, ed. cons. Rusconi,1993, pp. 47-48

Nella terra di mezzo, mondo fantastico abitato da creature fatate, la Contea è un’isola di rustica serenità e spensieratezza abitata da piccoli esseri laboriosi chiamati hobbit. Creature per natura longeve, uno fra loro è in procinto di raggiungere la veneranda età di cento undici anni: si tratta di Bilbo Baggins, zio adottivo del protagonista Frodo e possessore di un anello incantato, oggetto della brama di re e stregoni. Ereditato il magico anello, il destino dei popoli liberi sarà nelle mani del giovane hobbit, che lascerà per la prima volta il proprio locus amoenus per un viaggio ricco di peripezie. È proprio il 22 settembre – compleanno sia del vecchio Bilbo che del giovane Frodo –  che l’avventura ha inizio, con una grande festa nella giornata assolata. (Commento di Oliviero Eletti)

Dicono del libro
“Il Signore degli Anelli è un romanzo d’eccezione, al di fuori del tempo: chiarissimo ed enigmatico, semplice e sublime”

(Dalla quarta di copertina dell’ed. Rusconi, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… (eravamo ormai al 22 settembre) e Lo indicava il seguente indirizzo: ‘Fermo posta, Coalmont’…”
Vladimir Nabokov, Lolita

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“… Il calendario ci aveva precipitati di colpo nell’autunno, ma il cielo del 22 settembre apparve all’alba dipinto di un azzurro purissimo…”
Almudena Grandes, Atlante di geografia umana

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“… Era venuto l’equinozio d’autunno. Già si sentiva, fresco sulla pelle, il frizzo dell’aria serale…”
Murasaki, Storia di Genji, il principe splendente

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“… Presto così cominciò per me un altro autunno. Era in tutto diverso dal precedente..”
Anna Maria Ortese, Poveri e semplici

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“… La notte del 22 settembre del 1939, il giorno prima di morire, il dottor Sigmund Freud, interprete dei sogni altrui, fece un sogno…”
Antonio Tabucchi, Sogni di sogni

pittura
Lorser Feitelson,Untitled (September 22), acrilico su tela, 1964 (segnalazione di Michele Brescia)