In Time, il tempo è denaro, di Roberta Aureli

“Il tempo è denaro”, recita il vecchio adagio, che ci ricorda quanto esso sia prezioso e quanto sia sciocco sprecarlo in occupazioni inutili. Ma se il suo senso non si esaurisse tutto qui? Se davvero, cioè, il tempo fosse la valuta di scambio in un mondo ipotetico? Alcuni artisti hanno provato ad andare oltre il semplice modo di dire, traducendolo visivamente: come Iván Argote, che ha sviluppato un’applicazione web per mostrare l’ora in tempo reale attraverso le cifre sulle banconote del dollaro (Time Is Money, 2009 http://thetimeismoney.com/). E mentre al Macro di Roma prosegue la mostra Dall’oggi al domani. 24 ore nell’arte contemporanea e al Centro Trevi di Bolzano (fino alla primavera del 2017) è possibile interagire con la mostra multimediale Tempo & denaro. Nel cerchio dell’arte, nemmeno la finzione cinematografica si è lasciata sfuggire la possibilità di immaginare le conseguenze estreme della correlazione tra i due termini.
In Time Niccol Aureli

In Time, film distopico del 2011 scritto e diretto da Andrew Niccol (già sceneggiatore di The Truman Show), racconta di un futuro prossimo nel quale i soldi sono aboliti e le necessità o i lussi si pagano col proprio tempo. Le persone sono geneticamente progettate per smettere di invecchiare a venticinque anni: da quel momento hanno un anno bonus a disposizione, terminato il quale diventerà essenziale guadagnarsi da vivere. Letteralmente. Sul braccio di ciascuno si attiverà, infatti, un conto alla rovescia per registrare i secondi, i minuti, le ore, i giorni, i mesi, gli anni – i secoli per i super ricchi – che gli restano. Un vero orologio biologico come conto bancario, inquietante nel suo somigliare al timer degli esplosivi e azzerato il quale l’individuo cesserà di vivere.

La storia inizia il giorno del compleanno della madre del protagonista Will. Lei, nell’aspetto sua bellissima coetanea, compie in realtà cinquant’anni, o venticinque anni per la venticinquesima volta. Il suo orologio dice che le restano a malapena tre giorni di risparmi: “La metà serve per l’affitto, 8 ore per l’elettricità e c’è la rata del prestito”, ricorda al figlio, al quale tuttavia non rinuncia a dare la paghetta, “30 minuti, così avrai un pranzo decente”. Tutto in questo mondo si paga con il tempo: 4 minuti per una tazza di caffè, 1 ora per un cartone di birra, 59 anni per la macchina di lusso che Will potrà acquistare nel corso della vicenda. Al casinò si puntano secoli, mentre fuori i poveri fanno la fila davanti alla Caritas del tempo per qualche spicciolo di ora in più. E poi, all’interno di città divise in “zone orarie”, veri e propri quartieri-ghetto ordinati per fasce di reddito, si muovono i Custodi del tempo (Timekeepers nella versione originale), corpo speciale della polizia incaricato di monitorarne gli spostamenti, e la gang malavitosa dei Minute Men, che vive rubandolo agli altri.

Questo meccanismo ha effetti sulle persone e sulla loro percezione del tempo, inevitabilmente diversa tra i ricchi e i poveri. Rispetto ai primi, che possono permettersi di non badare mai al proprio orologio e aspirano a vivere per oltre un secolo, i poveri di In Time hanno un tratto distintivo che li rende ovunque riconoscibili: sono abituati ad andare sempre di fretta, per risparmiare minuti preziosi negli spostamenti tra la casa il lavoro. Anche l’espressione “vivere alla giornata” assume un significato nuovo. Normalmente intesa come propensione a cogliere l’attimo accettando ciò che arriva senza fare programmi, nel film è la cruda realtà di molti indigenti che hanno davanti ventiquattr’ore appena, rinnovabili – se si ha fortuna – con qualche espediente.

Pur concentrandosi molto sugli elementi spettacolari dell’azione senza entrare nel vivo delle implicazioni sociali ed etiche, il film di Niccol fornisce qua e là spunti per riflettere sulla crescita demografica, sull’esaurimento delle risorse, sulle disuguaglianze sociali. Quello descritto è un sistema di “capitalismo darwiniano”, come spiega il banchiere Weis, uno dei personaggi con i quali Will finirà per scontrarsi. Non il più forte sopravvive in questa società, bensì il più ricco di tempo. Weis ha perfino scelto come combinazione della sua cassaforte la cifra 1221809, che altro non è se non la data di nascita di Charles Darwin, il 12 febbraio 1809.
Roberta Aureli
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