Muri fuori sincro in un libro di Stefano Scialotti

Stefano Scialotti è un regista di documentari che affrontano i temi – per lui sempre intrecciati – dei diritti umani, dell’infanzia, del gioco e dell’arte in tutte le sue variegate espressioni. Chi vuole conoscere alcune delle sue realizzazioni può seguirlo sul canale Vimeo, dove i video caricati mantengono una traccia, quasi un diario, delle sue tante imprese in giro per il mondo. Dai sogni onirici dei bambini, alla liberazione dei cortili, passando per la documentazione alternativa delle Biennali (non solo quella di Venezia), Scialotti si muove sempre come un creatore di situazioni collettive, director di incontri e di fenomeni il cui racconto filmato è solo uno degli esiti possibili e sperati.
Uno dei temi a cui Scialotti sta dedicando da anni energie, viaggi e impegno è quello dei muri che separano le frontiere calde del panorama geopolitico attuale: manufatti edilizi che condensano materialmente e metaforicamente l’esclusione, anche violenta.
Dal confine fra Stati Uniti e Messico, al campo Aida di Betlemme, in collaborazione con volontari, ricercatori, artisti, attivisti, Scialotti trasforma lo spazio desolato prossimo ai muri in un luogo di avvenimenti inaspettati, che coinvolgono i bambini del posto in partite di calcio e altri giochi in virtuale dialogo con i bimbi dell’altra parte.
All’origine di questo interesse profondo, c’è un’esperienza condotta da Scialotti davanti al muro per antonomasia, quello di Berlino, eretto nel 1961 e smontato nel 1989. A questo muro, Scialotti ha dedicato riflessioni e azioni, fotografando – nel corso degli anni ’80 – il palinsesto di scritte di cui la sua facciata occidentale si copriva, immaginandone la parete nascosta verso Berlino est, organizzando performance e spettacoli (fra cui uno al Piper di Roma, nei primi anni Ottanta).
Tutto questo materiale, rielaborato con un estro fantastico e tecnologico che rivela la formazione di Scialotti – ingegnere elettronico appassionato di fantascienza – e la sua attitudine alla ricerca creativa, è diventato Lennon not Lenin. Il muro di Berlino erano due, un libro pubblicato dall’editore Fausto Lupetti e collegato alla campagna iorompo.it del quotidiano “il manifesto”. 
Tutto è doppio in questo racconto: le facce del muro, nella città dal “cielo diviso”, così come le realtà, quella corrente in cui si svolge la storia  e quella virtuale del dispositivo di Intelligenza Artificiale (anzi di Vita Artificiale, il cui nome è Continua-Mente), che interagisce con i protagonisti. Le vicende raccontate – in capitoli brevi e dallo spirito ipertestuale – si srotolano fra il 13 agosto 1981 (vent’anni esatti dopo l’inizio della  costruzione del muro),  quando un gruppo di artisti, “reduci un po’ disadattati del ’68”, fonda il collettivo utopico No Future Project, e il 25/26 marzo del 1991, quando il gruppo si ritrova in cerca di uno dei componenti, Ario, che è scomparso. La strategia investigativa adottata nella ricerca scatena un corto-circuito di tecnologie, culture e tempi, che è il fulcro della narrazione:  procedendo nella lettura, ci si accorge che i nomi dei protagonisti sono connessi alla Divina Commedia, a cui alludono anche le date di marzo in cui si ambientano le vicende; e così il viaggio di ricerca si riflette e si raddoppia nei versi del poema dantesco che Continua-Mente cita in risposta alle domande che le vengono poste. L’aldilà e l’aldiquà, la storia e la finzione, la realtà e la virtualità,  lungi dall’essere per forza domini separati da muri e confini, rivelano – a saperli trovare – tanti ponti e punti di connessione, fatti di parole e giochi con le parole, immagini fisse, spezzoni di video, telepatie, frammenti “fisici e grafici”. Come spiega Francesco Antinucci nella prefazione al libro, le storie che lo compongono “corrono parallele ma a un certo punto scivolano l’una rispetto all’altra, così che i loro personaggi vanno fuori sincro o nel tempo o nello spazio, creando e vivendo realtà inesistenti (né mai esistite) fatte di pezzi rigorosamente esistenti (o esistiti)”.
Il fuori sincro funziona anche in queste pagine di Scialotti come un modo di raccontare gli strati non lineari delle storie e della storia, ripescando dal magma del tempo segnali ancora trasmissibili, fra cui emergono – ancora potenti e argute come Lennon, not Lenin – alcune delle  scritte del muro di Berlino.

a.s.

Il video Lennon not Lenin di Stefano Scialotti con Davide Canazza