Incursioni nel tempo

Incursioni nel tempo

Nel libro di Salvatore Settis dal titolo Incursioni. Arte contemporanea e tradizione il termine tempo ricorre in tante pagine, che indagano e avvicinano gli artisti scelti nel suo viaggio trasversale nella storia dell’arte. Il capitolo dedicato a Giuseppe Penone lo racchiude nel titolo: “Giuseppe Penone: scolpire il tempo”, che rimanda a un altro titolo, quello della raccolta di testi di Marguerite Yourcenar Le Temps, ce grand sculpteur, che – a sua volta – è mutuato da un verso della poesia di Victor Hugo sull’Arco di Trionfo
Settis ripercorre le azioni scultoree dell’artista piemontese, i suoi interventi nei boschi, gli scavi interni al legno dei tronchi o la duplicazione di pietre con pietre e alberi con metalli. Qui la tradizione sprofonda nella dimensione mitica dei regni naturali e trova il suo faro in Ovidio, la cui poesia metamorfica coglie “l’incessante fluire delle forme e delle specie insistendo sui momenti di trapasso […] per suggerire che la mutazione non è solo il momento chiave del suo racconto, ma il cuore stesso della struttura del mondo”.
Insieme al pensiero classico, la lettura di Penone è condotta con affacci su visioni ecologiche attuali, e prende rilievo il tema dell’interconnessione dei fenomeni, che siano naturali o artefatti, inclusi noi stessi osservatori e osservatrici. Discutendo degli alberi bronzei di Penone, Settis chiama in causa le tre diverse temporalità che si intersecano in questa tipologia di opere: la lunga durata naturale, il lavoro minuzioso dell’artista e poi la percezione che ne hanno le persone, che a sua volta implica due dimensioni spazio-temporali; prima lo sguardo da lontano e poi il contatto tattile da vicino. A quel punto, l’inganno è svelato e l’osservatore è incluso per sempre nella vita della materia sfiorata e nella rete di informazioni elaborate.

Una delle incursioni più intense di questo libro di Settis è dedicata all’opera romana di William Kentridge, Triumphs and Laments, il lungo fregio sui muraglioni del Tevere, ottenuto togliendo la patina dal travertino, e che – dopo poco appena cinque anni dalla sua realizzazione – sta ormai svanendo. L’opera monumentale dell’artista sudafricano consente a Settis di tirare molte fila dei suoi interessi archeologici, storici, artistici e politici, offrendo un montaggio di forme e formati che percorrono ricorsivamente la storia di Roma e in cui innesta considerazioni che vengono dalla lezione di Aby Warburg e del suo Atlante Mnemosyne.
La tessitura dei rimandi al passato è talmente fitta e il movimento nel tempo si fa tanto intricato che Settis ricorre anche a degli schemi visuali per fare emergere la stratificazione dei livelli cronologici che si intersecano in molti punti del fregio: il livello dell’evento rappresentato, quello dell’immagine scelta come fonte, quello definito dall’adiacenza ad altre figure. Sono schemi che a loro volta innestano catene di cortocircuiti temporali e anacronismi, intesi non come ‘fuori posto’, ma come compresenze di figure e accadimenti sotto un unico sguardo sinottico. Pur svolgendosi in orizzontale lungo una linea di mezzo chilometro, la linearità è estranea a quest’opera, che parla la lingua aggregante della memoria, con i suoi ingorghi, le zone nere e vuote, i camuffamenti e i ritorni. E pur essendo un’opera statica, si muove con chi la guarda camminando. E la nona incursione di Settis cerca di restituire su pagina sia la non linearità sia la mobilità storica e figurativa, simbolica e tecnica dei Trionfi e Lamenti di Kentridge.

Del resto, Kentridge è stato l’autore di un’altra impresa colossale, The Refusal of Time, una potente installazione multimediale, uno spettacolo, una ricerca sulla temporalità, a cui ha collaborato lo storico della fisica e filosofo della scienza Peter Galison. Presentata alla documenta di Kassel nel 2012, trasformata anche in un libro sui generis, l’opera mette chi partecipa in mezzo a una congerie di stimoli visivi, sonori e ritmici che generano una percezione del tempo multipla e discontinua. Il tempo ‘rifiutato’ è quello della standardizzazione oraria ‘capitalistico-coloniale’, decisa politicamente ed esportata via via in tutto il mondo, il tempo delle sincronie e delle cronologie diritte e progressive. A questa rappresentazione, l’arte è in grado di opporre tecniche e linguaggi che sovrappongono stati temporali e moltiplicano punti di vista. Sono gli scarti, le scomparse e i ritorni, le illusioni e i lampi che si producono nella memoria personale e condivisa, e nei suoi passaggi da un’epoca all’altra, da un emisfero all’altro. Inseguirli e raccontarli in una forma non lineare è la sfida contemporanea.

Salvatore Settis, Incursioni. Arte contemporanea e tradizione, Feltrinelli, Milano 2020

Il testo è un estratto da A. Sbrilli, Ordini e incursioni del tempo, apparso in Incursioni, Arte contemporanea e tradizione di Salvatore Settis. Una lettura corale, uscito nella rivista Engramma, n. 180, marzo/aprile 2021 a cura di M. Centanni e G. Pucci