11 Dicembre

11 dicembre 2024

 

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Mercoledì 11 dicembre Quandt arrivò più tardi del solito e assai eccitato. Mentre rincasava da scuola aveva avuto un vivace alterco con un carrettiere, il quale aveva frustato crudelmente il proprio cavallo, che non riusciva a trascinare il pesante carico su per un’erta. Quandt gli aveva rivolto le proprie rimostranze, chiamando a testimoni di tanta inumana crudeltà alcuni passanti. Allora quell’omaccio l’aveva aggredito brandendo la frusta e urlandogli di andare all’inferno e non immischiarsi in faccende che non lo riguardavano. — Grazie al cielo so come si chiama e ne farò rapporto al tenente di polizia, — concluse Quandt, e non si stancò di ripetere più e più volte come quel villano avesse continuato a tirare per la cavezza lo sfortunato ronzino, le cui vene si gonfiavano come corde sotto le magre costole. — Mascalzone — borbottava, — gl’insegnerò io a tormentar così un animale

Jacob Wassermann, Caspar Hauser, 1908, tr. it. L. Magliano, Rizzoli 1961, p.365

Un mercoledì undici dicembre di un anno dell’Ottocento, nella cittadina tedesca di Ansbach, il maestro di scuola Quandt racconta  un episodio che gli è capitato tornando a casa. Lo racconta a tavola, dove siedono la moglie e un giovane, che la famiglia ospita in casa da alcuni mesi. Il nome del giovane è Caspar Hauser e la sua storia misteriosa sta per giungere al termine, proprio in quel mese di dicembre. Di origini ignote, Caspar Hauser aveva fatto la sua comparsa a Norimberga nel 1828: un ragazzo sbucato dal nulla,  segregato fino ad allora nel buio di una stanza, ignaro della lingua e delle abitudini dei suoi contemporanei. Da allora, Caspar è stato ospite di diverse famiglie e oggetto di indagini e illazioni sulla sua provenienza, che lo danno a volte come un principe spodestato, a volte come un impostore. “Enigma del suo tempo”, Caspar Hauser passa gli ultimi mesi della sua vita in casa del maestro Quandt, un uomo pedante e di poca umanità. Il cavallo maltrattato di cui il maestro racconta quel giorno ricorda l’unica compagnia che Caspar Hauser ha avuto negli anni di segregazione, un cavallino di legno con cui ha trascorso un periodo indefinito, quando ancora – fuori della società – non aveva una cognizione del tempo. 

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10 Dicembre

10 dicembre 2024

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Altri avrebbero potuto farci un libro di fantasia, un romanzo, intorno alle vicende che accaddero a Vigàta la sera del dieci dicembre milleottocentosettantaquattro, quando il teatro “Re d’Italia”, appena inaugurato, venne distrutto dalle fiamme poche ore dopo lo spettacolo d’apertura. Certamente al proposito d’un romanziere non poche occasioni si sarebbero prestate a sostenerne la robusta immaginazione, perché già da subito molti punti parvero oscuri, e proprio perché appresso non chiariti, lasciarono libero campo anche alle più avventate e deliranti supposizioni.
È per me quasi un dovere non cedere alle lusinghe dell’immaginazione, proprio perché io stesso, che all’epoca non avevo compiuto dieci anni, diedi per primo l’allarme a Montelusa

Andrea Camilleri, Il birraio di Preston, 1995, ed. cons. Sellerio, Palermo, 2000, p. 222

La sera di “mercoledì addì 10 dicembre” – come annunciano i manifesti affissi sui muri – viene inaugurato il nuovo teatro di Vigàta, con la discussa rappresentazione dell’opera Il birraio di Preston del compositore Luigi Ricci. Su questa contrastata inaugurazione, e sulla data del 10 dicembre 1874, convergono le storie dei protagonisti maggiori e minori: il prefetto venuto dalla Toscana, il questore, il delegato all’ordine pubblico, e poi i malavitosi, i latitanti, i nobili decaduti, gli onorevoli, le mogli e anche un bambino di dieci anni, Gerd Hoffer, che apre e chiude circolarmente il racconto. È lui, in “una notte che faceva spavento”, ad avvisare il padre, ingegnere minerario e pompiere, che una strana luce emana da Vigàta: si tratta dell’incendio che devasta il teatro la sera dello spettacolo. E alla fine – in un capitolo che è l’ultimo, ma anche il primo –  è il bambino ormai cresciuto a dare una ennesima versione dei fatti accaduti quel 10 dicembre e raccontati, nel corso del libro, da diversi, compresenti, punti di vista. 

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9 Dicembre

9 dicembre 2024

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Il 9 dicembre, alle sei e venti di mattina, mentre una bufera d’acqua e vento infieriva sulla campagna, una Uno turbo FTI nera (vestigia di un’epoca in cui, per qualche lira in più rispetto al modello base, ci si comprava una bara motorizzata che filava come una Porsche, beveva come una Cadillac e si accartocciava come una lattina di cocacola) imboccò lo svincolo che portava dall’Aurelia a Ischiano Scalo e proseguì su una strada a due corsie che tagliava i campi di fango. Superò la Polisportiva e il capannone del Consorzio agrario ed entrò in paese

Niccolò Ammaniti, Ti prendo e ti porto via, 1999, ed. cons. Mondadori 2000, p. 19

Graziano Biglia, quarantaquattrenne playboy che vive alla giornata, torna al suo paese in Maremma dopo due anni di assenza.  È partito all’alba del 9 dicembre da Roma, nonostante un temporale, per raggiungere Ischiano Scalo e comunicare alla madre, la signora Gina, che – dopo anni irregolari e sbandati – ha deciso di sposarsi. Le nozze dovrebbero celebrarsi in Giamaica e la promessa sposa, Erica – una cubista conosciuta in discoteca l’estate prima – dovrebbe arrivare a Ischiano Scalo a breve, trattenuta a Roma da un provino. Da questo 9 dicembre si dipana una storia i cui poli – oltre Graziano ed Erica – sono i dodicenni Pietro e Gloria e la professoressa Flora Palmieri. Una storia che avrà il suo epilogo dopo sei mesi, nel giugno di un anno dell’ultimo decennio del Novecento, in cui si condensano e si intrecciano, con colpi di scena e salti temporali, i destini degli adulti e dei ragazzi. 

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8 Dicembre

8 dicembre 2024

 

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Ciò che adesso importava era sopravvivere. Da quel giorno in poi, decisi, non sarei mai più stato povero. Avrei lavorato sodo per Coletti e la Toyo Fish Company. Avrei messo da parte ogni penny. Avrei tenuto in tasca gli spiccioli e messo i dollari in banca. Avrei ricoperto il mio corpo e la mia vita di denaro. Sarei stato adamantino. Non mi sarei fatto più male. Ero ancora giovane. L’8 dicembre, di lì a un mese, avrei compiuto vent’anni. C’era un sacco di tempo. Tutto, finalmente, stava andando per il verso giusto. Sorrisi recitando il Padre nostro 

John Fante,La confraternita dell’uva1977 (pubblicazione in volume), tr. it. F. Durante, Einaudi, 2004, p. 91

Dicono del libro
“il romanzo ha per protagonista la figura granitica, ingombrante, di un padre, il vecchio tirannico e orgoglioso primo scalpellino d’America, almeno questo crede di essere. Un immigrato di prima generazione, Nick Molise, nel quale, come nel gruppo di suoi compaesani, Fante racchiude il ritratto più nitido della prima generazione italoamericana. Un mondo di uomini di testarda virilità, guardati con inorridita inquietudine dagli americani persuasi che gli italiani fossero creature di sangue africano, che tutti girassero con il coltello e che la nazione fosse ormai preda della mafia”.
(Dalla scheda del libro nel sito ibs)

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7 Dicembre

7 dicembre 2024

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“Cosa significa psionici? Diversi dipendenti del signor Runciter hanno usato questo termine”.
“Poteri parapsichici” disse Joe. “Forze mentali che agiscono direttamente, senza l’intervento di nessun agente fisico”.
“Poteri mistici, intende dire? come conoscere il futuro e altre cose del genere? Il motivo per cui gliene parlo è che alcuni di quei signori hanno accennato al futuro come se esistesse già. Non con me; ne parlavano fra di loro, e ho udito per caso… sa come succede.  Siete per caso dei medium?”
“È un modo come un altro per definirci.”
“Cosa prevedete per la guerra in Europa?”Joe disse: “Germania e Giappone saranno sconfitti. Gli Stati Uniti entreranno in guerra il 7 dicembre 1941.” Poi ripiombò nel silenzio

Philip K, Dick, Ubik, 1969, tr. it. G. Montanari, ed. cons. Fanucci, 1998, pp. 413-414

 

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6 Dicembre

6 dicembre 2024

 

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Il sei di dicembre dell’anno passato, te ne ricorderai e se non te ne ricordi non importa, fece un tempo da diavoli. A guardare la montagna poi, era uno spavento; e anche di quaggiù si sentiva la romba della bufera che mugolava fra i castagni, mandando fino a noi qualche foglia secca insieme col sinibbio che strepitava sui vetri delle finestre come la grandine. Io son fatto peggio delle gru: più cattivo è il tempo, e più sento il bisogno d’essere in giro. E volli uscire con lo schioppo in cerca di qualche animale

Renato Fucini, Le veglie di Neri (Vanno in Maremma) 1844, ed. cons. Newton Compton, 1993, p. 44

Mentre è a caccia di beccaccini, un sei di dicembre particolarmente freddo e tempestoso, Raffaello incontra una famiglia di montanari che – a piedi, malvestiti e con poche provviste – affrontano il viaggio verso Talamone, per passarvi il resto dell’inverno. Padre, madre, due ragazzi e una bambina piccola hanno davanti a loro una settimana di cammino. Raffaello, dopo aver scambiato qualche parola col capofamiglia sul brutto tempo, regala dei soldi a uno dei figli, che non ha mai visto in vita sua una banconota. Quell’incontro rimane vivo nella memoria di Raffaello, che dopo un anno lo racconta – davanti a un piatto di pappardelle con la lepre – e ne ricorda con precisione il vento carico di nevischio (il sinibbio) e la data, il sei dicembre dell’anno passato.

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5 Dicembre

5 dicembre 2024

 

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Si tratta di questo: non ho ancora detto che il giorno dopo era il 5 dicembre, e cioè il mio compleanno (finivo sedici anni precisamente). Per orgoglio, io la sera avanti non aver ricordato a mio padre questa data. E lui, per proprio conto, non ero solito a rammentarsi mai dei compleanni, e di cose del genere. Ma stavolta io mi misi a sperare che la sua memoria, quasi ispirata da un miracolo, d’un tratto, in viaggio, lo avvisasse della sua dimenticanza. E che senz’altro, a tale richiamo egli decidesse di tornare indietro per farmi gli auguri e magari trascorrere il giorno della mia festa sull’isola assieme a me.

Elsa Morante, L’isola di Arturo, 1957, ed. cons. Einaudi 1995, p. 350

 

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4 Dicembre

4 dicembre 2024

 

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Il signor Ruche rimase ancora un istante sulla terrazza. Ormai era calata la notte. Dimenticando l’indagine, Grosrouvre e la Biblioteca della Foresta, ripensò a Khayyām, al quale si era sentito subito così vicino. Gli tornarono alla mente due date. “Nato il 18 giugno 1048, morto il 4 dicembre 1131.” Khayyām era morto a quasi ottantaquattro anni. La stessa età di Grosrouvre. E… Si raddrizzò sulla sedia, aggrappandosi alla balaustra. Nel freddo e nella notte di Parigi, esclamò al vento del nord: “La mia stessa età!”
Il signor Ruche era nell’ottantaquattresimo anno di età. In quell’istante seppe con certezza che per quell’anno non gli sarebbe accaduto nulla. Si sentì eterno, almeno per qualche anno ancora

Denis Guedj, Il teorema del pappagallo, 1998, tr. it. L. Perria, Longanesi, 2000 p. 281

Il signor Ruche, un vecchio libraio parigino che si muove su una sedia a rotelle, ha avuto da giovane un amico – poi espatriato in Brasile – che  gli ha affidato decine di casse di libri sulla matematica, da rimettere in ordine. Nella sua libreria Mille e una pagina, Ruche ripercorre i testi, scoprendovi non solo nozioni che non conosceva e nuovi punti di vista, ma anche una rete di coincidenze e di corrispondenze fra la sua vita, quella dell’amico Grosrouvre e le esistenze di grandi scienziati del passato. In una fredda giornata invernale, Ruche è alle prese con il matematico e poeta persiano al-Khayyām, il cui nome significa il figlio del venditore di tende. Fu esperto di polinomi e di astronomia, tanto che partecipò anche all’elaborazione di un nuovo calendario, e fu anche astrologo. È per questo che si conoscono – “cosa assai rara all’epoca” –  le date precise della sua nascita e della sua morte, avvenuta nel 1131, un 4 dicembre, data che rivela al libraio un’altra, sorprendente coincidenza. 

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L’altezza del tempo: Measuring The Universe di Roman Ondak

di Cecilia Fabbri

“È come un orologio che indica ore e minuti: ogni momento ha lo stesso grado di importanza”: così l’artista concettuale slovacco Roman Ondak definisce la sua opera Measuring The Universe, presentata alla Pinakothek der Moderne a Monaco nel 2007, replicata nel 2009 al MoMA di New York e alla Tate St. Ives nel 2011.

L’opera è costruita grazie un processo collettivo in cui i visitatori vengono invitati a lasciare un segno della loro altezza sulla parete bianca della sala: un addetto traccia una lineetta con un pennarello nero insieme al nome della persona coinvolta e alla data del giorno della segnatura. Queste linee vanno così moltiplicandosi e sovrapponendosi fino a coprire gran parte delle pareti, addensandosi nella fascia centrale, creando un effetto di stratificazione e di accumulo visivo che dà corpo all’interazione tra il pubblico e l’opera, trasformando i visitatori da semplici fruitori a co-creatori dell’opera. L’atto di misurare qualcosa di apparentemente banale come l’altezza, diventa una metafora più ampia dell’unicità della persona e, al contempo, della comunanza umana: l’identità viene assorbita dalla massa di segni, sottolineando i confini sfumati tra comunità e individualità.

Nell’intervista di Klaus Biesenbach (Roman Ondak, “Flash Art”, 2017), l’artista afferma che “questa performance trasforma in un evento pubblico l’abitudine domestica di registrare l’altezza dei bambini” (sullo stipite di una porta), cosa che Ondak stesso dice di fare con i suoi due figli. L’artista considera questa azione come il primo documento personale dell’infanzia del bambino e come il primo momento in cui un bambino – che non si imbatte con la preoccupazione del passare del tempo degli adulti – si relaziona con il concetto di tempo. Protagonista dell’opera diviene così non solo lo spazio, ma soprattutto il tempo e il suo trascorrere: è una crescita in divenire. Un tassello alla volta, accresce il valore effimero e temporaneo dove la sovrapposizione di segni crea una sorta di “passaggio” di identità, una linea del tempo umana. Ondak infatti spiega che ogni momento ha lo stesso grado di importanza e che l’opera mantiene il medesimo stato sia con un singolo segno sul muro sia con migliaia. Alla domanda dell’intervistatore se l’opera esiste fin dal primo momento, oppure nasce al comparire di più tracce sul muro, l’autore afferma che comincia con la prima misurazione e finisce quando l’ultimo visitatore viene misurato.
Aggiunge: “È quasi come se me ne stessi seduto per un giorno intero a un caffè all’angolo di una strada affollata a guardare la gente che passa e provassi a identificare e ricordare tutti. Trasferendo tutto ciò sul piano della performance, cerco di visualizzare quello che questa massa di gente rappresenta. La sala espositiva, dove le misurazioni avvengono ogni giorno, funziona un po’ come un contenitore del ‘qui e ora’. Mostra l’esistenza di un potenziale invisibile che trasforma la presenza delle persone in un oggetto fisico.”

Fondamentale nel suo lavoro è proprio questo avvicinamento con l’altro, sia per la creazione materiale dell’opera sia per un livello partecipativo ed emotivo. Nella video intervista del MoMA Ondak spiega: “Pensavo a questo momento molto periferico e marginale della vita quotidiana da ampliare e trasformare nel contesto della mostra, ogni visitatore che entra nella mia stanza è il benvenuto per essere misurato e la partecipazione delle persone è molto spontanea quindi non dobbiamo convincere le persone a prendervi parte, è il contrario, le persone vorrebbero davvero partecipare quindi è molto vivace l’interazione, molto rilassata, tra i visitatori e le guardie, o il museo, o me stesso, non ci sono mai interruzioni tra le misurazioni.”

Come suggerisce il titolo Measuring The Universe, è attraverso la nostra scala che misuriamo il mondo e, con l’aumentare dell’età, cambiano l’esperienza e la comprensione del tempo e del mondo stesso.
Spiega ancora Ondak: “Riguarda tutto il mistero di come le persone si comportano in generale. Non è un mistero all’interno del mio lavoro, ma è un mistero della vita di tutti i giorni, sai: perché abbiamo dei partner, perché abbiamo delle famiglie, degli amici, perché ci piace questo e non ci piace quello. In qualche modo il mistero di queste relazioni è ciò che mi porta a cercare modi per trasformarle in opere d’arte”.

Cecilia Fabbri, 3 dicembre 2024

Altri riferimenti:
Philomena Epps, Roman Ondák born 1966 Good Feelings in Good Times 2007, Tate, 2016
Stefanie Gommel, ROMAN ONDÁK, In the Space between Art and Life, 2012
Roman Ondak nel sito della Tate: https://www.tate.org.uk/art/artists/roman-ondak-7622
Roman Ondak nel sito del MoMa: https://moma.org/collection/works/128840
Roman Ondak nel sito della galleria Kurimanzutto https://kurimanzutto.com/artists/roman-ondak#tab:slideshow;slide:5
Roman Ondak nel sito della Galleria Ester Schipper: https://estherschipper.com/artists/61-roman-ondak/works/10875/

 

3 Dicembre

3 dicembre 2024

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Certe volte gli era stata affidata persino la rettifica degli articoli di fondo del Times, che erano scritti interamente in neolingua. Srotolò la comunicazione che aveva messa da parte prima. Diceva:
times 3. 12. 83. Riproduz ordogior gf bispluserrata nonesisper riscrinter pristes supautor anteinclucoll.  

In archelingua (ovvero nella lingua normale) tale comunicazione si poteva rendere così:
La riproduzione dell’Ordine del Giorno del Grande Fratello pubblicata nel Times del 3 dicembre 1983 è del tutto insoddisfacente e allude addirittura a persone che non esistono. Riscriverlo da capo e sottoporre tale prima stesura all’autorità superiore prima di includerla nella collezione. Winston lesse per intero l’articolo incriminato. L’Ordine del Giorno del Grande Fratello era dedicato principalmente a lodare l’operato di una organizzazione conosciuta con la sigla SSFG che riforniva sigarette e altri generi voluttuari ai marinai della Fortezza Galleggiante

George Orwell, 1984, 1949, tr. it. G. Baldini, Mondadori, 1989, p. 48

Nella società futura dominata dal Grande Fratello e dalle sue tecniche pervasive di controllo, Londra  è una delle province dell’iperstato di Oceania, in conflitto permanente con Eurasia. La lingua ufficiale è la Neolingua, che deve via via sostituire l’Archelingua, eliminando ogni possibilità di pensiero eretico e indipendente. Winston Smith, un uomo di quasi qurant’anni, è impiegato al Ministero della Verità con il compito di correggere i documenti non conformi alle direttive del regime. In aprile, con un gesto di autonomia che egli stesso non sa spiegarsi, Winston ha cominciato a scrivere un diario, azione non vietata ma punibile con la morte. Per chi sta correndo il pericolo di scrivere il diario? si chiede Winston, immaginando un tempo in cui “quel che è fatto non può essere disfatto”, come accade invece negli uffici del Ministero, in cui  le notizie – per esempio quelle del Times del 3 dicembre – vengono riscritte e rimesse in circolo: “Non appena tutte le correzioni  che si rendevano necessarie a ogni numero del Times  erano state messe insieme e verificate, quel numero veniva ristampato di nuovo, la copia originale distrutta, e la copia corretta collocata nelle collezioni al suo posto”, alterando così per sempre il passato e la memoria. 

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2 Dicembre

2 dicembre 2024

 

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Nell’anno 1918, e precisamente nei giorni intorno al 15 giugno, si svolgeranno in Germania feste solenni per il trentesimo anno di regno dell’imperatore Guglielmo II, feste che dovranno  attestare al mondo intero la grandezza e la potenza germaniche. Quantunque manchino ancora parecchi anni a tale data, si sa da fonti degne di fede che si stanno già facendo preparativi, per ora naturalmente non ufficiali. Ora tu ben sai che nello stesso anno il nostro augusto Imperatore celebrerà il settantesimo giubileo della sua ascesa al trono e che l’anniversario cade il 2 dicembre. La troppa modestia che distingue sempre noi austriaci nelle questioni riguardanti la nostra Patria m’ispira il timore che si prepari per noi, diciamolo pure, una nuova Königgrätz, vale a dire che i tedeschi con il loro metodo mirante all’effetto, ci prevengano, così come allora adottarono il fucile ad ago prima che noi pensassimo a una sorpresa da parte loro. […] Poiché il 2 dicembre non si può naturalmente far cadere prima del 15 giugno, si è avuta la felice idea di estendere i festeggiamenti a tutta l’annata 1918, facendone l’anno giubilare del nostro Imperatore della Pace

Robert Musil, L’uomo senza qualità, 1930-1933, tr. it. A. Rho, ed. cons. Einaudi 1972, vo. I, p. 73

Siamo nel 1913, a qualche anno di distanza dalla “magica data della svolta del secolo”, quel passaggio fra l’Ottocento e il Novecento, che aveva seminato illusioni di grandi novità, come se il tempo tornasse giovane. Nell’Austria imperial-regia, con i suoi vasti territori, le tante popolazioni, la struttura burocratica, le aperture  liberali,  vive Ulrich Anders, un uomo di trentadue anni, la cui “intelligenza affascinata dall’esattezza scientifica e dall’infinita indeterminatezza della realtà, dissolve ogni decisione in lucida ironia”. Su iniziativa del padre, Ulrich viene nominato segretario di un comitato che deve organizzare – con largo anticipo – i festeggiamenti del settantesimo anno di regno del vecchio imperatore Francesco Giuseppe, salito al trono il 2 dicembre del 1848. L’anniversario cade dunque nel 1918, lo stesso anno in cui in Germania si celebra l’imperatore Guglielmo II. In vista di questa competizione fra le due scadenze, si mette in moto a Vienna una azione parallela, un meccanismo complesso quanto vago di decisioni che non giungeranno mai allo scopo, segnando quella data, il 1918, la dissoluzione dell’impero austro-ungarico.

 

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I Dicembre

1 dicembre 2024

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Il primo dicembre 1987, dopo aver osservato a lungo le figure intagliate nel legno del portale della cattedrale di Spalato, tra cui Giovanni, triste, che all’ultima Cena reclina il capo sulla spalla di Gesù, e allo stesso tempo cerca conforto anche con una mano – variante sul tema – nella manica del suo maestro, il viaggiatore scese alla passeggiata della spiaggia, illuminata dal sole, dove vide un decrepito lustrascarpe, che disoccupato ormai da lungo tempo, iniziava a pulire le proprie scarpe. A dire il vero ne avevano anche bisogno. E quell’uomo le lustrava scrupolosamente, come avrebbe fatto per chiunque altro – non era capace altrimenti -, con calma, riflessivamente, un lembo di pelle alla volta. E le sue scarpe, tanto amorevolmente passate, alla fine cominciarono a rilucere, per poi splendere all’ombra della palma sotto cui era seduto

Peter Handke, Il lustrascarpe di Spalato, 1990, in Epopea del baleno, tr. it. L. Salerno, Guanda 1993, p.11

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30 Novembre

30 novembre 2024

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“Si finisce sempre per essere assassinati, se non si ottiene la propria nobiltà direttamente dagli Dèi, e dal cuore del cielo il proprio potere.”
“È così che sono nobile, anch’io” diss’ella.
Ma non era convinta. E con maggior decisione tornò al suo pensiero d’andarsene.
Scrisse a Città del Messico per prenotarsi una cabina da Vera Cruz a Southampton: sarebbe partita l’ultimo di novembre

David Herbert Lawrence, Il serpente piumato, 1926, tr. it. E. Vittorini, ed. cons. Mondadori, 1969, p. 554

L’irlandese Kate è arrivata in Messico la domenica dopo Pasqua e nel tempo trascorso nel paese ha conosciuto, non senza inquietudine, tradizioni e possibilità di vita del tutto diverse da quelle europee. Si è sposata con Cipriano, un generale che, insieme con l’amico Ramon, lavora per la rinascita del culto di Quetzalcoatl, il dio-serpente piumato, sullo sfondo dell’instabile situazione politica messicana. Attratta e spaventata dalla forza che emana dal Messico, Kate a volte crede “di essere risalita a un’èra primigenia della coscienza umana, quando gli uomini, pieni di oscure volontà e indifferenti alla morte, avevano la loro forza spirituale nel sangue e nella colonna vertebrale, non nel cervello…”. A volte, è presa dai ricordi della sua vita precedente, come le accade, in un assolato giorno di novembre, pensando all’avvicinarsi del Natale nel paesaggio inglese. Incerta, sempre in bilico sul presente/serpente del tempo, prenota – e sono le ultime pagine del libro, ma non della storia -un biglietto di ritorno per il 30 novembre. 

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29 Novembre

29 novembre 2024

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29.11
Una cattiva notte, la mattina quindi un po’ legnoso. Telefonata dalle poste e telegrafi. Brutto tratto di crinale, pieno di traffico, in direzione di Neufra. Per la più breve, traverso i campi, è quasi impossibile. Su a Bitz una bufera spaventosa, tutto sotto la neve. Dopo Bitz, su per un bosco. Si scatena una furibonda tormenta, dentro il bosco i fiocchi vengono dall’alto, mulinando, in un vortice; ma fuori, in campo aperto io non mi azzardo più, là la neve arriva orizzontale. E dire che non è ancora dicembre

Werner Herzog, Sentieri nel ghiaccio, 1978, tr, it. A. M. Carpi, Guanda, 1980, pp. 29-30

È il penultimo giorno di novembre del 1974, il 29 – come oggi – di quarant’anni fa. Herzog è partito da una settimana per raggiungere a piedi Parigi dalla Germania, convinto che il suo pellegrinaggio possa aiutare l’amica Lotte, che abita a Parigi ed è gravemente malata, a restare in vita. Il clima è ostile, mentre l’uomo attraversa boschi e paesi solitari, attento allo stato dei suoi piedi e della scarpe, che devono accompagnarlo nel lungo tragitto.

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28 Novembre

28 novembre 2024

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Mente umana non può concepire quello che sta avvenendo a Mosca. Sette bancarellisti della Sùcharevka sono già al fresco per aver diffuso voci sulla imminente fine del mondo provocata dai bolscevichi. Dar’ja Petrovna ne ha parlato indicando perfino la data esatta: il 28 novembre 1925, festività di Santo Stefano Martire, la terra si scontrerà con l’asse celeste

Michail Bulgakov, Cuore di cane, 1925, tr. it. M. Olsoufieva, Garzanti 1974, p.90

Pallino, un cane randagio affamato e pulcioso, e molto esperto della dura vita  di strada nella Mosca della rivoluzione bolscevica, è stato accolto in casa del professor Preobrazenskij, uno scienziato che sperimenta tecniche chirurgiche di ringiovanimento. Dopo qualche giorno di bella vita, Pallino è l’oggetto di un’operazione: gli vengono innestate ghiandole genitali e ipofisi di un uomo appena morto in una rissa. Invece di ringiovanire, però,  il cane si trasforma in una specie di  essere umano: piccolo e sgraziato, il nuovo Pallino è in grado di parlare – usando il repertorio di parolacce sentito nella sua precedente vita canina – e addirittura di leggere. La notizia di questo evento portentoso alimenta il caos che regna a Mosca, aggiungendosi alle voci di fine del mondo, prevista per il giorno di Santo Stefano il giovane, monaco orientale commemorato il 28 novembre. 

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27 Novembre

27 novembre 2024

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Il Visconte di Valmont alla Marchesa di Merteuil […]

Addio, incantevole amica; non sigillerò questa lettera che alle due, nella speranza di poterci accludere la desiderata risposta.
Alle due del pomeriggio.
Niente ancora, e l’ora incalza; non ho tempo di aggiungere altro; ma stavolta mi neghereste ancora i più teneri baci dell’amore?

Parigi, 27 novembre 17**

Choderlos de Laclos, I legami pericolosi, 1782, tr. it. P. Bianconi, Rizzoli 1976, pp.330-31

L’intreccio di vicende dei Legami pericolosi emerge dalle lettere che i protagonisti si scambiano, dall’agosto al dicembre di un anno del Settecento, con un epilogo nel gennaio dell’anno successivo. Dal carteggio fra il libertino Visconte di Valmont e la cinica Marchesa di Merteuil si conoscono i piani per sedurre la giovane Cecilia Volanges, innamorata del cavalier Danceny, ma promessa sposa a un altro, e soprattutto per sedurre la leale signora di Tourvel. Le strategie attuate dal Visconte e dalla Marchesa – al fine di esercitare il potere sul prossimo attraverso una raffinata trama di piaceri e di inganni – sfuggono però di mano.
Il 27 novembre Valmont attende – ora dopo ora – una risposta dalla signora di Tourvel, per comunicarla alla sua complice, la Marchesa. Ma la risposta non arriva e l’intrigo si avvia ad essere rivelato, con conseguenza fatali per tutti i protagonisti. 

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Tempo dodici. Un libro di Marco Malvaldi

Lo scrittore e chimico Marco Malvaldi, autore della saga del BarLume (Sellerio) e di argute incursioni trasversali nel mondo della cultura, dedica un piccolo volume di dodici capitoli al numero 12. Un numero “dai molti significati, a volte contraddittori, anche all’interno della matematica”, un numero che accompagna le attività di contare e di raggruppare, di accordare gli strumenti, di crittografare e decifrare messaggi e di seguire lo scorrere del tempo. 
Dei dodici capitoli, tutti in qualche modo correlati da sottili rimandi, aperti da sinossi e da citazioni musicali, cinefile e storiche, scegliamo il capitolo tre: Dodici diviso sei, dodici per far passare il tempo.
Dopo aver illustrato, nei primi due capitoli, l’affermarsi del dodici nella pratica del raggruppare le cose in uno stesso insieme e l’origine della dozzina dal metodo condiviso di contare sulle falangi delle dita, l’autore si volge alla presenza del 12 nelle scansioni temporali.
La sinossi del capitolo terzo annuncia che “si parlerà di come talvolta raggruppare i numeri in modo ciclico dia maggior informazione – sapere che oggi è il giorno 737.002 dalla nascita di Cristo non è molto utile, mentre sapere che è il 10 novembre ci dice molte più cose. E anche i mesi, guarda caso, sono dodici“.  E in esergo al testo, compare giustamente il ritornello della Canzone dei dodici mesi di Francesco Guccini. 
Con grande sintesi, Malvaldi percorre le vicissitudini delle scansioni orarie e annuali dei Babilonesi, che individuarono il dodici per suddividere la durata del giorno, della notte e dell’anno e si imbatterono nelle difficoltà dovute ai cicli lunari di 28 giorni e a quelli solari di 365. Prosegue con la lunga storia della ricerca di intervalli, andamenti e costanti, basati sull’osservazione dei reciproci rapporti fra natura e corpo umano, che ha portato alle forme attuali di suddivisione del tempo.
Nei capitoli centrali, sul crinale fra matematica, storia e humor, Malvaldi affronta il tema della rilevanza del dodici nella combinazione di suoni, da Pitagora a Gioseffo Zarlino, da Frescobaldi a Simon Stevin (1548-1620), l’ingegnere e matematico fiammingo che descrisse una scala basata sulla divisione dell’ottava in dodici semitoni uguali, mettendo a punto il l sistema di accordatura detto “temperamento equabile”. Lo stesso sistema trovato, nel medesimo periodo, dal principe cinese Chu T’sai-Yu per risolvere il problema dell’accordatura di dodici flauti di bambù. Nel corso di una cerimonia rituale i suoni dei flauti dovevano intonarsi e fluire in modo uniforme “a rappresentare il naturale e sempre costante scorrere del tempo e della fasi lunari”.  Per questo motivo, che collega la dimensione naturale e il suono, il testo cinese si intitola I dodici semitoni e la loro coordinazione nel calendario. Ed ecco che – spiega Malvaldi – “il circolo delle quinte, che viene risolto dividendo un’ottava in dodici, è a tutti gli effetti un ciclo, così come l’anno viene diviso in dodici mesi e lo scorrere del giorno in dodici ore, in cerchi sempre diversi ma sempre simbolicamente uguali”.
Il libro prosegue con l’importanza del dodici nelle tecniche di cifratura (“una maniera estremamente affascinante di mettersi d’accordo su come condividere un segreto”) e si conclude con l’osservazione di una coincidenza notata dallo sguardo di Malvaldi: il ricorrere di gruppi di dodici persone unite in un’impresa, da Quella sporca dozzina, ai dodici giurati, agli Apostoli. 
(as)

Marco Malvaldi, Dodici. Un numero che mette d’accordo, Il Mulino, Bologna 2024

26 Novembre

26 novembre 2024

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martedì, 26.11

Idee un po’ più chiare dopoché a Kirchheim ho comprato una carta Shell. Nella notte una bella bufera, la mattina neve dappertutto, sfrangiata, che si scioglieva. Pioggia, tormenta sono ancora gli ordini minori. La baracca conteneva, a guardar bene, correggiato e rastrello per fieno, appesi alle pareti, per fare il rustico, e anche dei bastoni da passeggio con applicate delle placchette, rastrelli in croce, e un foglio di calendario con Playmate del mese di settembre. Sopra la finestra foto degli abitanti, fatte all’automatico, mi ricordano molto gente come Zef e Schinkel. L’uomo del distributore mi guardava con un’aria così irreale che io mi sono precipitato alla toilette per convincermi davanti allo specchio che ho ancora un aspetto umano. Ma sì, adesso mi faccio trascinare dalla bufera intorno al distributore fintantoché non mi spuntano le ali. Questa notte sarò re nella prossima casa violata; sarà la mia fortezza. Una sveglia da cucina, una volta messa in moto, annuncia in grande stile l’Ultima Fine. Il vento di fuori fruga il bosco. Questa mattina la notte era sospinta, come un’annegata, da fredde onde grigie

Werner Herzog, Sentieri nel ghiaccio, 1978, tr. it. A. M. Carpi, Guanda 1982, p.23


Martedì 26 novembre  è il quarto giorno del viaggio che Herzog ha intrapreso per arrivare da Monaco a Parigi. Sta viaggiando a piedi, nella strana convinzione che il suo pellegrinaggio solitario e faticoso possa aiutare l’amica Lotte, che abita a Parigi ed è gravemente malata, a restare in vita. Piove, nevica e fa molto freddo, mentre Herzog attraversa i boschi e i paesi della Baviera. Ha dormito in una casetta di vacanza, in cui è entrato “senza rompere niente”, trovando delle carte da gioco e il calendario di novembre. Il 26 ha ripreso la marcia, in direzione ovest e con l’aiuto di una mappa stradale della Shell. 

Dicono del libro

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25 Novembre

25 novembre 2024

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Il diciannovesimo compleanno di Mario Incandenza sarà mercoledì 25 novembre, il giorno prima del Ringraziamento. La sua insonnia peggiora con l’entrare nella terza settimana dello iato di Madame Psychosis e il tentativo della Wyyy di riproporre la povera Miss Diagnosis, che ha iniziato una lettura in latino della Rivelazione di Giovanni che è così imbarazzante da farti sentire in pena per lei. Per un paio di notti Mario cerca di addormentarsi nel salotto della CdP con la Wods, una stazione Am che trasmette narcotizzanti arrangiamenti orchestrali di vecchie canzoni dei Carpenters. Il che rende le cose ancora più difficili. È strano sentire che ti manca qualcuno che forse non conosci neanche

David Foster Wallace, Infinite Jest, 1996, tr. it. E. Nesi (con la coll. di A. Villoresi e G. Giua), Einaudi, 2006, p. 706

Nel tempo raccontato in Infinite Jest, un tempo futuro in cui la geografia politica del Nordamerica è profondamente modificata, gli anni sono sponsorizzati da aziende di prodotti alimentari, medicali, elettrodomestici. L’anno a cui si riferisce questa pagina – indicato in italiano dall’acronimo APAD – prende il nome dal Pannolone per Adulti Depend  e interseca il calendario reale fra il 2008 e il 2009. Il secondogenito della famiglia Incandenza, Mario, un ragazzo disabile, compirà diciannove anni la vigilia del Giorno del Ringraziamento, che cade il quarto giovedì di novembre, mese di giornate “grigie, fredde e ventose”, col cielo colore “vetro sporco”. Mario fa parte della famiglia di James Incandenza, fondatore dell’Ensfield Tennis Academy e autore del film  perduto che dà il titolo al libro, oggetto di infinito intrattenimento e dipendenza.  Detto Booboo dal fratello più piccolo Hal, allievo dell’accademia di tennis, Mario ha competenze tecniche nelle riprese cinematografiche e una passione per il programma radiofonico – trasmesso dalla Wyyy – di Madame Psychosis. A qualche giorno dal suo compleanno Mario si è trasferito per la notte nella CdP, la casa del preside, in ascolto della radio. Madame Psychosis è sostituita, ma Mario si imbatte passeggiando nella registrazione di una vecchia puntata del programma, un programma in cui sembra di ascoltare “una persona triste” che legge ad alta voce lettere ingiallite, tirate fuori “da una scatola da scarpe durante un pomeriggio piovoso”. 

Dicono del libro

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24 Novembre

24 novembre 2024

 

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“La prima prova è studiata perché voi dimostriate la vostra audacia” disse a Harry, Cedric, Fleur e Krum, “quindi non vi diremo di che cosa si tratta. Il coraggio di fronte all’ignoto è una qualità importante in un mago… molto importante…”
“La prima prova avrà luogo il 24 novembre, davanti agli altri studenti e alla commissione giudicatrice. Ai campioni non è permesso di chiedere o accettare aiuti di nessun genere dai loro insegnanti per portare a termine le prove del Torneo. I campioni affronteranno la prima sfida armati solo di bacchetta magica

Joanne K. Rowling, Harry Potter e il calice di fuoco, 2000, tr. it. B. Masini, Salani, Editore, 2001, p. 241

Dicono del libro

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