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L’orologio della chiesa batte due colpi: sono le due del mattino del 25 aprile 1974. E i rintocchi segnano il definitivo rientro nella realtà. È strano come certi suoni particolari si distinguano tra i rumori. Ora stanno per lasciarsi, per concludere il loro breve incontro segnato da una sciarpa e da una parola non detta. Vasco ha ancora la vista opaca e evanescente, la frizione delle pupille ha creato una cortina grigia, una nebulosa e confusa visione delle cose. La messa a fuoco si aggiusta, i toni dei colori e delle atmosphere tornano gradatamente alla normalità e, allora, il suo sguardo si sposta al profilo dell’uomo con la sciarpa, all’espressione dell’uomo al suo fianco, muto e assorto
Marco Ferrari, Alla rivoluzione sulla Due Cavalli, 1995, Sellerio (2001), p. 13
Data di liberazione, il 25 aprile, non solo per l’Italia del 1945. In Portogallo, quasi trent’anni dopo, sono i giorni della fine di aprile quelli in cui si consuma la rivoluzione contro il regime di Caetano, successore di Salazar. E mentre a Lisbona i militari depongono il dittatore, il giovane portoghese Vasco – a Parigi per diventare regista – è immerso nei film di Lubitsch e soprattutto di Truffaut, che incontra o immagina di incontrare nel cinema del Quartiere Latino, dove il racconto ha inizio nelle prime ore di giovedì 25 aprile 1974. Appena la radio gli porta le notizie di quello che sta accadendo nel suo paese, Vasco parte con un amico su una vecchia Citroen gialla; attraversa la Francia e la Spagna ancora franchista e arriva “nel cuore di Lisbona, nel cuore delle speranze” , alla vigilia del primo maggio, quando le grandi manifestazioni di piazza sono già un racconto.
Dicono del libro
Dicono del libro
“La «rivoluzione dei garofani», quella con cui i militari portoghesi abbatterono il regime salazarista in Portogallo, fu forse l’ultima rivoluzione romantica. Una generazione di giovani poté credere di specchiarvisi, di riaccendersi di entusiasmo per la storia. Eppure manca di una letteratura pari al fermento di spiriti che suscitò, forse per le venature a volte quasi caricaturali che quel fermento conserva nel ricordo di quei giorni non abbastanza lontani. Alla rivoluzione sulla Due Cavalli racconta un frammento dell’avventura che tanti giovani vissero – Victor e Vasco, due giovani portoghesi studenti a Parigi cercano di raggiungere Lisbona inseguendo la canzone dei ribelli: «Grândola, Vila Morena, terra da fraternidade», vivendo lungo il tragitto avventure in ogni luogo e in ogni incontro (poiché l’avventura è più grande quante più cose vena di avventuroso).”
(dal risvolto di copertina dell’ed. Sellerio, op. cit.)
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Bulgakov, memoria
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È difficile enumerare gli ingredienti della poltiglia che Stëpa aveva nella testa. C’era la diavoleria con il berretto nero, la vodka gelata e l’incredibile contratto e, oltre a tutto, per gradire, anche il sigillo sulla porta! […] Dopo il ricordo dell’articolo, arrivava il ricordo di una conversazione ambigua svoltasi la sera del 24 aprile, proprio nella sala da pranzo, mentre Stëpa e Michail Aleksandrovič cenavano. In verità, la conversazione non si poteva definire ambigua nel senso pieno della parola (altrimenti Stëpa non ci si sarebbe avventurato): era una conversazione su un argomento inutile. Era una conversazione, cittadini, che si sarebbe potuto evitare di cominciare
Michail Bulgakov, Il Maestro e Margherita, tr. it. M. Crepax, Feltrinelli 2011, p. 130
Stëpa, il direttore del teatro Variété di Mosca, svegliatosi con un gran mal di testa, senza sapere “che ore fossero” “quale giorno della settimana, quale mese”, trova in camera uno sconosciuto, che si presenta come il professore di magia nera Woland. Non solo, la stanza del suo coinquilino, Michail Aleksandrovič Berlioz, è sigillata. Stëpa non ricorda di aver firmato con il mago un contratto per sette esibizioni, e non sa che Berlioz è stato investito da un tram. Né che fra poco si ritroverà a Jalta… Ricorda solo un dialogo, il 24 aprile, col suo amico e tutto è confuso, ambiguo, prodigioso, in questa primavera moscovita.
Dicono del libro
Dicono del libro
“Il Diavolo è il più appariscente personaggio del grande romanzo postumo di Bulgakov. Appare un mattino davanti a due cittadini, uno dei quali sta enumerando le prove dell’inesistenza di Dio. Il neovenuto non è di questo parere. (…) Ma c’è ben altro: era anche presente al secondo interrogatorio di Gesù da parte di Ponzio Pilato e ne dà ampia relazione in un capitolo che è forse il più stupefacente del libro. (…) Poco dopo, il demonio, in veste del professore di magia nera Woland, si esibisce al Teatro di varietà di fronte a un pubblico enorme. I fatti che accadono sono così fenomenali che alcuni spettatori devono essere ricoverati in una clinica psichiatrica. (…) Un romanzo-poema o, se volete, uno show in cui intervengono numerosissimi personaggi, un libro in cui un realismo quasi crudele si fonde o si mescola col più alto dei possibili temi: quello della Passione, non poteva essere concepito e svolto che da un cervello poeticamente allucinato”
(E.Montale, dalla quarte di copertina dell’ed. Feltrinelli, op. cit.)
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Apro gli occhi. Tra poco arriveremo. Vedo già la nube d’argento sopra la montagna, poi appaiono le torri del castello e i campanili delle numerose chiese.
Il 22 del mese d’aprile, dopo quarant’anni d’assenza, sono di ritorno nella piccola città della mia infanzia.
La stazione non è cambiata. È soltanto più pulita, addirittura infiorata, con fiori di qui di cui non conosco il nome e che altrove non ho mai visto. C’è anche un autobus che si allontana
Agota Kristof, La terza menzogna, 1991 (Trilogia della città di K.), tr. it. G. Bogliolo, Einaudi, 1998, p. 293
Tutto è doppio nella storia, raccontata da diversi punti di vista, dei due gemelli Claus e Lucas, nomi che sono uno l’anagramma dell’altro. Hanno conosciuto la seconda Guerra mondiale e l’invasione russa dell’Ungheria, vivendo dalla nonna materna, in un ambiente spietato e picaresco. Si sono separati quando il padre ha cercato di passare la frontiera ed è saltato su una mina, tragedia che ha permesso a uno dei fratelli di attraversare il confine. Se è vero quanto viene narrato – e se è vero che Claus (a volte scritto con la K) e Lucas sono due persone distinte – Lucas rimane nella vecchia città e Claus vive a lungo lontano, prima di tornare. Da quel momento la storia viene di nuovo raccontata, fra menzogne e salti nel tempo. E anche la data del 22 aprile è segnata dalla ripetizione della cifra che indica il doppio.
Dicono del libro
Dicono del libro
“In un Paese occupato dalle armate straniere, due gemelli, Lucas e Klaus, scelgono due destini diversi: Lucas resta in patria, Klaus fugge nel mondo cosiddetto libero. E quando si ritroveranno, dovranno affrontare un Paese di macerie morali. Storia di formazione, la Trilogia della città di K. ritrae un’ epoca che sembra produrre soltanto la deformazione del mondo e degli uomini, e ci costringe a interrogarci su responsabilità storiche ancora oscure.”
(dalla scheda del libro sul sito Einaudi)
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Il ventun aprile di quell’anno, che doveva essere il 1933, mentre dagli altoparlanti collocati agli angoli della piazza del Municipio di Cuvio si levavano le note dell’inno a Roma, e il Vanghetta, in qualità di presidente dell’Opera Maternità e Infanzia era sul palco delle autorità tra il sindaco e il segretario politico per partecipare alla celebrazione patriottica del Natale di Roma, Evelina metteva alla luce un bambino nell’ospedale di Cittiglio, dov’era stata portata dal Landriani al primo segno premonitore dell’evento
Piero Chiara, Il pretore di Cuvio, 1973, Mondadori,p. 123
Il 21 aprile, Natale di Roma, è anche il giorno natale del figlio di Augusto Vanghetta, pretore nella città lombarda di Cuvio, dove è arrivato nel 1930, dopo una carriera mediocre e arrivista. Sul palco delle autorità, mentre il coro canta un inno fascista, il pretore viene a sapere la notizia. Ma Vanghetta sa che il figlio non è suo. La giovane moglie Evelina, trascurata e tradita, ha concepito il figlio col fidato segretario (e poi socio) del marito, senza che questi si accorgesse di niente. Vanghetta ha indagato sugli spostamenti della moglie, ricostruendo “quattro mesi di calendario”, ma non capirà fino alla fine chi è il padre del bambino, a cui verrà dato il nome di Ramiro, il protagonista di una commedia degli equivoci, rappresentata circa nove mesi prima.
Dicono del libro
Dicono del libro
“Ambientata nei primi anni del fascismo, la vicenda del pretore di Cuvio lascia trasparire, accanto agli aspetti comici e gustosi (quelli infallibili dell’intrigo, della sorpresa e della beffa, nella linea maestra del racconto, da Boccaccio e Maupassant) come il presentimento di un precipitare, progressivo e inarrestabile, degli eventi”
(dalla bandella dell’ed. Mondadori, op. cit.)
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Sì, la prima impressione – rumori, luci, odori – che colpisce un bambino che esce dal grembo materno lo segna per sempre. È come una curva impossibile da raddrizzare, una piega impressa al suo carattere. Pur senza essere nel modo più assoluto uno storico, ho svolto alcune indagini per conoscere l’ambiente preciso in cui sono nati alcuni uomini che hanno fatto parlare di sé. Si sa che Napoleone vide la luce al suono dell’organo e tra i fumi d’incenso della messa cantata del 15 agosto nella cattedrale di Ajaccio. Non tutti sanno, invece, che ci fu una scossa di terremoto a Gori, al momento della nascita di Stalin. Una gelata terribile fece morire tutti i fiori degli alberi da frutto della regione di Braunau la notte del 19 aprile 1889 che vide nascere Adolf Hitler. Gli antichi credevano che la nascita di un futuro fosse segnata da prodigi. Bisognerebbe invece invertire l’ordine causale, e dire che un prodigio verificatosi al momento della nascita di un bambino può fare di lui un uomo eccezionale.
Michel Tournier, Mezzanotte d’amore, 1989, tr. it. F. Bruno, Garzanti, 1990, p. 123
In una notte d’estate, alcuni amici, riuniti dagli ospiti per una strana festa d’addio, si raccontano a vicenda diciannove storie e nell’undicesima, il narratore presenta il tema della data di nascita, e di come la stagione, l’ambiente e le circostanze di quella giornata possano determinare l’intera esistenza. Fra gli esempi portati a sostegno della tesi, colpisce la registrazione di un fenomeno atmosferico che – a ridosso della nascita di Hitler – sconvolge la primavera austriaca, gelando i germogli il 19 di aprile.
Dicono del libro
Dicono del libro
“Dopo un incontro segnato dal destino e una grande stagione d’amore, Nadège e Yves sono una coppia che non riesce più a trovare le parole del dialogo e della comprensione. Un rumoroso silenzio li avvolge. Decidono di separarsi e di annunciare la notizia agli amici in una cena di mezzanotte. Ciascuno degli invitati, come in un moderno novelliere, racconta una storia: Furono in tutto diciannove”
(dalla bandella dell’ed. Garzanti, op. cit.)
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Vado su per la collina di Richmond, lungo la terrazza, dietro il parco. È il 18 di aprile… lo stesso giorno di qui. È primavera in Inghilterra. Il terreno è piuttosto umido. Però io traverso la strada e continuo sull’erba e camminiamo e io canto, come faccio sempre quando sono sola, finché arriviamo in un punto aperto di dove si può vedere tutta Londra in basso, quando la giornata è chiara. Qui il campanile della chiesa di Hampshire, laggiù la cattedrale di Westminster e all’incirca qui i comignoli delle fabbriche. In genere c’è foschia sulla parte inferiore di Londra; ma spesso il cielo sopra il parco è azzurro
Virginia Woolf, La crociera, 1913, tr. it. O. Previtali, Rizzoli 1993, p. 223
Dopo una lunga traversata su una nave da crociera, la giovane Rachel Vinrace si trova a Santa Marina “un paese dell’America tropicale fuori della storia”. Il tempo trascorre in letture, fidanzamenti, balli, conversazioni. Ed è in una conversazione fra Rachel e l’amico Terence che il 18 aprile è chiamato in causa: il tema del dialogo è immaginare – e descrivere – la vita nella casa di Richmond, dove Rachel abita quando è in Inghilterra. Mentre illustra il luogo, la ragazza lo colloca nello “stesso giorno di qui”, 18 aprile: una porzione di tempo che accade contemporaneamente in un altro spazio. Lontano fisicamente, ma dove si continua a essere con la memoria e l’immaginazione.
Dicono del libro
Dicono del libro
“La crociera è il primo romanzo che Virginia Woolf scrisse. Lo pubblicò nel 1913: aveva trentun anni. È una vicenda di amore e di morte, sviluppata fuori dei canoni del tardo romanticismo. La Woolf, già al suo debutto, è uno scrittore definito: già qui insegue l’incrociarsi impalpabile della vita dei sentimenti a quella dell’apparenza quotidiana. Rachel e Terence, i due innamorati, si rincorrono, attratti in una sorta di aereo campo magnetico, quasi senza sfiorarsi”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Rizzoli, op. cit.)
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D’altro canto, però, com’era diventato bello nel corso della sua arringa entusiasta, il viso secco e brutto dello studente! La legnosità spigolosa che ne improntava tratti e gesti si caricò di sublime, assunse un aspetto austero, dominatore, integerrimo. Tutta la figura di quel giovane allampanato, cresciuto troppo in fretta, malnutrito e vestito da far pietà, per Bohusch aveva acquisito inavvertitamente qualcosa di elementare, di eterno e mentre gli camminava a fianco non lo abbandonava la sensazione di dover prendere nota particolare di quel giorno: sabato 17 aprile
Rainer Maria Rilke, Re Bohusch, 1899, tr. it. G. Scarpari, in Due storie praghesi, Edizioni e/o 1985, p.24
A Praga, negli ultimi anni dell’Ottocento, la società segreta Omladina (Gioventù) si riunisce negli scantinati, col progetto di liberare la città dalla dominazione austriaca. Rilke prende spunto da un fatto accaduto: l’uccisione di un affiliato alla società segreta, di nome Rudolf, sospettato di tradimento. E immagina gli incontri al Caffè Nazionale, dove si parla di indipendenza e di popolo, di politica e letteratura. Una sola data è indicata nel testo: il 17 aprile, il giorno del calendario dedicato a un martire medievale di nome Rodolfo. ma anche un giorno di primavera che fa risplendere le strade della città ed esalta gli animi e i discorsi.
Dicono del libro
Dicono del libro
“In ambedue le storie praghesi Rilke allude alla questione nazionale che negli anni della sua giovinezza era giunta a condizionare buona parte della vita pubblica in Boemia. Dal clima rivoluzionario e irredentista del ’48 si erano sviluppate tensioni ormai insostenibili per gli estremisti delle due etnie (…) Nel 1893 si svolse a Praga un clamoroso processo contro i membri della società segreta Omladina (Gioventù) che perseguiva la liberazione del popolo ceco dalla dominazione austriaca. La polizia ne scoprì le tracce in seguito all’assassinio di uno dei suoi affiliati, Rudolf Mrva, sospettato di delazione dai suoi compagni. Nella prima storia praghese, che rielabora questi avvenimenti contemporanei, il presunto traditore porta il nomignolo di ‘Re Bohusch'”.
(G. Scarpati, Avvertenza, nell’ed. e/o, op. cit.)
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La mattina del 16 aprile il dottor Bernard Rieux, uscendo dal suo studio, inciampò in un sorcio morto, in mezzo al pianerottolo. Al momento non vi fece caso e, scostata la bestia, discese le scale; ma non appena nella strada gli venne il pensiero che quel sorcio non era al posto suo, e tornò indietro per avvertire il portiere. Davanti alla reazione del vecchio Michel, ancor meglio si accorse che la scoperta aveva qualcosa d’insolito
Albert Camus, La peste, 1947, tr. it. B. Dal Fabbro, Bompiani 1992, p.8
“I singolari avvenimenti che dànno materia a questa cronaca” – avvisa l’autore – si sono verificati a Orano, prefettura francese della costa algerina, negli anni Quaranta. Un’epidemia di peste (il cui bacillo “non muore né scompare mai” come viene detto alla fine) arriva a sconvolgere la vita della città e dei suoi abitanti, scatenando reazioni inaspettate, nel bene e nel male. Con minuzia, il narratore ripercorre l’avvio dell’epidemia, partendo dalle prime avvisaglie: il ritrovamento del topo morto da parte del dottor Rieux, la mattina del 16 aprile.
Dicono del libro
Dicono del libro
“Orano è colpita da un’epidemia inesorabile e tremenda. Isolata con un cordone sanitario dal resto del mondo, affamata, incapace di fermare la pestilenza, la città diventa il palcoscenico e il vetrino da esperimento per le passioni di un’umanità sempre al limite fra disgregazione e solidarietà. La fede religiosa, l’edonismo di chi non crede alle astrazioni, ma neppure è capace di ‘essere felice da solo’, il semplice sentimento del proprio dovere, sono i protagonisti spesso divergenti ma comunque costruttivi della vicenda; l’indifferenza, il panico, lo spirito burocratico e l’egoismo gretto gli alleati del morbo”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Bompiani, op. cit.)
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Perciò il 15 aprile 1885 andammo da Hamilton. Si tenga presente che allora – checché ne dica il mio medico – godevo di ottima salute, avevo la mente equilibrata e lo spirito assolutamente sereno. Kitty ed io entrammo insieme nel negozio di Hamilton; e lì, senza badare agli altri clienti, scelsi l’anello per Kitty in presenza del commesso divertito. L’anello era uno zaffiro con due diamanti. Poi scendemmo a cavallo il pendio che conduce al ponte di Combermere e al locale di Peliti. Mentre il mio cavallo australiano saggiava cautamente il terreno di roccia friabile, e Kitty rideva e chiacchierava al mio fianco; mentre tutta Simla – vale a dire quelli che erano già arrivati dalla pianura – si trovava riunita nella sala di lettura e sulla verandadi Peliti, io ebbi l’impressione che qualcuno, apparentemente molto lontano, mi chiamasse per nome. Mi pareva di aver già udito la voce, ma sul momento non riuscii a stabilire né dove né quando
Rudyard Kipling, Il risciò fantasma, 1888, tr. it. G. Krätli, in Racconti, Garzanti 1993, pp.55-56
Fino al 15 aprile del 1885, Jack Pansay è stato un uomo felice. In licenza nella località di Simla, ai piedi dell’Himalaya, e innamorato corrisposto di Kitty, si avvia a scegliere con la ragazza l’anello di fidanzamento, quando la strada è bloccata da un’allucinazione, che egli solo percepisce. Il risciò della sua vecchia amante defunta e le ultime parole che lei gli ha detto lo inseguono dovunque vada. In uno dei posti più belli dell’India, la nuvolosa giornata del 15 aprile, con la sua strana apparizione, risveglia in lui sensi di colpa e paure e cambia per sempre la sua vita.
Dicono del libro
Dicono del libro
“… i protagonisti di molti suoi racconti indiani sono giovani o adolescenti che, attraverso una tragica esperienza o una profonda crisi interiore, passano ‘alla più dolorosa condizione di adulto’ (…) Simile per carattere ed esperienze, ma non altrettanto fortunato da poter sopravvivere a tale prova, Jack Pansay, il protagonista del celeberrimo Risciò fantasma, viene perseguitato fino al totale annientamento fisico e mentale dallo spettro della sua ex amante, morta di dolore dopo essere stata abbandonata per una donna più giovane”
(dall’introduzione di G. Krätli all’ed. Garzanti, op. cit.)
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Rilesse la lettera più volte. Una lettera di suo padre, e non ne aveva mai saputo nulla. Un testamento di cui ignorava l’esistenza. Perché sua madre non gliel’aveva mai mostrata? E Perché nominava tanto di rado il padre? Perché non ne parlavano mai? E com’era potuto accadere che cancellasse quell’uomo dalla memoria? Un uomo che aveva conosciuto poco, certo, ma di cui aveva pure qualche ricordo? In calce alla lettera, una data: 14.IV.1864. Trent’anni prima. Spense il lume. Suonarono le quattro, la stanza era quasi buia
Eustachy Rylski, Una provincia sulla Vistola, 1984, tr. it. A. Zoina, Sellerio 1988, p.47
La storia dell’ufficiale Stankiewicz è raccontata muovendosi dalla fine dell’Ottocento ai primi anni del Novecento, dal Caucaso a Mosca a Varsavia, dai ricordi d’infanzia alle scene di guerra. Figlio di un patriota polacco ucciso – quando egli era un bambino – da un cosacco; cresciuto a Mosca dopo il matrimonio della madre con un russo; diventato ufficiale, Stankiewicz torna a casa per la morte della madre e lì trova la lettera che il padre ha scritto il 14 aprile di trent’anni prima e che lo porta di nuovo indietro nel “rosso cerchio del tempo”.
Dicono del libro
Dicono del libro
“Per i luoghi – le regioni al di là della Vistola – e per l’epoca – da fine Ottocento agli anni della guerra civile contro la rivoluzione russa – questo racconto d’esordio (1984) del polacco Rylski è classificabile tra i racconti storici. In realtà la storia, che lo circonda e lo permea, è sfumata nell’indifferenza, ed è ricordata la vicenda, autentica nel fondo, di un uomo oscuro, l’ufficiale zarista e poi ‘ bianco’ Stankiewicz: opaco alle passioni, persino a un odio, insieme familiare e patriottico, che il caso coltiva e riaccende per tutta una vita e rende debole ragione di quella vita”
(dalla bandella dell’ed. Sellerio, op. cit.)
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coincidenze, date, Joyce, Muzzolini, Svevo, tempo, Terrinoni
Date in coincidenza: Joyce, Svevo e un libro di Enrico Terrinoni
di Sandra Muzzolini
Nella recensione al libro di Antonella Sbrilli Il gioco dei giorni narrati, primo nucleo del progetto editoriale di cui fa parte questo blog, Umberto Eco scrive: “Si sa di autori che hanno situato la loro vicenda in una data precisa per ragioni magico-sentimentali, perché era un giorno in cui a loro (non ai personaggi) era accaduto un evento mirabile, e in tal senso un crononimo lasciato cadere quasi per caso può tener luogo di una rinnovata dichiarazione d’amore.”
Questa osservazione vale sicuramente per una delle date letterarie più note, quel 16 giugno 1904 in cui si svolge l’Ulisse di Joyce e che oggi è festeggiato in Irlanda e in altri paesi come “Bloomsday”.
Sappiamo infatti che Joyce scelse quel giorno perché era una delle date più importanti nella sua storia d’amore con Nora Barnacle. Ma l’attenzione e la fascinazione dello scrittore irlandese per le date, i nomi e i numeri vanno ben oltre questa scelta, come ci spiega in un libro uscito alcuni mesi fa lo studioso Enrico Terrinoni, esperto traduttore di Joyce.
La vita dell’altro – Svevo, Joyce: un’amicizia geniale (Bompiani, 2023) ci offre una ricca e ben documentata ricostruzione del rapporto d’amicizia tra i due scrittori, delle loro affinità elettive ed anche caratteriali. Sorprendono le numerose corrispondenze tra i due scrittori e le loro opere, tra le loro vite e quelle dei loro personaggi, quei continui travasi dal piano dell’esistenza a quello della scrittura per i quali Svevo coniò il concetto di “vita letteraturizzata”. Scrive Terrinoni in una postfazione specificamente dedicata alle coincidenze: “Le loro vite, come i loro libri, sono infatti abitate anche da numeri, cifre, date, orari che le colorano di misteriosi echi. Quasi che entrambi sfogassero in rare ricorrenze numeriche certe attitudini vagamente superstiziose.”
Joyce era particolarmente, anzi maniacalmente, attento alle date, cui assegnava un valore magico, augurale. Era sempre felice di scoprire coincidenze che riguardavano le date dei compleanni delle persone con cui entrava in contatto. Era nato a Dublino il 2 febbraio 1882 e in quella stessa data fu pubblicato l’Ulisse, nel 1922; il 2 febbraio 1939 ricevette le prime copie rilegate del Finnegans Wake. Sarà stato sicuramente contento di scoprire che anche l’amico triestino aveva scelto questa data per uno snodo fondamentale del romanzo La coscienza di Zeno: “Oggi, 2 febbraio 1886, passo dagli studii di legge a quelli di chimica. Ultima sigaretta!!”.
Ci sono anche altri aspetti del libro di Terrinoni che i lettori di questo blog sicuramente apprezzano: il discorso sul tempo, rilevante in entrambi gli scrittori, e il gusto per l’invenzione linguistica e per i giochi di parole. La sovrapposizione di letteratura e vita, gli intrecci che uniscono le opere dei due scrittori in un misterioso entanglement e la circolarità e simultaneità del tempo della narrazione trovano un’originale sintesi nei titoli di gusto joyciano di alcuni capitoli: Narravita, Senilitalia, Zenotipia e Finizio.
Sandra Muzzolini, 12 aprile 2024
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Il 10 aprile 1934, in piena “occultazione” di Venere ad opera della luna (il fenomeno doveva verificarsi soltanto una volta all’anno), pranzavo in un piccolo ristorante situato spiacevolmente vicino all’ingresso di un cimitero. Per andarci, bisogna passare senza entusiasmo davanti a diversi chioschi di fiori. Quel giorno, per di più, un orologio murale privato del suo quadrante costituiva ai miei occhi uno spettacolo non proprio di buona lega. Ma osservavo, non avendo di meglio da fare, la vita suggestiva di quel luogo (…) La cameriera è graziosa; poetica, direi. Il mattino del 10 aprile portava, su di un colletto bianco a palline rosse, diradate, molto intonate al suo vestito nero, una sottilissima catenella cui erano fissate tre gocce chiare come di pietra lunare, gocce rotonde sulle quali si staccava alla base una mezzaluna della stessa sostanza, similmente incastonata. Apprezzai una volta di più, infinitamente, la coincidenza tra il gioiello e quella eclissi
André Breton, L’amour fou, 1937, tr. it. F. Albertazzi, Einaudi, 1974, p. 17, p. 20
In questo testo di Breton – che è un po’ diario, un po’ racconto, un po’ trattato sull’amore, l’arte, la bellezza – le date segnate dall’autore risaltano come dei personaggi. Il ristorante, il cimitero, l’orologio, la cameriera, il gioiello, la posizione della luna nel cielo, le parole ascoltate per caso il 10 aprile del 1934: tutto è messo in relazione secondo codici personali, magici e poetici, che fanno di quel giorno un tutt’uno con la vita che vi è accaduta e ne lasciano un ritratto a più dimensioni.
Dicono del libro
Dicono del libro
“L’amour fou (1937) è un momento di affermazione piena nelle prospettive del desiderio. Breton, che qui si espone a una elucidazione minuziosa di episodi e luoghi (dal paesaggio solare delle Canarie, a un’esoterica topografia parigina), scompone la propria identità per lasciar spazio alle interrogazioni rivelatrici che vengono dal di fuori: oggetti, scenari, circostanze, secondo una sintassi che ha le stesse leggi che regolano il sogno”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Einaudi, op. cit.)
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contemporary art, ISST, tempo, Time, Time's News
È uscito in stampa, come ogni anno, il magazine dell’International Society for the Study of Time, con una panoramica delle attività svolte dall’associazione nel corso del 2023-24. Curato dall’artista e ricercatrice Emily DiCarlo, “Time’s News” di quest’anno, dopo una introduzione della sociologa Carmen Leccardi, presidente attuale dell’ISST, documenta la 18ma Conferenza triennale, svoltasi a Yamaguchi (Giappone) e presenta contributi multidisciplinari di Paul Harris (“Yellow Bird Artscape Residency: The Time of Limestone”), di Stephen Pike (“Brouwers’ Epiphany”), di Richard Uribe (“Women, Clocks and Portraits”), gl “Spolight” di Walter Schwidler e Sonia Front e, in chiusura, un ricordo del Jane Fraser, moglie e sodale del fondatore dell’ISST James T. Fraser.
Come ogni anno, una sezione è poi dedicata a un’antologia di opere d’arte recenti che hanno affrontato temi temporali, curata da Laura Leuzzi e Antonella Sbrilli.
Ne fanno parte: i paesaggi stratigrafici di Pietro Ruffo, esposti nella mostra Anthropocene; le meridiane in ceramica policroma di Emma Hart, intitolate Big Time; l’omaggio verbovisivo di Alice Guareschi alla misura del tempo quotidiano, Giorno; la scrittura sonora del tempo nell’opera di Maja Zećo , For the Time Being: Sarajevo Soundtrack; il film Cotidal di Tania Kovats, della durata di un giorno lunare (24 ore e 50 minuti), i Footsteps di Fiona Tan, per cui “editing is like sculpting in time”; le carte stellari dell’artista neozelandese Locust Jones, Back in Time.

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diario, Dossi, Gustafsson, taccuino
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9 aprile. (..) Questo ho imparato: che dalla vita non esiste alcuna reale via di scampo. Si può solo rimandare la conclusione, con abilità e un po’ d’astuzia. Ma non esistono vie d’uscita. È un sistema completamente chiuso, e all’altro capo c’è soltanto la morte. E la morte non è affatto un’uscita.
Io sono un corpo. Soltanto un corpo. Tutto quello che si deve fare, che si può fare, dev’essere fatto dentro questo corpo.
(Taccuino giallo IV:2)
Lars Gustafsson, Morte di un apicultore, 1978, tr. it. C. Giorgetti Cima, Iperborea 1989, p. 121
L’ex maestro elementare Lars Lennart Westin si dedica all’allevamento delle api, conducendo una vita solitaria. Annota i suoi pensieri su diversi taccuini, in cui raccoglie anche articoli di giornale e brevi racconti. Il taccuino giallo, da cui è tratta quest’osservazione datata 9 aprile, alterna appunti sulle api, registrazioni del decorso della malattia che l’ha colpito, pensieri sull’esistenza e sul tempo, familiare-straniero che modifica continuamente i corpi e la natura.
Dicono del libro
Dicono del libro
“La confusa sensazione di non aver mai vissuto, di essere spettatori di una vita che qualcun altro vive al nostro posto, è una delle costanti della letteratura del nostro tempo. Come per Kundera ‘la vita è altrove’, allo stesso modo i personaggi di Gustafsson i sentono ‘al di fuori’ di tutto, estranei abitanti di ‘un universo in cui nessuno è di casa’. In Morte di un apicultore, culmine e conclusione di un ciclo di cinque romanzi dal titolo emblematico di Crepe nel muro, Lars Lennart Westin, quarantenne, maestro in pensione, divorziato, ha trovato nella cura delle api l’attività che gli consente di vivere nella semplicità e nella solitudine che si è elette a sistema, ultimo stadio di una costante ‘fuga dalla vita’.
(dalla quarta di copertina dell’ed. Iperborea, op. cit.)
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Poi, un giorno che sembrava qualunque, prese distrattamente dal tavolo una carta assorbente usata e ci vergò sopra, con l’inchiostro nero, due cose: lo schizzo di una facciata e un nome: Crystal Palace. Posò la penna. E sentì quel che sente una ragnatela quando incontra la stupìta traiettoria di una mosca attesa per ore.
Lavorò al progetto, giorno e notte, per tutto il tempo che gli restava. Non aveva mai immaginato qualcosa di più grande e di sconcertante. La fatica gli rosicchiava la mente, una sotterranea e febbrile emozione scavava cunicoli nei suoi disegni e nei suoi calcoli. Intorno, la vita qualunque macinava i suoi rumori. Lui li percepiva appena. Solo, giaceva in una bolla di acre silenzio, in compagnia della sua fantasia e della sua stanchezza. Consegnò il suo progetto l’ultimo giorno utile, il mattino dell’8 aprile
Alessandro Baricco, Castelli di rabbia, 1991, Bompiani 1991, pp.131-32
Reso pubblico il 13 marzo 1849, il concorso per la costruzione del palazzo dell’Esposizione Universale di Londra si chiude l’8 aprile. L’architetto Hector Horeau, reduce da una tragedia familiare (la moglie Monique si è suicidata), incerto nella salute e con una visionaria fissazione per il vetro, partecipa al concorso, consegnando il suo progetto l’ultimo giorno utile, alla data spartiacque dell’8 aprile. Le vicende di quello che sarà il Crystal Palace si intrecceranno da allora con quelle degli altri personaggi di questo libro, fra dati veri e plausibili, luoghi inventati e tempi non lineari.
Dicono del libro
Dicono del libro
“In un angolo d’Europa dell’Ottocento, in una cittadina immaginaria ma verosimile, un pullulare di Storia e storie: i sogni del signor Rail e le labbra della signora Rail; la favola dei primi treni; un uomo che sente l’infinito; un bambino che si porta addosso il suo destino; la magia del Crystal Palace; la singolare vita dell’architetto Hector Horeau”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Bompiani, op. cit.)
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