19 Luglio

19 luglio 2015

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Poi, le quattro pareti attorno erano coperte di stampe anch’esse guerresche: la battaglia di Calatafimi, la spedizione di Sapri, San Fermo, Aspromonte, la partenza da Quarto, la morte d’Anita; e di ritratti: quello di Mazzini e di Garibaldi, non c’è bisogno di dirlo, di Nino Bixio e di Stefano Canzio e di Menotti, di Felice Orsini e di Guglielmo Oberdan. Per giunta, nella parete di fronte, a mo’ di panoplia o di trofeo, ricordo della campagna del Trentino, Marco Leccio aveva appeso il suo vecchio schioppettone d’ordinanza incrociato con lo sciabolone d’ufficiale di Defendente Leccio suo padre. Sopra il motto di Garibaldi in grosse lettere: Fate le aquile; in mezzo il suo berretto di garibaldino e una fascetta di velluto – rosso s’intende – ov’erano affisse le medaglie. Più sotto, in cornice, una lettera scritta da lui il 19 luglio 1866 dal forte d’Ampola a un amico di Roma, con un ritaglio della bandiera austriaca presa in quel forte

Luigi Pirandello, Frammento di cronaca di Marco Leccio e della sua guerra sulla carta nel tempo della grande guerra europea, 1919, Appendice a Novelle per un anno, Giunti, 1994, III, p. 2716

 

Marco Leccio è un ex garibaldino che ha combattuto nella battaglia di Bezzecca e ha dato ai suoi figli i nomi di Giuseppe, Anita, Nino, Canzio, in onore degli eroi del Risorgimento. La seconda figlia l’ha chiamata proprio Bezzecca, in ricordo della battaglia, ma la sorte ha voluto che si sposasse con un orologiaio svizzero, dal cognome tedesco. Avvenimento tanto più sgradevole ora che – nel momento della narrazione – sta cominciando la prima guerra mondiale e Marco Leccio, all’età di 67 anni, vorrebbe arruolarsi volontario, insieme a figli e nipoti. Non verrà preso e seguirà le vicende belliche – come dice il lungo titolo del racconto – su delle carte geografiche e su “una plastica in rilievo di cartapesta colorata”, nel suo studio, piccolo santuario di ricordi della battaglia combattuta il 21 luglio del 1866 e di cui fanno parte la bandiera e la lettera del 19 luglio.

 

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Il futuro del lusso è il Tempo, di Sandra Muzzolini

Il tempo è uno dei temi della mostra in corso al Victoria & Albert Museum di Londra, dal titolo What i s Luxury?. Attraverso esempi di preziosi manufatti del passato accostati a esclusivi prodotti del design contemporaneo e a progetti concettuali, la mostra si interroga sulla definizione stessa di lusso, sulla sua produzione e sul suo futuro.
Uno dei temi guida della mostra è il tempo. L’investimento di tempo è rilevante nel processo di creazione di molti oggetti di lusso esposti: sono migliaia le ore pazientemente impiegate per realizzare oggetti come il paramento sacro ricamato nel XVII secolo da abili artigiani veneziani o il bizzarro copricapo confezionato con 160 chilometri di sottilissimo filo d’oro dall’artista italiano Giovanni Corvaja.

time elapsed“Time Elapsed” (2011) è il titolo dell’installazione realizzata dal designer canadese Philippe Malouin per celebrare la storica fabbrica viennese di vetri e cristalli Lobmeyr: un gigantesco spirografo ruota depositando lentamente sul pavimento della finissima sabbia bianca che si dispone in strati in un ampio cerchio.

È un richiamo alla funzione della sabbia che segna il passare del tempo nella tradizionale clessidra e anche un omaggio alla materia prima che gli artigiani viennesi, con grande investimento di tempo e competenze tecniche, trasformano in raffinati oggetti di cristallo.

Il fattore tempo però entra anche in un senso più profondo nel discorso sul lusso. Il percorso espositivo suggerisce infatti che il futuro del lusso potrebbe non essere in oggetti materiali ma in beni intangibili, come il tempo e lo spazio. È questo il senso della sezione della mostra intitolata “A Space for Time”, ove è esposta l’opera “Time for Yourself” (2013) del designer polacco Marcin Rusak: si tratta di un kit per perdersi, che contiene un orologio senza quadrante, una bussola che fornisce coordinate a caso ed una penna senza inchiostro. In un’età in cui le nostre vite sono sempre più dipendenti dalla tecnologia – spiegano le curatrici della mostra – regalarsi del tempo per perdersi diventa un lusso.
A questo indirizzo notizie, immagini e commenti sulla mostra What is Luxury?
Londra, Victoria & Albert Museum, 25 aprile – 27 settembre 2015.

Sandra Muzzolini (@sandra_mzz)

 

18 Luglio

18 luglio 2015

 

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Un giorno, il 18 luglio 1936, un uomo dalla barba rossa, con cappello e bastone, passava su un asino bianco per le vie di Guernica. Era mezzogiorno e, barcollando dal caldo, l’uomo si fermò in piazza proprio davanti alla nostra casa, superbo su quell’asino come un imperatore e, come fanno i bovari in montagna, emise un lungo grido: “Eloheee!”. Noi bambini accorremmo dal giardino e giù dalle scale e attraverso l’atrio dal magico tetto di vetro azzurro dove i quattro più piccoli giocavano al Paradiso terrestre (…) Tutto il periodo agitato dal 18 luglio al 26 aprile mi risuona nella memoria col continuo riso squillante dello zio Pablo”

Hermann Kesten, I ragazzi di Guernica, 1939, tr. it. E. Pocar, Giunti 1983, p. 20

Carlos Espinosa, uno dei sette figli del farmacista della città di Guernica, racconta la storia della sua famiglia, segnata dall’intreccio dei destini del padre, rimasto nella città basca, e dell’avventuroso zio Pablo che, dopo anni di viaggi, torna a Guernica nell’estate 1936. Il 18 luglio lo zio fa la sua comparsa, in mezzo ai giochi dei ragazzi, mentre intorno comincia quella che sarà la guerra civile spagnola. Le vicende domestiche e familiari precipitano nel disordine, nell’inquietudine e infine nella tragedia del 26 aprile del 1937, quando l’aviazione tedesca bombarderà la città, decimando anche la famiglia Espinosa. Carlos sarà uno dei pochi sopravvissuti, destinato a raccontare, mantenendo la memoria delle date di quella guerra, perché “il tempo è troppo grande. Non ha tempo per noi”.

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17 Luglio

17 luglio 2015

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Il diciassette luglio milleottocentottantatré, alle due e mezzo del mattino, Vincent, il custode del cimitero di Béziers, che abitava un piccolo fabbricato in fondo al campo dei morti, fu svegliato dai mugolii del suo cane, chiuso in cucina. Balzò subito dal letto e vide che l’animale fiutava sotto la porta abbaiando con furore, come se qualche vagabondo avesse ronzato intorno alla casa. Allora prese il fucile e uscì cautamente

Guy de Maupassant, La tomba, 1884, tr. it. E. Bianchetti, in Racconti fantastici, Mondadori 1990, p.119

Il giovane avvocato Courbataille non si rassegna alla scomparsa della sua amata, una ragazza di vent’anni morta di polmonite. La perdita lo ha reso così folle e disperato da recarsi al cimitero per dissotterrare il cadavere. Sorpreso dal custode e processato per questo atto criminale, il giovane si difenderà da solo, con un discorso che rivela il motivo del suo gesto. Il desiderio di tornare indietro nel tempo. Il luogo in cui lo scrittore Maupassant ambienta questo racconto fantastico è la cittadina di Béziers e il giorno è un diciassette di luglio.

 

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16 Luglio

16 luglio 2015

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Il giorno dopo, 16 luglio, rifeci il medesimo percorso, spingendomi un poco oltre. Notai pertanto che il torrente e i prati a poco a poco scomparivano e subentrava una zona più boscosa; qui trovai frutti di varie specie, e in particolare un gran numero di meloni sul terreno, e uva che cresceva sugli alberi; infatti la vite si era abbarbicata ai rami degli alberi, e i grappoli, in piena maturazione, pendevano turgidi e succosi. Questa scoperta inaspettata mi allietò moltissimo; ma ne mangiai con parsimonia, memore della precedente esperienza vissuta in Barberia, ove molti prigionieri inglesi erano morti di febbre e dissenteria, causate appunto dall’ingestione dell’uva. Ma io ebbi un’eccellente idea: pensai di farla essiccare al sole per conservarla come si conserva l’uva passa, convinto che sarebbe stata, come infatti fu, tanto sana quanto gradevole al gusto, nella stagione in cui non avessi potuto disporre di frutta fresca. Trascorsi in quel luogo tutta la sera, senza far ritorno alla mia abitazione, e fu questa – lo dirò per inciso – la prima notte che dormii fuori casa

Daniel Defoe, Robinson Crusoe, 1719, tr. it. R. Mainardi, ed. cons. Garzanti, 2003, p. 106

Naufragato alla fine di settembre su un’isola “malaugurata e derelitta”, Robinson Crusoe, dopo un periodo di disperazione, ha iniziato la sua lotta per sopravvivere. Ha allestito una tenda e scavato un rifugio, mentre il tempo passa fra piogge torrenziali, vampate di caldo e anche un terremoto. In luglio – così racconta nel suo diario – è appena guarito da una febbre terzana, e ha cominciato a esplorare l’isola, risalendo un corso d’acqua. Il 16 luglio non solo trova meloni e uva utili per le sue provviste, ma ha anche la prima occasione di dormire lontano dal suo rifugio, passando la notte su un albero. Da quel 16 luglio, trascorreranno molti anni prima dell’incontro con Venerdì, dell’arrivo di una nave inglese e del ritorno a casa, anni durante i quali Robinson elabora una sua personale scansione del tempo, dove spiccano l’anniversario del naufragio e l’alternarsi delle stagioni secche e piovose.

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15 Luglio

15 luglio 2015

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“Dopodomani quindici luglio alle ore quindici, stazione di Grosseto, ti aspetterò al binario, hai un treno che parte da Roma verso le tredici.” Clic.
Uno torna a casa e trova un messaggio così nella segreteria telefonica dopo tanto tempo. Tutto inghiottito dagli anni: quel periodo, quella città, gli amici, tutto. E anche la parola gatto, anche quella
inghiottita dagli anni, che riaffiora nella memoria insieme col sorriso che quel gatto si portava appresso, perché era il sorriso del gatto dello Cheshire. Alice nel paese delle meraviglie. (…)
E ora rieccola, la sua Alice delle meraviglie, il quindici luglio alle ore quindici, proprio una cifra da lei, che amava i giochi di numeri e collezionava mentalmente date incongrue

Antonio Tabucchi, Il gatto dello Cheshire, in Il gioco del rovescio, 1981, n. ed. Feltrinelli, 1988, pp. 137-138

In mezzo all’estate, il narratore di questa breve storia trova un messaggio nella segreteria telefonica. Una donna che non vede da tanto – e che chiama Alice, in omaggio all’eroina del paese delle meraviglie – gli dà un curioso appuntamento per il 15 luglio, alle ore quindici, alla stazione di Grosseto. Il viaggio in treno – il 15 di luglio – è riempito dall’immaginazione dell’incontro, dai ricordi della storia passata e da tanti pensieri sul tempo che, come il gatto di Alice a cui fa riferimento il titolo del racconto, fa evaporare tutto.

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14 Luglio

14 luglio 2015

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Mi diressi verso gli scaffali, ne estrassi una storia della città di Parigi e rimasi lì in piedi a sfogliarla. C’erano piante e disegni degli antichi quartieri sulla riva sinistra. E mi riaffiorò alla memoria quel singolare Quattordici Luglio che trascorremmo insieme davanti alla locanda del sidro, nell’angusta, vecchissima rue de l’Hirondelle, appoggiati a una botte a guardare la danza delle variopinte fanciulle del vicino Hotel

Franz Hessel, Romanza parigina, 1920, tr. it. E. Arosio, Adelphi, 1997, p. 31

Nel 1916, mentre – in una cittadina polacca di frontiera – attende di essere mandato al fronte, un giovane soldato tedesco scrive all’amico francese Claude. Non gli parla della guerra che li ha divisi, ma degli anni trascorsi a Parigi in compagnia di artisti, poeti, modelle, cameriere, abitando a Montparnasse, a Passy e attraversando la città in lungo e in largo, di notte e di giorno. Per sopravvivere al presente, si rifugia nella memoria di un tempo irripetibile e, mentre inizia a raccontare dell’incontro con Lotte, enigmatica diciannovenne con cui ha condiviso i vagabondaggi parigini, ricorda un episodio accaduto un Quattordici Luglio, uno dei tanti momenti perfetti della vita prima della guerra.

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Gli eserciti nemici che si trovavano nelle foreste vergini dello Horican passarono la notte del 9 agosto 1757 come se fossero stati nel più bel campo d’Europa. Mentre i vinti erano silenziosi, torvi e afflitti, i vincitori si abbandonavano al trionfo. Ma ci sono limiti tanto per il dolore quanto per la gioia, e molto prima che cominciassero i turni di guardia del mattino, il silenzio di quei boschi sconfinati era rotto soltanto da un gaio richiamo di qualche esultante giovane francese dei picchetti avanzati o da un’intimazione minacciosa dal forte, che vietava rigidamente l’accostarsi di qualunque passo nemico prima del momento convenuto. Nemmeno questi occasionali suoni minacciosi si udirono più nell’ora smorta che precede il giorno, momento nel quale un ascoltatore avrebbe invano cercato una prova della presenza di quelle forze armate che erano assopite sulle sponde del “lago sacro”

James Fenimore Cooper, L’ultimo dei Mohicani, 1826, tr. it. F. Pivano, Einaudi, 1992, p. 174

Nell’antica provincia di New York, sulla riva meridionale del lago George, Francesi e Inglesi combattono per il possesso dei territori nordamericani. Il 9 agosto 1757 si è concluso l’assedio al forte William Henry, a sfavore degli Inglesi. Questi, al comando del colonnello Munro, hanno trattato la resa coi Francesi, alleati degli indiani Uroni. Nell’umida notte del 9 agosto aspettano di abbandonare il forte con gli onori militari. Ma li attende un’imboscata e il rapimento delle figlie del colonnello alla cui ricerca, in mezzo alle foreste, partono la guida Natty Bumppo e il giovane mohicano Uncas. L’episodio storico dell’assedio al forte William Henry si svolse dal 3 al 9 agosto del 1757.

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13 Luglio

13 luglio 2015

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Venerdì 13 luglio […] Hélas! è un venerdì 13 e, in luogo di genovesi o di qualcos’altro di pari, incontro un costantinopoletano. Era fatale! Questa terribile giornata, accoppiata alla data ancor più terribile, non sarebbe trascorsa per me senza un intoppo in qualché di tremendo: lo prevedevo (ecco, qui sono coniglio). Il pregiudizio si avvera: Taranto mi riserbava l’incontro con questo bisantino, italiano di oriente, al presente soldato nel R. Esercito per una inverosimile concordanza di casi, di sudditanze, di fedi di nascita e tutto un oscuro lavorio di cancellerie consolari

Alberto Savinio, La partenza dell’Argonauta (Hermaphrodito), 1918, Einaudi 1974, p.186

Nel caldissimo mese di luglio, un giovane soldato italiano, nato ad Atene (si tratta di Andrea de Chirico), sta viaggiando da Ferrara a Taranto, con destinazione Salonicco, dove le truppe italiane fanno base durante la prima guerra mondiale. Ha percorso lentamente la penisola – in vagoni di terza classe – e ora si trova nella città dei due mari, che gli appare come una faccia rasata a metà, la Taranto nuova e quella vecchia. Prima di raggiungere la sua destinazione, c’è un tempo d’attesa e di incontri con altri soldati, ufficiali, signore, tipi singolari, nella giornata venata di superstizione mediterranea di venerdì 13 luglio 1917.

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Che combinazione, oggi: Diego Zuelli – Contemporary locus

“The Simple Combinations” è il titolo di un intervento artistico di Diego Zuelli per il progetto Contemporary Locus, curato da Paola Tognon e Elisa Bernardoni.
“Ogni giorno un disegno per te”, recita un sottotitolo che accompagna l’opera, insieme a due date, 2015 – 9999: questo ampio intervallo temporale – dall’anno in corso all’ultimo anno identificabile da quattro cifre, dal ventunesimo al centesimo secolo – corrisponde alla sua durata potenziale. Infatti l’autore Diego Zuelli, docente di Tecniche dell’animazione digitale all’Accademia di Brera, esperto di video, computergrafica, animazione vettoriale, ha ideato un’opera proiettata sulla lunga distanza, che si aggiorna in automatico, al cambio del giorno, proponendo quotidianamente un disegno. Ogni giorno, dunque, sull’homepage del sito Contemporary Locus, compare un piccolo riquadro grafico, una finestrina aperta su un paesaggio immaginario, con elementi ricorrenti che possono ricordare un albero, una costruzione, una nube, un orizzonte, un pianeta, o che si prestano – “in una stralunata metafisica di particolari” – a un gioco di decifrazione personale.

zuelli
 
Due cose colpiscono: il fatto che ogni giorno sulla home page si compone un nuovo disegno grazie a un algoritmo che pesca i segni che lo costituiscono da un data-base di segni preconfezionati e archiviati ordinatamente; la scelta è effettuata utilizzando le cifre della data (per esempio le cifre 12 07 2015, per la giornata del 12 luglio di quest’anno) come indicatore di un certo tipo di segno archiviato nel data-base. La seconda cosa è il fatto che ogni segno non è fisso, immobile, definitivo, ma è costituito da una gif animata e quindi, come spiega Zuelli, porta con sé un effetto vibrazione, che è un “espediente di un certo tipo di animazione indipendente, per evitare la fissità di un frame fisso e dare vita e respiro alle forme, anche se, nell’inquadratura, nulla effettivamente si muove”.
In questo modo, ogni ventiquattro ore si genera un nuovo disegno animato, e i visitatori possano tornare quotidianamente al sito con la curiosità di vedere la nuova combinazione.

L’antico motto attribuito da Plinio al pittore Apelle: Nulla dies sine linea, nessun giorno senza una linea, senza esercizio quotidiano, senza un nuovo segno, diventa – nell’epoca delle reti e dei social – una specie di format condiviso.
Si pensi a Dailyhaiku di Susanna Tartaro, che commenta la notizia del giorno con un haiku classico, a #zero15 di Giulia Valdi (@anno_zero15) che sta raccogliendo su twitter messaggi e immagini taggati col numero progressivo del giorno in corso,  a Una cosa al giorno di Claudia Vago, Rocco Rossitto e Alessandro Pancosta, che spedisce via mail, ogni mattina, “una cosa, per stupirti e farti scoprire qualcosa di nuovo”.
Anche le Combinazioni semplici di Diego Zuelli partecipano di questa pratica, collegata alla ripetizione e alla lieve sorpresa: ogni disegno ricombina forme ricorrenti in configurazioni inedite, nuove e tuttavia somiglianti a quelle passate, così come ogni giorno è nuovo e simile agli altri, in una incessante dialettica di ripetizione e novità. Da qui all’ultimo dell’anno 9999…
Nato a Reggio Emilia nel 1979, Diego Zuelli ha affrontato il tema del tempo in diverse opere di computergrafica precedenti alle Combinazioni semplici, indagando le “Meccaniche terrestri” (2012), il “Complesso dei pianeti” (2013), così come ha sperimentato la combinatoria nell’opera “Tappezzeria” del 2011, in cui tre forme, tre texture e tre tracce sonore sono combinate in una serie di permutazioni.
“La componente generativa – racconta l’autore – è qualcosa che uso dal 2004-2005. Nel primo caso fu un video ‘montato’ casualmente, in tempo reale da un software, che attingeva da 11 sequenza in computergrafica e le riproponeva in un ordine sempre differente”.
Per la loro natura, le Combinazioni semplici sono molte cose: una traccia diaristica dell’opera del loro autore, che ha riversato nei segni-base molti dei suoi temi; espressioni aggiornate (è il caso di dirlo) degli ex-libris e degli emblemi, grafiche che compendiano una serie di simboli in un piccolo riquadro; infine un kit visivo e  narrativo affidato a chi le incontra, e accetta di entrare nell’enigma per il tempo circoscritto della loro animazione, un giorno via l’altro.

Il sito di Diego Zuelli con alcune delle Combinazioni semplici in home page.

Antonella Sbrilli @asbrilli

12 Luglio

12 luglio 2015

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Partì il dodici luglio, alle sette di mattina. Restai a J… la notte precedente. Nell’andarvi, mi promettevo di non chiudere occhio tutta la notte, per fare una tale provvista di carezze, da non avere più bisogno di Marta pel resto dei miei giorni.
Un quarto d’ora dopo essermi coricato, mi addormentai. 
In generale, la presenza di Marta mi turbava il sonno. Per la prima volta, al suo fianco, dormii bene come se fossi stato solo.
Quando mi svegliai la vidi già in piedi. Non aveva osato svegliarmi. Non mi restava che una mezz’ora prima del treno. Mi rodevo di aver sciupato nel sonno le ultime ore che avevamo da passare insieme

Raymond Radiguet, Il diavolo in corpo, 1923, tr. it. M. Ortiz, ed. cons. Garzanti, 1966, p. 112

Ultimo anno della prima guerra mondiale, in una cittadina francese lungo il corso del fiume Marna, al primo piano di una villetta, la mattina del 12 luglio. Lei è la diciottenne Marthe. Lui è il narratore della storia, un ragazzo di sedici anni. Si sono conosciuti quando lui era uno studente brillante e poco disciplinato e lei era già fidanzata con Jacques, che ora è suo marito, ed è al fronte. Sono diventati amanti, mentre il mondo intorno è preso dalla guerra. Ora lei è incinta e sta per partire. Lui la accompagna a Parigi, fino alla stazione di Montparnasse, dove la attendono i suoceri. Mancano pochi mesi all’armistizio, al parto, al ritorno alla normalità, al termine di una passione da adolescenti. Per questo, anche, la data del 12 luglio resta impressa nella memoria.

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11 Luglio

11 luglio 2015

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Ai primi di luglio si diffusero a Mosca, voci sempre più allarmanti sull’andamento della guerra: si parlava del proclama dell’imperatore al popolo, dell’arrivo a Mosca dal fronte del sovrano in persona. Ma siccome fino all’11 luglio non erano giunti né il manifesto né il proclama, su di essi e sulla situazione della Russia correvano voci esagerate. Si diceva che l’imperatore partiva perché l’esercito era in pericolo; che Smolensk era stata abbandonata, che Napoleone aveva un milione di soldati e che soltanto un miracolo avrebbe potuto salvare la Russia.
L’11 luglio, un sabato, giunse il manifesto

Lev Tolstoj, Guerra e pace, 1867-69, tr. it. P. Zveteremich, ed. cons. Garzanti 1985, III, p. 995

Nel giugno del 1812, Napoleone con il suo esercito ha varcato i confini dell’impero russo, mentre lo zar Alessandro è a Vilnius. È l’inizio della guerra, le cui cause – argomenta Tolstoj – formano una catena lunghissima e intricata e i cui effetti saranno altrettanti complessi per la vita dei singoli e dei popoli, la cui storia è narrata nelle migliaia di pagine di Guerra e pace. Appena Napoleone varca la frontiera, ha inizio uno scambio di messaggi diplomatici, che non riesce a fermare la guerra. A Mosca si attendono notizie e intanto viene luglio, per il calendario gregoriano, in vigore in gran parte dei paesi europei dalla fine del ‘500, e per il calendario giuliano, ancora in uso nella Russia zarista, con uno scarto di una decina di giorni. L’11 luglio è un giorno dell’anno 1812, l’anno della cometa, la cui estate fu ”caratterizzata da continui nubifragi” e dallo spostamento di masse di uomini da occidente a oriente, dalla Francia a Mosca, che avrebbe sopportato un incendio e visto la ritirata delle truppe francesi.

 

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10 Luglio

10 luglio 2015

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Addio
Luglio 10, lunedì

Al tocco ci trovammo tutti per l’ultima volta alla scuola a sentire i risultati degli esami e a pigliare i libretti di promozione. La strada era affollata di parenti, che avevano invaso anche il camerone, e molti erano entrati nelle classi , pigiandosi fino accanto al tavolino del maestro: nella nostra riempivano tutto lo spazio fra il muro e i primi banchi. C’era il padre di Garrone, la madre di Derossi, il fabbro Precossi, Coretti, la signora Nelli, l’erbaiola, il padre del muratorino, il padre di Stardi, molti altri che non avevo mai visti; e si sentiva da tutte le parti un bisbiglio, un brulichìo, che pareva d’essere in una piazza. Entrò il maestro: si fece un grande silenzio. Aveva in mano l’elenco e cominciò a leggere subito

Edmondo De Amicis, Cuore, 1886, ed. cons.Rizzoli, 1978, p. 421

L’anno scolastico raccontato nel libro Cuore e ambientato in una scuola elementare torinese è quello del 1881-82: è cominciato il 17 ottobre con la presentazione del maestro e dei compagni del narratore, Enrico, ed è proseguito con i resoconti delle vicende avvenute in classe e fuori, le lettere dei genitori e della sorella, i commoventi (e crudeli) racconti mensili, mentre regnava re Umberto e moriva Garibaldi. L’anno scolastico – e il libro – si concludono alla data del 10 luglio, quando il maestro legge i voti degli esami e hanno inizio i tre mesi di vacanza che passeranno “come un sogno”.

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9 Luglio

9 luglio 2015

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9 luglio. Bel tempo. Tutti furono occupati a riparare la murata di babordo. Peters si intrattenne di nuovo per un pezzo con Augustus, e parlò in maniera più esplicita di quanto non avesse fatto sino allora. Gli disse che nulla al mondo poteva costringerlo a mettersi dal punto di vista del secondo, e gli lasciò capire che intendeva strappare il brigantino dalle sue mani. Chiese anzi al mio amico se, nel caso, avrebbe potuto contare su di lui, al che, senza esitazione, Augustus rispose ‘Sì’.”

Edgar Allan Poe, Le avventure di Gordon Pym, 1838, tr. it. E. Vittorini (1937), ed. cons. Mondadori, 1990, p. 73

Il barometro segna bel tempo il 9 luglio del 1827, nel diario di bordo del giovane navigatore Arthur Gordon Pym. Si è imbarcato di nascosto, da meno di un mese, sul brigantino Grampus partito dal porto di Nantucket. Il viaggio è pieno di avvenimenti così straordinari che egli stesso, nel raccontarli, teme di non essere creduto. Subito dopo la partenza, all’altezza delle isole Bermude, un gruppo di ammutinati ha preso il comando della nave. Il 9 luglio è appena passata una tempesta e mentre i marinai discutono se far rotta verso le Antille per darsi alla pirateria, Gordon Pym e due compagni fidati decidono di riprendere in mano il brigantino. Ci riusciranno e il viaggio li porterà verso l’Antartide, fra fenomeni inspiegabili su cui la narrazione si interrompe.

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8 Luglio

8 luglio 2015

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L’8 luglio 1940 sale con lui nel crepuscolo, per una breve passeggiata, fino alla piscina vuota. Le lucertole serpeggiano sul fondo asciutto. Si appoggia al suo braccio mentre scendono: 
“Dimmi che mi ami come il primo giorno”.
“Ti amo come il primo giorno” dice lui

Giuseppe Pontiggia, Vite di uomini non illustri, 1993, Mondadori, p. 113

Quella di Nena Prinzhofer è una delle tante vite di persone non illustri raccontate da Giuseppe Pontiggia seguendo “la scansione cronologica” delle biografie, applicata a figure anonime, che non sono presenti nei libri di storia. Nena è una donna avvenente, di origine svizzere ma nata in Italia. È stata sposata con un conte, ha incontrato un amante di nome Carlo, per il quale si è separata e con cui vive sul lago di Bolsena. Alla data del 10 giugno 1940, giorno della dichiarazione dell’entrata in guerra, Nena è presa dalla scoperta di un capello femminile sulla giacca di Carlo e, con una vena di gelosia un po’ folle, cerca rassicurazioni sulla fedeltà del compagno, come in questo 8 luglio, mentre l’Italia è coinvolta nel conflitto mondiale da meno di un mese.

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7 Luglio

7 luglio 2015

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Finalmente una sera – ma quanto tempo c’era voluto – un lumicino tremolante apparve entro la lente del cannocchiale, fioco lume che sembrava palpitare moribondo e invece doveva essere, calcolata la distanza, una rispettabile illuminazione. Era la notte del 7 luglio. Drogo per anni si ricordò la gioia meravigliosa che gli inondò l’animo e la voglia di correre a gridare, perché tutti quanti lo sapessero, e la orgogliosa fatica di non dir niente a nessuno, per la superstiziosa paura che la luce morisse

Dino Buzzati, Il deserto dei Tartari, 1940, Mondadori 1984, pp.84-85

L’imponente Fortezza Bastiani sbarra un valico fra le montagne che segnano il confine settentrionale del paese e fronteggia un deserto, chiamato dei Tartari. È da quel confine che possono arrivare le truppe nemiche, ma il pericolo è vago e lontano, così vago che l’attesa sempre smentita diventa piano piano speranza, perché l’arrivo degli stranieri darebbe infine un senso alla presenza dei militari, al regolamento talvolta incomprensibile, ai turni di guardia che scandiscono giornate e notti tutte somiglianti. Da quando è stato assegnato alla Fortezza come sottotenente, Giovanni Drogo ha scrutato dagli spalti in attesa di avvistare il nemico. Nel tempo monotono della sua permanenza alla Fortezza, poche date emergono e fra queste il 7 luglio, quando Drogo scorge una luce all’orizzonte, segno che qualcosa sta accadendo nel deserto, qualcuno sta costruendo una strada. Nulla però cambia nell’immediato. La novità – che pare così importante – è diluita nel lungo periodo dell’attesa e ci sarà tempo per andare in pensione, per morire, per avere una promozione, prima che, forse, qualcuno arrivi.

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Tempo di Street Art, di Francesco Maglione

 

Hanno molto a che fare con il tempo le opere di Peregrine Church e Nèle Azevedo, due artisti che apparentemente sembrano non avere niente in comune;  in realtà le loro opere di street art rivelano la presenza attiva di due aspetti del tempo: il tempo come agente atmosferico che controlla la vita dell’opera, il suo essere presente o meno; e il tempo come agente modificatore dell’opera, la quale con il passare del tempo (ore, giorni, mesi, anni) si rovina, si decompone, si annulla.

Peregrine Church (Alaska, 1993) è l’ideatore dei Rainworks, interventi di street art invisibili ad occhio nudo a meno che la strada non sia bagnata, come in una giornata di pioggia. Il trucco sta nell’uso di un materiale speciale: disegni, slogan e versi di canzoni che costituiscono gli interventi si mostrano ai passanti per il contrasto fra la superficie stradale umida e quella asciutta, che rimane tale, e quindi più chiara dell’altra, perché trattata con una vernice idrorepellente, trasparente, biodegradabile, non tossica e che non rende il marciapiede scivoloso. Ogni Rainwork dura in media cinque mesi ma può andare oltre a seconda di quanto traffico pedonale debba sopportare, è più vivo durante le prime due settimane poi sbiadisce poco a poco fino a svanire del tutto. Di conseguenza, essendo opere temporanee, con messaggi che vanno e vengono, senza scopi commerciali, non sono illegali, anzi per le autorità locali sono utili a riqualificare i quartieri della città, a renderli più divertenti. A Seattle (Washington), la città più piovosa della costa ovest statunitense, Church vuole infatti trasformare la pioggia, in genere causa di malumore, in uno strumento per rivelare messaggi che riescano a strappare un sorriso ai passanti. Come dice l’artista in un’intervista: “Sono felice di dare alla gente qualcosa per cui sorridere”. Ma attraverso le sue opere l’artista cerca anche di spostare l’attenzione su problematiche ambientali e sulle campagne contro gli sprechi.
street art church maglione

Sicuramente capace di tirare su di morale grandi e piccoli è l’intervento che recita “Attention ground is now lava” e ci invita a immaginare il marciapiede come una lingua di lava incandescente nella quale troviamo dei sassi – macchie rese asciutte dal trattamento – su cui saltare per raggiungere sani e salvi la fine del marciapiede dove ci aspetterà la scritta “Congratulations” per essere riusciti nell’impresa. Carpe diem invece richiama un verso di una delle più celebri Odi di Orazio (“Carpe diem, quam minimum credula postero” / “ruba un giorno (al tempo), confidando il meno possibile nel domani”). Il poeta latino invitava il lettore a essere responsabile del proprio tempo, ad afferrare un istante dall’irrefrenabile flusso del tempo e a fidarsi poco dell’imprevedibile futuro. La stessa consapevolezza della transitorietà e precarietà dell’esistenza è presente alla base dei Rainworks che svaniscono una volta ristabilitosi il bel tempo e asciugatosi l’asfalto non trattato che li circonda.

Come i Rainworks di Church anche Melting men (uomini che si sciolgono), l’installazione dell’artista brasiliana Néle Azevedo, è condizionata dal clima, dagli agenti atmosferici e dal passaggio del tempo.
meltingmen

Néle Azevedo (Santos Dumont, Brasile 1950) dal 2002 ha cominciato a realizzare interventi a Brasilia, Tokyo, Parigi, Berlino, Firenze, nell’ambito del progetto Minimun Monument, una critica ai tipici monumenti presenti in tutte le città del mondo che ha portato l’artista a concepire quello che potremmo definire un anti-monumento in quanto, in un’azione dalla breve durata, ne sovverte i canoni ufficiali. In Melting men infatti troviamo al posto del protagonista, l’anonimo; al posto di figure solitarie, una moltitudine; al posto della scala monumentale, la scala minima di corpi alti 20cm circa; al posto della solidità della pietra e del bronzo, la temporaneità del ghiaccio. Minimum monument quindi pone al centro non più il singolo, l’eroe, il condottiero, il personaggio illustre, ma la massa, la moltitudine, l’uomo comune, brutto o bello, debole o forte che sia non importa, tanto che gli omini di ghiaccio sono modellati su stampi che non conferiscono loro particolari connotati o una fisionomia singolare, bensì sono tutti uguali. Vagamente essi ricordano gli Archeologi di Giorgio De Chirico, caratterizzati da teste senza volto, prive di tratti somatici, ma a differenza di quest’ultimi, gli omini della Azevedo non sono simbolo di compattezza e solidità, ma fugaci rappresentanti della mutabilità dell’acqua che dallo stato solido velocemente passa a quello liquido, dettando la fine dell’opera. Il lavoro della Azevedo è stato adottato dagli ambientalisti di tutto il mondo come messaggio d’allarme per i cambiamenti climatici e lo scioglimento dei ghiacciai artici. Questa interessante versatilità non dispiace all’artista che spiega: «un’opera d’arte è soggetta a diverse letture, quindi sono contenta che questo lavoro si presti a interpretazioni così importanti». Francesco Maglione

6 Luglio

6 luglio 2015

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La fiesta esplose a mezzogiorno di domenica 6 luglio. Non c’è altro modo di descrivere ciò che avvenne. Era tutto il giorno che arrivava gente dalla campagna, ma si mimetizzavano nella città e non li notavi. Sotto il sole cocente, la piazza era tranquilla come in qualsiasi altro giorno. I contadini erano nelle osterie fuori mano, a bere e a prepararsi alla fiesta

Ernest Hemingway, Fiesta, 1926, tr. it. E. Capriolo, Mondadori 1990, p. 154

Dopo mesi trascorsi a Parigi con scrittori, boxeur, viaggiatori inglesi e americani in giro per l’Europa dopo la fine della prima guerra mondiale, il giornalista Jake Barnes è partito per la Spagna. All’inizio di luglio si trova a Pamplona, antica capitale della Navarra che celebra il suo patrono San Firmin con sette giorni di processioni, danze, corride, precedute dalla corsa dei tori lungo le strade, in mezzo alla folla. Barnes alloggia all’Hotel Montoya, dove scendono anche i toreri più famosi. Tutto è pronto per l’inizio della Fiesta, che esplode come un fuoco d’artificio a mezzogiorno del 6 luglio, trascinando spagnoli e stranieri in eccessi e azzardi che lasciano conseguenze anche oltre quella data.

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5 Luglio

5 luglio 2015

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Comunque sia, i nostri trovarono il posto così piccolo che temettero di non trovarvi da dormire, e andarono oltre come due viaggiatori che disdegnano una cattiva locanda di villaggio e si spingono fino alla città più vicina. Ma il Siriano e il suo compagno se ne pentirono presto. Camminarono a lungo senza trovare nulla. Alla fine scorsero un lumicino; era la terra: roba da far pena a gente che veniva da Giove. Tuttavia, per paura di doversi pentire per la seconda volta, risolsero di sbarcare. Passarono sulla coda della cometa e, trovando un’aurora boreale pronta, ci entrarono dentro, e arrivarono sulla terra dal bordo settentrionale del mar Baltico, il cinque luglio millesettecentotrentasette, nuovo stile

Voltaire, Micromega, 1752, tr. it. M. Moneti in Candido, Zadig, Micromega, L’ingenuo, Garzanti 1973, ed. cons. 2012 e-book

In questo racconto fantastico di Voltaire, il protagonista è uno scienziato di proporzioni gigantesche, di nome Micromega, abitante di un pianeta che gira intorno alla stella Sirio. Bandito dal suo paese a causa di una pubblicazione non gradita alle autorità, è partito per un viaggio stellare. Su Saturno, pianeta molto più piccolo di quello da cui proviene, ha conversato con un filosofo del posto, confrontando le idee sulla natura e sulla durata della vita. Insieme proseguono il viaggio, saltando dagli anelli di Saturno alle sue lune, da una cometa ai satelliti di Giove, da Marte a un minuscolo pianeta, la Terra, con abitanti quasi invisibili. Percorrendo un’aurora boreale sulle coste del mar Baltico, sbarcano su questa piccola palla “che gira intorno al sole in modo maldestro”, in un giorno che – secondo il calendario – è il 5 di luglio del 1737.

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4 Luglio

4 luglio 2015

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Credo che fosse il quattro di luglio quando mi levarono la sedia da sotto il culo. Non una parola di preavviso. Uno dei grossi pescicani che stanno dall’altra parte dell’Oceano aveva deciso di fare economie; risparmiando sui correttori di bozze e sulle povere piccole dattilografe riusciva a pagarsi le spese dei viaggi avanti e indietro e il sontuoso appartamento che occupava al Ritz.
(…) il pensiero m’era tornato al Quattro di Luglio, quando comprai il mio primo pacco di mortaretti, e assieme i lunghi bastoncini d’esca, l’esca che si accende per fare una bella fiamma rossa, l’esca col suo odore che ti rimane attaccato alle dita per giorni e ti fa sognare strane cose

Henry Miller, Tropico del Cancro, 1934, tr. it. L. Bianciardi, Feltrinelli 1967 (ed. cons. 1973) p. 181, p.192

È il 4 luglio quando il protagonista di Tropico del Cancro – un giovane americano a Parigi tra gli anni ’20 e ’30 – viene licenziato in tronco dal giornale dove lavora come correttore di bozze, mentre cerca di avere la testa lucida dai fumi dell’alcol, del sesso e dell’immaginazione. A Parigi conduce una vita intensa e debosciata, in alberghi miseri, in compagnia di altri aspiranti scrittori, artisti, viaggiatori e viaggiatrici. È duro per lui perdere il lavoro al giornale e di nuovo andare in cerca di un modo per sbarcare il lunario: scrivere tesi di laurea o posare nudo, abbordare turisti o insegnare inglese, e attendere denaro dagli Stati Uniti. Tanto più che il 4 luglio si celebra in patria la dichiarazione d’Indipendenza e il pensiero corre alla giornata di festa, alle confezioni di mortaretti e all’odore esotico della miccia che resta attaccato alle dita e alla memoria.

Dicono del libro
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