9 Marzo

9 marzo 2015

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La mattina del nove marzo attendevo la famiglia Kusano sulla banchina d’una stazione nelle vicinanze della sua casa. La fila di negozi prospiciente i binari era stata condannata dal governo a cedere il posto a una striscia di terreno sgombro, adibita a arginare le fiamme in caso d’incendio, e si poteva scorgere nei minimi particolari l’opera di demolizione già in pieno fermento, che lacerava la limpida aria primaverile con tonfi aspri, assordanti. Fra le strutture abbattute si notavano superfici di legno nudo appena scoperte, che abbagliavano gli occhi.
Le mattine erano ancora fredde

Yukio Mishima, Confessioni di una maschera, 1949, tr. it. M. Bonsanti, Feltrinelli, 1992, p. 126

Nel 1945, ultimo anno di guerra, il protagonista di Confessioni di una maschera ha vent’anni e viene mandato, come tutti i suoi coetanei, a lavorare in una fabbrica di aeroplani. A febbraio dovrebbe tornare agli studi universitari, ma una serie di attacchi aerei modifica i piani e quel marzo del 1945 è uno strano mese di “vacanza in piena guerra”. Il 9 marzo (data di un bombardamento micidiale), il ragazzo è in attesa del treno che lo porterà in visita a un amico partito volontario. In questa, come in altre date, eventi esterni si intrecciano a incontri, attrazioni, inconcludenze, creando quella memoria soggettiva che  è una sorta di “indipendenza dal tempo”.

 

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8 Marzo

8 marzo 2015

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L’otto marzo, alle sei della mattina, con addosso tutte le sue decorazioni, stava facendosi dettare da Ascanio la minuta di una lettera a Vienna – era già la terza – e si dava da fare con grande austerità e applicazione a scriverla in bella calligrafia su un foglio di carta con il ritratto di Sua Maestà in filigrana. Nello stesso momento Fabrizio entrò nella stanza della contessa Pietranera.
“Parto,” le disse, “vado dall’Imperatore, che è anche re d’Italia. Aveva tanta amicizia per tuo marito! Passerò per la Svizzera. Vasi, quel mio amico, quello che vende barometri, mi ha dato il suo passaporto, stanotte, a Menaggio. E adesso dammi un po’ di soldi, perché ho solo due napoleoni. Ma se occorre andrò a piedi.”
La contessa si mise a piangere. Era spaventata, e felice

Stendhal, La Certosa di Parma1839, tr. it. E. Tadini, Garzanti, 1983, p. 24

Lasciata l’isola d’Elba, dove era stato confinato, Napoleone è sbarcato sulla costa francese il primo marzo del 1815, dando inizio a quelli che sarebbero stati chiamati i “cento giorni” del suo ritorno. La notizia si diffonde velocemente e arriva – nella storia narrata da Stendhal – nella dimora del marchese del Dongo, fedele servitore degli Austriaci. Mentre l’anziano marchese scrive a Vienna, la stessa mattina dell’8 marzo il giovane Fabrizio, vicino agli ideali napoleonici, decide di raggiungere il suo eroe, di cui vedrà la sconfitta, il 18 giugno, nella battaglia di Waterloo. 

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7 Marzo

7 marzo 2015

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Tranne qualche giorno in Egitto, non mi fermai una sola volta, nel corso del viaggio di ritorno; arrivai al piccolo porto di Imbro una sera tranquilla, all’ora del tramonto, il 7 marzo (secondo i miei calcoli); ormeggiai la Speranza accanto al piccolo molo; poi, con l’aiuto del motore centrale ad aria, tirai su dalla stiva la mia malconcia automobile (“malconcia” per via del tifone nell’oceano Pacifico, che aveva rotto i cavi che la sorreggevano e l’aveva sbattuta a babordo, capovolta). Percorsi in macchina la stradina senza finestre del villaggio, tra i platani e i cipressi che conoscevo bene, e le mimose del Nilo, e i gelsi, e le palme di Trebisonda

Matthew P. Shiel, La nube purpurea, 1901, tr. it. R. Wilcock, Adelphi, 1969, p. 232

Il medico inglese Adam Jeffson è l’unico superstite di una spedizione verso il Polo Nord e di una catastrofe planetaria – in forma di nube velenosa e profumata – che ha ucciso tutti (o quasi) gli abitanti della terra, lasciandolo padrone di città, miniere, tesori, territori senza confini. Preso da impeti distruttivi e desideri di ricostruzione, Adam edifica un palazzo regale nell’isola turca di Imbro, prima di scoprire – proprio in Turchia – che un altro essere vivente è sopravvissuto. La fonte delle straordinarie vicende di Adam è in una serie di quaderni scritti da una medium e trasmessi da un amico al narratore. Nelle pagine a volte lacunose, piene di salti temporali e spaziali, le coordinate geografiche e le date – come questa sera del 7 marzo – fanno da suggestive cornici al filo del racconto. 

 

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6 Marzo

6 marzo 2015

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Il 6 marzo del 1953 il maestro Bonanni disse a mia madre: “Questo bambino le darà  grandi soddisfazioni”. Mi piacciono molto le date: sono chiare e vere. Ma questa data è né più né meno che una combinazione alfabetica irrobustita da qualche cifra. Quale marzo, che 6, quale millenovecentocinquantatré? E’ un giorno di un mese e di un anno che ho davvero vissuto: Anche la frase del maestro Bonanni è stata davvero pronunciata.  Ma il loro contatto su questo foglio è arbitrario: mi serve solo per evocare una storia che è lunga poche righe

Domenico Starnone, Fuori registro, 1991, Feltrinelli, p. 32

A scuola la scansione del tempo è tutto: la “gelatina delle ore” è stabilita dall’orario definitivo e i giorni scorrono uno dopo l’altro, insieme ai registri e alle “pile di carte grigie” , che si vanno accumulando negli anni di scuola del protagonista del racconto, prima allievo e poi a sua volta insegnante.  Arbitrarie ed evocative, le date si rincorrono, e il narratore richiama il giorno del suo ingresso in prima elementare, il I ottobre del 1948, per poi tornare a quel 6 marzo 1953, un “giorno di un mese e di un anno che ho davvero vissuto”. 

 

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5 Marzo

5 marzo 2015

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“Iside mi chiamano, Iside regina. Sono qui, ora, dopo tutte le tue miserabili avventure – ci sono io ora, benevola, propizia. Basta con i pianti, dimentica i lamenti, scaccia la tristezza! Invece sta’ attento, attento a quanto ti ordino. Il giorno che nascerà proprio da questa notte, da sempre

mi è sacro. Questo, sì, è il giorno in cui si placa il tempo d’inverno, in cui le tempeste d’onde del mare si quietano, in cui sulla calma distesa marina ora possono correre le navi

e una nuova nave mi dedicano i miei sacerdoti, con tutto il suo carico di primizie. Questo giorno sacro tu devi attendere, senza ansia, sereno, fidandoti di me. Ci sarà un sacerdote in testa al corteo, e porterà un serto di rose in mano, insieme al sistro. Non esitare scosta la folla e, rapido, avvicinati al sacerdote, per baciargli la mano; strappagli le rose e, subito, ecco che sei libero della pelle di questa orribile bestia, odiosa da tempo anche a me”

Apuleio, L’asino d’oro o Metamorfosi, XI, 5-6, traduzione di Monica Centanni

Il 5 marzo è, nel racconto di Apuleio, il giorno della liberazione di Lucio dalle sembianze d’asino in cui l’aveva imprigionato un incantesimo venuto male.
Dopo innumerevoli avventure, incontri, storie nelle storie (fra cui quella, bellissima, di Amore e Psiche), nell’XI libro dell’Asino d’oro o Metamorfosi – grazie all’intervento della dea Iside – Lucio ritorna finalmente se stesso. Il 5 marzo è la festa di Iside, la dea che percorre il mondo per rimettere insieme i pezzi sbranati del figlio Osiris, e infine riesce nell’impresa, inaugurando il culto misterico che dall’Egitto si diffonde in tutto il mondo ellenistico e romano. A Roma il 5 marzo è la festa del Navigium Isidis il corteo al seguito di una nave ornata di fiori e di primizie che sfilava sul Tevere in mezzo a una folla mascherata e festosa, a festeggiare la fine dell’inverno e la rinascita della natura. Su quella festa guidata da un ‘currus navalis’ si sovrimporrà il calendario cristiano con il ‘carnevale’ che precede l’attesa della Pasqua di resurrezione. È questo, scrive Apuleio, un “giorno sereno, pieno di sole, tanto che gli uccelli rallegrati dal tepore primaverile si mettono dolcemente a cantare, festeggiando anch’essi con tutta la loro gioia la madre degli astri, la signora delle stagioni, la regina di tutto l’universo”. (m.c.)

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4 Marzo

4 marzo 2015

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Era il 4 marzo (e io ho i miei buoni motivi per ricordarmene). Mi alzai un po’ prima del solito e trovai Sherlock Holmes che ancora non aveva finito la prima colazione. La padrona di casa si era tanto assuefatta alle mie abitudini di dormiglione che non mi aveva preparato il posto a tavola. Con l’irragionevole petulanza del genere umano, suonai il campanello e annunciai bruscamente che aspettavo il caffè, poi presi una rivista che era sulla tavola e tentai di ammazzare il tempo leggendo, mentre il mio compagno sbocconcellava in silenzio il pane tostato. Uno degli articoli aveva un segno a matita vicino al titolo e, naturalmente, cominciai a scorrerlo

Arthur Conan Doyle, Uno studio in rosso, 1887, tr.it. A. Tedeschi, Mondadori, 2012, p. 22

Il dottor John H. Watson, ex ufficiale medico dell’esercito britannico tornato dall’Afghanistan, al cui diario è affidata la narrazione di Uno studio in rosso, ha buoni motivi per ricordare la data del 4 marzo. Da alcune settimane è andato ad abitare al numero 221 B di Baker Street, condividendo l’alloggio con Sherlock Holmes, di cui ancora non ha individuato la professione. Il 4 di marzo ha l’occasione di vedere per la prima volta all’opera Holmes, chiamato a collaborare dalla polizia londinese alle indagini per un omicidio accaduto nella notte. Passo dopo passo, Watson è coinvolto e ammirato dal metodo di Holmes, basato sull’osservazione dei minimi dettagli, sulla scomposizione analitica dei fatti, sul dipanamento della “matassa incolore della vita”, da cui isolare – come un artista che dipinga – i fili rossi del crimine. Grazie a tale metodo, il tempo accaduto è ripercorso all’indietro, smontato e rimontato, e alcuni giorni (il 4 marzo, il 4 maggio, il 4 agosto) fanno da perno a questa ricostruzione, che porta la vicenda da Londra allo Utah e di nuovo a Londra, a quel 4 di marzo che tanto doveva colpire Watson.


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3 Marzo

3 marzo 2015

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Un mozzo dall’alto della coffa gridò: “Terra!”. Era il suolo della Grecia, con le montagne della Morea che si scorgevano all’orizzonte. Un vento fresco portava la nave, che correva veloce. Il nome della Grecia risvegliò il coraggio di Octave: “Ti saluto, “si disse “o terra degli eroi!”. E a mezzanotte, il 3 di marzo, mentre la luna sorgeva dietro il monte Kalos, una mistura d’oppio e di digitale preparata da lui stesso liberò dolcemente Octave da quella vita che era stata così agitata per lui. All’alba lo trovarono senza moto sul ponte, sdraiato su alcuni cordami. Aveva il sorriso sulle labbra, e la sua rara bellezza colpì persino i marinai incaricati di seppellirlo. La causa della sua morte fu sospettata in Francia dalla sola Armance

Stendhal, Armance, 1827, tr. it. M. Bonfantini, Einaudi 1976, p.180

Il tre marzo è la data che chiude la storia di una coppia di giovani francesi al tempo della Restaurazione. Lui è Octave de Malivert, “gentiluomo ventenne” affascinante e tormentato; lei è la cugina Armance de Zohiloff. La loro attrazione reciproca attraversa ostacoli esterni e interni. Dopo sposati, Octave decide di andare a combattere per la libertà del popolo greco, lasciando la moglie in Francia. Si darà la morte sulla nave che lo porta in Grecia, dopo aver scritto, ogni giorno del viaggio, una lettera. 

 

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2 Marzo

2 marzo 2015

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In questo 2 marzo 1937 fa ancora molto freddo, ma gli aromi acerbi della primavera incipiente sono già nell’aria. In nessun luogo della terra il preludio

della primavera è profumato più che in questa città prossima alle Prealpi. Teta ha spedito il suo bagaglio ben sigillato alla sorella, la vedova del signor Zikan, controllore capo delle privilegiate Ferrovie Meridionali. In quel bagaglio si trova anche la cetra che tanto le sta a cuore

Franz Werfel, Il cielo rubato, 1938, tr. it. G. Bianchetti, Piemme, 1992, p. 109

Il due marzo si chiude una fase della vita della cuoca Teta Linek, originaria di Hustopec in Moravia. Per anni è stata a servizio presso la famiglia Argan, fra Vienna e la tenuta di Grafenegg. Mentre i giorni trascorrono sempre simili uno dopo l’altro, Teta investe tutto il suo lavoro e i suoi guadagni di domestica in un progetto che ha a che fare con l’eternità: mantiene agli studi un nipote perché diventi sacerdote e preghi per la sua anima. Il piano non andrà secondo le previsioni di Teta che ancora, quel due di marzo, mentre lascia il servizio, non sospetta che il giovane nipote la stia ingannando. E neppure che la attende -verso la fine del pontificato di Pio XI – uno straordinario viaggio a Roma, nel cuore della religione cattolica e al termine dei suoi giorni.

 

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1 Marzo

1 marzo 2015

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Già da parecchio il tempo cattivo era finito; ci inoltravamo nella bella stagione e d’un tratto fiorirono i mandorli. Era il primo di marzo. Di mattina scendo in Piazza di Spagna. I contadini hanno spogliato la campagna di tutti i suoi rami bianchi e i fiori di mandorlo riempiono le ceste dei venditori. L’incanto che provo è tale che ne compro tanti da riempire un giardino. Tre uomini me li portano a casa. Rientro con tutta questa primavera. I rami si impigliano nelle porte; alcuni petali cadono come neve sul tappeto

 André Gide, L’immoralista, 1902, tr. it. E. Scarpellini, Garzanti, ed. cons. 1982, p. 237

La data del primo marzo compare verso la fine del racconto che il protagonista, Michel, fa ad alcuni amici per spiegare gli ultimi decisivi avvenimenti della sua vita. Il matrimonio con Marceline, il soggiorno in Africa, fatto di lunghi “giorni senza ore”, la malattia ai polmoni da cui si è ripreso, la scoperta dell’omosessualità. E poi, in una specie di simmetria, la malattia della moglie che, incinta, perde il bambino, e di nuovo i viaggi, il lago di Como, Firenze, Roma, dove arrivano alle soglie della primavera, per proseguire ancora verso sud. 

 

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28 Febbraio

28 febbraio 2015

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“Oggi quanti ne abbiamo del mese?” domandò Dantès a Jacopo che era venuto a sedere vicino a lui dopo aver perduto di vista il castello d’If.  
“Il 28 febbraio”, rispose questi. 
“Di che anno?” domandò ancora Dantès.
“Come di che anno?… Voi domandate di che anno?”
“Si,” rispose il giovane, “vi domando di che anno”
“Avete dimenticato in che anno siamo?”
“Che volete? E’ stata così grande la paura di questa notte,” disse ridendo Dantès, “in cui poco è mancato che non perdessi la vita, che la mia memoria ne è rimasta sconvolta; vi domando dunque di quale anno siamo noi ai 28 di febbraio?”
“Dell’anno 1829”, rispose Jacopo.
Erano 14 anni precisi, giorno per giorno, che Dantès era stato arrestato. Era entrato nel castello d’If  a 19 anni, e ne usciva a 33. Un doloroso sorriso passò sulle sue labbra

Alexandre Dumas, Il conte di Montecristo1844-46, tr. it. E. Franceschini, BUR, 2006, pp. 153-154

Fuggito dal castello d’If, dove è stato tenuto ingiustamente prigioniero molti anni, e salvato in mare da un bastimento di contrabbandieri a cui dice di essere un naufrago, Edmond Dantès ha perso la cognizione del tempo e la prima notizia che chiede riguarda proprio la data. Nel febbraio di quattordici anni prima – 1815 -aveva avuto inizio la narrazione, con l’arrivo di Dantès a Marsiglia, il suo fidanzamento, il complotto dei suoi nemici e l’arresto.

 

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27 Febbraio

27 febbraio 2015

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27 febbraio
Solo ventidue giorni ci dividono dalla primavera. Giuro che il 21 marzo mi toglierò i panni invernali e, quale che sia il tempo, ci fosse anche una tempesta di neve, me ne andrò a spasso per il Jackson Park senza cappello e senza guanti

Saul Bellow, L’uomo in bilico, 1944, tr. it. G. Monicelli, Mondadori 1976, p.130

In attesa di prendere servizio nell’esercito, fra il 1942 e il 1943, Joseph, il protagonista del libro, registra gli avvenimenti, i cambi di prospettiva, la nuova misura del tempo derivante da questa attesa. In aprile verrà chiamato sotto le armi, “affrancato da ogni dovere di decidere di me stesso” e nei due mesi che precedono questo cambio di stato, passa da grandi temi – come la libertà o la responsabilità – ad annotazioni sul carattere di singoli irripetibili giorni di quel periodo.

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26 Febbraio

26 febbraio 2015

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“Siamo già nel golfo”, mi disse uno dei miei compagni quando mi alzai per far colazione, il 26 febbraio.

Il giorno prima avevo avuto un po’ di paura per le condizioni del tempo nel golfo del Messico. Ma il cacciatorpediniere, anche se si muoveva un poco, scivolava via dolcemente. Pensai tutto contento che i miei timori erano infondati e salii in coperta. Il profilo della costa era svanito. Solo il mare verde e il cielo azzurro si stendevano intorno a noi

Gabriel García Márquez, Racconto di un naufrago, 195 (1970), tr. it. C. Acutis, Mondadori 1987, p.29

“Racconto di un naufrago che andò per dieci giorni alla deriva in una zattera senza mangiare né bere, che fu proclamato eroe dalla patria, baciato dalle reginette di bellezza e reso ricco dalla pubblicità, e poi aborrito dal governo e dimenticato per sempre”: il lungo sottotitolo di questo libro percorre tutte le fasi della vicenda del marinaio Velasco, imbarcato sul cacciatorpediniere Caldas alla volta di Cartagena. Il 26 febbraio 1955 è nel golfo del Messico, e tutto deve ancora succedere.

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25 Febbraio

25 febbraio 2015

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Il mattino del 25 febbraio 1848, si sparse a Chavignolles la notizia, portata da uno  che veniva da Falaise, che Parigi era coperta di barricate; e l’indomani sull’ingresso  dell’edificio comparve l’avviso che era stata proclamata la Repubblica. Questo grande avvenimento impressionò i benestanti. Ma quando si apprese che la  Corte di Cassazione, la Corte d’appello, la Corte dei conti, la Camera di Commercio,  l’Ordine dei notai, quello degli avvocati, il Consiglio di Stato, l’Università, i generali e persino il signor de la Rochejacquelein avevano dato la loro adesione al governo   provvisorio, le fronti si spianarono; e, visto che nella capitale si piantavano alberi della libertà, il consiglio municipale decise che anche a Chavignolles bisognava  piantarne. Nella sua esultanza per il trionfo del popolo, Bouvard ne offrì uno;  quanto a Pécuchet la caduta della monarchia confermava a puntino le sue previsioni:  non poteva che rallegrarsene. Felice di riceverne l’ordine, Gorju s’affrettò a sradicare uno dei pioppi che costeggiavano il prato oltre la Montagnetta; e lo   trasportò fino al Pas de la Vaque, all’entrata del borgo, dove lo si doveva piantare

Gustave Flaubert, Bouvard e Pécuchet, 1881 (post.),  tr. it. C. Sbarbaro, Einaudi 1964, p.122

Nel gennaio del 1839, Bouvard ha eredito una rendita, avvenimento che ha consentito a lui e all’amico Pécuchet – entrambi impiegati parigini di mezza età –  di trasferirsi a Chavignolles, fra Caen e Falaise, per dedicarsi a imprese agrarie e a progetti enciclopedici. Gli anni trascorrono e arriva il 1848, con la rivolta – nel mese di febbraio – delle opposizioni liberali e repubblicane alla monarchia di Luigi Filippo. Avvenimenti di cui, in questo romanzo postumo, Flaubert immagina l’arrivo a Chavignolles,  nello stesso febbraio del ’48.  

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24 Febbraio

24 febbraio 2015

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Il giorno pare proprio un riassunto dell’anno. La notte è l’inverno, la mattina e la sera sono la primavera e l’autunno, e il mezzogiorno è l’estate. Lo scricchiolio e il rimbombo del ghiaccio indicano un cambiamento di temperatura. Una bella mattina, seguita a una notte fredda (il 24 febbraio 1850), andai a Flint’s Pond per passarvi la giornata, e con sorpresa osservai che quando colpivo il ghiaccio con la testa della scure, esso  risuonava come un gong per molte pertiche intorno

Henry D. Thoreau,  Walden ovvero vita nei boschi, 1854,  tr. it. P. Sanavio, Rizzoli, Milano, 1994, p. 376

Le date registrate da Thoreau, nei due anni di vita solitaria nei boschi intorno al lago di Walden, riportano soprattutto quello che accade alla natura, quello che succede alle acque e ai ghiacci, alle foglie, agli alberi. La terra, con la sua atmosfera e i suoi cicli ricorrenti, è la protagonista di queste pagine, in cui l’autore costruisce tavole di corrispondenza fra le scansioni del tempo umano e terrestre, interno ed esterno: “Per noi, spunta solo quel giorno in cui siamo svegli. Ce n’è, di giorno, che ancora deve albeggiare!”

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23 Febbraio

23 febbraio 2015

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Così alla fine Anthony entrò, per mezzo di una lettera del nonno, nel Sanctum Americanum dove sedeva il presidente delle Wilson, Hiemer e Hardy al suo ‘tavolo sgombro’ e ne uscì impiegato. Doveva prendere servizio il 23 febbraio. Quest’orgia di due giorni era stata organizzata in tributo a questa circostanza  importante, perché quando Anthony avesse cominciato a lavorare avrebbe dovuto andare a letto presto durante tutta la settimana. […] E ora la mattina: a loro di addizionare gli assegni incassati qua e là in circoli, negozi, ristoranti. A loro di dare aria all’alta stanza azzurra per scacciarne il fetore rancido del vino e delle sigarette, di raccogliere i bicchieri rotti e spazzolare le stoffe macchiate delle poltrone e dei sofà; di dare a Bounds i vestiti e gli abiti da mandare in tintoria; infine di condurre i loro corpi mezzo febbricitanti e soffocati e il loro spirito sbiadito e depresso nell’aria fredda di febbraio, in modo che la vita potesse continuare e  l’indomani mattina alle nove Wilson, Hiemer e Hardy avessero i servigi di un uomo  vigoroso

 Francis Scott Fitzgerald, Belli e dannati, 1922, tr. it. F. Pivano, Mondadori 1973, pp. 183-184

Mentre in Europa si combatte la prima guerra mondiale e negli Stati Uniti comincia ad affermarsi il cinema, scorre la storia del giovane ereditiero americano Anthony Patch e di sua moglie Gloria Gilbert. Le date, nella loro vita, riguardano appuntamenti, feste, viaggi, nei quali la coppia trascorre un tempo d’ozio e di ricerca del divertimento. L’aderenza al calendario è vaga e dipende dai postumi delle feste, che a volte durano diverse giornate consecutive: “che giorno è? Martedì. Martedì? Lo spero. Se è mercoledì devo presentarmi a prendere servizio in quel posto idota”.  Poiché la rendita diminuisce, Anthony ha deciso di provare a fare qualcosa – a lavorare –  e ha chiesto aiuto al nonno Adam. Indirizzato verso la carriera in borsa, deve prendere servizio il 23 febbraio. Nei due giorni che precedono questa data, ha luogo una lunga festa d’addio alla vita non lavorativa, anche se l’impiego, col suo ritmo quotidiano, non durerà a lungo.

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22 Febbraio

22 febbraio 2015

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Si versò un bicchierino di liquore ed entrò nello studio per compiere il rito serale di cambiare la data sul calendario dello scrittorio. Sabato, 21 febbraio. Santo Cielo!  Era domenica mattina! Domenica, 22 febbraio. Esattamente otto giorni dal dannato affare alla Hanging Rock. Albert, appena terminato di accudire ai cavalli, si buttò tutto vestito sulla branda non rifatta e si addormentò. Gli pareva di avere posato la testa sul guanciale solo da un momento ed era già completamente sveglio e fissava il minuscolo quadrato di luce grigia alla finestra; intanto gli avvenimenti del giorno prima, non più confusi per la stanchezza fisica come lo erano la sera precedente, si collocavano ordinatamente al loro posto come i pezzi di un rompicapo. Ma mancava uno dei pezzi chiave. Qual era? E dove andava sistemato esattamente nel disegno? 

Joan Lindsay, Picnic a Hanging Rock, 1967, tr. it. M.V. Malvano, Sellerio 1993, p.101

L’uomo che cambia la data sul calendario dello scrittoio è il colonnello Fitzhubert, lo zio di Mike, il giovane aristocratico che, con l’amico stalliere Albert, ha visto per l’ultima volta le ragazze scomparse ad Hanging Rock la settimana prima. Durante un picnic organizzato dal collegio Appleyard nel giorno di San Valentino, Miranda, Marion, Irma, Edith e un’insegnante di matematica si sono allontanate in direzione della grande roccia vulcanica, mentre gli orologi sono tutti fermi a mezzogiorno. Solo Edith è tornata indietro, sconvolta da qualcosa che non è in grado di spiegare. Il giovane Mike non si dà pace e continua la ricerca solitaria delle ragazze, mentre lo zio lo aspetta a casa e si accorge che è passato un altro giorno dallo strano accadimento.“Non esiste un solo attimo su questo globo rotante che non sia, per milioni di individui, non misurabile con i comuni sistemi di computo del tempo: un frammento di eternità per sempre privo di rapporto con il tempo e l’orologio”.

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21 Febbraio

21 febbraio 2015

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21 febbraio (tardo pomeriggio)
 […] Ora sono io ad arretrare, a cercare di spegnere la mia mente che s’è accesa con troppo fervore. Presto o tardi si parlerà anche della mia scomparsa. Ascolto da vivo i discorsi – compiaciuti o dolenti – che si faranno su di me dopo la mia morte. Il passato non torna. Possibile – mi chiedo stoltamente, o con ingenuità fanciullesca – che tutto ciò che ho vissuto, debba averlo vissuto una sola volta, e così in fretta, senza avvertirne la veloce fuga all’indietro?

Luca Canali, Diario segreto di Giulio Cesare, 1994, Mondadori, pp. 94, 100

L’autore immagina che Giulio Cesare, negli ultimi quaranta giorni della sua vita, abbia registrato le giornate e le notti in un diario, dove si parla di Roma e del suo governo, di famiglia e di memorie. Il 21 febbraio è una giornata di quiete: ricorrono le celebrazioni Ferali, quando “tutte le famiglie ricordano i loro defunti”. Dopo aver portato doni alla tomba della figlia e della prima moglie, e aver salutato Cicerone, Cesare è solo in casa, a riflettere sul tempo, che “avanza inavvertito come un sicario”. 

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20 Febbraio

20 febbraio 2015

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Fu come se gli avessero assegnato una nuova data di nascita: 20 febbraio 1967. Fu come venire al mondo un’altra volta solo per passare notti insonni con lo sguardo rivolto alle gocce di pioggia che scivolavano luccicando lungo il vetro della finestra. E mentre la madre era nell’altra stanza che dormiva tranquilla in tutta la sua diversità, Homer se ne stava disteso sul letto ad ascoltare il ritmo del proprio respiro, il ritmo che accompagnava il buio tristissimo di quelle ore in cui tutto era immobile a parte la pioggia che veniva giù e le gocce che scivolavano luccicando lungo il vetro della finestra, un unico e immenso momento di eternità. Non dormendo mai

 Tommaso Pincio, Un amore dell’altro mondo, Einaudi 2002, p. 30

La narrazione segue la storia parallela e intrecciata di due giovani: Homer B. Alienson (Boda di secondo nome) e Kurt (che ha un amico immaginario che si chiama Boda). Mentre una serie di indizi porta via via il lettore a individuare in Kurt la figura del musicista Cobain, la storia fa avvicinare e allontanare i due personaggi, rendendo immaginari i dati reali e plausibili quelli immaginari. Quest’oscillazione fra finzione e realtà è puntellata da dettagli importanti, come la data del 20 febbraio 1967 (il giorno di nascita del “vero” Kurt Cobain), richiamata nel libro come una data spartiacque nell’esistenza del personaggio Homer. Le alterazioni del ritmo sonno-veglia e della percezione del tempo prodotte dalle droghe sono una parte cospicua della storia: “venne sfiorato dal dubbio che il sistema potesse alterare il corso del tempo, rallentarlo, incastrarlo, arrestarlo, fino a un punto in cui i giorni, anziché passare come si crede cha facciano, finissero per rovinare uno sull’altro in un gigantesco tamponamento”.

 

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Capra! Capra! dal 19 febbraio il nuovo anno cinese

19 febbraio 2015, Capodanno cinese,
di Valentino Eletti

I segni dello zodiaco cinese sono dodici, come i nostri, eppure non si sovrappongono alla tradizione occidentale che lega costellazioni al destino o, per non scomodare parole troppo prepotenti, alla fortuna. L’unica coincidenza è quella del numero dodici che ritorna. Dodici sono i mesi e i nostri segni. Dodici sono i segni del calendario cinese, ma ognuno di essi rappresenta un anno. Dodici anni definiscono un ciclo completo dove si susseguono gli animali legati al calendario. Però sono anni lunari, quindi si assiste, di anno in anno, a un progressivo slittamento della data del capodanno cinese.

Immagine 1 Il 19 febbraio 2015 termina l’anno del cavallo e comincia quello della capra, yang in cinese, che a sua volta precede quello della scimmia. Il segno yang non ha la fama di creature come il drago o la tigre, e forse per questo non è amato al pari degli altri, più appariscenti. È un segno pacifico, conciliante, tranquillo e a suo modo prospero.

Si è discusso molto su come rendere questo segno, perché in realtà yang 羊 – la cui forma può ricordare quella di una capra vista frontalmente, con le due corna che divergono come rami di una V – è un termine che esprime una categoria più estesa di animali, dai caprini agli ovini. Confessiamolo, l’anno dell’ovino non è molto vendibile e quindi bisogna fare una scelta: ma capra o pecora che sia, l’anno che si inaugura giovedì 19 febbraio predisporrà i nuovi nati  – a differenza del pirotecnico segno del drago – a un atteggiamento più tranquillo e riflessivo. E allora, buon anno della capra, l’ottavo nel ciclo dei dodici animali che governano la scansione cinese del tempo. (val.e.)

19 Febbraio

19 febbraio 2015

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19 febbraio
Che triste giornata è stata oggi povero monsieur Armand! Stamattina Marguerite si sentiva soffocare, il medico le ha fatto un salasso, e le è tornato un filo di voce. Il medico le ha consigliato di far venire un prete. Lei ha acconsentito, e lui stesso è andato a chiamarne uno alla chiesa di Saint-Roch.
Nel frattempo, Marguerite mi ha chiamato vicino al suo letto, pregandomi di aprire l’armadio, poi mi ha indicato una cuffietta, una lunga camicia tutta guarnita di pizzi, e mi ha detto con voce fioca: “Dopo essermi confessata morirò, allora mi vestirai con una civetteria da moribonda”

Alexandre Dumas figlio, La signora delle camelie, 1848, tr. it. L. Collodi, Newton Compton, 1994, p. 251

È l’amica Julie Duprat a scrivere le ultime lettere di Marguerite Gautier, la signora delle (o dalle) camelie, al suo innamorato Armand Duval, da cui è stata separata da una serie di circostanze melodrammatiche. Convinta dal padre del giovane a lasciarlo, Marguerite è malata, sull’orlo del fallimento, sofferente per il distacco. Il romanzo è iniziato nel marzo del 1874, alla vendita

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all’asta dei beni di Marguerite e la vicenda è ricostruita attraverso confessioni, carte, diari e tante lettere, spesso trascritte una dentro l’altra, con le loro date rivelatrici (“e voi dove siete, mentre scrivo queste righe?”).

Dicono del libro
“Scritto nel 1848, quando l’autore non aveva che ventiquattro anni, il romanzo La signora delle camelie ha prodotto subito un mito, che occuperà l’immaginario di intere generazioni e riempirà le scene, sia quelle del teatro di prosa, sia quelle del teatro d’opera, e successivamente gli schermi del cinema. Lo stesso Dumas ne fece una versione teatrale, affidandola a Sarah Berhnardt. Pochi anni dopo Giuseppe Verdi saprà farne una trasposizione sublime, in musica, con La Traviata“.
(dalla quarta di copertina dell’ed. Newton Compton, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… 19 febbraio. Dàtemi questa soddisfazione, almeno. Riconoscetelo. Ho il diritto o no di dare del farabutto al mio destino?…”
Achille Campanile, Il diario di Gino Cornabò

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“… 19 febbraio. … Quello che non capisco è perché, da qualche giorno, mi scruta con ironia…”
Raymond Queneau, Il diario intimo di Sally Mara