13 Gennaio

13 gennaio 2014

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Il tredici gennaio del milleottocentosessantacinque, a mezzogiorno e mezzo, a Elena Ivanovna, la consorte di Ivan Matveič, mio colto amico e collega e in parte anche lontano parente, venne il desiderio di vedere il coccodrillo che veniva mostrato, dietro pagamento di una certa somma, nel Passage. Avendo già in tasca il biglietto per un viaggio all’estero (che voleva intraprendere non tanto per motivi di salute, quanto per curiosità) e avendo di conseguenza già ottenuto un congedo dal servizio ed essendo dunque quel mattino assolutamente libero, Ivan Matveič non solo non si oppose alla realizzazione del desiderio della sua consorte, ma anzi fu anch’egli infiammato da quella curiosità. “Splendida idea” disse tutto contento “andiamo a vedere il coccodrillo! 

Fëdor Dostoevskij, Il coccodrillo, 1865, tr. it. C. Moroni, in Racconti, Mondadori, 1991, p. 667

Molti racconti cominciano con una data e Dostoevskij  esordisce con una data precisa, radicata  nel tempo-spazio dell’inverno russo; introduce così il lettore nel patto di finzione, presentando uno dopo l’altro l’ora, la città di San Pietroburgo, la galleria detta Passage, gli antefatti dell’avvenimento. Poi la storia prende una piega singolare e lo straordinario si introduce nella trama di questo racconto non finito. 

Dicono del libro
“Un avvenimento insolito, o un passaggio nel Passage, racconto veritiero di come un signore, di una certa età e di un certo aspetto, fu inghiottito vivo e tutto intero dal coccodrillo del Passage, e di ciò che ne seguì”
(Dostoevskij)

Altre storie che accadono oggi

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“…  La notte fra il 12 e il 13 gennaio 1872 rifeci il misterioso sogno…”
Antonio 
Fogazzaro, Il mistero del poeta

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“… Era il 13 gennaio del 183… quando il signor Stockdale, il giovane in questione, fece il suo umile ingresso nel villaggio…”
Thomas Hardy, Il predicatore distratto

 

12 Gennaio

12 gennaio 2014

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Sabato 12 gennaio 1991
Di ritorno da casa dei Verne, un dente rotto. E’ sicuro: il molare superiore sinistro. La lingua va a controllare, rintraccia uno spigolo sospetto,  si scosta, poi torna, proprio così, il Cervino in bocca. 

Daniel Pennac, Storia di un corpo, 2012, tr. it. Y. Melaouah, Feltrinelli, Milano 2012, p. 249

Dicono del libro
“Al centro di queste pagine regna, con tutta la sua fisicità, il corpo dell’io narrante che ci accompagna nel mondo, facendocelo scoprire attraverso i sensi (…) Giorno dopo giorno, con poche righe asciutte o ampie frasi a coprire svariate pagine, il narratore ci racconta un viaggio straordinario, il viaggio di una vita, con tutte le sue strepitose scoperte, con le sue grandezze e le sue miserie”
(dalla bandella ed. Feltrinelli, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

 

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“…12 gennaio. Infila le mani in tasca. Lo stiamo disavvezzando al turpiloquio…”
Michail Bulgakov, Cuore di cane

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“Scrivo sulle pagine bianche del suo diario, dopo la lettera che dice ’12 gennaio 1965..”
Gianni RiottaUna gita ai Mani (Cambio di stagione)

 

 

 

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Friday Jan. 12, 2007 I do not feel / like doing anything / today. I want to / listen to music
Jonas Mekas, 365 Day project

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“…I’m a HAL 9000 computer. I became operational at the H.A.L. plant in Urbana, Illinois, on the 12th of January 1992…”
Stanley Kubrick, 2001. A Space Odyssey

 

 

11 Gennaio

11 gennaio 2014

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11 gennaio, 1955. Per un po’ camminai avanti e indietro attraversando la piazza nella tempesta di neve. Poi tornai nella mia stanza e mi liberai del giubbotto. Volevo cercare le parole sul dizionario. Mi tolsi gli stivali e lanciai il berretto sul lavandino. Volevo cercare le parole. Volevo cercare velleità e quotidiano e impararle a memoria, queste stronze di parole, una volta per sempre, impararne l’ortografia, la pronuncia, ripeterle ad alta voce, sillaba per sillaba – vocalizzare, produrre suoni vocali, emettere suoni, pronunciare le parole per quello che valevano. Questo è l’unico modo di sfuggire alle cose che hanno fatto di te quello che sei

Don DeLillo, Underworld, 1997, tr. it. Delfina Vezzoli, Einaudi, 1999, p.572,580

Questa frase segna la conclusione del lungo incontro che Nick Shay, uno dei personaggi-chiave di Underworld, ha avuto con padre Paulus, nel college sperimentale dei Gesuiti, in campagna, dove si trova, appena maggiorenne, dopo il riformatorio. Una frase di padre Paulus lo aveva particolarmente colpito quell’11 gennaio: “Lo vedi, come restano nascoste le cose di tutti i giorni? Perché non sappiamo come si chiamano”

Dicono del libro
“Un romanzo che fa esplodere la storia, i miti e la vita quotidiana dell’ America del dopoguerra e ne ricompone i resti.
In una vorticosa alternanza di epoche e figure, Delillo costruisce un puzzle di sequenze narrative dove protagonisti e comparse hanno lo stesso spazio, dove personaggi di finzione convivono con Lenny Bruce e con J. Edgar Hoover, il potente capo dell’Fbi. Seguendo i passaggi di mano di una pallina da baseball, cimelio di una famosa partita tra Giants e Dodgers, si finisce da una costa all’altra, da un’etnia all’altra, in un destino collettivo dominato dalle immagini e dai rifiuti. Scorie nucleari, pattume generico, feticci sentimentali, erotici, artistici.
Un affresco dell’America di ieri, di oggi e di domani come nei migliori film di Altman, ma con in piú la forza di una scrittura che ha fatto definire questo romanzo «il capolavoro della letteratura americana contemporanea.» ”
(quarta di copertina, ed. Einaudi, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

 

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“… ha debuttato al Teatro Verdi l’11 gennaio 1894 nella Carmen, dove ha la parte di Micaela…”
Fausta Cialente, Le quattro ragazze Wieselberger

 

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“… Facemmo rotta dritti a ovest e, l’11 gennaio, doppiammo il capo Wessel …”
Jules Verne, Ventimila leghe sotto i mari

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“…Era l’undici di gennaio, vero? La sera che sono nato io…”
Paul Auster, Moon Palace (segnalazione di Laura Leuzzi)

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Fabrizio De André, Preghiera in gennaio

 

 

 

 

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11 gennaio, 1955. Per un po’ camminai avanti e indietro attraversando la piazza nella tempesta di neve. Poi tornai nella mia stanza e mi liberai del giubbotto. Volevo cercare le parole sul dizionario. Mi tolsi gli stivali e lanciai il berretto sul lavandino. Volevo cercare le parole. Volevo cercare velleità e quotidiano e impararle a memoria, queste stronze di parole, una volta per sempre, impararne l’ortografia, la pronuncia, ripeterle ad alta voce, sillaba per sillaba – vocalizzare, produrre suoni vocali, emettere suoni, pronunciare le parole per quello che valevano. Questo è l’unico modo di sfuggire alle cose che hanno fatto di te quello che sei

Don DeLillo, Underworld, 1997, tr. it. Delfina Vezzoli, Einaudi, 1999, p.572,580

Questa frase segna la conclusione del lungo incontro che Nick Shay, uno dei personaggi-chiave di Underworld, ha avuto con padre Paulus, nel college sperimentale dei Gesuiti, in campagna, dove si trova, appena maggiorenne, dopo il riformatorio. Una frase di padre Paulus lo aveva particolarmente colpito quell’11 gennaio: “Lo vedi, come restano nascoste le cose di tutti i giorni? Perché non sappiamo come si chiamano”

Dicono del libro
“Un romanzo che fa esplodere la storia, i miti e la vita quotidiana dell’ America del dopoguerra e ne ricompone i resti.
In una vorticosa alternanza di epoche e figure, Delillo costruisce un puzzle di sequenze narrative dove protagonisti e comparse hanno lo stesso spazio, dove personaggi di finzione convivono con Lenny Bruce e con J. Edgar Hoover, il potente capo dell’Fbi. Seguendo i passaggi di mano di una pallina da baseball, cimelio di una famosa partita tra Giants e Dodgers, si finisce da una costa all’altra, da un’etnia all’altra, in un destino collettivo dominato dalle immagini e dai rifiuti. Scorie nucleari, pattume generico, feticci sentimentali, erotici, artistici.
Un affresco dell’America di ieri, di oggi e di domani come nei migliori film di Altman, ma con in piú la forza di una scrittura che ha fatto definire questo romanzo «il capolavoro della letteratura americana contemporanea.» ”
(quarta di copertina, ed. Einaudi, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… ha debuttato al Teatro Verdi l’11 gennaio 1894 nella Carmen, dove ha la parte di Micaela…”
Fausta Cialente, Le quattro ragazze Wieselberger

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“… Facemmo rotta dritti a ovest e, l’11 gennaio, doppiammo il capo Wessel …”
Jules Verne, Ventimila leghe sotto i mari

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“…Era l’undici di gennaio, vero? La sera che sono nato io…”
Paul Auster, Moon Palace (segnalazione di Laura Leuzzi)

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Fabrizio De André, Preghiera in gennaio

10 Gennaio

10 gennaio 2014

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Né adagio né presto altri tre mesi erano passati. Natale si era già dissolto nella lontananza, anche il nuovo anno era venuto portando per qualche minuto agli uomini strane speranze. Giovanni Drogo già si preparava a partire. Occorreva ancora la formalità della visita medica, come gli aveva promesso il maggiore Matti, e poi sarebbe potuto andare. Egli continuava a ripetersi che questo era un avvenimento lieto, che in città lo aspettava una vita facile, divertente e forse felice, eppure non era contento. Il mattino del 10 gennaio entrò nell’ufficio del dottore, all’ultimo piano della Fortezza

Dino Buzzati, Il deserto dei Tartari, 1940, Mondadori, 1984, pp. 84-85

Finita l’Accademia militare, il tenente Giovanni Drogo è arrivato alla Fortezza Bastiani in settembre, con la sensazione che la sua vera vita avesse inizio allora. Trascorsi tre mesi e le feste, Drogo decide di chiedere un permesso per tornare nella sua città. Per questo si presenta alla visita medica il mattino del 10 gennaio. Ma qualcosa, alla fine, gli fa cambiare idea e resta alla Fortezza, dove il tempo si consuma “con il suo immobile ritmo”, fra abitudini, attese di azioni eroiche di cui non si crea l’occasione, ripetizioni di situazioni simili. Uno dei temi di questo racconto è la scansione irregolare del tempo, che appare continuamente come una risorsa inesauribile e come qualcosa che è sfuggito per sempre. 

 

Dicono del libro
“La magia costituisce il lievito delle pagine migliori di Buzzati e restituisce il suono più vero della scoperta.” Così scrive Alberico Sala presentando il romanzo Il deserto dei tartari, il più famoso romanzo di Buzzati. Il tema della vita come rinunzia è tipica dell’arte dello scrittore veneto-milanese che, senza mai perdere di vista l’elemento reale, in questo suo romanzo ricrea il clima rarefatto dell’allegoria. Giovanni Drogo, tenente di prima nomina destinato a Forte Bastiani, si avvia alla meta con l’indefinibile presentimento che qualcosa nella sua vita stia portando a una totale sulitudine. La fortezza, enorme, gialla, situata ai limiti del deserto, una volta regno dei mitici nemici, i Tartari, lo accoglie con la sua maestosa imponenza. Il tenete Drogo viene contaminato da quel clima eroico di avidità di gloria, che sembra pietrificare, in un’attesa perenne, ufficiali e soldati”

 

Altre storie che accadono oggi

 

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“… E ora arriviamo alle otto di sera del 10 di gennaio. La notte è buia e ventosa; ha nevicato…”
Matthew Phipps Shiel, Il principe Zaleski

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“… Oggi, 10 gennaio 1610, l’umanità scrive nel suo diario: abolito il cielo!…”
Bertolt Brecht, Vita di Galileo (segnalazione di Michele Brescia)

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“… Quella di venerdì 10 gennaio 1975 era una di quelle serate che si può solo sperare che si ripetano…”
Maj Sjöwall, Per Wahlöö, Terroristi (segnalazione di Laura Leuzzi)

 

9 Gennaio

9 gennaio 2014

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Quattro giorni or sono, il nove gennaio, ricevetti con la posta del pomeriggio una lettera raccomandata il cui indirizzo rivelava la calligrafia del mio collega, e vecchio compagno di scuola, Henry Jekyll. Ne fui sorpreso non poco poiché non avevamo mai avuto l’abitudine di ricorrere a scambi epistolari. Oltretutto l’avevo incontrato la sera prima trattenendomi con lui a cena, e, per quanto potessi immaginare, non c’era nulla nei nostri rapporti che richiedesse una simile procedura formale. Il contenuto della missiva aumentò il mio stupore

Robert L. Stevenson, Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde, 1886, tr. it. A. Brilli, Mondadori, 1993, p. 52

 

Verso le tre di un mattino d’inverno”, “in una tipica notte di marzo gelida e ventosa”, in giornate buie, senza paesaggio, si svolge lo strano caso del medico Henry Jekyll che, sperimentando droghe che alterano la personalità, si trasforma nel pericoloso criminale Edward Hyde. La reversibilità di questa trasformazione diventa via via più difficile e Hyde, verso le undici di una sera d’ottobre, uccide un uomo. Mentre Jekyll è sopraffatto dal suo rovescio, cercano di portargli aiuto l’amico avvocato Utterson e  il collega Lanyon. La data del 9 gennaio è riportata proprio nel memoriale del dottor Lanyon, che sarà testimone in diretta della metamorfosi Jekyll-Hyde e avrà fra le mani il taccuino del dottore, fitto di centinaia di date che riportano i suoi inquietanti esperimenti.

Dicono del libro
“La storia di Jekyll e Hyde segna il culmine della fascinosa indagine stevensoniana sulla scissione della personalità, di quello scandalo che, come notava G. K. Chesterton, ci obbliga a riconoscere non tanto che sotto la pelle di un uomo ce ne sono due, quanto che due uomini sono la medesima persona”
Attilio Brilli (prefazione ed. Mondadori, op. cit.)

 

Altre storie che accadono oggi

 

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“… il Giorno del Giudizio Universale aveva già avuto luogo il 9 gennaio del 1757….”
Enrique Vila-Matas, Un’aria da Dylan

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“…Mi svegliai in un letto sconosciuto la mattina del 9 (gennaio), e da allora la mia vita ricominciò…”
Paul Auster, Il libro delle illusioni

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“… Sono nata il 9 gennaio 1908, alle quattro del mattino…”
Simone de Beauvoir, Memorie d’una ragazza perbene
(segnalazione di @La_peau_douce)« »

 

8 Gennaio

8 gennaio 2014
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Rividi Schlaggenberg nell’anno nuovo, il sabato dopo l’Epifania, l’8 gennaio; e solo per pochi minuti, di notte, fra altra gente. Quella sera c’era una delle solite grandi baldorie o gozzoviglie in massa, preparate dal capitano di cavalleria barone von Eulenfeld, cui partecipava gente presa da tutte le parti e trasportata addirittura in automobile. (…) Era un terribile pandemonio che si scatenava attraverso i piccoli bar e caffè del centro, come attraverso le osterie suburbane e alla fine, dopo un avvicendarsi d’innumerevoli tappezzerie, caffè, bettole, alloggi privati, ateliers, cabarets e locali notturni di ogni specie, il tutto si concludeva in una di quelle perfette nebulose alla Eulenfeld che, anche per la “sbornia” (così la chiamava il capitano) a cose fatte spesso non era facile localizzare

Heimito von Doderer, I demoni, 1956, tr. it. C. Bovero, Einaudi, 1979, vol. I, p.64

 

Dicono del libro
“L’opera di Heimito von Doderer (Vienna 1896-1966) segna l’epilogo della grande tradizione narrativa che, sviluppatasi all’ombra dell’impero absburgico in dissoluzione, culmina nei romanzi di Musil e di Broch. Ed è la risposta a quell’esperienza storica, che viene interpretata da Doderer come conseguenza di un predominio sempre piu manifesto della «falsa coscienza» ideologica. Nei «Demoni» l’autore tenta un’interpretazione personalissima – affascinante, anche se talora sconcertante – dell’alienazione che sta alla radice di buona parte della letteratura d’avanguardia. Se ne discosta tuttavia perché conserva nella sua narrazione tutto ciò che manca di solito al romanzo contemporaneo: un mondo ricco di colori e pieno di vitalità, che sprigiona una forza consolatrice e rassicurante, una padronanza assoluta del mondo poetico, una sapiente maestria nel muovere un’imponente schiera di personaggi, i cui destini intrecciati formano il tessuto imprevedibile della vita”

 

Altre storie che accadono oggi

 

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“… L’8 (gennaio) si verificò una cosa singolare. Il conte finalmente acconsentì a vedere Maude Cibras…
Matthew Phipps Shiel, La stirpe degli Orven. Il principe Zaleski

pittura
Ben McLaughlin, January 8 2001: The People of Britain will get a chance to see a total lunar eclipse tomorrow night, 2001, olio su tavola

 

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Ascanio dall’8 di gennaio e le date in fondo al tubo 

 

7 Gennaio

7 gennaio 2014

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Per le anatre avevo inventato una specie di amo, fatto con spille e con acini di granturco, che mettevo a galleggiare nell’acqua sopra delle foglie che tenevo fissate con una bacchetta infilzata nel fango della riva; ma erano poche le anatre che abboccavano e se una rimaneva prigioniera, le altre andavano via con i loro voli che disegnavano una lettera altissima nel cielo.
Queste lettere delle anatre erano altri segnali del mutare dell’invernata, finché mi trovai al 7 gennaio, giorno del mio compleanno

Paolo Volponi, La macchina mondiale, 1965, Garzanti 1973, p. 206

Dal suo angolo di campagna marchigiana, Anteo Crocioni – scienziato e filosofo autodidatta, fine osservatore della natura – riflette sul sistema dell’esistente, sulle generazioni di individui che, come macchine autopoietiche, producono altri individui, ripetendo autonomamente l’opera dei progettisti dell’universo. Lavora a un trattato sulla “genesi e sulla palingenesi”, per la costituzione di una “nuova Accademia dell’Amicizia”, corredato di schemi e disegni, e ragiona sulla costruzione di macchine esperte in grado di migliorare l’evoluzione dell’uomo stesso. Emarginato e avversato dalla famiglia di origine e da quella della moglie Massimina, che scappa a Roma, Anteo pellegrina fra le Marche e la capitale, sempre inseguendo le sue ricerche e la donna amata, finché viene rimandato a casa con un foglio di via. Il giorno del compleanno, 7 gennaio, è una data immersa nella natura, nella neve, nelle tracce degli animali. Una data naturale, tanto diversa dalle date burocratiche dei verbali dei tribunali, con cui il romanzo si apre, e da quelle di cronaca nera, che si affollano verso la fine della storia. 

Dicono del libro
“La macchina mondiale (1965) è il secondo romanzo di Paolo Volponi, che vi intreccia magistralmente i temi e i modi espressivi che gli sono cari: il rapporto fra mondo contadino e mondo industriale-cittadino, la carica eversiva dell’ideologia contro i ritardi, le chiusure e le sordità morali della società italiana, la fervida sperimentazione linguistica e stilistica. Per Volponi, come per Anteo, la vera pazzia è di quanti accettano l’infelicità e l’ingiustizia senza accorgersi della possibilità di una vita rinnovata e felice”.

Altre storie che accadono oggi

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“… Tuttavia il mattino successivo, sette gennaio, un martedì, la cerca riprese…”
Rainer Maria Rilke, I quaderni di Malte Laurids Brigge

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“…7 Gennaio, 1855 Oggi è l’ultimo giorno che passeremo qui a Monte Ilice. Domattina partiremo per Catania…”
Giovanni Verga, Storia di una capinera (segnalazione di @seanmichealhall)

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“… Il 7 gennaio, alle 4 e 14 a.m., sobriamente camuffato da andino boliviano, salii sul Panamericano…”
Jorge Luis Borges, Adolfo Bioy Casares, Le notti di Goliadkin

6 Gennaio

6 gennaio 2014

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Sono già oggi trascorsi trecentoquarantotto anni sei mesi e diciannove giorni da che i parigini si svegliarono al frastuono di tutte le campane che suonavano a distesa nella tripla cerchia della Cité, dell’Université e dell’intera città.
Il 6 gennaio 1482 non è però un giorno che la storia ricordi. Nulla di rimarchevole nell’evento che così scuoteva, fin dal mattino, le campane e i borghesi di Parigi. Non si trattava né di un assalto di piccardi o di borgognoni, né di un reliquiario portato in processione, nè di una rivolta di scolari nella vigna di Laas, né di un ingresso del nostro temutissimo signor Messere il re, nemmeno di una bella impiccagione di briganti e di brigantesse in Place de la Justice a Parigi (…)
Il 6 gennaio, il che metteva in subbuglio tutto il popolo di Parigi, come dice Jean de Troyes, ricorrevano entrambe le solennità, fatte coincidere da tempo immemorabile, dell’Epifania e della Festa dei Folli

Victor Hugo, Notre-Dame de Paris, 1831, tr. it. F. Scotto, ed. cons. Gruppo editoriale L’Espresso, 2003, pp. 5-6

Un mare di gente invade le strade di Parigi  il 6 gennaio 1482, giorno dell’Epifania, data in cui hanno inizio le vicende del romanzo Notre-Dame de Paris di Victor Hugo. È un giorno di feste e di rituali che si tengono in diversi luoghi – aperti e chiusi –  della città, fra cui il palazzo di Giustizia, nella cui sala immensa si affollano migliaia di parigini. Aspettano sin dal mattino presto di assistere al ‘mistero’, una sacra rappresentazione di cui è autore il poeta Pierre Gringoire. Ma lo spettacolo più atteso è l’elezione del re dei folli, una tradizione popolare che incorona – nel “livido chiarore” di quel 6 gennaio – il gobbo Quasimodo, campanaro della cattedrale, mentre  fa la sua comparsa la zingara Esmeralda e l’intreccio degli avvenimenti si mette in moto.

Dicono del libro
“Hugo ci fa credere che i protagonisti della vicenda siano esseri umani, mentre in verità – ma il titolo ne dovrebbe già essere spia – il personaggio centrale e incombente della storia è cuna chiesa. Che lì rimane malgrado le sue trasformazioni, ingoia ed espelle, nel senso più letterale del termine (leggetevi gli ultimi capitoli), il magma degli insetti bipedi che l’attorniano, e sola sopravvive tetragona _ Hugo lo ha pur detto – come una sfinge”.
(Dallintroduzione di U. Eco all’ed. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… A partire dall’Epifania, sedevamo ogni notte alla bianca parata del tavolo risplendente di calendari e di argenti, facendo solitari senza fine….”
Bruno Schulz, La cometa

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“… Oggi per me è una bellissima giornata. Viva la Befana!…”
Vamba, Il giornalino di Gian Burrasca

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“… 6 gennaio. le feste natalizie sono trascorse come al solito melanconicamente…”
Ennio Flaiano, Un marziano a Roma

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“… perché è il colmo che anche il giorno della Befana si debba fare politica…”
Manuel Vázquez Montalbán, Assassinio al Comitato Centrale

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“… ‘Si chiama teofania’, disse Fat. ‘O epifania’. ‘L’Epifania’ disse Sherri, adattando la voce al ritmo lento del suo ferro da stiro, ‘ è una festa che si celebra il 6 gennaio…”
Philip Dick, Valis

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“… Oggi è il 6 gennaio: festa della Befana. Domani tornerò a scuola…”
Aurelio Picca, L’esame di maturità

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“… Riveniva a suonare il giorno dell’Epifania, quando arrivano i Re Magi…”
Antonio Pennacchi, Canale Mussolini

5 Gennaio

5 gennaio 2014

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Volle il fato che in una notte fredda e senza luna, e di insistente e fine pioggia d’alto mare, distante parecchie miglia dalla costa sud di Babàkua, il grande pittore Panizo del Valle, che indossava un impermeabile grigio quasi identico al mio, andasse ad appoggiarsi al parapetto dove stavo appoggiato anch’io, su quella nave così fiera del suo passato (nientemeno il Bel Ami con la sua storica chiglia), che ci portava in quel remoto paese dove io ero così rispettato e amato e dove avevo pilotato – che bei giorni quelli in cui si cammina senza sapere che il tempo cammina con noi – una fantastica baleniera.
Era la notte del cinque gennaio del 1917

Enrique Vila-Matas, Mi dicono che dica chi sono (Suicidi esemplari), 1991, tr. it. L. Panunzio Cipriani, Sellerio, 1994 p. 137

Nella notte nebbiosa del 5 gennaio, su una nave che sta per approdare nell’isola di Babàkua, uno strano dialogo ha luogo fra il narratore  – che si presenta come marinaio – e un pittore, che sta andando per la prima volta nel luogo da cui provengono tanti soggetti dei suoi quadri. Via via che sul ponte della nave  la conversazione prosegue, il marinaio-narratore si rivela insidioso e allarmante per il pittore, presentandogli i difetti del paese in cui stanno per approdare, e la malignità dei suoi abitanti, che il pittore ha ritratto in passato. Le insidie, le ambiguità, gli allarmi si riflettono anche nelle frasi alla rovescia che il narratore pronuncia e nel suo nome e cognome “Satam Alive” in cui risuona il termine diavolo. Intanto la nave raggiunge il porto e la vicenda si avvia a compiersi. 

Dicono del libro
“Di dieci, ignoti, suicidi Vila-Matas finge in questo libro la cronaca: in dieci città diverse, di uomini non illustri che cercavano nella vita ‘estraña y hostil’ una mappa privata. Non per sfuggire dolori e disperazioni, ma praticando un’arte di scomparire che ha nel suicidio, commesso o devotamente contemplato, il perfezionamento”.
(Dalla bandella dell’ed. Sellerio, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“…. arrivai a Parigi la mattina del 5 gennaio 1757, di mercoledì; mai in vita mia feci viaggio più gradevole…”
Giacomo Casanova, Fuga dai Piombi


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“… Il 5 gennaio 1888 … egli fu rinvenuto su una piccola imbarcazione dal nome illeggibile…”
Herbert G. Wells, L’isola del dottor Moreau


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“… e una mattina, era la vigilia dell’Epifania, il 5 gennaio del 1900, una data impossibile da dimenticare…”
Vasco Pratolini, Metello
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“.. L’affaire di Marina e Demon cominciò il giorno del compleanno di lui, di lei e di Daniel Veen: il 5 gennaio 1868…”
Vladimir Nabokov, Ada 

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“… I giorni passarono con una rapidità spaventosa; dovevamo ripartire il 5 gennaio…”
Michel Houellebecq, Piattaforma

 

4 Gennaio

4 gennaio 2014

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Comprai l’attrezzatura da pesca e le esche, e andavo fuori cento metri oltre la mia casa, prendevo corbine e sgombri, e una volta presi un halibut. Li portavo a casa, li cucinavo ed erano pessimi, li buttavo fuori sulla sabbia, e gabbiani vigili piombavano giù e se li portavano via. Un giorno dissi: devo scrivere qualcosa. Scrissi una lettera a mia madre, ma non riuscii a metterci la data. Non avevo la cognizione del tempo. Andai a trovare la giapponese e le domandai la data.
‘Il quattro gennaio’ disse lei.
Sorrisi. Ero stato lì due mesi, e non mi erano sembrati più di due settimane 

John Fante, Sogni di Bunker Hill, 1982, tr. it. F. Durante, Marcos y Marcos, Milano, 1996, p. 121

In continua fuga da frustrazioni e figuracce, e da fallimenti con le donne che incontra nella Los Angeles degli anni Trenta, l’aspirante scrittore Arturo Bandini ha cambiato diversi alloggi, stanze d’hotel, bungalow, case di amici. Dopo  un incarico come sceneggiatore presso una casa di produzione, durante il quale ha ricevuto molti soldi senza fare niente e dopo aver rifiutato di firmare la sceneggiatura di un film a quattro mani, Bandini si rifugia a Terminal Island, nel silenzio e nella solitudine. Le giornate passano fra le letture dei libri della biblioteca pubblica e la pesca. Il tempo senza scrittura non ha scansioni e Bandini si accorge di quanto a lungo si trova lì solo nel momento in cui decide di scrivere alla madre a Boulder, Colorado. 

Dicono del libro
“Giovane e bellicoso figlio di immigrati italiani, Arturo Bandini è uno scrittore a caccia di lavoro e di fama a Hollywood. Il racconto appena pubblicato sulla rivista ‘American Phoenix’ gli vale l’attenzione di un noto e sordido agente letterario, Gustave Du Mont, che gli affida la revisione di un orribile racconto della ricca e gloriosamente bella (‘c’era così tanto da vedere in lei’) Jennifer Lovelace. Sbugiardato di fronte a lei dallo stesso Du Mont per aver stravolto il racconto, Bandini si licenzia, e tenta maldestramente di sedurre Jennifer in occasione di una gita al mare, sicché tutto va a rotoli. Bandini scritturato da un ricco produttore della Columbia, Harry Schindler, da cui riceve un sacco di soldi senza dover scrivere una sola parola. Bandini vorrebbe essere un vero scrittore…”
(Dalla quarte di copertina dell’edizione Marcos y Marcos, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… La mattina del 4 gennaio 1925 mia madre fu colta dalle doglie…”
Yukio Mishima,Confessioni di una maschera 

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“… Sono nato il 4 gennaio 1951, nella prima settimana del primo mese del primo anno della seconda metà del ventesimo secolo…”
Haruki Murakami, A sud del confine, a ovest del sole

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“4 genn.1929  La vita, insomma, è molto solida o molto instabile? Sono ossessionata da questa contraddizione ”
Virginia Woolf  (segnalazione di Adriana Giuffrida ‏@melanthea)

3 Gennaio

3 gennaio 2014

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Fin da S. Silvestro spirava un forte vento di nord-est, che nei giorni seguenti si accrebbe quasi fino a diventare una tempesta, e il pomeriggio del tre gennaio corse la voce che una nave non era riuscita ad entrare in porto, ed era naufragata a cento metri dal molo; era una nave inglese… Furono tratti in salvo tutti quanti, e mezz’ora dopo, tornando a casa con Innstetten, Effi avrebbe voluto gettarsi sulla sabbia e piangere. Un sentimento puro aveva trovato nuovamente posto nel suo cuore, ed essa si sentiva infinitamente felice che fosse così. Questo era accaduto il tre di gennaio

Theodor Fontane, Effi Briest, 1895, tr. it. E. Linder, Garzanti, 1981, p. 150

Effi è stata una ragazza spensierata, che ha lasciato la casa paterna per seguire il marito nel nord della Germania, in un ambiente desolato e solitario. Gli anni sono trascorsi fra abitudini pedanti e poco calore, malgrado la nascita di una figlia. L’arrivo di un nuovo comandante del distretto, un viaggio notturno in slitta durante le feste di Natale, la trascinano nell’avventura e nell’ambiguità. Il 3 di gennaio di un anno alla fine dell’Ottocento, mentre assiste al salvataggio dei marinai, Effi prova una gioia  pura, così diversa dalla sua condizione. E quel giorno ha come un presentimento, per contrasto, dei giorni infelici che la attendono.

Dicono del libro
“Effi Briest, più ancora di Emma Bovary, tradisce non per passione, ma per noia, per rompere la monotonia della vita coniugale. La sua vicenda è narrata con grande penetrazione psicologica da Fontane ed è stata anche ripresa in un bellissimo film del regista tedesco Rainer Fassbinder.”

 

Altre storie che accadono oggi


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“…’Non sarò libero prima del mese di gennaio’ ‘Che giorno?’ ‘Le va bene il 3? Verso le sette al Criterion?'”
Raymond Queneau, Gli ultimi giorni

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“.. lo Svedese aveva trovato la data 3/1/68 scritta, con la sua calligrafia, nel quaderno a spirale…”
Philip Roth, Pastorale americana

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“… Il quinto paio di scarpe lo comperai il 3 gennaio del ’72 in un posto denominato Lake Elsinore…”
Paul Auster, Moon Palace

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Il 3 gennaio i terroristi, guidati da Sergio Segio, danno l’assalto al carcere di Rovigo, La prima linea di Renato De Maria (segnalazione di Enrico Magrelli @enricomagrelli)

2 Gennaio

2 gennaio 2014
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2 gennaio 1922. Sui fogli posati sopra il tavolo, al posto dei soliti bozzetti, ho scritto con una grafia che stento a riconoscere: “Sono le sei del mattino e Diego non è qui”. Con stupore osservo lo scarabocchio sul foglio bianco che non mi azzarderei mai a usare se non per un disegno: “Sono le otto del mattino, non sento Diego far rumore, andare in bagno, percorrere il tratto dall’entrata sino alla finestra e guardare il cielo con un movimento lento e grave come era sua abitudine fare, credo che diventerò pazza”. (…) Le ultime parole sono tracciate con violenza, strappano quasi il foglio e piango davanti all’ingenuità del mio sfogo. Quando l’ho scritto? Ieri? L’altro ieri? La sera scorsa? Quattro sere fa? Non so, non ricordo

Elena Poniatowska, Caro Diego ti abbraccia Quiela, 1978, tr. it. S. Zatta, Giunti, Firenze, 1992, p.44

Dicono del libro
“Autunno del 1921: dal grigio, dal freddo e dalla miseria della Parigi del dopoguerra l’artista russa Angelina Beloff (San Pietroburgo 1879-Città del Messico 1969) scrive al pittore messicano Diego Rivera (1886-1957), suo compagno per diaci anni nella capitale francese. Da qualche mese Rivera è tornato definitivamente in Messico, ma Angelina non ha potuto seguirlo. Il rapporto fra i due artisti, ormai concluso, rivive in queste dodici lettere senza risposta, immaginate e ricreate da Elena Poniatowska sulla scorta di notizie storicamente documentate”

(dalla bandella dell’ed. Giunti op. cit.)

 

Altre storie che accadono oggi

 

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“… La vigilia dello sposalizio, il 2 gennaio, il termometro segnava quaranta gradi…”
Silvina Ocampo, Le nozze

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“… Il 2 di gennaio, fui convocata a una riunione nell’ufficio di Harry Tapp al secondo piano…”
Ian McEwan, Miele

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“2 genn. 1950 È destino ciò che si fa senza saperlo, abbandonandosi”
Cesare Pavese, Il mestiere di vivere (segnalato su Twitter da Adriana Giuffrida @melanthea)

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“… 2 gennaio.Che pranzo ieri! Quanti dolci e liquori e rosolii e pasticcini …”
Vamba, Il giornalino di Gian Burrasca (segnalazione di ag @alegissi)

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“Il 2 di gennaio e’ il giorno in cui escono i rapporti sui raccolti…È il momento più critico dell’anno”
Dan Aykroyd in  Una poltrona per due (segnalazione di Enrico Magrelli @enricomagrelli)

 

1 Gennaio

1 gennaio 2014

 

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Sapevo di essermi innamorato di Lolita per sempre; ma sapevo anche che lei non sarebbe stata per sempre Lolita.Il primo gennaio avrebbe compiuto tredici anni.
Entro un paio d’anni avrebbe cessato di essere una ninfetta e si sarebbe trasformata in una ‘ragazza’, e poi, orrore degli orrori, in una college girl.
La parola ‘per sempre’ si riferiva solo alla mia intima passione, a quell’eterna Lolita che si rifletteva nel mio sangue    

Vladimir Nabokov, Lolita, 1955, tr. it. G. Arborio Mella, Adelphi, 1993, p. 86

Chi parla di questo primo gennaio, nel romanzo di Nabokov, è il professor Humbert Humbert. Colto europeo trasferitosi nel New England, vive nella casa della signora Haze, la cui figlia dodicenne, Dolores detta Lolita, è una fanciulla in fiore, immagine perfetta, antichissima e attuale, del desiderio. Quando Humbert Humbert riflette sul compleanno della ragazza, la vicenda è a una svolta. Stanno per accadere dei fatti (il matrimonio con la Haze e la morte di questa) che porteranno Humbert Humbert e Lolita in un viaggio attraverso gli Stati Uniti, fra motel e cittadine sconosciute, sospetti, capricci, perversioni. Intanto Lolita cresce, comincia a frequentare amiche e ragazzi, finché non scappa, realizzando il presentimento di Humbert Humbert sull’inesorabile passaggio di tempo di cui il compleanno è simbolo e soglia. 

 

Dicono del libro
«Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lo-li-ta: la punta della lingua compie un percorso di tre passi sul palato per battere, al terzo, contro i denti. Lo. Li. Ta. «Era Lo, semplicemente Lo al mattino, ritta nel suo metro e quarantasette con un calzino solo. Era Lola in pantaloni. Era Dolly a scuola. Era Dolores sulla linea tratteggiata dei documenti. Ma tra le mie braccia era sempre Lolita».   «Dopo trentasei anni, rileggo Lolita di Vladimir Nabokov… Trentasei anni sono moltissimi per un libro. Ma Lolita ha, come allora, un’abbagliante grandezza. Che respiro. Che forza romanzesca. Che potere verbale. Che scintillante alterigia. Che gioco sovrano. Come accade sempre ai grandi libri, Lolita si è spostato nel mio ricordo. Non mi ero accorto che possedesse una così straordinaria suggestione mitica»
Pietro Citati (quarta di copertina Adelphi, op. cit.)

 

 Altre storie che accadono oggi

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“… una gran tempesta di neve annunciava a New York il Capodanno del 1949…”
Jack Kerouac, Sulla strada

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“… Prima di chiudere gli occhi, vide filtrare dalla finestra il chiarore con cui l’alba del nuovo anno illuminava la sua esistenza…”
Juan José Millás, Laura e Julio

 

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“At 06.27 hours on 1 January 1975, Alfred Archibald Jones was dressed in corduroy”
Zadie Smith, White Teeth (segnalazione di Simone Liuzzi)

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“Scusa per i cambi di stagione che vivo ad ogni mese / scusa per la mia felicità ogni primo di gennaio
Dente, Chiedo
Giacomo Balla autoritratto courtesy Elena Gigli
Giacomo Balla, Autoritratto, olio su tavola, 1940
(courtesy E. Gigli)

 

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Sapevo di essermi innamorato di Lolita per sempre; ma sapevo anche che lei non sarebbe stata per sempre Lolita.Il primo gennaio avrebbe compiuto tredici anni.
Entro un paio d’anni avrebbe cessato di essere una ninfetta e si sarebbe trasformata in una ‘ragazza’, e poi, orrore degli orrori, in una college girl.
La parola ‘per sempre’ si riferiva solo alla mia intima passione, a quell’eterna Lolita che si rifletteva nel mio sangue    

Vladimir Nabokov, Lolita, 1955, tr. it. G. Arborio Mella, Adelphi, 1993, p. 86

Chi parla di questo primo gennaio, nel romanzo di Nabokov, è il professor Humbert Humbert. Colto europeo trasferitosi nel New England, vive nella casa della signora Haze, la cui figlia dodicenne, Dolores detta Lolita, è una fanciulla in fiore, immagine perfetta, antichissima e attuale, del desiderio. Quando Humbert Humbert riflette sul compleanno della ragazza, la vicenda è a una svolta. Stanno per accadere dei fatti (il matrimonio con la Haze e la morte di questa) che porteranno Humbert Humbert e Lolita in un viaggio attraverso gli Stati Uniti, fra motel e cittadine sconosciute, sospetti, capricci, perversioni. Intanto Lolita cresce, comincia a frequentare amiche e ragazzi, finché non scappa, realizzando il presentimento di Humbert Humbert sull’inesorabile passaggio di tempo di cui il compleanno è simbolo e soglia. 

Dicono del libro
«Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lo-li-ta: la punta della lingua compie un percorso di tre passi sul palato per battere, al terzo, contro i denti. Lo. Li. Ta. «Era Lo, semplicemente Lo al mattino, ritta nel suo metro e quarantasette con un calzino solo. Era Lola in pantaloni. Era Dolly a scuola. Era Dolores sulla linea tratteggiata dei documenti. Ma tra le mie braccia era sempre Lolita».   «Dopo trentasei anni, rileggo Lolita di Vladimir Nabokov… Trentasei anni sono moltissimi per un libro. Ma Lolita ha, come allora, un’abbagliante grandezza. Che respiro. Che forza romanzesca. Che potere verbale. Che scintillante alterigia. Che gioco sovrano. Come accade sempre ai grandi libri, Lolita si è spostato nel mio ricordo. Non mi ero accorto che possedesse una così straordinaria suggestione mitica»
Pietro Citati (quarta di copertina Adelphi, op. cit.)

 Altre storie che accadono oggi

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“… una gran tempesta di neve annunciava a New York il Capodanno del 1949…”
Jack Kerouac, Sulla strada

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Primo giorno dell’anno
un vento di mille anni fa
soffia tra i pini.
Onitsura 1661-37

Haiku segnalato da @SusannaTartaro

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“Un uomo mite, residente a Scanno / pensò di festeggiare il capodanno…”
Alessandra Celano, Limerick di fine anno

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“… Prima di chiudere gli occhi, vide filtrare dalla finestra il chiarore con cui l’alba del nuovo anno illuminava la sua esistenza…”
Juan José Millás, Laura e Julio

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“At 06.27 hours on 1 January 1975, Alfred Archibald Jones was dressed in corduroy”
Zadie Smith, White Teeth (segnalazione di Simone Liuzzi)

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“…Nothing changes on New Year’s Day..”
U2, New Year’s Day (segnalato da Sandra Muzzolini)

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“Scusa per i cambi di stagione che vivo ad ogni mese / scusa per la mia felicità ogni primo di gennaio
Dente, Chiedo

Giacomo Balla autoritratto courtesy Elena Gigli
Giacomo Balla, Autoritratto, olio su tavola, 1940
(courtesy E. Gigli)

31 Dicembre

31 dicembre 2013

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Oggi è l’ultimo giorno dell’anno. In tutto il mondo retto da questo calendario le persone si intrattengono a dibattere con se stesse le buone azioni che intendono mettere in atto nell’anno che incomincia, giurando che saranno rette, giuste ed equanimi, che dalla loro bocca emendata non uscirà mai più una parola cattiva, una bugia,  un inganno, anche se il nemico se lo meritasse, è chiaro che è degli uomini comuni che stiamo parlando, gli altri, quelli d’eccezione, fuori dell’ordinario, si regolano in base a ragioni proprie per essere e fare il contrario sempre che ne ricavino gusto o interesse, questi sono coloro che non si lasciano illudere, arrivano a ridersela di noi e delle buone intenzioni che mostriamo, ma, alla fin fine, lo impariamo con l’esperienza, già nei primi giorni di gennaio abbiamo dimenticato metà dei nostri propositi e, avendo tanto dimenticato davvero non c’è motivo di tener fede al resto, è come un castello di carte, se sono già caduti i piani alti, è meglio che rovini giù tutto e si mescolino i semi

José Saramago, L’anno della morte di Ricardo Reis, 1984, tr. it. R. Desti, Feltrinelli, 1985, p. 48

È il 31 dicembre del 1935 quando Ricardo Reis, medico portoghese di quarantotto anni, aspetta l’arrivo dell’anno nuovo nell’albergo Bragança di Lisbona. Nelle case di Lisbona si preparano i festeggiamenti e l’uva passa da mangiare a mezzanotte, un chicco per ogni rintocco, per chiamare la fortuna nei dodici mesi che verranno. È una giornata di temporali improvvisi e di schiarite. Ricardo Reis è arrivato a Lisbona da due giorni, dopo sedici anni di lontananza dal suo paese. Ha intenzione di aprire uno studio medico. Ma, prima di tutto, vuole rendere omaggio alla tomba di Fernando Pessoa, il poeta e amico morto un mese prima. È il poeta che l’ha inventato, proprio così, e grazie al quale vive una vita propria, apparentemente reale. Il 31 dicembre, dopo aver passeggiato per il centro, Ricardo Reis è tornato in albergo, dove tutti attendono, con gli occhi sull’orologio, la “riga di luce”, la “frontiera” invisibile che scandisce il passaggio da un anno all’altro. Rientrato in camera Reis trova seduto sul sofà proprio Pessoa: non è un fantasma, ma l’ombra che permane sulla terra per nove mesi dopo la morte e che lo visiterà ancora, da buon amico, per il tempo che gli rimane, pieno di avvenimenti privati e di tragedie pubbliche, la dittatura, e la guerra di Spagna del 1936. 

Dicono del libro
“Nel 1936, mentre all’orizzonte si preannuncia la seconda guerra mondiale, scoppia la guerra di Spagna. In quello stesso fatidico 1936 muore Ricardo Reis, solo un anno dopo la scomparsa del suo inventore, Fernando Pessoa. Reis è infatti uno dei tanti eteronimi di Pessoa, che ne aveva immaginato l’ideale biografia (nato a Porto nel 1887, educato dai gesuiti, medico, espatriato per ragioni politiche in Brasile nel 1919) e gli aveva attribuito come poeta classicistiche odi oraziane, ma non gli aveva dato carne e sentimenti. Cosa che invece compie Saramago, che lo fa tornare dal volontario esilio in occasione della morte del suo creatore, gli fa aprire uno studio medico a Lisbona, gli fa vivere una vita sociale, gli fa avere due donne, la cameriera d’albergo Lidia e la giovane Marcenda, e un figlio, e prima di morire lo fa essere testimone di tragici eventi, filtro attraverso cui rileggere la storia della patria salazarista, allineata a fascisti, nazisti e falangisti in tutt’Europa”.

(Dalla scheda del libro nel sito ibs)

Altre storie che accadono oggi

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“… Per la sera di San Silvestro poi il diavolo mi riserva sempre una festa speciale…”
E.T.A. Hoffmann, La notte di San Silvestro

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“… La sera del 31 dicembre arrivò un telegramma con le parole: Buon anno a te, Nora…”
Massimo Bontempelli, Gente nel tempo


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“… Una volta all’anno, il pomeriggio del 31 dicembre, si recava con i figli nella cattedrale…”
Sandor Marai, Divorzio a Buda
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“… Martedì  31 dicembre 199… Ore 19:00 Cristiano Carucci aveva in testa tre possibilità per sfangarequella maledettissima notte…”
Niccolò Ammaniti, L’ultimo capodanno dell’umanità

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“… E la notte di Capodanno del duemila, cosa farai? Scenderai giù nelle piazze a far capriole…”
Marco Lodoli, Diario di un millennio che fugge

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“…È l’ultimo giorno dell’anno. Un grande freddo vento dal nord si è impadronito della terra…”
Agota Kristof, La prova

 

 

30 Dicembre

30 dicembre 2013

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Quando, la mattina del 30 dicembre, nella via dei Condotti, inaspettatamente si rincontrò con Elena Muti, egli ebbe una commozione inesprimibile, come d’innanzi al compiersi d’un fatto meraviglioso, come se il riapparir di quella donna in quel momento tristissimo della sua vita avvenisse per virtù d’una predestinazione ed ella gli fosse inviata per soccorso ultimo o per ultimo danno nel naufragio oscuro

Gabriele D’Annunzio, Il Piacere, 1889, ed. cons. Mondadori 1990, p. 244

Dopo due anni di lontananza, il conte Andrea Sperelli incontra di nuovo, a Roma, la sua amante Elena Muti. Si sono lasciati senza un motivo e da allora Andrea ha avuto diverse avventure, ha affrontato un duello e si è innamorato di una donna sposata, molto diversa da Elena. Tornato a Roma in autunno, si è rituffato nella vita mondana della città. Il 30 dicembre, giornata serena e tiepida, quasi primaverile, passeggia fra le vetrine e le vetture di via dei Condotti, vicino a piazza di Spagna. È lì che inaspettatamente incontra Elena e la invita a casa sua per l’indomani, giorno di San Silvestro, ultimo dell’anno, sperando che l’incontro possa riportare in vita il passato che hanno vissuto insieme.

Dicono del libro
“Edito nel 1889, nello stesso anno e con maggior fortuna del Mastro-don Gesualdo di Verga, Il Piacere è il primo dei romanzi dannunziani. L’esperienza biografica nella Roma di fine secolo, mondana e bizantina, si fa letteratura: ‘Nel personaggio di Andrea Sperelli’ scrive D’Annunzio ‘c’è assai di me stesso colto sul vivo’”

(dalla quarta di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… non c’è paragone con questa mattina del millenovecentotrentacinque, trenta dicembre, con un cielo così coperto…”
José Saramago, L’anno della morte di Ricardo Reis

29 Dicembre

29 dicembre 2013

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Oki era l’unico viaggiatore in quel vagone. Sprofondato nel sedile, guardava distratto la poltrona sull’altro lato, che continuava a girare su se stessa. Non che girasse sempre nella medesima direzione o con la medesima velocità. Accelerava, rallentava, si arrestava di tanto in tanto e a volte rimaneva completamente  immobile per qualche minuto, poi riprendeva a girare nella direzione opposta. Guardando la poltrona che girava da sola nel vagone deserto Oki sentiva affiorare la solitudine stagnante in fondo al suo cuore, dove continuavano a fluttuare pensieri incerti. Era il ventinove dicembre. L’anno stava per finire. Oki aveva preso il treno perché voleva sentire il suono delle campane a Kyoto, nell’ultima notte dell’anno

Yasunari Kawabata, Bellezza e tristezza, 1965, tr. it. A. Suga, Einaudi 1983, p. 3

A due giorni dalla fine dell’anno, il celebre scrittore Oki sta viaggiando sul treno per Kyoto. Tutti gli anni, per capodanno, la radio trasmette i rintocchi delle campane di Kyoto e Oki vuole sentirli dal vivo. Ma non solo per questo ha intrapreso il viaggio. A Kyoto vive una donna con cui molti anni prima ha avuto una relazione, quando lei era una sedicenne e lui un uomo sposato. La storia era finita male, con un bambino nato morto e un tentativo di suicidio della ragazza. Dopo quella vicenda, Oki aveva pubblicato un libro di grande successo. Ora vuole rivedere la donna, che fa la pittrice e vive nel recinto di un tempio buddista. Per questo è sul treno, il 29 dicembre, mentre viene buio presto e il monte Fuji appare all’orizzonte. 

Dicono del libro
“L’arte, la contemplazione della natura, il mondo dei giovani, la fragilità dei sentimenti, l’omosessualità. Ma come in tutti i libri di Kawabata il senso nascosto è lo spietato incalzare del tempo”.

(Dalla scheda del libro nel sito Einaudi)

Altre storie che accadono oggi

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“… Fu l’effetto cumulativo di tutto questo che indusse Perry Parkhurst, il 29 dicembre, a prendere una decisione…”
Francis Scott Fitzgerald, La parte posteriore del cammello

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“… Tali, in certo senso, furono per me i giorni successivi a quel 29 dicembre, anzi sera, secondo 29 dicembre eterno della mia vita…”
Anna Maria Ortese, Il porto di Toledo

 

28 Dicembre

28 dicembre 2013

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Quanti, di qui a molti anni, avranno la ventura di rivedere risorte Reggio e Messina dal terribile disastro del 28 dicembre 1908, non potranno mai figurarsi l’impressione che si aveva, allorché, passando in treno, pochi mesi dopo la catastrofe, cominciava a scoprirsi, tra il verde lussureggiante dei boschi d’aranci e di limoni e il dolce azzurro del mare, la vista atroce dei primi borghi in rovina, gli squarci e lo sconquasso delle case

Luigi Pirandello, Il professor Terremoto, 1910, in Novelle per un anno, Giunti, 1994, vol. I, p. 572

In uno scompartimento di prima classe di un treno che percorre la Sicilia, i viaggiatori rievocano il terremoto che distrusse Messina il 28 dicembre 1908 e alcuni episodi di salvataggi ed eroismi che che accaddero in quella tragica occasione. Il professore protagonista della novella, però, ha un parere tutto suo sul tema dell’eroismo e sulle conseguenze di atti a prima vista sublimi. Più che esaltare l’attimo glorioso il professore considera l’evolversi successivo dei fatti, quando la vita ordinaria – passata l’emergenza – riprende il sopravvento. Come esempio porta se stesso, autore, anni prima, del coraggioso salvataggio di una famiglia di sei persone la cui riconoscenza, col tempo, è diventata una catena e un peso che ha rovinato la sua vita.

Dicono del libro
“Pubblicata nel ‘Corriere della sera’ del 10 aprile 1910; in La trappola, Milano, Treves, 1915; in L’uomo solo, Firenze, Bemporad, 1922″.

(Dalla nota nell’ed. Giunti, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… Nella notte del 28 dicembre dell’anno 1713 ho fatto un sogno. Man mano che mostravo forza di volontà, anche il contenuto del sogno cambiava…”
Yamamoto Tsunetomo, Hagakure

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“… Durante la notte dal 27 al 28 dicembre, il Nautilus abbandonò i paraggi di Vanikoro a grande velocità, facendo rotta per sud-ovest…”
Jules Verne, Ventimila leghe sotto i mari

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“… Che cosa direbbe Goethe della veduta, che si ha da questa finestra, della strada invernale, male illuminata…”
Saul Bellow, L’uomo in bilico

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“… Lunedì 28 dicembre 1987. E torno così alla creazione di questo diario … Ho 12 anni,quasi 13. Sono scout…”
Daniel Pennac, Storia di un corpo

 

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“… gli altri vecchietti lo seguivano con la distratta attenzione da 28 dicembre, giorno tradizionalmente riempitivo e privo di significato”
Marco Malvaldi,La tombola dei troiai

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“… Il 28 dicembre scorso, all’ora del tè, mi sono recato a Westminster, all’albergo dell’Elmo d’oro…”
Wu Ming, Manituana (segnalazione di @seanmichaelhall) 

 

27 Dicembre

27 dicembre 2013

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Così, la sera del 27 dicembre, si diresse verso le Petrovskie linii e, uscendo, mise nel manicotto la rivoltella di Rodja, carica e senza sicura, decisa a sparare contro Viktor Ippolitovic se lui le avesse risposto con un rifiuto, l’avesse fraintesa o comunque umiliata. Camminava per le vie festanti, in preda a un profondo turbamento, senza accorgersi di nulla intorno a sé. Nella sua testa già era echeggiato il colpo di pistola, non importava contro chi. Quello sparo era l’unica cosa di cui fosse cosciente. Seguitò a sentirlo per tutto il tragitto: era diretto contro Komarovskij, contro se stessa, contro il proprio destino, contro la quercia di Dupljanka, nella radura, col bersaglio intagliato nel tronco

Borìs Pasternàk, Il dottor Živago, 1957, tr. it. P. Zveteremich, ed cons. Feltrinelli, 1994, p. 67

Nelle case di Mosca, la sera del 27 dicembre di un anno al principio del Novecento, si festeggia la Festa dell’Albero di Natale ed è a una di queste feste che si sta recando la giovane Larisa Guichard, detta Lara. E non per prendere parte al rito tradizionale delle danze, delle luci e delle conversazioni. La sua intenzione è quella di sparare all’avvocato Komarovskij, un faccendiere che ha rovinato diverse persone, amante della madre e seduttore di Lara stessa. Nella fredda sera di dicembre, la ragazza cammina nella strada dei negozi, con la pistola del fratello nascosta nel manicotto e il desiderio di  compiere un gesto eversivo e liberatorio. Non riuscirà a uccidere Komarovskij, anzi la pallottola colpirà di striscio un altro ospite della festa e Lara, semisvenuta, attirerà l’attenzione e l’ammirazione di un giovane medico, Juri Živago, lì presente. È un giorno fatale, in cui si accavallano avvenimenti densi di conseguenze per le vite dei protagonisti, mentre intorno si preparano cambiamenti epocali durante i quali Lara e Juri si incontreranno e perderanno di vista diverse volte. 

Dicono del libro
“Borìs Pasternàk nacque ne 1890 a Mosca. Il suo ingresso nella vita intellettuale russa coincise con la moda del cubofuturismo e con le più accese esperienze di rinnovamento letterario. ma per quanto animato da un ansioso bisogno di ricerca, egli nn dimenticò mai la più genuina tradizione della su terra come testimonia l’opera poetica e, ancor meglio e di più, il romanzo. La sua poesia, così improduttiva ai fini della propaganda, non lo mise mai in buona luce presso le autorità; egli stesso , non per una ben individuata ragione di ordine politico, ma per un preciso bisogno di salvare la libertà dell’arte e del pensiero, sin dal 1930 visse in disparte nella sua dacia di Peredelkino, presso Mosca, dove morì nel 1960. Fu in questa volontaria solitudine che maturò e fu scritto Il dottor Živago”.
(Dalla quarta di copertina dell’ed. Feltrinelli, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… Il 27 di dicembre fuggì di casa col piccolo…”
Saul Bellow, Il re della pioggia

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“… E’ il 27 dicembre. Sediamo sulle stesse sedie. Sul tavolo c’è la stessa teiera, gli stessi sottobicchieri sotto le tazze da tè…”
Peter Høeg, Il senso di Smilla per la neve

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“… Un 27 dicembre mi sposai. Un quadro di Paul Klee dedicato al numero 27 sintetizza le luci e le ombre della società segreta…”
Enrique Vila-Matas, Storia abbreviata della letteratura portatile

26 Dicembre

26 dicembre 2013

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Il signor Willard mi portò in macchina sugli Adirondacks. Mi sentivo rimpinzata, ottusa e delusa, come sempre mi accade il giorno dopo Natale quasi che tutte le promesse, qualunque esse fossero: rami di pino, candele, regali avvolti in nastri d’oro e d’argento, fuoco del ceppo di betulla, tacchino natalizio e inni cantati al pianoforte mai si realizzassero. A Natale desideravo quasi di essere cattolica. Dapprima guidò il signor Willard, poi io. Non so di che parlassimo, e mentre ci lasciavamo alle spalle la campagna ormai sprofondata sotto precedenti nevicate e ci inoltravamo in un paesaggio ancora più squallido e gli abeti, di un verde così cupo da parer neri, scendevano a gruppi dalle grigie colline fino sull’orlo della strada, mi sentivo sempre più tetra

Sylvia Plath, La campana di vetro, 1963, tr. it. D. Menicanti, Mondadori, 1979, p. 80

In un albergo di New York, città dove sta svolgendo uno stage in una rivista, la giovane Esther, aspirante scrittrice, sente risvegliarsi un dolore alla tibia. È un dolore profondo, che la riporta a un episodio altrettanto doloroso, accaduto durante le feste di Natale. Il suo amico Buddy Willard, studente di medicina con cui ha una contrastata relazione, è ricoverato in un ospedale sui monti Adirondack, per curare una malattia dei polmoni. Esther va a trovarlo insieme col padre di lui, il signor Willard, che guida la macchina nel paesaggio innevato. La ragazza, in realtà, vorrebbe tornare indietro, ma non riesce a farlo e prosegue il viaggio verso Buddy e verso un incidente con gli sci, in cui riporterà la frattura della gamba. Il viaggio si svolge il 26 dicembre,  il giorno successivo al Natale, giornata che riflette in pieno – con la sua atmosfera da giorno-dopo la festa – l’insoddisfazione di Esther in quel momento. 

Dicono del libro
“E se il giovane Holden fosse stato una ragazza? In un albergo di New York per sole donne Esther, diciannovenne di provincia, studentessa brillante, vincitrice di un soggiorno offerto dalla rivista di moda più sofisticata, incomincia a sentirsi ‘come un cavallo da corsa in un mondo senza piste’. Intorno a lei, sopra di lei, l’America degli anni Cinquanta chiude una campana di vetro da cui sfugge a poco a poco l’aria. L’alternativa sta tra abbandonarsi al fascino soave della morte o ritrovarsi con la mente invasa dalle onde azzurre dell’elettroshock”.

(Dalla quarta di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… Il secondo giorno delle feste natalizie non si distinse altrimenti dagli altri comuni della settimana…”

Thomas Mann, La montagna incantata

 

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“… Un giornale del mattino basterà sempre a darmi notizie di me: X…, 26 dicembre…”
André Breton, Nadja

 

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“… Così terminava il sunto di Stillman del libretto di Henry Dark, datato 26 dicembre 1690, settantesimo anniversario dello sbarco della Mayflower…”
Paul Auster, Città di vetro

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“… Il giorno di Santo Stefano furono avvistate le prime rondini…”
Arto Paasilinna, L’allegra apocalisse

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I Cani,Il pranzo di Santo Stefano (segnalazione di Laura Serranti  @lau_serr)

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25 Dicembre

25 dicembre 2013

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Terribile senso di desolazione. Incombeva su di me da anni. Se credessi nelle stelle dovrei credere che io fossi proprio sotto l’influenza di Saturno. Tutto quel che mi succedeva era troppo tardi per significare qualcosa. Fu così anche la mia nascita. Fissato per Natale, venni al mondo con mezz’ora di ritardo. Parve sempre a me che io dovevo essere il tipo di individuo che uno è destinato a diventare per esser nato il 25° giorno di dicembre. L’ammiraglio Dewey nacque in quel giorno, e così Gesù Cristo… forse anche Krishnamurti, ch’io sappia. Comunque questo ero il tipo che io dovevo essere

Henry Miller, Tropico del Capricorno, 1939, tr. it. L. Bianciardi, Feltrinelli 1987, p. 67

In Tropico del Capricorno, romanzo largamente autobiografico che prende il titolo dal segno zodiacale di questo periodo, lo scrittore americano Henry Miller (nato il 26 dicembre del 1891), si presenta sotto le spoglie del protagonista della storia. Un giovane inquieto e contraddittorio, che guarda spietatamente dentro di sé mentre vive, negli anni Venti, a New York, impiegato nell’ufficio del personale della Cosmodemonic Telegraph Company. In questa pagina il discorso cade sulla data di nascita, giorno fatale che può segnare tutto il destino futuro, delle persone comuni, come dei grandi della storia e della religione, Gesù compreso. 

Dicono del libro
“Miller ha affermato più d’una volta che il Tropico del Capricorno è la sua opera più importante, e molti critici lo considerano il suo capolavoro. le origini del libro sono antiche; racconta lo stesso Miller : ‘Nell’anno 1927, mentre ero ancora in America. e mi immaginavo di avere, come Abelardo, sofferto più dolorosamente di qualche comune mortale, stesi il piano per un grosso libro della mia vita che mi proponevo di scrivere un giorno. Ma fu solo nel 1938, a Parigi, che il primo frammento di quell’opera – l’inizio di una serie di romanzi autobiografici – apparve. Lo chiamai Tropico del Capricorno“.

(dalla Notizia nell’ed. Feltrinelli, op. cit.)

 

Altre storie che accadono oggi

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“… Non le venne in mente di voltare il foglio e di leggerlo. Avrebbe saputo allora che, tra le 4 e le 6 antimeridiane del 25 dicembre, il capitano MacWhirr…”

Joseph Conrad, Tifone

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“… Fu un Natale corto e freddo…”
Herman Melville, Moby Dick

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“… Ma ora, il giorno di Natale, il nostro Natale benedetto, se vi decideste a portare il pranzo al forno…”
George Eliot, La bella storia di Silas Marner

 

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“… Il giorno di Natale la signora Samzelius dà un grande pranzo a Ekebù…”
Selma Lagerlof, La saga di Gosta Berling