17 Luglio | Le dix-sept juillet

17 luglio 2024

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Le dix-sept juillet mille huit cent quatre-vingt-trois, à deux heures et demie du matin, le gardien du cimetière de Béziers, qui habitait un petit pavillon au bout du champ de morts, fut réveillé par les changements de son chien enfermé dans la cuisine. Il descendit aussitôt et vit que l’animal flairait sous la porte en aboyant avec fureur, comme si quelques vagabond eût rôdé autour de la maison.
Le gardien Vincent prit alors son fusil et sortit avec précaution.

Guy de Maupassant, La tombe, 1884

 

Il diciassette luglio milleottocentottantatré, alle due e mezzo del mattino, Vincent, il custode del cimitero di Béziers, che abitava un piccolo fabbricato in fondo al campo dei morti, fu svegliato dai mugolii del suo cane, chiuso in cucina. Balzò subito dal letto e vide che l’animale fiutava sotto la porta abbaiando con furore, come se qualche vagabondo avesse ronzato intorno alla casa. Allora prese il fucile e uscì cautamente

Guy de Maupassant, La tomba, 1884, tr. it. E. Bianchetti, in Racconti fantastici, Mondadori 1990, p.119

Il giovane avvocato Courbataille non si rassegna alla scomparsa della sua amata, una ragazza di vent’anni morta di polmonite. La perdita lo ha reso così folle e disperato da recarsi al cimitero per dissotterrare il cadavere. Sorpreso dal custode e processato per questo atto criminale, il giovane si difenderà da solo, con un discorso che rivela il motivo del suo gesto. Il desiderio di tornare indietro nel tempo. Il luogo in cui lo scrittore Maupassant ambienta questo racconto fantastico è la cittadina di Béziers e il giorno è un diciassette di luglio.

Dicono del libro

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19 Giugno

19 giugno 2024

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Oggi posso farlo. Per la prima volta oggi, 19 giugno 1913, alle ore 11, poiché mi innalzo al di sopra della Morte, contemplo senza bisogno di protezione il fulgore del sole col massimo entusiasmo di vivere. Lascia che il sole sfolgori tumultuoso, lascialo traboccare mi dico – che debordi pure, con la sua luce e il suo calore: può pure essere più grande di me, ma non più forte – non oggi almeno

Ernst Weiss, L’Aristocratico, 1928, tr. it. M. De Pasquale, edizioni e/o, 1985, p. 42

Le vicende narrate nel racconto si svolgono fra il giugno e l’agosto del 1913, periodo in cui si compie la formazione del protagonista. Il giovane Boëtius, discendente di una famiglia aristocratica decaduta, in quell’estate termina i suoi studi e sceglie, uscito dal collegio, di andare a lavorare in una fabbrica di turbine, passando così da origini principesche a una condizione operaia. Il 19 giugno il ragazzo, che si trova ancora nel collegio, riesce a domare un cavallo nel maneggio della scuola, mettendo così alla prova il suo coraggio, che dovrà usare anche in altre occasioni, in quello stesso giorno e nei successivi. È una giornata indimenticabile – come ripete più volte – sospesa nel primo caldo esaltante dell’inizio dell’estate.

 

Dicono del libro

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27 Maggio | 27. Mai

27 maggio 2024

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Ich überlese die vorstehenden Zeilen und kann nicht umhin, ihnen eine gewisse Unruhe und Beschwerteit des Atemzuges anzumerken, die nur zu kennzeichnend ist für den Gemütszustand, in dem ich mich heute, den 27. Mai 1943, drei Jahre nach Leverkühns Tode, will sagen: drei Jahre nachdem er aus tiefer Nacht in die tiefste gegangen, in meinem langjährigen kleinen Studierzimmer zu Freising an der Isar niedersetze, um mit der Lebensbeschreibung meines in Gott ruhenden – o möge es so sein! – in Gott ruhenden unglücklichen Freundes den Anfang zu machen, – kennzeichnend, sage ich, fur einen Gemütszustand, worin herzpochendes Mitteilunbedürfnis und tiefe Scheu vor dem Unzukömmlichen sich auf die bedrängendste Weise vermischen

Thomas Mann, Doktor Faustus, 1947

Rileggo le righe precedenti e non posso fare a meno di notarvi una certa inquietudine, una certa pesantezza di respiro fin troppo significativa di quello stato d’animo in cui oggi, il 27 maggio 1943, due anni dopo la morte di Leverkühn, vale a dire due anni dopo che da una notte già fonda egli è entrato nella profondissima, io, qui a Freising sull’Isar, nel mio vecchio studio, mi accingo a iniziare la biografia dell’infelice amico che – oh possa esser così – riposa in Dio…

  Thomas Mann, Doctor Faustus, 1947, tr. it. E. Pocar, Mondadori 1984, p.19

La vita del compositore tedesco Adrian Leverkühn narrata da un amico è il sottotitolo del Doctor Faustus, la storia di un musicista la cui esistenza attraversa e riverbera le vicende della Germania della prima metà del Novecento. Dopo studi di teologia, Adrian si è dedicato alla composizione musicale; ha contratto – quasi volontariamente – la sifilide da una prostituta e, durante un soggiorno a Palestrina, ha avuto un allucinatorio incontro col diavolo, con il quale ha stretto, come Faust, un patto sul tempo: ventiquattro anni di creatività straordinaria e poi la dannazione, che arriva già in vita come perdita di sé per i postumi della malattia. La vicenda – dopo la morte di Adrian – è raccontata dall’amico Serenus Zeitblom, che comincia il suo resoconto in data 27 maggio 1943. Un altro musicista legato al diavolo – Niccolò Paganini – era morto poco più di cento anni prima, nel 1840, il 27 maggio. 

Dicono del libro

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18 Febbraio | 18 Février

18 febbraio 2024

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D’autre part, et placée pur ainsi dire en repli derrière la résolution de mourir, il en était une autre, plus secrète, et qu’il avait soigneusement cachée au chanoine, celle de mourir de sa propre main. Mail là aussi une immense et harassante liberté lui restait encore: il pouvait à son gré s’en tenir à cette décision ou y renoncer, faire le geste qui termine tout ou au contraire accepter cette mors ignea guère différente de l’agonie d’un alchimiste enflammant par mégarde sa longue robe aux braises de son athanor, Ce choix entre l’exécution et la fin volontaire, suspendu jusqu’au bout dans une fébrile de sa substance pensante, n’oscillait plus entre la mort et une espèce de vie, comme celui d’accepter ou de refuser de se rétracter l’avait fait, mais concernait le moyen, le lieu, et l’exact moment. A lui de décider s’il finirait sur la Grand-Place parmi les huées ou tranquillement entre ce mur gris. A lui, ensuite, de retarder ou de hâter de quelques heures l’action suprême, de choisir, s’il le voulait, de voir se lever le soleil d’un certain dix-huit février 1569, ou de finir aujourd’hui avant la nuit close.

Marguerite Yourcenar, L’Œuvre au noir, 1968

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D’altro canto, e posta per così dire in disparte dietro la risoluzione di morire, ce n’era un’altra, più segreta, e che al canonico aveva gelosamente nascosto, quella di morire di propria mano. Ma anche qui gli restava ancora un’immensa e schiacciante libertà: egli poteva liberamente attenersi a quella decisione o rinunciarvi, fare i gesto che termina tutto o al contrario accettare la mors ignea per nulla differente dall’agonia di un alchimista che si appicchi il fuoco alla lunga veste venuta inavvedutamente a contatto colle braci del proprio athanor. La scelta tra l’esecuzione o la fine volontaria, sospesa fino all’ultimo a una fibrilla della sua sostanza pensante, non oscillava più tra la morte e una specie di vita, come era accaduto per l’accettare o il rifiutare di ritrattarsi, ma concerneva il mezzo, il luogo e il momento esatto. Spettava a lui decidere se sarebbe finito sulla Piazza Grande tra gli schiamazzi o tranquillamente tra quei muri grigi. A lui, quindi, di ritardare o di affrettare di qualche ora l’azione suprema, di scegliere, se lo voleva, di vedere sorgere il sole d’un certo 18 febbraio 1569, o di finir oggi stesso prima che fosse notte fonda

Marguerite Yourcenar, L’opera al nero, 1968, tr. it. M. Mongardo, Feltrinelli 1986, p. 278

Nella città di Bruges, nel febbraio del 1569, il filosofo e medico Zenone, accusato di eresia ed empietà, è in prigione, in attesa che venga eseguita la condanna a morte. Ha ricevuto una visita in cui gli è stato proposto di ritrattare e avere salva la vita. Benché questa proposta rimetta in gioco il futuro, Zenone ha deciso di non accettare. Anzi, la sua decisione è quella di darsi la morte prima che lo vengano a prendere per l’esecuzione, prima che sorga il “sole d’un certo 18 febbraio 1569”.
In una nota al testo, l’autrice Yourcenar commenta che al momento del suicidio del personaggio Zenone, Giordano Bruno – che sarebbe stato mandato al rogo il 17 febbraio del 1600 – avrebbe avuto circa vent’anni.
Zenone ha meditato spesso sul tempo, ricombinando le cifre degli anni, immaginando il futuro “di cui si sapeva una sola cosa, cioè che sarebbe arrivato” e ragionando sulla misura umana del tempo: “La terra girava ignara del calendario giuliano o dell’era cristiana, tracciando il suo cerchio senza principio né fine come un anello perfettamente liscio”. 

Dicono del libro
L’opera la nero è la storia di un personaggio immaginario, Zenone, medico, alchimista, filosofo, dalla nascita illegittima a Bruges nei primi anni del Cinquecento fino alla catastrofe che ne conclude l’esistenza.

 

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