21 Dicembre

21 dicembre 2023

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Era una giornata freddissima; perciò ella prese il trovatello e lo nascose nel cassettone della sua stanza. Il ventuno dicembre, a desinare, io stavo dicendo: “Bambine, è il solstizio d’inverno”,  e proprio allora dalle tubazioni del riscaldamento (il radiatore era sotto il buffet) giunse il vagito del neonato. Io abbassai la testa del mio berretto da caccia, di lana pesante, che portavo sempre a tavola, e per nascondere lo stupore mi misi a discorrere d’altro. Infatti Lily rideva, guardandomi con aria saputa, il labbro di sopra abbassato a coprire i denti, e in viso un caldo pallore. Guardai Ricey e vidi nei suoi occhi una tacita felicità

Saul Bellow, Il re della pioggia, 1958, tr. it. L. Bianciardi, ed. cons. Mondadori, 1984, p. 23

La scena si svolge verso la fine degli anni Cinquanta, in una città americana, a casa di Eugene Henderson, ricco e irrequieto discendente di una famiglia di pionieri. Il 21 dicembre, solstizio d’inverno, mentre la famiglia è a tavola, un vagito rivela che c’è un neonato nella stanza della figlia. È un bimbo trovato in una macchina, che rimarrà però poco a casa degli Henderson. Quel 21 dicembre, segnato dai preparativi per il Natale e dalla viva novità del bambino, è una delle ultime giornate trascorse da Henderson in famiglia. Di lì a poco, spinto dall’inquietudine, partirà all’improvviso per l’Africa, dove perderà la cognizione del tempo acquisendo un coraggio mai immaginato e il nome di Re della pioggia.

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Francesco Di Tillo, oggi come oggi

“Quanti, di qui a molti anni, avranno la ventura di rivedere risorte Reggio e Messina dal terribile disastro del 28 dicembre 1908, non potranno mai figurarsi l’impressione che si aveva, allorché, passando in treno, pochi mesi dopo la catastrofe, cominciava a scoprirsi, tra il verde lussureggiante dei boschi d’aranci e di limoni e il dolce azzurro del mare, la vista atroce dei primi borghi in rovina, gli squarci e lo sconquasso delle case”. Così Luigi Pirandello rievoca il disastroso terremoto che distrusse Messina, nell’incipit della novella Il professor Terremoto (1910).
Un’esperienza senza pari, quella del sisma, che lascia segni nella terra, nelle persone, nelle opere, segni che permangono ed evolvono nel tempo.
L’artista Francesco Di Tillo, nato a Campobasso nel 1984, si è trovato, da ragazzo, a esperire il tragico terremoto che il 31 ottobre del 2002 portò lo sfacelo nella sua provincia, in particolare a San Giuliano di Puglia. Da allora quell’esperienza ha continuato ad agire dentro di lui, orientando le sue scelte e le sue ricerche verso il fenomeno dei terremoti, le zone maggiormente sismiche del pianeta (in particolare il Cile), i traumi materiali e immateriali che l’evento lascia, l’immenso sforzo gestionale e l’altrettanto grande esercizio di convivenza con le scosse telluriche nelle comunità coinvolte. 
Una mostra personale è dedicata a Francesco Di Tillo nella sua città natale, nella Galleria Gino Marotta – Museo Laboratorio di Arte Contemporanea dell’Università degli Studi del Molise, curata dal direttore Lorenzo Canova e da Piernicola Di Iorio.
Attraverso una selezione delle opere più rilevanti dell’artista, realizzate nell’ultimi dieci anni, sono messi in luce e offerti alla discussione i temi cruciali della sua ricerca: la gestione personale e collettiva degli eventi catastrofici, le tracce del sisma che assemblano pezzi di natura e macerie, l’intreccio della dimensione temporale umana e il tempo profondo della geologia.
In mostra è visibile, fra l’altro, la serie Master Plan, “microcosmi frastagliati … fatti di macerie urbane stratificate” e il film Remoto, realizzato grazie al sostegno di Italian Council (2022), che riporta l’esperienza dell’artista in Cile, dove – dal 2015 – ha raccolto documenti, registrato voci e immagini “che sfidano l’apparente stabilità e mania di controllo sul creato che l’essere umano oggi crede di possedere”.

Francesco Di Tillo – Oggi come Oggi
A cura di Lorenzo Canova e Piernicola Maria Di Iorio

30 novembre 2023 – 19 gennaio 2024
ARATRO Galleria Gino Marotta Museo Laboratorio di Arte Contemporanea
Università degli Studi del Molise
Aula Magna di Ateneo – Campus Universitario Vazzieri
Via De Sanctis 86100 Campobasso

a.s.

20 Dicembre

20 dicembre 2023

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La notte del 20 dicembre 1849 un uragano violentissimo imperversava sopra Mompracem, isola selvaggia, di fama sinistra, covo di formidabili pirati, situata nel mare della Malesia, a poche centinaia di miglia dalle coste occidentali del Borneo. Nel cielo, spinte da un vento fortissimo, correvano mescolandosi confusamente, nere masse di vapori, che di quando in quando lasciavano cadere sulle cupe foreste dell’isola furiosi acquazzoni; sul mare s’urtavano disordinatamente e s’infrangevano furiosamente enormi ondate, confondendo i loro muggiti con gli scoppi ora brevi e secchi e ora interminabili delle folgori. Né dalle capanne allineate in fondo alla baia dell’isola, né sulle fortificazioni che le difendevano, né sulle numerose navi ancorate al di là delle scogliere si scorgeva alcun lume; chi però, venendo da oriente, avesse guardato in alto, avrebbe scorto sulla cima di un’altissima rupe tagliata a picco sul mare due punti luminosi, due finestre illuminate. Chi mai vegliava a quell’ora nell’isola dei sanguinari pirati?

Emilio Salgari, Le Tigri di Mompracem, 1900 (pubbl. in volume), ed. cons. Newton Compton, 1976, p. 35

La sera del 20 dicembre Sandokan, giovane principe del Borneo spodestato, in lotta contro i soldati inglesi stanziati nell’isola di Labuan, attende il ritorno del suo amico, l’avventuriero portoghese Yanez de Gomera. È una data decisiva, che segna l’inizio di una lunga serie di avventure. È in quella sera che Sandokan decide di sfidare i suoi nemici nel loro stesso territorio, attirato dalla leggenda della Perla di Labuan, la bellissima Marianna Guillonk, per metà inglese e per metà italiana, e nipote di un capitano della Marina britannica. La pagina con la data è l’inizio della storia e si ritrova anche nel romanzo di Umberto Eco, La misteriosa fiamma della regina Loana. Il protagonista, dopo un incidente che gli fatto dimenticare la sua vita – ma non i libri che ha letto -, torna nella casa dell’infanzia, in cerca di memorie. Fra albi di fumetti, volumi di Dumas, storie di Sherlock Holmes, ritrova una copia del romanzo di Salgari, col suo indimenticabile inizio:”La notte del 20 dicembre 1849, un uragano violentissimo imperversava sopra Mompracem…” (a.s.)

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19 Dicembre

19 dicembre 2023

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Il 19 dicembre 1853 partii da Saint Louis col treno della sera, diretto a Chicago. Non c’erano che ventotto passeggeri in tutto: non c’erano né donne né bambini. Eravamo di ottimo umore e facemmo ben presto buona conoscenza. Il viaggio si iniziò sotto lieti auspici, e credo che non un solo componente della comitiva avesse il benché minimo presentimento degli orrori che avremmo patito di lì a poco. Alle undici di sera cominciò a nevicare fitto. Poco dopo aver lasciato il piccolo villaggio di Welden ci inoltrammo in quella spaventosa prateria solitaria che si estende per leghe e leghe nel suo desolato squallore fino al campo di Jubilee. I venti, non ostacolati da alberi o da colli e neppure da rocce solitarie, sibilavano fieramente sulla pianura deserta, cacciando innanzi la neve come spruzzi di schiuma dalle onde crestate di un mare in tempesta. E la neve si accumulava rapidamente; si capiva, dalla diminuita velocità del treno, che la macchina si scavava un passaggio con difficoltà sempre crescente. E difatti, qualche volta si fermava addirittura, in mezzo a gran turbini di neve che si ammucchiavano lungo la linea come colossali monumenti funebri. La conversazione cominciò a languire

Mark Twain, Cannibalismo in treno, 1867 ca., tr. it. O. Previtali, in Il ranocchio saltatore e altri racconti, Rizzoli , 1950, p.108

Sul treno per Saint Louis, il narratore della storia incontra un uomo di mezza età, dall’aspetto mite e bonario, che inizia a raccontare un “capitolo segreto” della sua vita. Questa storia-nella-storia ha avuto inizio nella fredda sera del 19 dicembre sul treno diretto da Saint Louis a Chicago. Una tormenta eccezionale blocca il treno nella neve, in mezzo alla campagna deserta. Non c’è speranza di liberare la motrice e per i passeggeri si prospetta una lunga attesa, senza niente da mangiare e da bere. Con l’aumentare della fame, i viaggiatori prendono infine una decisione terribile, quella di sacrificare qualcuno del gruppo per mangiarlo. La decisione però, racconta l’uomo che – si viene a sapere – è stato anche un membro del Congresso, non è attuata con la violenza, ma attraverso le procedure di un paradossale dibattito in parlamento, con proposte, votazioni, obiezioni, dimissioni. Il racconto va avanti con l’elenco di tutti i viaggiatori cucinati, finché l’uomo non arriva alla sua stazione e scende. Sarà infine il controllare a chiarire ciò che è vero e ciò che immaginario, nella storia del viaggio in treno del 19 dicembre. 

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18 Dicembre

18 dicembre 2023

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Il 17 del mese di dicembre, Vincent Tuquedenne bevve un caffè, ossia un franco, pranzò per la cifra di cinque franchi e trenta, comprò un astuccio di tabacco da un franco e una scatola di fiammiferi controvento da zero franchi e venti centesimi, prese il métro due volte, ossia un franco, cenò per la cifra di sei franchi e dieci centesimi, e comprò il “Journal”. Quest’ultima spesa ammontava a zero franchi e quindici centesimi.
Il 18 partì per Le Havre perché c’erano le vacanze, e inoltre i suoi genitori traslocavano. A partire dal primo gennaio dovevano trovarsi in Rue de la Convention, da nonna Tuquedenne, a causa della crisi. Il giorno della partenza, andò a vedere un’ultima volta il mare; cercava di fumare una pipa che una pioggia insistente spegneva. In treno, i passeggeri parlavano di Landru

Raymond Queneau, Gli ultimi giorni, 1936, tr. it. F. Bergamasco, ed, cons. Newton Compton, 2007, pp. 57-58

Vincent Tuquedenne, un giovane “timido, anarco-individualista e ateo”, è arrivato a Parigi da Le Havre nel novembre del 1920, per studiare Lettere alla Sorbona. Trascorre le prime giornate parigine fra la stanzetta in affitto vicino alla stazione e il quartiere latino, in lunghe passeggiate senza meta e in conversazioni con un vecchio compagno di liceo sugli esami e gli ordinamenti, su Bergson e Nietzsche, lo spiritismo, la reincarnazione. Novembre passa così, con spese regolari per i pasti, il giornale, i fiammiferi, il métro, e qualche confronto con compagni di studio, da cui esce scontento di sé, valutandosi vigliacco nella discussione e constatando la propria inesperienza con le ragazze. Passa così anche la metà di dicembre e Tuquedenne si prepara a tornare a Le Havre per le vacanze di Natale, da cui rientrerà a gennaio con l’intera famiglia. Dopo la solita routine di pasti e spostamenti, prende il treno – dove la gente discute di cronaca nera – nella piovosa giornata del 18 dicembre. 

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17 Dicembre

17 dicembre 2023

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Verso la fine del primo trimestre ci fu il concerto di Natale. Il 17 dicembre. Frédérique suonò il pianoforte. Beethoven, Sonata Op.49, n.2. Fu applaudita. Nella sala ci fu un silenzio tombale, trattenuto. La direzione ai primi posti, le professoresse, la negretta. Frédérique entrò come un automa, suonò con una certa passione, si inchinò come un automa, e gli applausi non sembrarono sfiorare le sue orecchie. È stata una grande pianista, quel giorno prima di Natale, Frédérique? Io credo di sì. Il suo modo di apparire colpiva. Era senza emozione, senza vanità, senza modestia, come se seguisse le sue spoglie. Afferrò i suoi polsi e le mani suonarono. Impassibile, ma negli occhi e nella bocca qualcosa aleggiò di fuggitivo. Una violenza dell’anima per una rara volta trasfigurò il suo viso, pur immobile. Frédérique tornò al suo posto

Fleur Jaeggy, I beati anni del castigo, 1989, ed. cons. Adelphi 1993, p.40

Il calendario segna il 17 dicembre in un collegio femminile nel cantone svizzero dell’Appenzell, con le sue foreste di abeti e le distese di neve. L’istituto Bausler è frequentato da ricche adolescenti provenienti da tutto il mondo, immerse nella disciplina del collegio. Nascono fra loro amicizie e attrazioni, come accade alla narratrice della storia. Il suo ideale è incarnato da Frédérique, un’affascinante sedicenne francese, di poco più grande di lei. Alla carismatica  Frédérique è affidato il concerto che il 17 dicembre chiude il primo trimestre. La sonata opera 49 n. 2 di Beethoven, perfettamente eseguita, risuona nella sala insieme con gli applausi e rimarrà impressa – insieme con la data del 17 dicembre (anniversario secondo alcuni della nascita di Beethoven) – nella memoria della narratrice. Quando, molti anni dopo, si troverà a raccontare di quel giorno, ecco che la radio, per caso, trasmette un concerto di Beethoven e lei si chiede “se Frédérique non mi stia perseguitando mentre scrivo di lei. Spengo la radio. E torna il silenzio”. 

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16 Dicembre

16 dicembre 2023

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Che per seimila anni, e nessuno sa per quanti milioni di secoli prima, le grandi balene abbiano continuato a sfiatare su tutto il mare e a spruzzare e vaporare i giardini dell’abisso come tanti annaffiatoi e vaporizzatori, e che per qualche secolo passato migliaia di cacciatori siano stati vicinissimi alla fontana della balena a osservarne gli spruzzi e le sfiatate:  che tutto questo sia avvenuto e, intanto, fino a questo benedetto minuto (l’una e quindici primi e un quarto di secondi pomeridiani del 16 dicembre, A. D. 1851) permanga ancora un mistero se queste sfiatate sono, dopo tutto, davvero acqua o nulla più che vapore, è certo una cosa notevole

Herman Melville, Moby Dick o la Balena, 1851, tr. it. C. Pavese, ed. cons. Adelphi, 1994, p. 395

La lotta ingaggiata dal capitano Achab con la balena bianca, che gli ha strappato una gamba, è una resa dei conti fra titani: da una parte il baleniere mutilato, dall’altra un enorme cetaceo, Moby Dick, dalla forza formidabile. Tutto quello che riguarda le balene è epico, nel racconto che di questa lotta fa il marinaio Ismaele, imbarcato sulla baleniera di Achab, il Pequod. Le lance, gli attrezzi, gli uomini, i rituali della caccia, le leggende. Capitolo dopo capitolo, Ismaele illustra le abitudini e il carattere dei branchi e descrive il grande corpo dell’animale in tutti i dettagli. La fontana,  cioè  lo spruzzo che i cetacei emettono dallo “sfiatatoio” in cima alla testa, è l’oggetto di questa pagina. Siamo introdotti nell’apparato respiratorio della balena, nelle credenze dei marinai che temono il contatto con la “sfiatata”, nell’immagine dell’animale che “naviga solenne in un calmo mare tropicale, col capo enorme e dolce sovrastato da un baldacchino di vapori, originati dalle sue contemplazioni inesprimibili”. È un 16 dicembre, mentre Ismaele riflette sulla sfiatata delle balene ed era dicembre anche all’inizio della narrazione, quando lo stesso Ismaele aveva trovato alloggio allo “Spouter-Inn”, la Locanda dello Sfiatatoio.

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15 Dicembre

15 dicembre 2023

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Il 15 dicembre era il centesimo compleanno del decano. Le sue figliole avevano lungamente atteso quel giorno, e avevano sempre desiderato festeggiarlo come se il loro caro padre fosse ancora tra i suoi discepoli. […] 
Grandi fiocchi di neve cadevano fitti, e i solchi lasciati dalla slitta erano rapidamente cancellati. Il generale Loewenhielm sedeva impassibile a fianco di sua zia, col mento affondato nell’alto bavero di pelliccia del pastrano. Quando il folletto dai capelli rossi ch’era al servizio di Babette aprì la porta della stanza da pranzo, e gli ospiti ne varcarono la soglia lentamente, questi non si tennero più per mano e rimasero in silenzio. Ma era un dolce silenzio, perché in ispirito essi si tenevano ancora per mano, cantando. Babette aveva messo una fila di candele in mezzo alla tavola, e quelle fiammelle brillavano contro le giacche e le vesti nere, e contro l’unica uniforme scarlatta, e si riflettevano nei chiari occhi umidi

Karen Blixen, Il pranzo di Babette, 1958, tr. it. P. Ojetti, in Capricci del destino, Feltrinelli 1984, p.22, 34

Arrivata a casa delle sorelle Martina e Filippa nel 1871, dopo i fatti della Comune di Parigi, la cuoca francese Babette Hersant è al loro servizio da dodici anni. Nel paesino norvegese di Berlevaag, la vita è andata avanti tranquilla, regolata dalle abitudini di una comunità timorata di Dio che con gli anni ha accettato la presenza della straniera, senza però penetrarne mai del tutto il mistero. La data intorno alla quale i destini dei protagonisti si intrecciano è un 15 dicembre, anniversario della nascita del padre di Martina e Filippa, il decano, fondatore della setta religiosa a cui la comunità di Berlevaag si ispira. Le sorelle vorrebbero festeggiare quel giorno in modo sobrio e degno della memoria del padre, che avrebbe compiuto 100 anni. Intanto è accaduto l’imprevedebile: Babette ha vinto 10.000 franchi a una lotteria francese e ha chiesto  il permesso di partire per il suo paese. “Potevano sperare che ella sarebbe rimasta con loro oltre il 15 dicembre?” si chiedono le sorelle, non immaginando il piano che Babette ha in mente per la festa: la replica di un pranzo raffinatissimo a cui parteciperanno degli ospiti inattesi, chiudendo il cerchio di avvenimenti lontani.

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14 Dicembre

14 dicembre 2023

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Questo era avvenuto il 2 dicembre. Una settimana più tardi Bismarck giunse a Varzin e Innstetten previde che fino a Natale, e forse più oltre, egli non avrebbe più avuto una giornata di quiete. Il principe aveva una predilezione per lui ancora fin dai tempi di Versailles, e lo invitava spesso alla sua tavola, sia quando v’erano visite che da solo, perché Innstetten, parimenti notevole per la sua presenza ancora giovanile e l’acuta intelligenza, era anche nelle grazie della principessa.
Il 14  venne il primo invito. Nevicava, ed Innstetten decise di compiere in slitta le due ore di viaggio fino alla stazione, dove lo attendeva poi ancora un’ora di treno fino a Varzin. 
“Non aspettarmi, Effi. Prima di mezzanotte non potrò essere di ritorno. E può darsi che si facciano le due o anche più tardi. Ma non verrò a disturbarti. Sta bene. e arrivederci a domattina”. Con queste parole montò sulla slitta e i due cavalli color isabella si diressero al galoppo attraverso la città alla stazione. Era il primo lungo distacco, quasi dodici ore. Povera Effi, come avrebbe passato la sera?

Theodor Fontane, Effi Briest, 1895, tr. it. E. Linder, Garzanti 1981, p.57

Effi Briest, una giovane ragazza tedesca spensierata e vivace, si è sposata con il barone von Innstetten, di parecchi anni più grande di lei. Dopo un viaggio di nozze in Italia, si è trasferita col marito nella cittadina settentrionale di Kessin, in un ambiente con poche distrazioni, e in una casa in cui stenta ad ambientarsi. A dicembre, il marito è richiamato fuori casa da impegni di lavoro ed Effi si trova ad affrontare da sola un tempo completamente vuoto, scandito dal ticchettio dell’orologio nella sala e dalla sola compagnia del cane.  La notte del 14 dicembre Effi sperimenta la paura di trovarsi in balia delle sue immaginazioni – fantasmi, presenze, suggestioni – che le impediscono sia di leggere, sia di addormentarsi, provocando, il giorno dopo, i rimproveri del marito e un’inquietudine che segnerà le vicende successive. 

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13 Dicembre

13 dicembre 2023

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Alle ore 6 e 10 minuti del 13 dicembre la Mercedes di piazza dello chauffeur Giocondo Giocondini si staccava solenne dal portone degli Oddi-Semproni, percorreva, ancora con la prima marcia, l’ultimo tratto di via Ca’ Fante e poi entrava con cautela ma facilmente, a fari abbaglianti, nella discesa del Pincio. Lì tutti i viaggiatori guardarono in alto, tra i rami ancora neri degli ippocastani, per vedere cosa prometteva il tempo. Il cielo non si vedeva, mentre biancheggiava di fronte, e poi sul lato sinistro, il campo tra le Vigne e la Fortezza, apertissimo e alzato proprio come la lavagna civica di Subissoni: la neve sopra era intatta, anche se non arrivava dappertutto, appoggiata come uno scialletto, traforato e sfrangiato là dove il suo filo, specie ai margini, non riusciva a coprire qualche piccola gobba o qualche arbusto. – Il tempo lo vedremo bene a Fossombrone

Paolo Volponi, Il sipario ducale, 1975, ed. cons. Garzanti, 1979, p. 43

È il 13 dicembre del 1969, il giorno dopo l’attentato alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano, in piazza Fontana.  A Urbino, dove si svolge la storia del Sipario ducale, la notizia si è diffusa nelle case, nei caffè, nelle fiaschetterie, provocando reazioni visibili e invisibili nella vita della città e dei suoi abitanti. Un forte colpo, le bombe del 12 dicembre lo provocano nel professor Gaspare Subissoni, anarchico visionario, e nella sua compagna Vivés, conosciuta durante la guerra di Spagna. Dal giorno dopo divorano i giornali in cerca di informazioni e Vivés si lancia in un’indagine delle cause dell’attentato, progettando anche un viaggio a Milano, che non potrà compiere. Parallela si svolge la vicenda della nobile famiglia Oddi-Semproni, chiusa nel suo palazzo e nelle sue antiquate abitudini. Il 13 dicembre, gli Oddi-Semproni partono con l’autista per un viaggio di piacere verso la Puglia, mentre Vivés discute delle bombe di Milano con i facchini dell’ente comunale dei consumi, e la neve ricopre le strade trasformandole in lavagne bianche su cui scrivere.

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12 Dicembre

12 dicembre 2023

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Era il 12 dicembre del 1902, l’indomani li avrebbero liberati, da un’ora all’altra, senza preavviso, per  evitare che all’uscita del carcere, si organizzassero delle manifestazioni. Diciannove quanti erano, quattro o sei per volta, si abbracciarono e si strinsero le mani.
“Domattina ci si ritrova nei cantieri.”
“Ci sarà lavoro?”
“Ce lo daranno?”
“Speriamo”

Vasco Pratolini, Metello, 1955, ed. cons. Mondadori, 1965, pp. 349-350

Arrestato nell’estate del 1902 per uno sciopero al cantiere edile, durante il quale sono scoppiati dei gravi disordini, il muratore fiorentino Metello Salani ha compiuto trent’anni in carcere. È la seconda volta che va in galera. Fra i due arresti, Metello, che ha un carattere indipendente che non si tira indietro, ha maturato una coscienza politica e una maturità umana. Si è sposato con Ersilia e ha avuto un figlio di nome Libero. La notizia del rilascio arriva il 12 dicembre e quando esce dalle Murate,  Ersilia, incinta di sei mesi, lo aspetta fuori, sotto un cielo “pulito e compatto, con tutte le stelle e tre quarti di luna”. In mezzo alle grandi date della storia d’Italia e della città di Firenze,  risaltano – nella comunità di Metello – anche le date  degli scioperi e delle  vittorie salariali ottenute a caro prezzo, le date degli arresti e  quelle delle liberazioni, come questo 12 dicembre, quando i lavoratori si salutano dicendosi:  “Anche questa è passata”. 

Dicono del libro

Metello rievoca gli anni 1875 e il 1902, quando la classe operaia della giovanissima nazione, alla luce delle nuove dottrine socialiste, si univa al generale fermento di rivendicazioni che già scuotevano la società europea dell’ultimo Ottocento”:
(Dalla quarta di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)

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11 Dicembre

11 dicembre 2023

 

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Mercoledì 11 dicembre Quandt arrivò più tardi del solito e assai eccitato. Mentre rincasava da scuola aveva avuto un vivace alterco con un carrettiere, il quale aveva frustato crudelmente il proprio cavallo, che non riusciva a trascinare il pesante carico su per un’erta. Quandt gli aveva rivolto le proprie rimostranze, chiamando a testimoni di tanta inumana crudeltà alcuni passanti. Allora quell’omaccio l’aveva aggredito brandendo la frusta e urlandogli di andare all’inferno e non immischiarsi in faccende che non lo riguardavano. — Grazie al cielo so come si chiama e ne farò rapporto al tenente di polizia, — concluse Quandt, e non si stancò di ripetere più e più volte come quel villano avesse continuato a tirare per la cavezza lo sfortunato ronzino, le cui vene si gonfiavano come corde sotto le magre costole. — Mascalzone — borbottava, — gl’insegnerò io a tormentar così un animale

Jacob Wassermann, Caspar Hauser, 1908, tr. it. L. Magliano, Rizzoli 1961, p.365

Un mercoledì undici dicembre di un anno dell’Ottocento, nella cittadina tedesca di Ansbach, il maestro di scuola Quandt racconta  un episodio che gli è capitato tornando a casa. Lo racconta a tavola, dove siedono la moglie e un giovane, che la famiglia ospita in casa da alcuni mesi. Il nome del giovane è Caspar Hauser e la sua storia misteriosa sta per giungere al termine, proprio in quel mese di dicembre. Di origini ignote, Caspar Hauser aveva fatto la sua comparsa a Norimberga nel 1828: un ragazzo sbucato dal nulla,  segregato fino ad allora nel buio di una stanza, ignaro della lingua e delle abitudini dei suoi contemporanei. Da allora, Caspar è stato ospite di diverse famiglie e oggetto di indagini e illazioni sulla sua provenienza, che lo danno a volte come un principe spodestato, a volte come un impostore. “Enigma del suo tempo”, Caspar Hauser passa gli ultimi mesi della sua vita in casa del maestro Quandt, un uomo pedante e di poca umanità. Il cavallo maltrattato di cui il maestro racconta quel giorno ricorda l’unica compagnia che Caspar Hauser ha avuto negli anni di segregazione, un cavallino di legno con cui ha trascorso un periodo indefinito, quando ancora – fuori della società – non aveva una cognizione del tempo. 

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10 Dicembre

10 dicembre 2023

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Altri avrebbero potuto farci un libro di fantasia, un romanzo, intorno alle vicende che accaddero a Vigàta la sera del dieci dicembre milleottocentosettantaquattro, quando il teatro “Re d’Italia”, appena inaugurato, venne distrutto dalle fiamme poche ore dopo lo spettacolo d’apertura. Certamente al proposito d’un romanziere non poche occasioni si sarebbero prestate a sostenerne la robusta immaginazione, perché già da subito molti punti parvero oscuri, e proprio perché appresso non chiariti, lasciarono libero campo anche alle più avventate e deliranti supposizioni.
È per me quasi un dovere non cedere alle lusinghe dell’immaginazione, proprio perché io stesso, che all’epoca non avevo compiuto dieci anni, diedi per primo l’allarme a Montelusa

Andrea Camilleri, Il birraio di Preston, 1995, ed. cons. Sellerio, Palermo, 2000, p. 222

La sera di “mercoledì addì 10 dicembre” – come annunciano i manifesti affissi sui muri – viene inaugurato il nuovo teatro di Vigàta, con la discussa rappresentazione dell’opera Il birraio di Preston del compositore Luigi Ricci. Su questa contrastata inaugurazione, e sulla data del 10 dicembre 1874, convergono le storie dei protagonisti maggiori e minori: il prefetto venuto dalla Toscana, il questore, il delegato all’ordine pubblico, e poi i malavitosi, i latitanti, i nobili decaduti, gli onorevoli, le mogli e anche un bambino di dieci anni, Gerd Hoffer, che apre e chiude circolarmente il racconto. È lui, in “una notte che faceva spavento”, ad avvisare il padre, ingegnere minerario e pompiere, che una strana luce emana da Vigàta: si tratta dell’incendio che devasta il teatro la sera dello spettacolo. E alla fine – in un capitolo che è l’ultimo, ma anche il primo –  è il bambino ormai cresciuto a dare una ennesima versione dei fatti accaduti quel 10 dicembre e raccontati, nel corso del libro, da diversi, compresenti, punti di vista. 

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9 Dicembre

9 dicembre 2023

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Il 9 dicembre, alle sei e venti di mattina, mentre una bufera d’acqua e vento infieriva sulla campagna, una Uno turbo FTI nera (vestigia di un’epoca in cui, per qualche lira in più rispetto al modello base, ci si comprava una bara motorizzata che filava come una Porsche, beveva come una Cadillac e si accartocciava come una lattina di cocacola) imboccò lo svincolo che portava dall’Aurelia a Ischiano Scalo e proseguì su una strada a due corsie che tagliava i campi di fango. Superò la Polisportiva e il capannone del Consorzio agrario ed entrò in paese

Niccolò Ammaniti, Ti prendo e ti porto via, 1999, ed. cons. Mondadori 2000, p. 19

Graziano Biglia, quarantaquattrenne playboy che vive alla giornata, torna al suo paese in Maremma dopo due anni di assenza.  È partito all’alba del 9 dicembre da Roma, nonostante un temporale, per raggiungere Ischiano Scalo e comunicare alla madre, la signora Gina, che – dopo anni irregolari e sbandati – ha deciso di sposarsi. Le nozze dovrebbero celebrarsi in Giamaica e la promessa sposa, Erica – una cubista conosciuta in discoteca l’estate prima – dovrebbe arrivare a Ischiano Scalo a breve, trattenuta a Roma da un provino. Da questo 9 dicembre si dipana una storia i cui poli – oltre Graziano ed Erica – sono i dodicenni Pietro e Gloria e la professoressa Flora Palmieri. Una storia che avrà il suo epilogo dopo sei mesi, nel giugno di un anno dell’ultimo decennio del Novecento, in cui si condensano e si intrecciano, con colpi di scena e salti temporali, i destini degli adulti e dei ragazzi. 

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8 Dicembre

8 dicembre 2023

 

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Ciò che adesso importava era sopravvivere. Da quel giorno in poi, decisi, non sarei mai più stato povero. Avrei lavorato sodo per Coletti e la Toyo Fish Company. Avrei messo da parte ogni penny. Avrei tenuto in tasca gli spiccioli e messo i dollari in banca. Avrei ricoperto il mio corpo e la mia vita di denaro. Sarei stato adamantino. Non mi sarei fatto più male. Ero ancora giovane. L’8 dicembre, di lì a un mese, avrei compiuto vent’anni. C’era un sacco di tempo. Tutto, finalmente, stava andando per il verso giusto. Sorrisi recitando il Padre nostro 

John Fante,La confraternita dell’uva1977 (pubblicazione in volume), tr. it. F. Durante, Einaudi, 2004, p. 91

Dicono del libro
“il romanzo ha per protagonista la figura granitica, ingombrante, di un padre, il vecchio tirannico e orgoglioso primo scalpellino d’America, almeno questo crede di essere. Un immigrato di prima generazione, Nick Molise, nel quale, come nel gruppo di suoi compaesani, Fante racchiude il ritratto più nitido della prima generazione italoamericana. Un mondo di uomini di testarda virilità, guardati con inorridita inquietudine dagli americani persuasi che gli italiani fossero creature di sangue africano, che tutti girassero con il coltello e che la nazione fosse ormai preda della mafia”.
(Dalla scheda del libro nel sito ibs)

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7 Dicembre

7 dicembre 2023

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“Cosa significa psionici? Diversi dipendenti del signor Runciter hanno usato questo termine”.
“Poteri parapsichici” disse Joe. “Forze mentali che agiscono direttamente, senza l’intervento di nessun agente fisico”.
“Poteri mistici, intende dire? come conoscere il futuro e altre cose del genere? Il motivo per cui gliene parlo è che alcuni di quei signori hanno accennato al futuro come se esistesse già. Non con me; ne parlavano fra di loro, e ho udito per caso… sa come succede.  Siete per caso dei medium?”
“È un modo come un altro per definirci.”
“Cosa prevedete per la guerra in Europa?”Joe disse: “Germania e Giappone saranno sconfitti. Gli Stati Uniti entreranno in guerra il 7 dicembre 1941.” Poi ripiombò nel silenzio

Philip K, Dick, Ubik, 1969, tr. it. G. Montanari, ed. cons. Fanucci, 1998, pp. 413-414

 

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6 Dicembre

6 dicembre 2023

 

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Il sei di dicembre dell’anno passato, te ne ricorderai e se non te ne ricordi non importa, fece un tempo da diavoli. A guardare la montagna poi, era uno spavento; e anche di quaggiù si sentiva la romba della bufera che mugolava fra i castagni, mandando fino a noi qualche foglia secca insieme col sinibbio che strepitava sui vetri delle finestre come la grandine. Io son fatto peggio delle gru: più cattivo è il tempo, e più sento il bisogno d’essere in giro. E volli uscire con lo schioppo in cerca di qualche animale

Renato Fucini, Le veglie di Neri (Vanno in Maremma) 1844, ed. cons. Newton Compton, 1993, p. 44

Mentre è a caccia di beccaccini, un sei di dicembre particolarmente freddo e tempestoso, Raffaello incontra una famiglia di montanari che – a piedi, malvestiti e con poche provviste – affrontano il viaggio verso Talamone, per passarvi il resto dell’inverno. Padre, madre, due ragazzi e una bambina piccola hanno davanti a loro una settimana di cammino. Raffaello, dopo aver scambiato qualche parola col capofamiglia sul brutto tempo, regala dei soldi a uno dei figli, che non ha mai visto in vita sua una banconota. Quell’incontro rimane vivo nella memoria di Raffaello, che dopo un anno lo racconta – davanti a un piatto di pappardelle con la lepre – e ne ricorda con precisione il vento carico di nevischio (il sinibbio) e la data, il sei dicembre dell’anno passato.

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5 Dicembre

5 dicembre 2023

 

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Si tratta di questo: non ho ancora detto che il giorno dopo era il 5 dicembre, e cioè il mio compleanno (finivo sedici anni precisamente). Per orgoglio, io la sera avanti non aver ricordato a mio padre questa data. E lui, per proprio conto, non ero solito a rammentarsi mai dei compleanni, e di cose del genere. Ma stavolta io mi misi a sperare che la sua memoria, quasi ispirata da un miracolo, d’un tratto, in viaggio, lo avvisasse della sua dimenticanza. E che senz’altro, a tale richiamo egli decidesse di tornare indietro per farmi gli auguri e magari trascorrere il giorno della mia festa sull’isola assieme a me.

Elsa Morante, L’isola di Arturo, 1957, ed. cons. Einaudi 1995, p. 350

 

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4 Dicembre

4 dicembre 2023

 

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Il signor Ruche rimase ancora un istante sulla terrazza. Ormai era calata la notte. Dimenticando l’indagine, Grosrouvre e la Biblioteca della Foresta, ripensò a Khayyām, al quale si era sentito subito così vicino. Gli tornarono alla mente due date. “Nato il 18 giugno 1048, morto il 4 dicembre 1131.” Khayyām era morto a quasi ottantaquattro anni. La stessa età di Grosrouvre. E… Si raddrizzò sulla sedia, aggrappandosi alla balaustra. Nel freddo e nella notte di Parigi, esclamò al vento del nord: “La mia stessa età!”
Il signor Ruche era nell’ottantaquattresimo anno di età. In quell’istante seppe con certezza che per quell’anno non gli sarebbe accaduto nulla. Si sentì eterno, almeno per qualche anno ancora

Denis Guedj, Il teorema del pappagallo, 1998, tr. it. L. Perria, Longanesi, 2000 p. 281

Il signor Ruche, un vecchio libraio parigino che si muove su una sedia a rotelle, ha avuto da giovane un amico – poi espatriato in Brasile – che  gli ha affidato decine di casse di libri sulla matematica, da rimettere in ordine. Nella sua libreria Mille e una pagina, Ruche ripercorre i testi, scoprendovi non solo nozioni che non conosceva e nuovi punti di vista, ma anche una rete di coincidenze e di corrispondenze fra la sua vita, quella dell’amico Grosrouvre e le esistenze di grandi scienziati del passato. In una fredda giornata invernale, Ruche è alle prese con il matematico e poeta persiano al-Khayyām, il cui nome significa il figlio del venditore di tende. Fu esperto di polinomi e di astronomia, tanto che partecipò anche all’elaborazione di un nuovo calendario, e fu anche astrologo. È per questo che si conoscono – “cosa assai rara all’epoca” –  le date precise della sua nascita e della sua morte, avvenuta nel 1131, un 4 dicembre, data che rivela al libraio un’altra, sorprendente coincidenza. 

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3 Dicembre

3 dicembre 2023

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Certe volte gli era stata affidata persino la rettifica degli articoli di fondo del Times, che erano scritti interamente in neolingua. Srotolò la comunicazione che aveva messa da parte prima. Diceva:
times 3. 12. 83. Riproduz ordogior gf bispluserrata nonesisper riscrinter pristes supautor anteinclucoll.  

In archelingua (ovvero nella lingua normale) tale comunicazione si poteva rendere così:
La riproduzione dell’Ordine del Giorno del Grande Fratello pubblicata nel Times del 3 dicembre 1983 è del tutto insoddisfacente e allude addirittura a persone che non esistono. Riscriverlo da capo e sottoporre tale prima stesura all’autorità superiore prima di includerla nella collezione. Winston lesse per intero l’articolo incriminato. L’Ordine del Giorno del Grande Fratello era dedicato principalmente a lodare l’operato di una organizzazione conosciuta con la sigla SSFG che riforniva sigarette e altri generi voluttuari ai marinai della Fortezza Galleggiante

George Orwell, 1984, 1949, tr. it. G. Baldini, Mondadori, 1989, p. 48

Nella società futura dominata dal Grande Fratello e dalle sue tecniche pervasive di controllo, Londra  è una delle province dell’iperstato di Oceania, in conflitto permanente con Eurasia. La lingua ufficiale è la Neolingua, che deve via via sostituire l’Archelingua, eliminando ogni possibilità di pensiero eretico e indipendente. Winston Smith, un uomo di quasi qurant’anni, è impiegato al Ministero della Verità con il compito di correggere i documenti non conformi alle direttive del regime. In aprile, con un gesto di autonomia che egli stesso non sa spiegarsi, Winston ha cominciato a scrivere un diario, azione non vietata ma punibile con la morte. Per chi sta correndo il pericolo di scrivere il diario? si chiede Winston, immaginando un tempo in cui “quel che è fatto non può essere disfatto”, come accade invece negli uffici del Ministero, in cui  le notizie – per esempio quelle del Times del 3 dicembre – vengono riscritte e rimesse in circolo: “Non appena tutte le correzioni  che si rendevano necessarie a ogni numero del Times  erano state messe insieme e verificate, quel numero veniva ristampato di nuovo, la copia originale distrutta, e la copia corretta collocata nelle collezioni al suo posto”, alterando così per sempre il passato e la memoria. 

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