31 Maggio

31 maggio 2016

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Non posso rispondere a una lettera di un 31 maggio, il numero 31 non si deve assolutamente usare né profanare. Cosa crede questo signore di Monaco? Come può richiamare la mia attenzione sul 31 maggio! che gli importa del mio 31 maggio! Esco svelta dalla stanza, la signorina Jellinek non deve accorgersi che comincio a piangere, deve catalogare e ordinare, non deve dare proprio nessuna risposta a questo signore. Per tutte le risposte c’è tempo, c’è tempo fin dopo l’estate, in bagno mi viene in mente un’altra volta, io, con una tremenda angoscia, con una fretta pazzesca, scriverò oggi un’altra lettera decisiva, implorante, ma da sola. La signorina Jellinek deve fare il conto delle ore, non ho tempo adesso, ci auguriamo una buona estate. Suona il telefono, ma la signorina Jellinek deve andare. Di nuovo, buona estate! Buone vacanze! Molti saluti al dott. Krawanja, anche se non lo conosco personalmente. Il telefono squilla

Ingeborg Bachmann, Malina, 1971, tr. it. M. G. Manucci, Adelphi 1973 (ed. cons.1987), p.132

Dopo aver presentato i personaggi della storia: Ivan, i due bambini, Malina e sé stessa, la narratrice presenta il luogo: Vienna, e il tempo: Oggi. “Solo sulla data ho dovuto riflettere a lungo, perché è quasi impossibile per me dire ‘oggi’, sebbene ogni giorno si dica, anzi si debba dire ‘oggi’”. L’impossibilità di concepire e nominare quest’unità di tempo è un tema importante della narrazione, fatta di pensieri, memorie, sogni, trascrizioni di telefonate, dialoghi e lettere, lettere ricevute e inviate, come questa arrivata il 31 maggio, data che scatena di nuovo l’angoscia del tempo e una catena di riflessioni su oggi, ieri, domani. “Ma non è ancora domani. Prima che emergano ieri e domani debbo farli tacere in me. È oggi. Sono qui e oggi.”

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30 Maggio

30 maggio 2016

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Oggi è il 30 maggio, stasera alla televisione c’è la partita Roma-Liverpool. Peccato che dovrò guardarla in francese, se mettessi sul canale italiano gli altri sarebbero furiosi. Il cielo è pieno di nuvole bianche, la finestra è aperta e guardo la gru immobile. Tutto quello che ho davanti sta per scomparire. Ho buttato giù i foglietti del calendario da tavolo, e ho guardato i giorni svolazzare al rallentatore coi loro numerini rossi

  Beppe Sebaste, Café Suisse e altri luoghi di sosta, 1992, Feltrinelli 1992, p.133

Le giornate – in questa narrazione – non sono solo la cornice dove collocare le esperienze una dopo l’altra, ma hanno un loro preciso carattere e una loro evanescente consistenza. Lo scrittore le osserva e le attraversa al pari della città in cui si trova, dei locali, dei luoghi aperti e chiusi. “È buona l’aria” in questo 30 maggio che, finché non diventa un foglietto del calendario da staccare, riserva le grandi e piccole prodigiose sorprese di ogni giorno. 

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29 Maggio

29 maggio 2016

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Manca ancora un’epopea (no, non è vero, ne mancano ancora molte): quella delle lucciole. Per esempio ieri, nella notte tra il 29 e il 30 maggio 1988, tra Cormòns e il paese di Brazzano, in Friuli, “all’improvviso” ne comparvero varie su una strada che passa attraverso i campi. Non erano incandescenti, ma si limitavano a scintillare; restavano immobili lungo la strada, a illuminare e a rischiarare per terra con i loro addomi lucenti, per poi dirigersi come aeroplani anche nell’erba folta e là lampeggiare tra i fili. Una di esse si posò sul palmo della mano del passeggiatore notturno: gli illuminava le linee, gettando una luce intensa proprio accanto a quella della vita

Peter Handke, Epopea delle lucciole, 1990, tr. it. L. Salerno in Epopea del baleno,  Guanda, 1993, p. 27

L’epopea, tradizionalmente, è la narrazione di gesta eroiche e per estensione, secondo il vocabolario, la parola indica una serie di fatti degni, appunto, di essere immortalati in un poema. Il narratore di queste pagine registra con accuratezza diverse cose di cui è stato testimone: nevicate; bagliori nel cielo; incontri con piccoli animali. Per ognuna di queste personali epopee, concentrate sui dettagli della vita, segnala la data, perché il carattere della giornata in cui il fatto è accaduto non vada perso. Come l’incontro inaspettato con le lucciole (e con il ricordo di Pasolini) nella campagna friulana, alla fine di maggio. 

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28 Maggio

28 maggio 2016

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“Lei conosce Cappellini Arturo detto Bube?”
“Sì.”
“Lo conosce bene?”
“Certo: è il mio fidanzato.”
“Quanto tempo è che lo conosce?”
“L’ho conosciuto l’anno scorso di questi tempi. No, un po’ dopo…”
“E in che modo vi siete conosciuti?”
“Lui era partigiano insieme a mio fratello Sante, che è stato ammazzato dai tedeschi; e così, dopo il passaggio della guerra, è venuto a conoscere la mia famiglia.” Era stato il padre a istruirla così: “Digli che sei sorella di un partigiano caduto; è sempre una cosa che gli fa impressione, a quei brutti musi.”
“Quando l’ha visto l’ultima volta?”
“Saranno … quindici giorni.”
“Mi dica il giorno preciso.”
“Era… di venerdì.”
“Venerdì 28 maggio?”
“Sì” rispose Mara.

Carlo Cassola, La ragazza di Bube, 1960, Mondadori, 1968, p. 135

Appena finita la seconda guerra mondiale, il giovane ex partigiano Bube, detto il Vendicatore, è rimasto coinvolto in una rissa con un maresciallo e ha ucciso il figlio di questi. Mentre la polizia lo cerca e i compagni del partito comunista coprono i suoi spostamenti, Bube incontra Mara Castellucci, sorella di un suo amico rimasto ucciso durante la lotta per la Liberazione. Mara ha sedici anni e non immagina che l’incontro segnerà la sua intera vita, mettendola di fronte a scelte coraggiose, che la porteranno nelle aule di giustizia e nei parlatori delle carceri. E anche nella Tenenza del paese di Colle, dove è interrogata lei stessa sulla giornata del 28 maggio, una giornata come tante della primavera toscana, che diventa una data trascritta in un verbale. 

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27 Maggio

27 maggio 2016

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Rileggo le righe precedenti e non posso fare a meno di notarvi una certa inquietudine, una certa pesantezza di respiro fin troppo significativa di quello stato d’animo in cui oggi, il 27 maggio 1943, due anni dopo la morte di Leverkühn, vale a dire due anni dopo che da una notte già fonda egli è entrato nella profondissima, io, qui a Freising sull’Isar, nel mio vecchio studio, mi accingo a iniziare la biografia dell’infelice amico che – oh possa esser così – riposa in Dio…

  Thomas Mann, Doctor Faustus, 1947, tr. it. E. Pocar, Mondadori 1984, p.19

La vita del compositore tedesco Adrian Leverkühn narrata da un amico è il sottotitolo del Doctor Faustus, la storia di un musicista la cui esistenza attraversa e riverbera le vicende della Germania della prima metà del Novecento. Dopo studi di teologia, Adrian si è dedicato alla composizione musicale; ha contratto – quasi volontariamente – la sifilide da una prostituta e, durante un soggiorno a Palestrina, ha avuto un allucinatorio incontro col diavolo, con il quale ha stretto, come Faust, un patto sul tempo: ventiquattro anni di creatività straordinaria e poi la dannazione, che arriva già in vita come perdita di sé per i postumi della malattia. La vicenda – dopo la morte di Adrian – è raccontata dall’amico Serenus Zeitblom, che comincia il suo resoconto in data 27 maggio 1943. Un altro musicista legato al diavolo – Niccolò Paganini – era morto poco più di cento anni prima, nel 1840, il 27 maggio. 

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26 Maggio

26 maggio 2016

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Giovedì 26 maggio, per un improvviso cedimento di cardini, la chiudenda del ponte dei Molini si sganciò pericolando sul lago. Il conte Tommaso alzò quegli occhi freddi e mi ingiunse di andare a chiamare maestro Bernardino. Venisse con i suoi strumenti d’ingegnere in cancelleria per disegnare i modi dei ripari e insegnarli agli artigiani. Non poteva esimersi, c’era bisogno di tutti. Con la sua solita maniera allusiva mio padre disse che il momento era venuto e si avviò, portando la sua cassetta di strumenti, verso il Palazzo. Io, sebbene affaticato, andai alla mia consueta ricognizione delle barche sotto Castello, al ponte San Giorgio. 
Mi ricordo bene quella mattina di sole che pareva stregato da nuvole basse strisciate di colori plumbei che promettevano tempesta

Maria Bellonci, Delitto di Stato, 1972, in Tu vipera gentile, Mondadori, 1977, p. 80

La vicenda si svolge a Mantova fra il 1627 e il 1637 ed è raccontata da due diverse voci. La prima è quella del conte Tommaso Striggi, consigliere del Duca, che affida alle carte il resoconto delle sue azioni a difesa del ducato, a partire dall’uccisione del nano Ferrandino, che ha portato con sé una catena di altri delitti e conseguenze nefaste. L’altra voce è di Paride Maffei, il suo giovane segretario, che presenta con sguardo diverso i fatti, le persone coinvolte – fra cui i suoi familiari e l’affascinante Flaminia, amante del Duca e poi sposa di Tommaso -, mentre la città di Mantova è alle soglie della decadenza, preda dei lanzichenecchi e della peste. Ricorrono nel racconto diversi giorni di maggio, profumati di gelsomini, volubili o – come questo 26 raccontato da Paride – illuminati da una luce stregata, foriera di colpi di scena. 

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25 Maggio

25 maggio 2016

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Questi documenti rivelavano tutto di me, eppure non rivelavano nulla. Rivelavano dov’ero nata. Rivelavano che ero nata il venticinque maggio 1949. Rivelavano quanto ero alta. Rivelavano che la mia pelle e i miei occhi avevano lo stesso colore, marrone, sebbene non chiarissero se avevano la stessa sfumatura. Tutti questi documenti dicevano che mi chiamavo Lucy – Lucy Josephine Potter. Io odiavo tutti e tre questi nomi

Jamaica Kincaid, Lucy, 1990, tr. it. A. Di Gregorio, Guanda, 1992, p. 134

Da una piccola isola dei Caraibi dove ha vissuto fino alla maggiore età, Lucy si è trasferita negli Stati Uniti, come governante di quattro bambine. È arrivata in quella parte della terra “in cui l’anno, con tutti i suoi trecentosessantacinque giorni, si divideva in quattro stagioni distinte”. E un anno ha trascorso in casa della famiglia americana. Quando riflette sulla sua data di nascita –  il 25 maggio, che è anche la data di nascita della scrittrice – ha appena cambiato casa e lavoro, cercando di depurare il presente  dai segnali  e dalle presenze del passato. 

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24 Maggio

24 maggio 2016

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Ci fu comunque un giorno in cui sospetto che non dovetti annoiarmi tanto e quel giorno poteva essere solo il 24 maggio, data in cui non scrissi nulla nel diario che interruppi per sempre.
Cosa poteva essere successo per farmelo interrompere così all’improvviso?
(…)
Ora che sapevo del Giudizio Universale che nel maggio del ’63, a un’età del tutto simile alla mia, Lancastre diceva di avere intravisto da adolescente, non fu strano che mi domandassi se non poteva essere esattamente il 24 maggio di quell’anno il giorno in cui lui pensò di aver assistito a quelle scene. E ciò mi fornì il pretesto per telefonare a Vilnius e domandargli se conosceva la data esatta del giorno in cui suo padre aveva avuto quelle strane visioni bibliche in calle Enrique Granados. Se mi avesse risposto che era il 24 maggio, non sarebbe stata una coincidenza da sottovalutare

Enrique Vila-Matas, Un’aria da Dylan, 2012, tr. it. E. Liverani, Einaudi 2012, pp. 269-70

L’idea che il Giudizio Universale sia già avvenuto e che tutti facciano finta di non saperlo è antica ed è richiamata dal narratore di questa intricata storia, dopo aver saputo che lo scrittore Juan Lancastre (di cui sta scrivendo una biografia), ha sostenuto di aver assistito ai preparativi per il Giudizio Universale. La scena si sarebbe svolta a Barcellona, nel maggio del 1963, quando Lancastre aveva quattordici anni. Colpito da questo racconto, il narratore ricorda di aver tenuto un diario, in quella stessa primavera, e di averlo interrotto alla data del 24 maggio, una data in cui può essere accaduto a Barcellona qualcosa di straordinario. Una rivelazione della natura del tempo, o dei tempi, che si infiltrano nella mente di chi inventa storie e le mescola con la realtà. La verifica dell’esattezza della data con il figlio di Lancastre non porta a nulla di sicuro, e il tempo si conferma coerente col nome della piccola orologeria Tempus Fugit, situata in calle Buenos Aires, all’angolo con Villaroel.
Il 24 maggio (del 1941) è la data di nascita di Bob Dylan, l’artista che risuona nel titolo e a cui il figlio di Lancastre somiglia sorprendentemente.

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23 Maggio

23 maggio 2016

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  La donna cominciò a contare sulle dita. Continuò a contare per un poco.
– Cosa state contando? – egli domandò. Ma ella continuava a contare.
– Era il 23 maggio.
– State contando i giorni, vero? Non dimenticate che luglio e agosto sono due mesi lunghi uno dopo l’altro.
– È il centonovantanovesimo giorno. Esattamente centonovantanove giorni.
– Come ricordavate che era il 23 maggio?
– Non ho che da guardare nel mio diario.
– Tenete un diario?
– È sempre divertente leggere un vecchio diario. Ma io non nascondo niente quando lo scrivo, e talvolta mi vergogno io stessa a rileggerlo

Yasunari Kawabata, Il paese delle nevi, 1934-1947, tr. it. L. Lamberti, Sawa Nakamura Deangelis, Einaudi, Torino, pp. 39-40

Dalla città di Tokyo, Shimamura è tornato in una località termale sui monti. Nell’albergo ritrova Komako, una geisha conosciuta in un suo precedente soggiorno alle terme, esattamente 199 giorni prima, il 23 di maggio. Tanto è importante la cognizione del tempo per la donna, che nei suoi diari annota a matita, su due colonne, tutto quello che le accade, dal mattino fino al momento in cui si addormenta. Anche l’uomo, complice l’atmosfera sospesa del viaggio e della montagna,  si trova a riflettere sul passato e si domanda se “il fuggevole paesaggio non si potesse intendere come un simbolo del trascorrere del tempo”.

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22 Maggio

22 maggio 2016

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Infine ritornarono Natale, Capodanno… la primavera, e il 22 maggio lasciai l’isola con il kayak carico di provviste; il mare appariva ormai piuttosto sgombro, e il ghiaccio era così levigato, che a un certo punto riuscii a farci scivolare sopra l’imbarcazione, spinto abbastanza velocemente dal vento

Matthew P. Shiel, La nube purpurea, 1901, tr. It. R. Wilcock, Adelphi, 1967, pp. 65-66

175 milioni di dollari sono il premio che verrà assegnato al primo uomo che raggiungerà il Polo Nord, i 90° gradi di latitudine. La solida nave Boreal si è messa in viaggio con diciassette uomini di equipaggio, fra cui il medico Adam Jeffson, esperto di botanica e meteorologia. La spedizione è in viaggio da più due anni e sono accaduti diversi fatti inquietanti, fra i quali è difficile distinguere quali siano allucinazioni: aurore boreali, presenze animali, colonne di ghiaccio intorno a cui pare di vedere una scritta in caratteri misteriosi e addirittura “una lunga data”. Ma il fenomeno più strano è un vapore purpureo profumato di peschi che accompagna l’esplorazione di Adam Jeffson, rimasto via via solo, in mezzo a distese di ghiaccio coperte di carcasse di animali. Il 22 maggio, piena primavera, si avventura col suo kayak sulla strada del ritorno, piena di sorprese apocalittiche.

 

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21 Maggio

21 maggio 2016

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“E poi, il 21 di maggio, Flush seppe che il giorno era venuto. Poiché quel martedì, il 21 di maggio, Madamigella Barrett si scrutò attentamente allo specchio; con arte squisita si adornò dei suoi scialli indiani; disse alla Wilson di accostar la poltrona, ma non troppo accosto; diede un tocco a questo, a quest’altro e a quest’altro ancora; e si levò a sedere eretta fra i suoi cuscini. Flush le si accucciò ai piedi, zitto zitto. Soli, insieme, attesero”

Virginia Woolf, Flush, 1933, tr. it. A. Scalero, La Tartaruga edizioni, 1991, pp. 42-43

Da quando Elizabeth Barrett ha conosciuto quello che diventerà suo marito, Robert Browning, le giornate del cocker spaniel di nome Flush non sono più le stesse. Arrivato in casa Barrett nel 1842, Flush si è adattato a vivere nella camera della Barrett, la quale, cagionevole di salute, non esce quasi mai. Rinunciando alla sua natura di cane cacciatore, Flush ha imparato a capire la sua padrona, che ricambia l’affetto con attenzioni e poesie. Da qualche mese, le lettere del signor Browning hanno portato dei cambiamenti nella routine sempre uguale delle giornate, cambiamenti che preoccupano Flush (“E che cosa avrebbe portato con sé quell’orrida primavera?”) e che preludono alla prima visita dell’uomo in casa Barrett, alle due e mezzo del pomeriggio di martedì 21 maggio. 

 

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20 Maggio

20 maggio 2016

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Il venti di maggio, alle otto della sera, tutt’e sei le batterie della brigata d’artiglieria di stanza a N., in via di trasferirsi al campo, sostarono a pernottare nel paesino di Mjestèčki. Proprio al colmo della baraonda, mentre alcuni degli ufficiali s’affancendavano intorno ai cannoni, e altri, radunati così a cavallo sulla piazza presso il sagrato, ascoltavano le indicazioni dei furieri d’alloggiamento, di dietro alla chiesa apparve un cavallerizzo in panni borghesi, su una strana cavalcatura. Era una cavallina color isabella, di piccola statura, bella di collo e corta di coda, la quale non incedeva diritta, ma un po’ di sbieco, e scandiva con le zampe certi piccoli movimenti di danza, da parer che le battessero le zampe col frustino. Quando fu accosto agli ufficiali, il cavallerizzo si sollevò il cappello, e disse: “Sua Eccellenza il luogotenente generale von Rabbeck, proprietario di queste terre, invita i signori ufficiali a favorire immediatamente in casa sua, per una tazza di tè…”. La cavallina fece un inchino, si rimise a danzare e, sempre di sbieco, tornò sui suoi passi; il cavaliere, ancora una volta, si sollevò il cappello, e, di lì a un istante, lui e la sua strana cavalcatura dileguavano là di dietro alla chiesa.

Anton Čechov, Un bacio, 1887, tr. it. A. Villa, in Racconti, Einaudi 1974, vol. II, p.282

Il timido capitano Rjabòvič, in sosta con la sua compagnia, si trova a vivere un’avventura inaspettata in casa del luogotenente von Rabbeck, che ha invitato a cena tutti gli ufficiali, la sera del 20 di maggio. Mentre si aggira per la vasta casa, cercando di tornare dalla sala del biliardo al salone, il capitano entra per sbaglio in una stanza buia, dove una donna gli getta le braccia al collo e lo bacia, per poi ritrarsi subito, appena si accorge che egli non è la persona che stava aspettando. Da quell’incontro, la scialba vita di Rjabòvič – almeno per un po’ – cambia. Con la curiosità di indovinare chi possa essere la sconosciuta, ripercorre i dettagli della serata di maggio, finestre aperte, cognac, musica, profumi di lillà, di rose, di pioppi.  È maggio anche all’inizio della vicenda di un’altra opera di Čechov, Il giardino dei ciliegi.

 

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19 Maggio

19 maggio 2016

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Erano calendari molto comuni, di quelli con i paesaggi che certi bottegai regalano ai clienti per Natale. Intorno a molte date si ammassavano appunti sbiaditi in una sorta di stenografia domestica che mi fu impossibile decifrare, e ogni giorno del mese era coperto dalla sua bella X. Sette anni erano stati cancellati in quel modo. Le X si interrompevano il diciannove di maggio, dieci giorni prima della morte di mia madre, piùo meno quando dalla fattoria, mi avevano portato in città a casa di mia zia. Mi pareva che neppure Iddio, avvolgendo la terra nelle tenebre e assicurando al creato il sonno ristoratore, avesse dimostrato maggiore autorità e controllo sul finire del giorno di quanto la marcia inesorabile delle X di mia madre sembrasse proclamare nel corso di quegli anni

John McGahern, Il pornografo, 1979, tr. it. S. Basso, Einaudi 1994, pp.203-4

Nel momento in cui il protagonista della storia – un giovane irlandese che per mestiere scrive racconti pornografici – si trova a riflettere sul tempo, la vicenda narrata è quasi al termine.  La zia con cui è cresciuto sta per morire; la ragazza con cui ha una relazione, relazione che vorrebbe chiudere, è incinta. Il pensiero va al mucchio di calendari trovati in casa alla morte della madre, che cancellava con una X tutti i giorni trascorsi, e a un calendario in particolare, in cui la sequenza arriva fino alla data del 19 maggio. È il grafico della marcia inesorabile del tempo, che ha portato “ciascuno di noi al punto in cui eravamo, ora e per sempre”. 

 

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18 Maggio

18 maggio 2016

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18.5.1930 […] Quest’alba è la prima alba del mondo. Questo colore rosa, che attraverso il giallo volge verso un caldo bianco, non si è mai posato prima sulla facciata occidentale che il caseggiato con i suoi occhi vitrei punta sul silenzio che sopraggiunge dalla luce crescente. Mai c’è stata quest’ora, o questa luce, o questo mio essere. Ciò che sarà domani sarà un’altra cosa e ciò che vedrò sarà visto da occhi ricomposti, pieni di una nuova visione. Alti monti della città! Grandi architetture che i pendii scoscesi reggono e ingrandiscono, slittare di edifici raggrumati in varie forme che la luce intesse di ombre e di ustioni: siete l’oggi, siete me

Fernando Pessoa, Il libro dell’inquietudine, 1982 (post.), tr. it. M. J. Lancastre, A. Tabucchi, Feltrinelli 1987, p.72

Il diario di Bernardo Soares, contabile in una ditta di Lisbona, è “un’autobiografia senza fatti di un personaggio inesistente”, pieno di “riflessioni, di appunti, di impressioni, di meditazioni, di vaneggiamenti e di slanci lirici”. La registrazione continua di sensazioni minime si avvale di una sottile competenza sul tempo, sull’antichità del presente e sulle singole date, distinte dalla luce sempre mutevole dei giorni. 

 

 

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17 Maggio

17 maggio 2016

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Alcuni, ai quali era parso di vedere, la sera del 17 di maggio, persone in duomo andare ungendo un assito, che serviva a dividere gli spazi assegnati ai due sessi, fecero, nella notte, portar fuori della chiesa l’assito e una quantità di panche rinchiuse in quello; quantunque il presidente della Sanità, accorso a far la visita, con quattro persone dell’ufizio, avendo visitato l’assito, le panche, le pile dell’acqua benedetta, senza trovar nulla che potesse confermare l’ignorante sospetto d’un attentato venefico, avesse, per compiacere all’immaginazione altrui, e più tosto per abbondare in cautela che per bisogno, avesse, dico, deciso che bastava dar una lavata all’assito. Quel volume di roba accatastata produsse una grand’impressione di spavento nella moltitudine

Alessandro Manzoni, I promessi sposi, 1827-40, Garzanti, 1981, p. 435

La peste ha già cominciato a diffondersi nella zona di Milano e le autorità la affrontano in modi incerti, affidandosi all’iniziativa di pochi volenterosi, mentre gli abitanti ondeggiano fra la paura, la sottovalutazione del pericolo, la disobbedienza e la superstizione.  Nel maggio del 1630, quando già i lazzaretti sono pieni di malati, si diffonde la voce che il morbo sia portato a Milano da persone straniere (gli untori) che avrebbero contaminato con sostanze tossiche diversi luoghi, fra cui addirittura –  all’interno del duomo – le panche e l’assito, cioè il tramezzo di assi che separa gli uomini dalle donne. Tutto è portato all’esterno, in un giorno reso infausto da false credenze, mentre il morbo si diffonde per altre ragioni e altre strade. 


 

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16 Maggio

16 maggio 2016

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Il 16 maggio 1973
Una delle tante date
che non mi dicono più nulla.

Dove sono andata quel giorno,
che cosa ho fatto – non lo so.

Se lì vicino fosse stato commesso un delitto
– non avrei un alibi.

Il sole sfolgorò e si spense
senza che ci facessi caso.
La terra ruotò
e non ne presi nota

Wisława Szymborska, Il 16 maggio 1973,  La fine e l’inizio (1993), in Vista con granello di sabbia, a cura di P. Marchesani, Adelphi, 2008, p. 201

Dalle piccole misure degli attimi e dei secondi; alle ere geologiche; alle non-misure dell’eternità e dell’infinito: sono tanti i riferimenti che la poetessa polacca Szymborska (Premio Nobel nel 1996) dedica al tempo. Si può incontrare nelle sue poesie l’ora esatta del sorgere e calare del sole in un certo oggi, o la descrizione di quattro precisi minuti fra le 13 e 16 e le 13 e 20. E poi mesi e stagioni, giorni della settimana (“lo scorso martedì”) e anche, come in questo caso, la data completa di una giornata degli anni Settanta, in apparenza del tutto dimenticata.

 

 

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15 maggio

15 maggio 2016

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Il 15 maggio Claude, che era rientrato dalla serata da Sandoz alle tre del mattino, stava ancora dormendo, verso le nove, quando Madame Joseph entrò con un mazzo di lillà bianchi, consegnati da un fattorino. Capì subito: Christine festeggiava in anticipo il successo del suo quadro. Era una grande giornata, per lui: si inaugurava il Salon des Refusés, una novità di quell’anno, in cui avrebbe figurato la sua opera, respinta dalla giuria del Salon ufficiale. Quel pensiero delicato, quei lillà freschi e odorosi che lo svegliavano, lo commosse profondamente, come il presagio d’una giornata fortunata

Emile Zola, L’opera, 1886, tr. it. F. Cordelli, Garzanti 1978, p.111

La vicenda raccontata nell’Opera ha avuto inizio a Parigi in una notte di giugno, durante un temporale, che fa conoscere per caso il pittore Claude Lantier, ribelle alle regole dell’Accademia, e la giovane Christine, sperduta nella città che non conosce. Si sono rivisti dopo due mesi e da allora hanno continuato a frequentarsi, prima “senza una data regolare” e poi con sempre maggiore frequenza, finché la ragazza ha acconsentito a posare nuda per un grande quadro a cui Claude sta lavorando. Il 15 maggio si apre la mostra dei pittori rifiutati dal Salon ufficiale. È “una giornata meravigliosa, con un gran cielo sereno” e Claude si avvia pieno di speranza verso la sede dell’esposizione, dove dovrà affrontare critiche, dissensi e successo di scandalo.  

 

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14 Maggio

14 maggio 2016

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Al largo della costa di Okinawa, il 14 maggio (il giorno dopo che lo Svedese fece quattro su quattro contro la squadra del liceo di Irvington con un singolo, un triplo e due doppi), due piloti kamikaze attaccarono la portaerei ammiraglia Bunker Hill centrando con i loro apparecchi imbottiti di bombe il ponte di volo gremito di aerei americani carichi di munizioni e pronti a decollare. La fiammata arrivò a trecento metri d’altezza, e nell’esplosiva tempesta di fuoco che infuriò per otto ore morirono quattrocento uomini, tra aviatori e marinai. Il 14 maggio 1945 – altri tre doppi per lo Svedese in una partita vincente contro l’East Side – le truppe della sesta divisione catturarono il Pan di Zucchero

Philip Roth, Pastorale americana, 1997, tr. it. Vincenzo Mantovani, Einaudi, Torino, 1998, pp. 210-11

La domenica di Pasqua del 1945 gli Americani invadono l’isola giapponese di Okinawa ingaggiando una battaglia che durerà fino a giugno. Nel New Jersey, il diciottenne Seymour Levov, detto lo Svedese, formidabile giocatore di baseball, segue le azioni dei Marines attraverso il Pacifico, appuntando su una carta le zone degli attacchi. La battaglia di Okinawa corre parallela al suo ultimo anno di liceo: il 14 maggio è una giornata di feroci combattimenti sul fronte e di successi sportivi per il ragazzo Levov, che cercherà di arruolarsi nei Marines, mentre la seconda guerra mondiale sta per concludersi e altri agoni lo attendono al varco della sua vita adulta.

 

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13 Maggio

13 maggio 2016

 

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Il sole, puntuale servitore di tutti i mestieri, si era appena levato e aveva cominciato a risplendere sulla mattinata del tredici maggio milleottocentoventisette, quando Mr Samuel Pickwick, destatosi come un secondo sole dal sonno, balzò in piedi, aprì la finestra della stanza da letto e volse lo sguardo sul mondo sottostante. Ai suoi piedi si stendeva Goswell Street, alla sua destra – fin dove giungeva la vista – proseguiva Goswell Street, e di fronte, al di là della strada, ecco l’altro tratto di Goswell Street.
“Anguste”, pensò Mr Pickwick, “anguste sono le vedute di quei filosofi che, paghi dell’apparenza delle cose, non ricercano la verità che vi si cela dietro. Anch’io potrei accontentarmi di contemplare per sempre Goswell Street, senza fare il minimo sforzo di penetrare le contrade nascoste che la circondano da tutte le parti.”
E avendo così tradotto in parole questa bellissima riflessione, Mr Pickwick si accinse a infilar se stesso in alcuni abiti e a infilarne altri nella valigia

Charles Dickens, Il Circolo Pickwick, 1836-37, tr. It. G. Lonza, Garzanti 1990, col. I, pp. 28-29

Il “primo giorno di viaggio e la prima serata di avventure”  del Circolo Pickwick cadono il 13 di maggio del 1827. Il giorno prima, a Londra, è stata costituita una nuova sezione del Circolo, il cui nome è Inviati speciali e la cui missione è quella di viaggiare – a proprie spese – in cerca di curiosità e conoscenze, riportando all’associazione documenti e rapporti sulle esperienze fatte. Fedele a questa missione, all’alba del 13 maggio Mr Pickwick sta per uscire con valigia e telescopio verso quasi mille pagine di avventure, guai, scoperte e amicizie.  

 

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12 Maggio

12 maggio 2016

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12 maggio
Non so se spiriti ingannevoli aleggiano su questo paesaggio, o se è la calda, celestiale fantasia nel mio cuore, che rende così paradisiaco tutto quello che mi circonda. Proprio all’ingresso del villaggio c’è una fontana, una fontana alla quale mi sento legato come da un sortilegio, come Melusina con le sue sorelle. Scendi il pendio di un breve colle e ti trovi davanti a una grotta, in cui scendono almeno venti gradini e, in fondo, da rocce marmoree sgorga un’acqua purissima. Il muretto che la recinge in alto, formando un parapetto, gli alberi alti, che ricoprono tutt’intorno lo spiazzo, la freschezza del luogo, tutto è così attraente e così misterioso

Johann Wolfgang Goethe, I dolori del giovane Werther, 1774, tr. It. A. Pandolfi, Bompiani 1987, p. 11 (altra ed. Mondadori)

Nei primi giorni del maggio 1771, Werther si trova in campagna, da solo, per sistemare degli affari di famiglia. Quella del dodici maggio è la terza lettera che scrive all’amico Wilhelm per raccontare le sue giornate, durante le quali esplora il territorio, scoprendo luoghi quasi fatati e la bellezza del paesaggio tedesco in primavera. Non ha ancora conosciuto Charlotte, la ragazza di cui si innamorerà senza speranza, poiché lei andrà in sposa ad Albert. Ancora, in quel giorno di maggio, Werther è in grado di “godere del presente”, degli incontri e della natura, incondizionatamente.

 

 

 

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