Calendar Houses: il tempo costruito

Grazie a un tweet inviato all’account Twitter @diconodioggi da Sandra Muzzolini, esperta di letteratura e di cultura inglese, veniamo a conoscenza di una rara tipologia di case, costruite nel Regno Unito dalla fine del XVI secolo, che hanno a che fare con la scansione calendariale del tempo. 
Nel tweet, è riportata una citazione dal libro della scrittrice britannica Natasha Solomons, The House of Gold (2018, tradotto in italiano da Laura Prandino per l’editore Neri Pozza col titolo I Goldbaum):
“Era l’ultima delle calendar houses costruite in Inghilterra; aveva 365 finestre, 52 stanze principali, 12 scale, 7 torri e 4 ali”.


Una casa calendario è un edificio complesso in cui gli elementi architettonici (porte e finestre, stanze, camini, torri, cortili) sono modulati in quantità che rappresentano i giorni della settimana, le settimane e i mesi dell’anno, le stagioni.
La genesi delle case calendario risale – come si legge nell’articolo 
Make a date: the strange world of the calendar house – al fervido clima intellettuale del periodo elisabettiano, attraversato da interessi per le scienze della natura, per la matematica, per l’astronomia e da una attrazione per il “device” which in the 16th-century meant any ingenious or original shape or concept”.
Il dispositivo concettuale sotteso alle calendar houses consiste dunque nell’incorporare le misure convenzionali del tempo nel progetto architettonico: una contrainte che, oltre a vincolare eventuali sviluppi successivi dell’edificio, produce un’attitudine al computo e alla verifica
della regola. Fra i non molti esempi di questa tipologia di dimora – che collega porzioni di spazio e di tempo –  è annoverata – almeno miticamente -anche Knole House nel Kent, proprietà della famiglia Sackville-West, evocata nel libro di Virginia Woolf Orlando.

a.s.

Mappe nel tempo globale: Cristina Lucas

Una storia dell’arte estesa quanto il mondo, che cerchi di raccontare la molteplicità delle espressioni artistiche che si sono sviluppate – nel tempo – nelle diverse aree del globo. Mentre scuole e università affrontano questa nuova prospettiva modificando metodi, libri di testo, pratiche didattiche, le opere d’arte stesse possono rivelarsi efficaci strumenti, come dimostrano le reazioni dei visitatori davanti alle mappe geo-politiche di Alighiero Boetti: i planisferi colorati dalle bandiere cangianti delle nazioni attirano l’attenzione e inducono a percorrere la superficie per un tempo ben maggiore dei pochi secondi che le statistiche indicano come standard nelle visite museali.
Un’opera d’arte che si presenta come una interessante visualizzazione di questo vasto tema è visibile fino al 3 novembre 2019 a Roma, nella mostra collettiva dal titolo Kronos Kairos. I tempi dell’arte contemporanea, a cura di Lorenzo Benedetti, allestita negli spazi dell’area archeologica del Palatino.

L’opera è dell’artista spagnola Cristina Lucas (Jaén, 1973) e si intitola Pantone -500 +2007. Si tratta di una video-installazione che mostra in modo dinamico l’emergere – nella conoscenza geo-politica occidentale – delle diverse zone del mondo in un arco di tempo compreso fra il 500 avanti Cristo e il 2007, anno di realizzazione dell’opera stessa.
L’artista spagnola, che ha all’attivo diverse creazioni che indagano le convenzioni narrative della storia ufficiale, esplorando con i mezzi del video e dell’installazione le fonti secondarie e critiche, per l’opera Pantone -500 + 2007 ha condotto un lungo lavoro di ricerca storico-geografica e cartografica, avvalendosi della consulenza di esperti internazionali.

Ha poi inserito i dati in un programma: ogni secondo che passa nel video corrisponde a un anno nella storia del mondo: 2507 anni in 40 minuti circa. All’aumentare del tempo (il tempo reale che trascorre per chi guarda e quello collegato, proporzionalmente, nella linea ella storia), la superficie bianca dello schermo si anima di zone colorate. E qui si spiega il titolo, che fa riferimento a Pantone, l’azienda che ha creato un sistema standardizzato internazionale per effettuare e condividere selezioni di colore. Nel video in continua mutazione di Cristina Lucas, “ogni colore rappresenta una specifica identità nazionale”, come scrive la curatrice Ghila Limon, “il movimento di macchie di colore rappresenta guerre, invasioni o migrazione della popolazione. Pantone standardizza la rappresentazione di tutti gli eventi storici, senza alcun ordine gerarchico”.

Chi osserva questa mappa in continua trasformazione è coinvolto nella ricostruzione della forma del mondo (così come siamo abituati a vederla negli atlanti), si interroga sulla mancanza di alcune zone, sul loro comparire in corrispondenza della loro “scoperta”, sul loro mutare di colore a seconda della travagliata storia coloniale, fino a che – anno dopo anno – il planisfero si completa, senza che i colori si assestino mai definitivamente. Storia, geografia, politica, rappresentazione sono messe in una prospettiva dinamica e relativa, che dialoga con chi la segue guardando il video, desiderando fermarlo in alcuni anni cruciali, per approfondire una zona, colorata o vuota che sia.
La mappa di Cristina Lucas potrebbe scorrere proficuamente nelle classi scolastiche e universitarie, come traccia mobile su cui interagire per cogliere cromaticamente la dimensione spazio-temporale della storia e riempirla di contenuti e collegamenti inter-disciplinari.

Mostra Kronos Kairos. I tempi dell’arte contemporanea, a cura di Lorenzo Benedetti, Roma, Palatino, fino al 3 novembre 2019

(a.s.)

 

Visualizing Time: Time’s News 2019

Mentre a Los Angeles (Marymount Loyola University) si svolge Time in Variance, il 17° simposio sul tempo organizzato dall’International Society for the Study of Time (ISST), il cinquantesimo numero del magazine dell’ISST,  “Time’s News”, esce a cura di Emily Di Carlo. 
Contiene notizie sulle attività della Società, recensioni, segnalazioni di eventi ed esperienze, call for papers, approfondimenti, interviste e una sezione, dal titolo Visualizing Time, dedicata ad opere d’arte che – nel corso del 2018-19 – hanno fatto emergere una riflessione  sul tempo, attraverso tecniche e strumenti diversi. 
La selezione di questa scelta di “time focused art”, curata da Antonella Sbrilli e Laura Leuzzi, segnala una serie di artisti internazionali, da Olafur Eliasson e Minik Rosing con il loro Time Watch a Tracey Emin (I Want My Time With You), passando per Aiko Miyanaga (Waiting for Awakening – Clock), Marco Godinho (Every Day a Poem Disappears in the Universe), Zhao Zhao (One Second) e due artiste italiane: Daniela Comani che nel 2019 ha realizzato Planet earth 21st Century (ne abbiamo parlato qui), e Mariagrazia Pontorno, con Everything I Know, un progetto che ripercorre il viaggio di Leopoldina d’Austria – appassionata di scienze – verso il Brasile, nel 1817: un diario che rintraccia, aggiorna, rimodula lo sguardo scientifico, le atmosfere geografiche, i passaggi di spazio e di tempo.


Nell’anno in cui si celebra il  cinquantenario del primo sbarco sulla Luna, non poteva mancare l’eloquente opera di Peter Liversidge, From home – how far the moon has, and is, moving away from the Earth since the moon landing, July 20th, 1969


Il numero di “Time’s News” riporta anche un interessante esperimento di Emily Di Carlo,  I Need To Be Closer To You, parte del progetto Daylight Saving Time, che indaga il concetto di “time-specificity” nell’arte contemporanea, lavorando sui fusi orari, sull’ora legale, sulla percezione della distanza temporale e delle sue variazioni. 

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Time in Variance – Los Angeles, 23-29 giugno 2019

L’International Society for the Study of Time (ISST), fondata nel 1966 da Julius T. Fraser (ne ho parlato qui), organizza triennalmente dei simposi multidisciplinari sul tema del Tempo. Quest’anno – 2019 – il 17° incontro si svolge dal 23 al 29 giugno presso la Loyola Marymount University di Los Angeles. Il titolo è Time in Variance: il tempo considerato in rapporto con il concetto di “varianza”,  intesa come variabilità e come modifica. L’intento è quello di indagare le trasformazioni nella valutazione e nella condivisione di scale temporali diverse che producono – concettualmente ed esperenzialmente – forme diverse di tempo “alcune oscillanti, altre circolari, altre ancora lineari”. La frase Time in Variance suggerisce però anche il suono della parola “invarianza”, evocando così la compresenza del flusso delle trasformazioni e della presenza di costanti, la necessità delle misure e la condizione dell’instabilità.
Come sempre, il simposio presenta interventi teorici e laboratori, mostre e workshop creativi, che abbracciano vaste e variegate regioni disciplinari, che includono e intersecano le scienze, la filosofia, la psicologia, la narrativa, il cinema. A questo link si possono leggere gli abstracts degli interventi e dei poster.


Le sessioni di Time in Variance  si svolgono nella Hannon Library della Loyola Marymount University, nelle cui Special Collections è conservata parte dei materiali d’archivio dell’International Society for the Study of Time donati dal fondatore J.T. Fraser.

Il programma del simposio 2019 include fra le altre attività multidisciplinari anche la visita a The Garden of Slow Time, giardino di meditazione progettato da Paul Harris di cui la foto mostra una veduta d’insieme e un dettaglio. 

 

 

Notte bianca #24: Firenze, Museo Marino Marini

Durante l’estate a San Pietroburgo si assiste al fenomeno delle notti bianche, quando la luminosità, per quanto soffusa, permane anche a notte fonda. Sono queste ventitré notti bianche ad aver ispirato la Notte Bianca #24 del Museo Marino Marini di Firenze: un “festival di una sola notte dedicato alla creatività, alla cultura, all’arte e ai sogni”.
Dalle 21,30 di sabato 4 maggio all’alba di domenica 5 maggio 2019, nel museo che ospita le sculture di Marino Marini – l’ex chiesa di San Pancrazio – si avvicendano performance, musiche, dialoghi, esplorazioni, sui temi intrecciati del tempo, dello spazio, del museo, dell’immaginario.

La Notte Bianca #24 fa parte di Accents, Accenti, Акценты, il programma  allestito da Dimitri Ozerkov, visiting director del museo Marino Marini per il 2019. Ozerkov (San Pietroburgo, 1976), storico dell’arte, filosofo, curatore di numerose mostre (da ultima Futuruins a Palazzo Fortuny, Venezia),  è responsabile del Dipartimento di arte contemporanea dell’Ermitage. 

La parola accenti, modulata in tre lingue, evoca la pluralità di voci e di ritmi del programma, che vede tre artisti in residenza, Irina Drozd, Andrey Kuzkin e Ivan Plusch e la mostra Le Tre donne, allestita  nella Cappella Rucellai e dedicata a tre figure femminili del racconto biblico, Giuditta, Giaele e Dalila. 
A questo link il programma

 

Planet Earth: 21st Century di Daniela Comani

Ci voleva un’artista residente a Berlino – e proveniente da un’altra città che inizia con la B, Bologna – per portare nel nuovo millennio l’immagine della città, le immagini delle città. Quelle Städtebilder che un nativo berlinese, Walter Benjamin, aveva descritto seguendo i labirinti delle strade, gli spiazzi fra i blocchi degli edifici, i monumenti, le colonne che si levano sulle piazze “come la data sul blocco di un calendario”.
Ci voleva un’artista che si era immersa profondamente nel Tempo, raccontando in prima persona il periglioso Novecento nella sua opera Sono stata io. Diario 1900-1999, dove – non per caso – Benjamin è evocato alla data del 27 settembre “mi tolgo la vita a Portbou, sulla frontiera tra Francia e Spagna”.
È stato scritto che la descrizione della città è un viaggio nel tempo piuttosto che nello spazio, un viaggio nella familiarità che diventa straniera, nel presente che lascia trapelare il passato, nella lontananza che si alterna alla prossimità.
Se queste osservazioni valgono ancora nell’epoca dei viaggi veloci, dei blog turistici, dei satelliti, delle webcam, allora la nuova opera di Daniela Comani, Planeth Earth: 21st Century, ne è l’espressione più esattamente straniante, la più vicina alle trasformazioni delle tecnologie e dei punti di vista.


Il punto di partenza di Planet Earth è una raccolta di immagini di città, un materiale visivo proveniente dalle applicazioni di cartografia tridimensionale Apple Maps e Google Earth Virtual Reality. Basate su programmi 3D di rendering che creano un mondo tridimensionale grazie a immagini satellitari e fotografia aerea, queste tecnologie consentono di sorvolare le città in 3D, girando intorno a edifici e monumenti, strade, svincoli, ponti e ogni genere di infrastrutture. 
Nel corso di queste esplorazioni virtuali, Daniela Comani ha “catturato” centinaia di foto, manipolando le immagini prodotte dalle mappe di Apple e Google Earth,  in modo che ne risulti un panorama privo di presenze umane, ma denso di pattern murari, di ombre e profondità.


Una volta ottenute queste vedute – souvenir di un pianeta antropico dove gli esseri umani non compaiono – l’artista le ha stampate nel formato tradizionale della cartolina. Un formato che permette anche – agli interlocutori di quest’opera – di accettare la suggestione narrativa delle immagini e di scrivere sul lato bianco del cartoncino la propria storia per quell’immagine, per quella città, per il proprio viaggio, per la propria memoria. 
Da una raffinata tecnologia geolocalizzata al ricordo da spedire via posta, dall’occhio planetario allo sguardo privato, Planeth Earth: 21st Century è anche una inaspettata opera partecipativa, story-telling postale all’insegna di un lieve disorientamento condiviso, dove la sorpresa è continuamente dietro l’angolo delle strade.


Durante il National Geographic Festival delle Scienze 2019 di Roma (Auditorium Parco della Musica, Foyer Petrassi, 8-14 aprile 2019), Planet Earth: 21st Century diventa una mostra, allestita nella forma più consona al suo tema: chi la visita può infatti curiosare fra le cartoline sistemate in una serie di espositori girevoli, tipici oggetti del turismo globale. 
E sempre presso l’Auditorium Parco della della Musica di Roma, nello spazio di passaggio tra il foyer della Sala Petrassi e il Teatro Studio Borgna, il Sound Corner permanente ospita la versione audio di Sono stata io. Diario 1900-1999.

Il sito dell’artista Daniela Comani.
Antonella Sbrilli

Ingannare il Tempo. Un incontro al Museo di Roma in Trastevere

Nell’ambito del programma Educare alle mostre / Educare alla città della Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, il 6 marzo 2019 si svolge un incontro dal titolo “Ingannare il tempo. Giorni inventati fra arte e racconto”, a cura di Antonella Sbrilli.
L’incontro al Museo di Roma in Trastevere prende avvio dalle illusioni ottiche, gli inganni visivi legati alla percezione dello spazio e si inoltra nel tema degli inganni temporali. Qualche esempio: un artista che retrodata un dipinto sta ingannando la visione storica della sua produzione; uno scrittore che segna una data inesistente (37 ottobre, 31 aprile) sta inserendo nella sequenza del calendario un ostacolo sul quale la lettura inciampa e l’immaginazione prende una sua strada.

Nel pomeriggio del 6 marzo 2019 – che fra l’altro è il Mercoledì delle Ceneri (e il pensiero corre all’opera in versi di T. S. Eliot che porta il titolo della ricorrenza) – vedremo una serie di opere che si intromettono con diversi espedienti nella durata temporale, concerti lunghi secoli, orologi annuali, opere che termineranno nel 2114, periodi trascorsi su una scansione del tempo parallela, consapevoli che, come scrive Carlo Rovelli, il tempo è “la sorgente della nostra identità”, la forma con cui noi esseri “il cui cervello è fatto essenzialmente di memoria e previsione interagiamo con il mondo”.

Educare alle mostre / Educare alla città
Ingannare il tempo. Giorni inventati fra arte e racconto
a cura di Antonella Sbrilli
Museo di Roma in Trastevere
Piazza Sant’Egidio, Roma
Mercoledì 6 marzo 2019 ore 16
L’immagine è tratta da http://www.iferridisbrilli.eu

Storia millimetrata del tempo: Art’s Birthday 2019

Diconodioggi ha dato spesso notizia negli anni scorsi della ricorrenza del “compleanno dell’arte”, l’Art’s Birthday inventato dall’artista francese Robert Filliou: correva l’anno 1963 quando, nel poema intitolato L’Histoire chuchotée de l’Art (La storia sussurrata dell’Arte), Filliou incluse il racconto di come “tutto ebbe inizio il 17 di gennaio di un milione di anni fa. un uomo prese una spugna asciutta e la intinse in un secchio pieno d’acqua. non importa chi fu quell’uomo. egli è morto, ma l’arte è viva.”
La data del 17 gennaio corrisponde al compleanno di Filliou stesso  e diventa la data originaria a cui far risalire la prima traccia della capacità creativa del genere umano. Dal 1973, prima in Germania e in Francia e poi in una rete più ampia di paesi, l’Art’s Birthday è festeggiato con iniziative disparate, concerti, feste, azioni. La pagina artsbirthday.net raccoglie le partecipazioni all’anniversario di quello che quest’anno 2019 è  il 1.000.056° compleanno dell’arte.


Quest’anno, il  il Macro Asilo di Roma – su iniziativa di Antonella Sbrilli – organizza una giornata celebrativa che si svolgerà dalle ore 10.00 alle ore 18.00 nella Sala Media e proseguirà con i festeggiamenti fino alla chiusura.
Il centro creativo della giornata è affidato all’artista milanese Aldo Spinelli, che darà vita alla sua Storia millimetrata dell’arte. Ecco di che cosa si tratta.
Il progetto di Aldo Spinelli – come lo descrive egli stesso – prende spunto dalla pretesa di visualizzare il numero 1000056 (unmilionecinquantasei) nella sua vasta estensione che tuttavia può essere riconducibile a dimensioni umane se l’unità di misura scelta è più o meno contenuta e minuscola. Come si potrebbe presentare, per esempio, una superficie di unmilione e poco più centimetri quadrati? Beh, occorrerebbe un mezzo campo da tennis. Allora i millimetri: 56 millimetri in più di un metro quadro, lo spazio minimo che ci è necessario anche in un posto affollato.
Scomponendo 1000056 nei suoi fattori primi si ottiene 2 x 2 x 2 x 3 x 41669 in cui i divisori più piccoli del numero, se moltiplicati tra loro, possono suggerire un’altra idea: 2 x 2 x 2 x 3 = 24 proprio come le ore del giorno.


In 24 ore (o in 24 giorni) si possono dunque realizzare altrettante immagini ognuna delle quali ha la superficie di 41669 millimetri quadrati: 24 x 41669 = 1000056. Quali immagini? Delle semplici forme che richiamano, alludono a 24 “soggetti” tipo che hanno caratterizzato la storia dell’arte: dalle impronte dell’uomo primitivo al ritratto, dal quadrato nero di Malevic al taglio di Fontana, dalla pop art all’arte concettuale.
Queste immagini saranno prodotte in presenza del pubblico e con tecniche varie avendo come unico comun denominatore la carta millimetrata. Da qui il tiolo della manifestazione: L’Histoire millimétré de l’Art.
L’evento è aperto a tutti ed è a ingresso libero.
Aldo Spinelli: Art’s Birthday 2019
Macro Asilo, Roma, via Nizza 138, Sala Media dalle 10 alla chiusura.

Foglietti di tempo a Montevideo

“Camminando per le strade di Montevideo il 31 dicembre, sono stata sorpresa da una pioggia di foglietti che, come piccoli fuochi d’artificio, sbocciavano da diversi palazzi istituzionali”,  racconta Sara De Chiara, storica dell’arte in viaggio in Uruguay.  “Sono riuscita a catturare il lancio dal palazzo della presidenza della repubblica e a capire la natura dei foglietti: calendari spezzettati, pagine di agende strappate, un vero e proprio azzeramento dell’anno agli sgoccioli”. 
È un’usanza della capitale dello stato sudamericano,  riportata anche nelle guide turistiche, quella che accompagna il passaggio da un anno all’altro.  Il 31 dicembre, dai palazzi del centro, una pioggia bianca di foglietti di carta ricade sulle strade, si ammucchia ai bordi dei marciapiedi, si disperde sul selciato. Chi si avvicina ai foglietti, si accorge che si tratta di pagine di agende e calendari, lanciati fuori delle finestre degli uffici, in un rito che – al netto del disagio della ripulitura delle strade – mantiene un valore simbolico eloquente. E non stupisce che il rito si affacci letteralmente dalle finestre nella terra di Eduardo Galeano (1940-2015), l’autore  che ha saputo raccontare il tempo e le sue misure, oscillando fra narrazione lunga e frammento, pagine e foglietti (Bocas del tiempo). 

 

 

 

Passaggi di tempo

Siamo arrivati al 30 dicembre, comincia il conto alla rovescia per l’anno nuovo e si affollano i calendari del 2019.
Per il conto alla rovescia, è d’obbligo citare Ice Watch, l’installazione che l’artista Olafur Eliasson ha realizzato insieme con il geologo Minik Rosing a Londra.
Trenta piccoli iceberg – il peso di ciascuno varia da una tonnellata e mezzo a sei tonnellate – raccolti alla deriva in un fiordo in Groenlandia sono collocati in due zone della città, 24 nei pressi della Tate Modern e altri sei, in cerchio, all’esterno della sede europea di Bloomberg (che finanzia l’operazione). Già due volte, nel 2014 e poi nel 2015, Eliasson aveva trasportato enormi pezzi di ghiaccio in mezzo a due capitali, Copenaghen e Parigi, in concomitanza con incontri internazionali sul cambiamento climatico. Disposti a cerchio, come in un quadrante di orologio, o sfalsati sull’asfalto cittadino come bianchi dolmen fra cui muoversi, i pezzi di ghiaccio si liquefanno giorno dopo giorno, con un chiaro – per alcuni fin troppo didascalico – monito sugli effetti del riscaldamento globale, sul futuro delle calotte polari e del livello dei mari.
L’installazione, inaugurata a dicembre, dura finché i blocchi non saranno sciolti, scandendo il tempo con un ritmo imprevedibile.
Chi cerca invece un calendario con la sua griglia regolare di caselle che accompagnano il 2019 con citazioni e anniversari, può dare un’occhiata a quello creato da Ethics in Bricks. Il calendario presenta per ogni mese un pensiero-guida, su temi di filosofia morale, illustrato da una scena allestita con mattoncini e altri componenti Lego. Ethics in Bricks è attivo su Instagram, Facebook e Twitter, dove posta ammirevoli ricostruzioni di uffici, strade trafficate, aule – tutte fatte di Lego – e ognuna collegata a un tema filosofico, declinato al presente: il dilemma etico dell’auto senza guidatore, il rapporto formatore-discente, le differenze di genere, i big data e così via.
Le scene sono popolate anche dalle figure di filosofi, riconoscibili per dettagli, come la barba scura di Nietzsche, la parrucca bianca di Kant, o per il contesto, come il fiume di Eraclito, fatto con mattoncini piatti celesti e trasparenti.
La copertina del calendario si ispira alla Scuola di Atene di Raffaello e raccoglie in ordine sparso, ma motivato da una legenda, 14 filosofi antichi e moderni, da Socrate ad Hannah Arendt, da Diogene a Martha Nussbaum, e non manca Žižek.
Il mese di gennaio 2019 inizia all’insegna di Platone e ricorda le date di nascita di Simone de Beauvoir, il 9 gennaio, di Gramsci, il 23 e di san Tommaso, il 28.
Il calendario si può scaricare e in cambio fare una libera donazione all’Unicef.

Su Twitter @EthicsInBricks – Plastic philosophy

(a.s.)

 

 

Duemila pagine di anni: Isidoro Valcárcel Medina

L’opera 2.000 años d. de J.C. dell’artista spagnolo Isidoro Valcárcel Medina è un viatico perfetto per il tempo di passaggio della fine d’anno. Si tratta infatti di un libro (in due tomi) che affronta il Tempo: racconta duemila anni di storia, selezionando per ogni anno un evento particolare, “scelto in quel modo intelligentemente arbitrario concesso soltanto agli artisti di sostanza”, come nota Sara De Chiara della galleria Madragoa (Lisbona).
Nato a Murcia negli anni Trenta, Isidoro Valcárcel Medina si è mosso fra diversi mezzi, linguaggi, tecniche, situazioni, attraversando le atmosfere del minimalismo e del concettuale, l’estetica della recezione, la mail art, l’arte pubblica.
L’interesse per gli invisibili nessi fra tempo e spazio lo ha condotto spesso ad allestire interventi furtivi, “circostanze” – come vengono definite – che ruotano intorno alle opere e alle modalità della loro esposizione o all’incursione del tempo-reale nello spazio del museo.
In vista del passaggio di millennio, l’artista ha realizzato – cominciando il suo lavoro nel 1995 – questo libro enciclopedico, che si sviluppa in due tomi rilegati in tela rossa, composti di duemila pagine di carta velina, una per ogni anno che va dallo zero al 2001. In ciascuna pagina Valcárcel Medina ha riportato – in rappresentanza dei due millenni dell’era cristiana – una storia, un aneddoto laterale, trascurato, eppure preciso, oppure un fatto noto restituito da un dettaglio minore. Non mancano un indice tematico, un indice dei nomi e dei luoghi e una bibliografia delle fonti.
In un lungo saggio consultabile qui, Beatriz Herráez ripercorre l’origine di questa cronologia fatta di ritagli, collage di cronache variegate in cui si ritrovano l’eruzione del Vesuvio del 79 e il furto della Gioconda del 1911, accanto a fatti marginali, scartati, secondari.
Chi la sfoglia, si interroga sui criteri di selezione, immagina la difficoltà di riempire le pagine di anni reconditi e lontani, in apparenza vuoti di avvenimenti documentati, valuta l’impresa di tempo personale che la ricerca ha richiesto. Una massa di ore e giorni spesi in archivi, biblioteche a volte poco collaborative, motori di ricerca, si insinua a ritroso nel computo convenzionale delle ere, frantumando la piramide della storia in migliaia di accumuli di storie. 

(a.s.)

Il tempo nello spazio di Kurokawa, a Modena

Transitorie, soggette al mutamento, fragili eppure resistenti, immerse nel flusso e nelle intermittenze del tempo, le percezioni visive e sonore  generate dalle sculture audio-visuali dell’artista giapponese Ryoichi Kurokawa (Osaka, 1978) invitano a un’attenzione multipla, diretta verso il ritmo, il colore-luce, l’intervallo, il margine. Queste “sinfonie di suoni che, in combinazione con paesaggi digitali generati al computer, cambiano il modo in cui lo spettatore percepisce il reale” sono in mostra dal 14 settembre 2018 al 24 febbraio 2019 alla Galleria Civica di Modena (Palazzo Santa Margherita), presentate da Fondazione Modena Arti visive in occasione del festivalfilosofia 2018. L’esposizione – la prima in Italia di Kurokawa –  è collegata a NODE – festival internazionale di musica elettronica e live media che si svolgerà a Modena dal 14 al 17 novembre 2018. 


Il titolo della mostra è al-jabr (algebra) e raccoglie opere audiovisive, installazioni, e anche sculture e stampe digitali sperimentali: una scelta delle ricerche di quest’artista nato in Giappone e residente a Berlino, che unisce competenze musicali, visuali, tecniche e pratica un’estetica collaborativa con scienziati esperti di astrofisica o di nanotecnologie, senza dimenticare elementi della tradizione artistica e filosofica orientale.
Erede della tradizione sinestetica che indaga il legame fra percezioni di norma intese come separate e che possono invece innescarsi reciprocamente, Kurokawa descrive i suoi lavori come sculture “time-based”, incastonate nel tempo e nelle sue misure. 
Nella mostra di Modena si incontrano – come si legge nel comunicato stampa –  “concetti e metodologie quali la decostruzione e la ricostruzione di elementi naturali (elementum, lttrans, renature), la riunione di strutture divise (oscillating continuum), la rielaborazione di leggi e dati scientifici (ad/ab Atom, unfold.alt, unfold.mod)”. 
Come si intuisce dalla terminologia che accompagna l’artista, la dimensione delle sue opere è la complessità indistricabile delle percezioni sonore e visive e della loro natura, allo stesso tempo interna ed esterna, individuale e comune, macro e microscopica, armonica e dissonante.  

a.s.

Ryoichi Kurokawa, al-jabr
Galleria Civica di Modena
Palazzo Santa Margherita
Corso Canalgrande, 103 – Modena
14 settembre 2018 – 24 febbraio 2019
Il sito dell’artista a questo link 

 

Exploring the Mystery of Time: a Pari (GR) settembre 2018

Dal 6 al 12 settembre 2018 a Pari (Grosseto), si svolge un convegno dal titolo multidisciplinare:
Exploring the mystery of time from different perspectives: art, science, philosophy, psychology, literature, film, mystical experience.
La presentazione pone in apertura una citazione dell’Ulisse di Joyce “I hear the ruin of all space, shattered glass and toppled masonry, and time one livid final flame” e prosegue con la domanda, centrale e diagonale: “What is time?”.

Qui il link e questi gli interventi in programma:
Julian Barbour, The Janus Point: A New Theory of Time’s Arrows and the Big Bang
Mauro Bergonzi, Time and Consciousness
Warwick Fox, Language, Time, and the Value of Lives
Christopher Hauke, Film and Time: How Movies Make the Impossible Real, or, How Reality Makes the Unreal Possible
Alison MacLeod, Making Time: Writers, Time and Literary Creation
Hester Reeve, Time in Contemporary Art
Shantena Augusto Sabbadini, Being and Becoming in Modern Physics
David Schrum, Time, the Psyche, and Timeless Mind
Gordon Shippey and James Peat Barbieri, Time Travel: The Physics, Philosophy & Fiction behind Doctor Who

 

La Terra è l’orologio della Terra: Chronogeoscope

“The Earth is its own Clock”, “La Terra è l’orologio della Terra”: è questa l’idea sottesa a una app che visualizza – con un’interfaccia chiara e attraente –  la presenza implicita, in ogni quadrante di orologio,  della rotazione del nostro pianeta sul suo asse. L’app si chiama Chronogeoscope, si scarica facilmente sui dispositivi mobili ed è spiegata nei dettagli e nelle implicazioni sul sito dedicato
Ideata e realizzata da Robero Casati, filosofo cognitivista (“Penso che non siano molti i filosofi che producono app, così sono orgoglioso di annunciare l’uscita di Chronogeoscope” ha scritto in un tweet dei primi di luglio 2018) e dal ricercatore Glen Lomax,  Chronogeoscope è un modellino godibile della rotazione della Terra, che consente di visualizzare “in tempo reale” il suo movimento rispetto alla propria posizione geografica. Consente anche di riflettere su diverse convenzioni che riguardano la rappresentazione di tempo e spazio, nord e sud, centro e periferia, orario e antiorario. 

Un cerchio esterno suddiviso in 24 ore avvolge una mappa rotante della Terra, impostata in modo che compia un giro completo in 24 ore. La mappa è centrata sul Polo Sud, poiché in questo modo la rotazione può essere rappresentata in senso orario (quello che, per convenzione, seguono da secoli gli orologi). Da quel centro partono tutti i meridiani, mentre i paralleli sono rappresentati da cerchi concentrici e il Polo Nord è collocato sulla circonferenza più esterna.
L’area in ombra rappresenta la notte, mentre il sole si trova in direzione del mezzogiorno.
La propria posizione è geolocalizzata da un punto rosso sulla lancetta delle ore, mentre una seconda lancetta, più sottile,  indica il tempo convenzionale effettivo, suscettibile dell’ora legale e dell’altrettanto convenzionale suddivisione in fusi orari.
Se si è pazienti, come raccomandano gli autori, e si guarda a distanza di ore la propria posizione, ci si accorge che la mappa  gira lentamente, il doppio del tempo impiegato dalle lancette di un orologio che indica le 12 ore. 

Shadows, il sito di Roberto Casati.

(a.s.)

Su temi affini, vedi nel blog il post sull’opera di Olafur Eliasson Daylight Map.

 

 

Memoria per le date e tempo ciclico

Luglio 2018: diversi articoli riportano la ricerca di Valerio Santangelo e Patrizia Campolongo  su un gruppo di persone – donne e uomini di varia età – dotate di una formidabile memoria autobiografica. Come Funes nel racconto di Borges, i dettagli delle giornate trascorse, anche molto lontane nel tempo, tornano in superficie in modo vivido e inarrestabile.
“Non ho bisogno di un’agenda e non ho mai avuto il diario a scuola. È un dono che non riesci a spiegare agli altri. Per me il tempo è circolare: le cose successe 10 anni fa, le vivo come se fossero accadute oggi” – racconta una delle persone coinvolte in questa ricerca (fonte un articolo de La Stampa, 12 luglio 2018).
“Con il tempo ho imparato a scindere i ricordi del passato da quelli di oggi. La mia mente gli dà la stessa importanza. è come se vivessi un eterno presente. Se mi sveglio la mattina e vedo che è l’11 luglio mi vengono in mente tutti i compleanni di chi è nato quel giorno e quello che ho fatto l’11 luglio di ogni anno della mia vita”.
Le date funzionano come una griglia su cui appoggiare le esperienze, per poi  richiamarle, e non solo quelle macroscopiche, ma anche quelle minuscole, in apparenza ininfluenti e cancellabili.
Chi segue Diconodioggi sa che il repertorio di racconti organizzati per giorno in cui la storia si svolge nella finzione risponde a suo modo alla forza mnemonica della data: la data incontra – nel momento della lettura – il tempo presente, scatenando in chi legge una catena di ricordi anche autobiografici. 


Il calendario come sistema di memoria, la stringa giorno-mese come accesso al passato, che avviene seguendo percorsi profondi e misteriosi, anche sinestetici, come si legge ancora nell’articolo citato: “E la cosa particolare è che associo anche i colori, una sorta di sinestesia mentale:l’11 lo vedo nero, il luglio viola, il 2 rosso e lo 0 grigio”.
E come aveva raccontato nei suoi studi Oliver Sacks: vedi questo post sui colori delle date

2020: la ricerca è andata avanti e ha permesso di “identificare le aree del cervello specificamente deputate a dare una dimensione temporale ai ricordi, organizzando quelle informazioni che nelle persone comuni restano memorie indistinte e sfocate”. I risultati degli studi di Valerio Santangelo, Tiziana Pedale, Simone Macrì, Patrizia Campolongo sono pubblicati sulla rivista Cortex: Enhanced cortical specialization to distinguish older and newer memories in highly superior autobiographical memory (https://doi.org/10.1016/j.cortex.2020.04.029).
Come si legge nella pagina Sapienza che riporta gli aggiornamenti della ricerca “c
omprendere i sistemi neurobiologici alla base dell’iper-funzionamento della memoria – concludono i ricercatori – fornisce importanti indicazioni su quali aree è necessario intervenire per stimolare il ripristino di un funzionamento adeguato della memoria in persone con deficit o lesioni neurologiche”.
(a.s.)

 

Venezia, la griglia del tempo e Madelon Hooykaas, di Laura Leuzzi

Il tempo è una componente fondamentale nell’opera dell’artista olandese Madelon Hooykaas, presentata qui da Laura Leuzzi:
Venezia – Veni etiam, “vieni ancora”, secondo una fantasiosa etimologia di Francesco Sansovino (1581), ci invita a tornare e ritornare in laguna. Questo elemento, ciclico, di ripetizione, permea l’ultimo lavoro dedicato a Venezia della pioniera della videoarte olandese Madelon Hooykaas. Il progetto arriva a Threshold artspace alla Perth Concert Hall in Scozia, come parte della prima personale dell’artista nel Regno Unito.
L’incessante flusso turistico che ogni anno invade Venezia – e altre capitali della cultura – è stato solo uno degli spunti di riflessione per la Hooykaas, che ha iniziato questa ricerca nel 2015 e l’ha sviluppata tramite due residenze veneziane alla Fondazione Emily Harvey.
Risultato di questo lungo lavoro sono le serie di performance Virtual Walls I (Emily Harvey Archive, Venezia, settembre 2017) e Virtual Walls | Real Walls (Berlino, Amsterdam e Perth), che riflettono sul concetto di muro, nella funzione duale di protezione e segregazione, sostenibilità e rigenerazione del tessuto urbano.
Portando questa performance a Perth, peraltro, l’opera fa eco anche alle mura che cingevano in età moderna la città e il cui unico brano, sopravvissuto alla distruzione ottocentesca, si trova probabilmente appena fuori lo spazio espositivo.
Virtual Walls | Real Walls riattiva così la memoria storica della città, su cui riflette in alcuni disegni e un testo d’artista la giovane Tabitha Mckechnie (READ MORE, n. 14, 2018).
Le performance della Hooykaas – in cui confluiscono video e disegno – vedono l’artista intervenire live con un carboncino sulla proiezione delle immagini video girate a Venezia. Come evidenziato dall’artista scozzese Sue Grieson, nel corso dell’opening del 14 maggio 2018, nella performance l’azione “congela il tempo”.
Il tempo, d’altronde – come notato nel testo che accompagna la mostra (sempre in READ MORE, n. 14, 2018) – è una componente fondamentale di questa serie di opere: nella performance, infatti, due piani temporali distinti – quello passato (il video) e quello presente (l’azione) si incontrano, fondendosi. Nel video utilizzato in Virtual Walls I, inoltre, il paesaggio lagunare è visibile attraverso una griglia, che filtra l’immagine, proteggendo e limitando la visione, e marcando con la sua mediazione la distanza del tempo. In Virtual Walls | Real Walls, invece, l’elemento ciclico evoca la memoria storica delle pietre di Venezia, su cui luce e acqua continuano a incontrarsi.
Al termine delle performance, quando la proiezione e l’azione si estinguono, i disegni restano come vestigia di immagini e gesti, tracce che testimoniano il passato, guardando alla rigenerazione futura.

Madelon Hooykaas, Virtual Walls | Real Walls
Threshold artspace, Perth Concert Hall (Scozia)
14 maggio – 26 luglio 2018
A cura di  Laura Leuzzi e Iliyana Nedkova
A questi link il trailer e altre notizie 
Immagine: Madelon Hooykaas, Virtual Walls I, performance at Archivio Emily Harvey, Venice, 2017 (courtesy the artist)

Venice, the Grid of Time and Madelon Hooykaas, by Laura Leuzzi

Venice, Venezia – Veni etiam, “come again”, following a creative ethimology invented by Francesco Sansovino (1581), invites us to come over and over again to the lagoon. This cyclical element, of repetition, permeates the latest work, dedicated to the city of Venice, by the Dutch video pioneer Madelon Hooykaas.  This project arrives to Threshold artspace at Perth Concert Hall in Scotland as part of the first solo exhibition of the artist in the UK.
The incessant touristic flow that every year invades Venice and many other cultural capitals has been one of the points for a reflection for Hooykaas, who started this research in 2015 and developed it through two Venetian residencies at the Emily Harvey Foundation.
The result of this long research is the series of performances Virtual Walls I (Emily Harvey Archive, Venice, September 2017) and Virtual Walls | Real Walls (Berlin, Amsterdam and Perth)– that reflect upon the concept of wall, in its dual function of protection and segregation, sustainability and regeneration of the urban fabric.  
Bringing this project to Perth, the work echos also the walls that used to circle the city in the modern age. What is probably last surviving piece of this wall – that was destroyed in the XIX cen – is just outside the Concert Hall. In some way Virtual Walls | Real Walls riactivates the historic memory of the city, over which the young Tabitha Mckechnie reflect with some drawings and text (READ MORE, n. 14, 2018).
 Hooykaas’s performances – in which video and drawing converge – see the artist intervening live with charcoal on the projection of images filmed in Venice.

As underlined by the Scottish artist Sue Grieson, during the Q&A at the exhibition opening (14 May 2018), the action “freezes the time” in the performance. Time, in any case, as mentioned by myself and the co-curator Iliyana Nedkova in the text that accompanies the exhibition (READ MORE, n. 14, 2018), is a key component of this series of artworks: in the performances two different time lines – that of the past (video) and that of the present (the action) meet, mingling. In the video employed in Virtual Walls I, the lagoon landscape is visible through a grid, that filters the image, protecting and limiting at the same time the vision and marks with its mediation the distance of time.
In Virtual Walls | Real Walls, on the other hand, the cyclical element evokes the historic memory of the stones of Venice, on which the light and the water continue to meet.
At the end of Hooykaas’ performances, when the projection and the action fade, the drawings stay as the vestiges of images and gestures, traces which testify the past and look to a future regeneration.  
 
Madelon Hooykaas, Virtual Walls | Real Walls
Threshold artspace, Perth Concert Hall (Scotland) 
14 May – 26 July 2018
Curated by Laura Leuzzi and Iliyana Nedkova
Trailer  and Daydreaming 

Tempo, archivio, natura a Carrara

Linea e cerchio, storia e natura, archivi e paesaggio: intorno a queste polarità si svolge la ricerca collettiva – coordinata dall’artista Chiara Camoni – che porta all’apertura della mostra Del tempo lineare e del tempo ciclico ovvero della storia e della natura, visitabile dal 7 giugno al 7 luglio 2018 al CAP (Centro Arti Plastiche) di Carrara. 
Nata da una residenza dell’artista – piacentina di nascita e residente nella zona delle Alpi Apuane – sul tema del dialogo fra archivi storici e creatività contemporanea, la mostra espone i risultati di un intenso lavoro corale condotto sui materiali dell’Archivio Zaccagna, conservato nella Biblioteca dell’Accademia di Belle Arti di Carrara. 


Geologo e mineralogista, Domenico Zaccagna (Carrara, 3 settembre 1851 – Roma, 1940) fu autore di accurate mappature delle Alpi Apuane e ora le carte e i documenti conservati nell’Archivio sono la chiave d’accesso alla storia e al paesaggio che raccontano e registrano.
Insieme con Chiara Comani – da sempre interessata al tempo lento della natura e ai suoi rapporti col tempo convenzionale – un gruppo variegato di partecipanti si è attivato in escursioni ed esplorazioni incentrate sui luoghi e sui paesaggi emersi dall’Archivio.  

I risultati delle esplorazioni sono stati poi elaborati creativamente per mezzo di disegni, fotografie, stampe vegetali, durante i laboratori, che dunque precedono la mostra e ne costituiscono la materia prima, insieme alle carte provenienti dal passato, alla memoria comune, al paesaggio apuano.

AA. VV. Del tempo lineare e del tempo ciclico, ovvero della storia e della natura (a cura di Chiara Camoni)
Dal 7 giugno al 7 luglio 2018 – Centro Arti Plastiche di Carrara
Su Chiara Comani si può leggere in diconodioggi Dieci giorni scomparsi e ritrovati

Il principio del tempo: Qinggang Xiang

Il principio del tempo: potrebbe essere un saggio di fisica o di filosofia – in dialogo con le recenti riflessioni di Carlo Rovelli – il titolo della mostra aperta alla galleria La Nuova Pesa di Roma intorno alle opere di Qinggang Xiang, artista e storico dell’arte cinese.
Nato nel 1983 a Mu Danjian e attivo da anni in Italia, Qinggang Xiang ha conseguito un dottorato di ricerca in Storia dell’arte alla Sapienza di Roma e ha già esposto in diverse rassegne, una proprio alla Nuova Pesa nel 2015, dove si sono potuti esplorare i suoi paesaggi fatti di micro montagne in ceramica disposte ai lati di pannelli di seta dipinti. 

Il pensiero taoista sulla natura e la cultura del paesaggio si incontrano – come ha spiegato Veronica Di Geronimo – in composizioni di questo tipo, lucide e policrome metonimie del cosmo e dei suoi orienti e occidenti.

Ora la mostra Il principio del tempo, curata da Vittoria Biasi, propone nuove opere ceramiche dell’artista, emancipate “dalle proprietà puramente ornamentali e decorative” della millenaria tradizione cinese e diventate il tramite di riflessioni e pensieri, di cui il tempo è uno dei fulcri.
“La percezione del tempo, e la possibilità di una lettura ermeneutica della storia individuale e collettiva, è il tema che attraversa tutta quanta l’esposizione del giovane artista cinese”, scrive Enrica Petrarulo. 
Come nei paesaggi del 2015, anche in queste opere l’impossibilità di trattenere il tempo è compensata – per l’artista – dall’attività della memoria, dalla cura degli oggetti  inanimati (il fazzoletto rosso del giovane alunno maoista) e soprattutto dei frammenti naturali (tronchi, foglie), arricchiti letteralmente di pensieri e citazioni. 

(a. s.)

Mostra “Il principio del tempo”
Opere di Qinggang Xiang
Roma, Galleria La Nuova Pesa, via del Corso 530
Dal 21 maggio al 31 luglio 2018
dal lunedì al venerdì ore 10.30- 13.30 e 16.00-19.30

Ipotesi di infinito: Laura Grisi

Nata a Rodi nel 1939, vissuta a New York, Parigi e a Roma, dove è scomparsa nel dicembre 2017, l’artista Laura Grisi ha indagato le zone di impatto fra le forze naturali e il senso della forma artistica, con una attitudine scientifica e creativa insieme.
Dal 7 aprile e fino al 2 giugno 2018, la Galleria P420 (Bologna, via Azzo Gardino, 9) le dedica una rassegna dal titolo Laura Grisi: Hypothesis on Infinity.


“Volevo ricreare l’esperienza dei fenomeni naturali” – si legge nella monografia di Germano Celant, citata nella presentazione della mostra a cura della Galleria P420.
E basta scorrere i titoli di molte sue opere – installazioni, video, ambienti immersivi – per trovare una sorta di storia naturale (e concettuale) degli elementi e dei fenomeni: il vento, la luce di tramonto, la nebbia, la pioggia, l’aria, l’acqua e naturalmente il tempo. 
“L’osservazione prolungata della natura, la convivenza giornaliera con essa, pone inevitabilmente di fronte alla sua dimensione, obbliga a prendere atto di una scala diversa, di uno spazio e di un tempo la cui misura ha a che fare con l’idea di infinito, che forse è infinita. Nel 1969 realizza il video The measuring of Time, una singola sequenza a spirale in cui l’artista ripete il gesto infinito e infinibile di contare i granelli di sabbia del deserto”.
Laura Grisi: Hypothesis on Infinity
Galleria P420
Bologna, via Azzo Gardino, 9
7 aprile – 2 giugno 2018

Immagine: Laura Grisi, The Measuring of Time, 1969, video b/n digitale da film in 16mm, 5’45’’ (still) Courtesy the Estate e P420, Bologna

Parole e tempo: un workshop di Albert Mayr

Albert Mayr, musicista e artista sperimentale (chi segue questo blog lo conosce anche per la sua partecipazione nel 2016 alla mostra Dall’oggi al domani. 24 ore nell’arte contemporanea) indaga da anni la dimensione del tempo, producendo opere e conducendo workshop che esplorano i fenomeni percettivi temporali e le loro modifiche culturali e soggettive.

Il 7 marzo 2018 a Firenze (città dove   vive, anche se originario di Bolzano), Albert Mayr propone un nuovo workshop dall’interessante titolo: Il potere delle parole (sul tempo). Come il nostro rapporto con il tempo viene falsato dal modo in cui ne parliamo.
Il punto di avvio è la constatazione che molte espressioni usate per definire il tempo derivano di peso da quelle in uso per il denaro (avere, risparmiare, guadagnare tempo ecc.): una abitudine che porta con sé conseguenze psicologiche e sociali che tendono a connotare il tempo in senso accumulativo-finanziario. Un “errore logico” si cela – secondo Mayr – dietro queste scelte lessicali e il workshop mira ad approfondire la consapevolezza dei significati dei termini che descrivono l’esperienza quotidiana del tempo. I partecipanti son dunque chiamati a definire ed affinare la propria relazione con la “risorsa” tempo, con lo scopo “di sviluppare un diverso e più adeguato vocabolario” per muoversi nell’ineludibile paesaggio temporale in cui siamo immersi.
Il workshop si svolge mercoledì 7 marzo 2018, ore 18
presso ‘Area N.O.’per natura per cultura, Firenze,  via Panicale 24rosso (spazio olistico diretto da Massimo Mori – info al n. 338 4236429)
Qui il sito Timedesignbureau dell’artista, da cui è tratta l’immagine.