17 Ottobre

17 ottobre 2015

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Ottobre. Il primo giorno di scuola. 17, lunedì.

Oggi primo giorno di scuola. Passarono come un sogno quei tre mesi di vacanza in campagna! Mia madre mi condusse questa mattina nella sezione Baretti a farmi iscrivere per la terza elementare: io pensavo alla campagna e andavo di mala voglia. Tutte le strade brulicavano di ragazzi; le due botteghe di libraio erano affollate di padri e di madri che compravano zaini, cartelle e quaderni, e davanti alla scuola s’accalcava tanta gente che il bidello e la guardia civica duravan fatica a tenere sgombra la porta

Edmondo De Amicis, Cuore, 1886, ed. cons.Rizzoli, 1978, p.49

Nel 1881, nella scuola di Torino raccontata nel libro Cuore, le lezioni cominciano il 17 ottobre, dopo tre mesi di vacanza. Enrico –  il protagonista – mentre sale nella sua nuova classe al primo piano, ripensa ai boschi e alle montagne dove ha passato l’estate; rivede i compagni e il vecchio maestro della seconda, si accorge addirittura che il direttore ha la barba un po’ più bianca dell’anno prima. Alle dieci sono tutti in classe, lui e i suoi cinquantatré compagni, con il nuovo insegnante di terza, alto e serio. “Ecco il primo giorno” – pensa Enrico – ” Ancora nove mesi. Quanti lavori, quanti esami mensili, quante fatiche!”.

 

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16 Ottobre

16 ottobre 2015

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Venne il sedici ottobre (ricorderà, fu quando venne distrutta la Biblioteca di Stato, era un venerdì), tutto andava come al solito, io stavo dietro il banco, i clienti mi porgevano le loro tessere, ormai senza sospetto e senza paura. Non si pregava più da quando il rabbino era stato deportato; ma io, talvolta, invece di pronunciare un altro saluto, dicevo scialom. Era il nostro sabato nella macelleria…

Albrecht Goes, La vittima, 1955, tr. it. R. Leiser Fortini, Linea d’ombra 1990, p.54

La moglie del macellaio di una città tedesca, incaricata di servire la clientela ebraica – proprio mentre ha inizio la deportazione verso i campi di sterminio – compie il suo lavoro con umanità e comprensione. Cerca di aiutare e di proteggere – come può – le persone che si presentano al bancone con le tessere per la carne. Finita la guerra, è lei che racconta a un giovane bibliotecario, che ha preso in affitto una stanza nella sua casa, la storia della macelleria trasformata in sinagoga, in rifugio, in crocevia di destini. Il 16 ottobre  – fra bombardamenti, incendi, tentativi di fuga dalla Germania – è un giorno fatale per la donna e per gli altri protagonisti del suo racconto.
Storicamente, il 16 ottobre del 1943 è il giorno del rastrellamento degli ebrei che abitavano nel ghetto di Roma, rievocato da Giacomo Debenedetti nel libro che porta come titolo la data dell’evento: 
16 ottobre 1943.

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15 Ottobre

15 ottobre 2015

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Giunsero a Livorno, visitarono Firenze, Genova, tutta la Costa Azzurra. Un mattino che spirava il maestrale si ritrovarono a Marsiglia, ed eran passati due mesi dalla loro partenza dai “Pioppi”, era il 15 ottobre. Colpita da quel vento freddo che pareva venir di laggiù, dalla lontana Normandia, Giovanna si sentiva un po’ malinconica. Giuliano non era già stanco, indifferente, cambiato? Lei aveva paura, non sapeva bene di che

Guy de Maupassant, Una vita, 1883, tr. it. M. Moretti, Mondadori 1993, p.65

La storia di una vita femminile, raccontata in questo romanzo di Maupassant, ha inizio con un calendario da muro dove Giovanna (Jeanne nell’originale) ha cancellato i giorni e i mesi fino alla data della sua uscita dal convento, il 2 maggio 1819. Tornata nella casa di famiglia, la tenuta dei Pioppi sulla scogliera presso Yport, in Normandia, è stata subito chiesta in matrimonio da un vicino, il giovane visconte di Lamare e si è sposata alla metà di agosto. Il 15 ottobre, dopo due mesi di viaggio di nozze trascorsi in Corsica, è sulla via del ritorno, a Marsiglia. Le prime avvisaglie del carattere poco trattabile del marito le danno un presentimento di quello saranno i giorni futuri, che aveva immaginato pieni di eccitazione e felicità, quando cancellava le date sul calendario, in attesa di un tempo che è già disatteso.

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Dieci giorni scomparsi e ritrovati, di Chiara Camoni

Dieci giorni cancellati da calendari, agende, libri di conti, diari: sono quelli fra il 5 e il 14 ottobre 1582, quando entrò in vigore la Riforma del calendario di Papa Gregorio XIII.
Elaborata per correggere l’invecchiamento del calendario istituito da Giulio Cesare, sistemare i calcoli sull’Equinozio e sulla data della Pasqua, la Riforma che introduce il calendario gregoriano ha avuto il suo peso sul senso del tempo.
Il francese Michel de Montaigne, per esempio, annotava di non riuscire ad adattarsi  al cambiamento, tanto da essere con la mente  sempre dieci giorni avanti oppure dieci giorni indietro (Saggi, libro III, capitolo X).
E nel libro di Umberto Eco, Il pendolo di Foucault, lo sfasamento di dieci giorni fra i calendari in vigore dopo la Riforma – che fu accettata prima, e in diverse fasi, dai paesi cattolici e più avanti in quelli protestanti –  ha la sua rilevanza nella vicenda.

Camoni

Nel 2003, l’artista Chiara Camoni, nata a Piacenza e residente in Toscana, riprende le fila di quella storia.
“Appena scopro i documenti che testimoniano questa operazione sul tempo, cerco di capire che fine hanno fatto i dieci giorni. Mi rendo conto che nessuno li ha mai reclamati. Me ne posso quindi legalmente appropriare!”.
Disegna così due medaglioni con i profili affrontati, quello di Papa Gregorio XIII e il suo, e prepara degli atti di restituzione di quei dieci giorni, da consegnare durante una performance, che ha luogo in diverse sedi (Cartiere Vannucci,  Galleria Blanchaert di Milano) fra il 2003 e il 2004.

Camoni 2

“Potrei regalare un giorno a qualcuno, o magari venderglielo” scrive l’autrice nel decalogo di intenzioni collegato a questa performance che – come molte altre sue opere da (Di)segnare il tempo a Clessidra, a Notturni – ha a che fare con il tempo, la scansione di giorni e notti, la regolarità, la ripetizione, la durata.
“Gentile Principessa, sono sinceramente dolente di non potervi restituire l’ultimo giorno di giovinezza che io vi debbo…” scrive il mago gentiluomo del racconto di Giovanni Papini, Il giorno non restituito: per donare tempo alla figlia malata, l’uomo convince giovani donne a donargli 365 giorni per poi restituirli, uno a uno, negli anni successivi, quando le donatrici sono diventate vecchie. E non sempre la restituzione riesce.
La magia omeopatica di Chiara Camoni restituisce giorni  potenziali, riserve di 24 ore, con cui fare qualcosa, anche solo riflettere sul tempo attraverso un pezzetto di tempo.

Camoni macro 2016
Sia durante lo svolgimento della performance, sia soprattutto dopo, alla distanza, l’artista ha ricevuto riscontri in forma di fotografie, messaggi, pensieri su questo dono o baratto proposto ai visitatori, che hanno avuto da lei  l’input ad aggiungere, invece cha a togliere, giorni dal calendario.
Nel corso della mostra Dall’oggi al domani. 24 ore nell’arte contemporanea (Museo Macro di Roma, via Nizza dal 29 aprile al 2 ottobre 2016) la performance è effettuata tutti i venerdì, sabato e domenica, alle ore 11 e alle ore 16:30, da studenti del Dipartimento di Storia dell’arte e Spettacolo.

Antonella Sbrilli @asbrilli

Immagini: courtesy Chiara Camoni e Macro

 

 

 

 

14 Ottobre

14 ottobre 2015

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Immagine composita, codificata otticamente dall’apparecchio di scorta della nave aerea trans-canale Lord Brunel: veduta aerea dei sobborghi di Cherbourg, 14 ottobre 1905.
Una villa, un giardino, un terrazzo.
Cancellate le curve in ferro battuto del terrazzo, scoprendo una poltrona a rotelle e la sua occupante. La luce del sole al tramonto si riflette sui raggi nichelati delle ruote. L’occupante, proprietaria della villa, appoggia le mani artritiche sulla stoffa, lavorata da un telaio Jacquard. Queste mani consistono di tendini, tessuti, ossa. Attraverso un silenzioso processo di tempo e di informazioni, i fili all’interno delle cellule umane si sono intessuti in una donna.  Il suo nome è Sybil Gerard

William Gibson, Bruce Sterling, La macchina della realtà, 1991, tr. it. D.Zinoni, Mondadori, Milano, 1995, p. 9

In questo romanzo di Gibson e Sterling la storia  – nell’Ottocento – ha preso un corso alternativo. Le ricerche pionieristiche sulla macchina analitica di Charles Babbage e di Ada Byron (la figlia del poeta) hanno  condotto alla creazione dei primi computer, alimentati a vapore, grazie a cui i governi registrano informazioni su schede perforate. Lo stesso Byron non è morto in Grecia nel 1824, ma è diventato primo ministro di una Gran Bretagna dominata dal partito degli Industriali Radicali. La catena di conseguenze prodotte da questi eventi alternativi sulla scena dell’Europa porta lontano ed è raccontata a partire da singole immagini. La prima di queste immagini è catturata in un paese sulla Manica, il 14 ottobre del 1905. Mostra Sybil Gerard, figlia di un avversario del progresso industriale, impiccato anni prima, mostra i pensieri e i ricordi della donna, che danno inizio al racconto di questa storia possibile. “E la Memoria si volta, riflessa, veloce come la luce, lungo un’altra deviazione…”.

 

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13 Ottobre

13 ottobre 2015

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Maniero di Baskerville, 13 ottobre 

Mio caro Holmes,

le mie lettere e i telegrammi precedenti l’hanno tenuta abbastanza al corrente su quanto è sinora accaduto in questo angolo di terra abbandonato da Dio. Più si rimane qui e più lo spirito della brughiera, la sua vastità, diciamo pure il suo lugubre fascino, prende l’anima. Una volta chiusi nella sua stretta ci si lascia alle spalle ogni traccia della moderna Inghilterra, mentre si avverte sempre più intensamente la presenza delle dimore e delle opere delle genti preistoriche. Ci si trova circondati da ogni lato dalle abitazioni di questa gente dimenticata, dalle loro tombe e dai monoliti enormi che si suppone siano le vestigia dei loro templi. Quando si guardano le grigie capanne di pietra che si stagliano contro i tormentati versanti di queste colline, ci si dimentica del nostro tempo, e se ci dovessimo imbattere in un uomo villoso, ricoperto di pelli d’animale, e lo vedessimo strisciare fuori da una bassa porta, in atto di aggiustare alla corda del proprio arco una freccia dalla punta di selce, avremmo la sensazione che la sua presenza fosse più naturale della nostra

Arthur Conan Doyle, Il mastino dei Baskerville, 1901-1902, tr. it. M. Gallone, Mondadori 1992, p.84

Il caso della morte di Sir Charles Baskerville e della leggenda che aleggia sul Maniero della famiglia  – situato nel Devonshire – è raccontato dal dottor Watson, sula base delle annotazione nel diario, dei resoconti e delle lettere spedite a Sherlock Holmes. Watson si trova infatti nella residenza dei Baskerville insieme con Henry, l’erede del defunto Charles, con il compito di riferire dettagliatamente tutto quel che accade a Holmes, il quale, a sua volta, finge di essere a Londra, ma in realtà è anch’egli sul campo. È ottobre e la brughiera è avvolta dalla nebbia; il clima rende più inquietanti i racconti sul mastino diabolico e vendicatore legato alla famiglia. Il primo resoconto di Watson è datato 13 ottobre e di lì a pochi giorni il caso verrà risolto. Holmes e Watson ne discuteranno i particolari in una “sera rigida e nebbiosa” di novembre, nel salotto di Baker Street.

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12 Ottobre

12 ottobre 2015

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“Ho cinquemila dollari in banconote del governo di grosso taglio” si disse. “Quindi non sono del tutto inerme. E quella cosa è scomparsa dal mio petto, assieme ai suoi tubi di suzione. All’ospedale devono essere riusciti a rimuoverli chirurgicamente.
Quindi, se non altro, sono vivo; di questo posso rallegrarmi.
C’è stato un salto temporale? Dov’è un giornale?”
Trovò una copia del “Los Angeles Times” su un divano lì vicino, lesse la data: 12 ottobre 1988. Nessun salto temporale. Era il giorno dopo il suo ultimo show

Philip K. Dick, Scorrete lacrime, disse il poliziotto, 1976, tr. it. V. Curtoni, Mondadori, 1998, p. 26

Due “corridoi spaziali” – uno corrispondente alla realtà, l’altro a una “possibilità latente fra le molte”, concretizzata  da una potente droga assunta dalla sorella del generale Buckman – sono accaduti contemporaneamente, confondendo le percezioni, la memoria, le relazioni delle persone coinvolte.  L’11 ottobre il protagonista, il cantante Jason Taverner, è un celebre conduttore televisivo, con uno show seguito da milioni di spettatori. Il giorno dopo, il 12 ottobre si ritrova solo, senza documenti, in un hotel periferico, mentre tutti intorno sembrano non aver mai sentito parlare di lui. Nel corso di quel 12 ottobre entrerà in contatto con il sistema di controllo poliziesco e burocratico della società, con le psicosi e le allucinazioni degli abitanti, mentre la storia (e la lettura) oscillano fra metafore del tempo e della coscienza, ricerca di conferme sull’ora e sulla data. 

 

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11 Ottobre

11 ottobre 2015

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Per qualche secondo la luce crebbe d’intensità, ella vide le cose sempre più chiare e nette, l’orologio ticchettò più forte, finché una tremenda esplosione giunse proprio all’orecchio di Orlando. Ella balzò, come se avesse ricevuto un violento colpo al capo. Per dieci volte fu colpita. Erano le dieci del mattino. Era l’11 ottobre. Era l’anno 1928. Era l’epoca presente.Nessuno si meraviglierà che Orlando trasalisse, che si premesse la mano sul cuore, che impallidisse. Quale rivelazione avrebbe potuto essere più terrificante di quella della nostra epoca? Se noi sopravviviamo all’urto, è solo perché il passato ci fa argine da una parte e il futuro dall’altra

Virginia Woolf, Orlando, 1928, tr. it G. Scalero, Mondadori, Milano, 1993, pp. 290-291

L’orologio, con la sua misurazione del tempo convenzionale, sembra essere in questo romanzo l’antagonista di Orlando, la cui esperienza interiore e biografica esula dal tempo reale. L’11 ottobre del 1928 è il giorno in cui fu pubblicato per la prima volta in Inghilterra questo romanzo della Woolf, che si conclude  proprio al “dodicesimo colpo di mezzanotte, giovedì undici ottobre millenovecentoventotto”. La coincidenza rivela una particolare attenzione della scrittrice per il tema del tempo, cui dedicò innovative riflessioni in tutta la sua opera. In questo romanzo la Woolf sfida e scardina la nozione convenzionale del tempo ed anche la nozione di genere e le convenzioni letterarie di romanzo e biografia, in un dialogo diretto e sottilmente ironico con il lettore. La storia ha inizio verso la fine del XVI secolo e Orlando, che quando incontriamo nelle prime pagine è un giovane di sedici anni, alla fine del romanzo è una donna di trentasei anni, con alle spalle una serie di avventure che l’hanno portato/a nell’arco di quasi quattro secoli dalla corte della regina Elisabetta all’ambasciata a Costantinopoli, in un campo nomadi in Turchia e infine di nuovo a Londra, proprio nell’anno in cui le donne inglesi – la cui causa stava così a cuore alla scrittrice – per la prima volta possono votare. In un quadro così ricco e talvolta surreale non sfugge al lettore la valenza simbolica della aristocratica dimora di Orlando, una casa tanto grande da imprigionare il vento, che vi soffia in tutte le stagioni, e con ben 365 stanze da letto e 52 scaloni, tanti quanti i giorni e le settimane di un anno. (Commento di Sandra Muzzolini)

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10 Ottobre

10 ottobre 2015

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Il 10 ottobre seguente ci imbarcavamo sull’Impossibile. Eravamo in otto, se ve ne ricordate: Arthur Beaver, proprietario dello yacht; Pierre Sogol, capo della spedizione, Ivan Lapse, il linguista; i fratelli Hans e Karl; Judith Pancake, la pittrice d’alta montagna; mia moglie e io. Era inteso che non avremmo reso noto fra gli amici lo scopo esatto della spedizione, perché ci avrebbero presi per pazzi o, cosa più probabile, avrebbero creduto che raccontassimo delle storie per dissimulare il vero scopo della nostra impresa, sul quale si sarebbero fatte ogni sorta di supposizioni. Avevamo dichiarato che andavamo a esplorare alcune isole dell’Oceania, le montagne del Borneo e le Alpi australiane. Ciascuno di noi aveva predisposto le cose in vista di una lunga assenza dall’Europa

René Daumal, Il Monte Analogo, 1944 (1952, postumo), tr. it. C. Rugafiori, Adelphi 1991, p.67

La data centrale di questo racconto incompiuto di René Daumal (il cui titolo è Il Monte Analogo. Romanzo d’avventure alpine non euclidee e simbolicamente autentiche) è quella del 10 ottobre. È il giorno in cui il gruppo di esploratori – fra cui il narratore – si imbarca su uno yacht a due alberi dal nome l’Impossibile. La spedizione è diretta verso il Monte Analogo, una montagna – sfuggita finora all’osservazione – la cui cima è inarrivabile “con i mezzi finora conosciuti”, mentre la base è accessibile agli esseri umani. Misteriosamente situato in una zona rinchiusa “in un guscio di spazio curvo”, il Monte Analogo segna l’accesso all’invisibile e alla conoscenza di sé, raccontato attraverso un viaggio via mare, col suo libro di bordo, iniziato un 10 ottobre.

 

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9 Ottobre

9 ottobre 2015

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Quel mercoledì 9 ottobre alle undici del mattino, doveva approdare a Suez il piroscafo Mongolia, della Compagnia Peninsulare e Orientale. Era un vapore di ferro, a elica, con il ponte coperto. Il Mongolia stazzava duemilaottocento tonnellate e sviluppava una forza di cinquecento cavalli; compiva regolarmente il tragitto Brindisi-Bombay attraverso il canale di Suez. Era uno dei bastimenti più veloci della Compagnia, e aveva sempre superato le velocità regolamentari, fissate in dieci miglia all’ora nel tratto Brindisi-Suez,  in nove miglia e mezzo nel tratto Suez-Bombay. (…) Quel metodico itinerario teneva conto di tutto, e mister Fogg sapeva sempre se era in anticipo o in ritardo. Così, quel giorno, mercoledì 9 ottobre, riportò il suo arrivo a Suez: concordava in pieno con l’orario ufficiale, e dunque il bilancio restava in pareggio

Jules Verne, Il giro del mondo in ottanta giorni, 1873, tr. it. V. Beggio, ed. cons. De Agostini, 2010, pp. 34, 42-43

Il racconto del viaggio intorno al mondo dell’inglese Phileas Fogg e del suo servitore Passepartout – frutto di una scommessa sulla possibilità di compierlo in 80 giorni- è tutto incentrato sulle date. Calendari, orari, orologi, fogli e tabelle di viaggio scandiscono la storia giorno dopo giorno, quasi minuto per minuto. La partenza da Londra è avvenuta mercoledì 2 ottobre 1872 e la prima tappa del lungo itinerario – da Londra a Suez via Moncenisio e Brindisi – viene percorsa in una settimana. Quando il piroscafo Mongolia arriva a Suez è di nuovo mercoledì, il 9 ottobre. Phileas Fogg annota puntualmente  l’arrivo nella sua tabella di viaggio, dove tiene il conto delle distanze percorse e del tempo impiegato, con precisi calcoli delle perdite e dei guadagni.  Ancora non sa che, andando verso est, inconsapevolmente, guadagnerà un giorno decisivo per la sua scommessa. 

 

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8 Ottobre

8 ottobre 2015

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Quella mattina dell’8 ottobre, come tutte le mattine, la vecchia lappone Skolt Naska Mosnikoff si era alzata, si era fatta il caffè, aveva sbriciolato nella tazza un pezzo di delizioso formaggio lappone ed era poi andata dietro l’angolo della casa per i suoi bisogni mattutini. Durante la notte era nevicato e la casupola, appena più grande di una casetta per i giochi dei bambini del sud, si era graziosamente coperta di una coltre bianca. (…)
Naska si ricordò che quel giorno avrebbe dovuto compiere novant’anni, se era davvero l’8 ottobre. E così doveva essere

Arto Paasilinna, Il Bosco delle Volpi, 1983, tr. it. E. Boella, Iperborea, ed. cons. 2003, p.141

A metà della vicende raccontate nel Bosco delle Volpi – la fuga di un ladro di lingotti d’oro, che cerca riparo nella solitudine della Lapponia, dove incontra un maggiore dell’esercito anch’egli in fuga dalla sua esistenza precedente – fa la sua comparsa una vecchia lappone, una delle ultime rappresentanti dell’etnia Skolt. Il giorno del suo novantesimo compleanno, l’8 di ottobre, con la scusa di festeggiarla, gli assistenti sociali del suo villaggio cercano di portarla in una casa di riposo. Ma Naska Mosnikoff riesce a scappare, con il suo gatto, a resistere al viaggio nella neve e a trovare infine riparo nel rifugio dei due uomini. Testimone di guerre, rivoluzioni, spostamenti di confini nelle terre che si affacciano sul Mar Glaciale Artico, Naska misura il tempo con le feste religiose ortodosse. Anche quell’8 di ottobre ringrazia san Dimitri per tutti i giorni che le sono stati concessi, non immaginando l’avventura e le novità che ancora la attendono quel giorno e i seguenti.

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7 Ottobre

7 ottobre 2015

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Leonida squarciò la lettera con risolutezza. Ma lo strappo non era ancora profondo due centimetri e già le sue mani si fermarono. Accadde ora il contrario di ciò che era accaduto quindici anni prima a Sankt Gilgen. Allora, volendo aprire la lettera, l’aveva strappata. Ora, volendola strappare, la aprì. Dal foglio ferito, l’intera personalità della scrittura femminile azzurro pallido, che si poteva espandere in diverse righe, lo guardava sarcastica. Sopra, in testa alla lettera, con tratti rapidi e precisi, era scritta la data: ” 7 ottobre 1936″. Ecco l’esattezza della donna matematica, fu il giudizio di Leonida, Amelie non ha mai datato una lettera in tutta la sua vita. Poi lesse: “Egregio signor capodivisione!”

Franz Werfel, Una scrittura femminile azzurro pallido, 1941, tr. it. R. Colorni, Adelphi, Milano, 1991, p. 30

A Vienna, durante un ottobre tanto tiepido da sembrare aprile, l’alto funzionario Leonida, che ha da poco compiuto cinquant’anni ed è stato nominato capodivisione ministeriale, trova – nella posta – una lettera scritta a mano da una grafia femminile. È sposato con Amelie e non pensa più a Vera, dottoressa in filosofia, l’amante che ha lasciato malamente molti anni prima e di cui aveva distrutto, senza leggerla, una lettera. Questa nuova lettera, arrivata “nel bel mezzo di una luminosa giornata di ottobre” , mette in moto una catena di ricordi, di ipotesi, di rimorsi che riguardano le conseguenze nel tempo di azioni lontane, che verranno chiarite in un’altra giornata di quell’ottobre speciale.

 

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6 Ottobre

6 ottobre 2015

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Ma il barone Paolo dichiarò lealmente che, sebbene queste triglie fossero ottime, egli continuava a rimpiangere le triglie che aveva mangiato in casa della nuora il 6 ottobre 1902. “Io non capisco più come devo friggerle”, disse la signora Marietta, “ho provato in tutti i modi, ma non riesco mai ad accontentare papà”. “Non è esatto quello che dici”, ribatté il barone, “sono contentissimo di come tu fai friggere le triglie. Queste di oggi, per esempio, sono eccellenti, ma le triglie che ho mangiato a casa tua il 6 ottobre 1902…”, il barone socchiuse gli occhi facendo del presente la luce che si vede al di là di un tunnel, mentre nell’ombra della memoria riappariva una tavola imbandita sotto la pergola, e circondata da gente in gran parte defunta, “avevano qualcosa… io non so bene… un sapore così delicato e insieme così stuzzicante… si sentiva il mare e si sentiva pure la buona frittura…”

Vitaliano Brancati, Paolo il caldo, 1955 (post.), Mondadori 1976, p.60

A Catania, nel palazzo della famiglia Castorini si consuma il pranzo dell’una, fra discussioni politiche e portate di carne e di pesce. A tavola siede il vecchio barone Paolo – il nonno di quel Paolo che, con la sua ossessione erotica, dà il titolo al libro; è un uomo in grado di bere cinque bicchieri di vino di seguito, a differenza del figlio Michele, che si è già ritirato dalla tavola per tornare nel suo studio. Intorno a un piatto di triglie fritte le lingue si sciolgono “come la campane del sabato santo” e una data precisa del passato – un 6 di ottobre di molti anni prima – è richiamata al presente nella conversazione: si tratta di un ricordo suscitato nel barone dai sapori e dagli odori, con un meccanismo tipico della memoria, che è in grado di associare le sensazioni ad alcune date.

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5 Ottobre

5 ottobre 2015

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Interrompo questo diario, come lo interruppi allora, con stupore, il 5 ottobre, alle dodici di notte, accorgendomi che tutto ciò che Porfiria aveva scritto nel suo diario quasi un anno prima stava verificandosi. Roberto Cárdenas era venuto a mangiare quella sera per la prima volta. E lì avevo, davanti ai miei occhi, la data incredibile, 5 ottobre, scritta sulla pagina del diario, come una testimonianza magica, infernale. Il quaderno era stato in mio potere per tutto quel tempo

Silvina Ocampo, Il diario di Porfiria Bernal, 1961, tr. it. L. Bacchi Wilcock, in Porfiria, Einaudi, 1973, p. 275

Il 5 ottobre è la data in cui il racconto di Antonia Fielding – istitutrice inglese al servizio della famiglia Bernal a Buenos Aires – e il diario della sua piccola allieva Porfiria, si incontrano per un istante nel tempo “reale”, rivelando le doti premonitrici della bambina. Come se vedesse dentro le persone che passano per la sua casa, intuendone i segreti, la piccola Porfiria annota giorno dopo giorno gli accadimenti, le immaginazioni, le visioni, finché la sua voce copre quella del racconto di Antonia, che si è accorta con stupore del potere di quel diario.

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4 Ottobre

4 ottobre 2015

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Il sole tramontò quattro volte sul suo viaggio e alla fine del quarto giorno, che era il quattro di ottobre del millenovecentoquarantatre, il marinaio, nocchiero semplice della fu regia Marina ‘Ndrja Cambrìa arrivò al paese delle Femmine, sui mari dello scill’e cariddi

Stefano D’Arrigo, Horcynus Orca, Milano, Mondadori, 1975, p. 7

Comincia così, in un’Italia divisa dall’armistizio dell’8 settembre 1943, il lungo racconto del viaggio di ritorno di ‘Ndrja Cambrìa a Cariddi, dopo aver attraversato a piedi le coste della Calabria, il «paese delle Femmine». A traghettarlo clandestinamente lungo le acque dello Stretto, in una notte senza luna popolata da visioni, sarà la figura ammaliante della «femminota» Ciccina Circè, espressione, già nel suo nome omerico, di una femminilità potente e trasgressiva come il suo linguaggio che ‘Ndrja fa fatica a comprendere («Io, parola mia, non vi riesco a penetrare tutta…»). Il mare dello «scill’e cariddi», quello attraversato e quello che fa da sfondo alle storie di uomini e donne che vivono lungo le sue rive, è il vero polo d’attrazione del romanzo: luogo fisico e mentale, è infatti lingua, letteratura, tempo e memoria. In questo mare-mondo, che contiene l’origine e la fine di tutto, che è genesi e apocalisse, il traghettamento del protagonista tra i contrari della vita ha un alto valore simbolico e figurale. All’arrivo in Sicilia, ‘Ndrja troverà una terra stravolta, devastata dalla guerra, quasi irriconoscibile ai suoi occhi, offesi dal dolore per tanto degrado e tanta miseria. Per di più, il suo nostos coinciderà con quello dell’Orca, il Leviatano simbolo di morte, con cui sembra condividere la parabola esistenziale: quattro giorni impiega ‘Ndrja per arrivare al paese delle femmine, che sarà l’inizio della sua fine, e per quattro giorni l’Orca si aggira nello «scill’e cariddi» prima di “riassommare” e di andare incontro alla morte.

Il tempo reale entro il quale prendono corpo le 1257 pagine del romanzo si dispiega biblicamente lungo l’arco temporale della creazione, sette giorni, nel corso dei quali le peripezie fisiche e mentali vissute da ‘Ndrja assumono il valore di un’esperienza conoscitiva, che avrà la sua acme nell’incontro con un vecchio «spiaggiatore», «linguto e occhiuto». A lui lo scrittore affida di esporre la sua teoria della conoscenza della vita, fondata su tre diversi gradi: l’ingannevole e infondato «sentitodire», il solido e concreto «vistocogliocchi» e l’immaginifico e fantastico «visto cogli occhi della mente»: «Voi, amico del sole, vi dovete immaginare di vedere…». Allora, se vedi con gli occhi della mente tutto diventa possibile, le distanze tra lingue e culture si annullano e quella lingua di mare dello «scill’e cariddi» è sì Calabria e Sicilia, ma è anche Grecia, Africa, mille e una notte. Tutto diventa possibile perché l’«andamento epico-magico» (M. Corti) della scrittura di D’Arrigo attiva un fervore espressivo che gioca sulla sovrapposizione dei registri stilistici e sulla contaminazione espressionistica di lingua e dialetto. È necessaria una nuova lingua per dire l’indicibile, per raccontare il tempo impastato della storia dell’uomo, anche a rischio che essa diventi un labirinto per il lettore, che deve cercare in vocabolari immaginari o nella memoria di lingue ignote il senso delle parole che il racconto fa fiorire per gemmazione. D’Arrigo è un narratore lirico. L’ultima conferma è nelle parole che chiudono il romanzo: «La lancia saliva verso lo scill’e cariddi, fra i sospiri rotti e il dolidoli degli sbarbatelli, come in un mare di lagrime fatto e disfatto a ogni colpo di remo, dentro, più dentro dove il mare è mare». Parole che riecheggiano simbolicamente i versi epici di una sua più antica poesia, dove il destino del personaggio si conclude oniricamente nello stesso mare in cui ‘Ndrja avrebbe trovato la morte:

«Qui, dove m’assomiglio, in patria,
sui prati, ora in cenere, d’Omero,
io da una guerra reduce, e da quante
un gran figlio mi ricorda mia madre,
perduto con lo scudo o sullo scudo,
desidero tornare spalla a spalla
coi miei amici marinai che vanno
sempre più dentro nei versi, nel mare».
(Sui prati, ora in cenere, d’Omero)

Commento di Gianfranco Crupi

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3 Ottobre

3 ottobre 2015

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Edgar fissa la data odierna. 3 ottobre 1951. Registra la data. Se la imprime nella mente. Sa che la cosa non è del tutto inaspettata. È la seconda esplosione atomica dei russi. Ma è una notizia dura da incassare, lo mette in agitazione, lo costringe a pensare alle spie che hanno trasmesso i segreti, alla possibilità di testate nucleari inviate alle forze comuniste in Corea. Se li sente alle spalle, sempre più vicini, che guadagnano terreno, sorpassano. La cosa lo turba, lo cambia fisicamente mentre se ne sta lì impalato, la pelle tesa sulla faccia, lo sguardo fisso.
Rafferty è più in basso sulla rampa rispetto a Hoover.
Sì, Edgar si imprime in testa la data. Pensa a Pearl Harbor, meno di dieci anni prima, anche quel giorno era a New York, e la notizia era stata un bagliore nell’aria, lo scatto di un flash su ogni cosa, oggetti comuni caldi e carichi di elettricità.
Il rumore della folla esplode sopra di loro

Don DeLillo, Underworld, 1997, tr. it. D. Vezzoli, ed. cons. Einaudi, 1999, p. 19

Il 3 ottobre 1951 è la data d’avvio delle vicende – a volte intrecciate e conseguenti, a volte parallele e contigue – del romanzo Underworld. L’Edgar citato nel brano è il capo dell’FBI, il celebre Edgar Hoover: si trova allo stadio, a vedere la partita di baseball fra i Giants e i Dodgers, quando viene a sapere che l’Unione Sovietica ha compiuto un esperimento nucleare. Intanto, un memorabile evento sportivo sta per avere luogo mentre Edgar è preso dalle sue preoccupazioni di stato. La squadra dei Giants vince la partita e la palla della vittoria – con i suoi passaggi di proprietà – sarà d’ora in avanti uno dei fili conduttori della storia. Così come la data – 3 ottobre – le cui cifre sono legate al 13, numero fatale, soprattutto negli Stati Uniti: “I Giants hanno incominciato la corsa al campionato con tredici partite e mezzo meno dei Dodgers. Il mese e il giorno della partita di ieri. Tre del dieci. Somma le cifre e ottieni tredici”.

 

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2 ottobre

2 ottobre 2015

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Arrotolai il sacco a pelo, lo ficcai nello zaino, misi lo zaino sulle spalle, camminai fino alla stazione e lì chiesi all’impiegato come dovevo fare per tornare a Tokyo a quell’ora. Guardò l’orario dei treni e disse che se prendevo un treno notturno sarei arrivato a Osaka la mattina e da lì avrei potuto prendere lo Shinkansen per Tokyo. Ringraziai e con i cinquemila yen che mi aveva regalato il pescatore comprai un biglietto per Tokyo. Aspettando il treno comprai un giornale e guardai la data. Era il 2 ottobre 1970. Il mio viaggio era durato giusto un mese. Coraggio, torniamo alla realtà, mi dissi

Murakami Haruki, Norwegian Wood. Tokyo Blues, 1987, tr. it. G. Amitrano, ed. cons. Einaudi, 2006, p. 352

Su un aereo per Amburgo, ascoltando una versione orchestrale di Norwegian Wood dei Beatles, un uomo – un giapponese di trentasette anni – è preso dai ricordi del passato, dalle immagini di una ragazza, Naoko, frequentata una ventina di anni prima. Ha inizio così un percorso nella memoria e nel tempo, che si allunga “come le ombre al tramonto”. La prima immagine che rievoca è quella di un paesaggio autunnale, un prato attraversato dal vento di ottobre, una conversazione con Naoko. Gli anni sono quelli fra il 1968 e il 1970: la vita nel collegio per studenti a Tokyo, le manifestazioni all’università, le letture, i rapporti con i rari amici e le ragazze, i dubbi, le scomparse. Dopo la morte della ragazza, il narratore è partito per un viaggio senza una meta precisa, che si conclude –

con la decisione di tornare a Tokyo – il 2 di ottobre.

 

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1 Ottobre

1 ottobre 2015

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L’ottobre venne come sogliono venire i nuovi mesi; il suo è un arrivo modesto e silenzioso sotto tutti i rapporti, senza segni esteriori, un muto insinuarsi dunque, che sfugge facilmente all’attenzione se questa non mantiene un ordine severo. Il tempo in realtà non ha suddivisioni, non ci sono tempeste, non v’è rumoreggiare di tuoni all’inizio del nuovo mese o del nuovo anno, ed anche a quello del nuovo secolo; siamo soltanto noi uomini che spariamo e tuoniamo. Nel caso di Giovanni Castorp, il primo giorno di ottobre fu identico agli ultimi giorni di settembre, fu altrettanto immusonito e freddo come quelli e come gli altri che lo seguirono

Thomas Mann, La montagna incantata, 1924, tr. it. G. Giachetti-Sorteni, Dall’Oglio 1930 (1976), vol. I, p.249

Sulla montagna incantata (o magica, secondo una recente traduzione), il tempo è chiamato continuamente in causa. Sia il tempo meteorologico, poiché su quella montagna delle Alpi svizzere si trova il sanatorio per le malattie dei polmoni, i cui ospiti sono i protagonisti del romanzo, sia – soprattutto – il tempo del calendario. Il soggiorno del giovane ingegnere Giovanni Castorp – in visita a un cugino – doveva durare meno di un mese, e invece – scopertosi malato – si prolunga per anni, trasformando abitudini e aspettative. Mentre le stagioni cambiano, i giorni avanzano come le lancette di un enorme orologio, e il tempo è sentito come una beffa, un mistero, un trucco senza spiegazione.

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30 Settembre

30 settembre 2015

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Così i giorni, gli ultimi giorni, turbinano nella mia memoria, indistinti, autunnali, tutti eguali come foglie: fino a un giorno diverso da tutti quelli che ho vissuto.
Accadde in autunno, il 30 settembre, il giorno del mio compleanno, particolare che non ebbe alcun peso sugli avvenimenti, a parte il fatto che, sperando in un ricordino finanziario della mia famiglia, aspettavo con impazienza la visita mattutina del portalettere. Anzi, scesi dabbasso per vederlo prima. Se non fossi stato nell’atrio in attesa, Holly non mi avrebbe invitato ad andare a cavallo e, di conseguenza, non avrebbe avuto modo di salvarmi la vita

Truman Capote, Colazione da Tiffany, 1958, tr. it. B. Tasso, ed. cons. Garzanti, 1973, pp. 99-100

Mentre in Europa si combatte una guerra a cui partecipano anche molti soldati americani – fra cui Fred, il fratello della protagonista di questa storia – la giovane e bizzarra Holiday (Holly) Golightly fa di ogni giorno una festa, come dice il suo nome, o almeno ci prova. Fra l’autunno del 1943 e quello del 1944, a New York, trascorrono le sue vicende, raccontate dal vicino di casa, aspirante scrittore (e riprese nel celebre film, interpretato da Audrey Hepburn). Sposata giovanissima con un veterinario, “stellina cinematografica”, corriere di messaggi in codice per conto di un contrabbandiere in carcere, incinta di un politico brasiliano, Holly è eccentrica e imprendibile, continuamente di passaggio, “in transito”, come è scritto sulla sua porta. Il 30 settembre è una data cruciale nella storia: compleanno del narratore, è il giorno in cui questi cade da cavallo durante un giro in Central Park e in cui Holly viene arrestata per i suoi contatti con la malavita. Il 30 settembre era anche il compleanno dell’autore di Colazione da Tiffany: Truman Capote, nato il 30 settembre del 1924.

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29 Settembre

29 settembre 2015

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Fattoria Grange
Old Heanor, 29 settembre

[…] Questo è il mio quarantesimo inverno. E non c’è nulla che possa fare per tutti gli inverni che sono passati. Ma quest’inverno resterò fedele alla mia fiammella di Pentecoste, e avrò un po’ di pace. Non permetterò che il fiato della gente la spenga. Credo in un mistero superiore che non fa morire nemmeno il croco. E anche se tu sei in Scozia e io sono nei Midlands e non posso stringerti tra le braccia e mettere le mie gambe intorno a te, di te ho ugualmente qualcosa. La mia anima batte dolcemente le ali con te nella fiammella della Pentecoste, ed è come la pace che si raggiunge scopando. Scopando, abbiamo messo al mondo una fiammella. E, scopando, il sole e la terra mettono al mondo i fiori. Ma è una cosa delicata, ci vuole pazienza, ci vuole una lunga pausa

David Herbert Lawrence, L’amante di Lady Chatterley, 1928, tr. it. S. Melani, Garzanti 1987, p.358-61

La lunga lettera del guardacaccia Oliver Mellors a lady Constance, la moglie di Clifford Chatterley, conclude il romanzo di David Herbert Lawrence. È spedita dalla fattoria dove l’uomo sta lavorando in attesa che Constance – che aspetta un figlio da lui – lo raggiunga, per cominciare la nuova vita insieme, lontano dai rispettivi coniugi, una nuova vita in armonia con la natura e con i sensi. In attesa dell’estate, del bambino e della riunione con Constance, Oliver descrive la sua situazione e il suo punto di vista sulla vita, in un giorno di autunno, il 29 settembre, ultima data del libro.

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