4 Febbraio

4 febbraio 2024

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4 febbraio. 
Grande novità!
Stanotte, dopo lungo e paziente lavoro, dovendo fare in modo di non far rumore per non svegliare i compagni del dormitorio, son riuscito finalmente a fare un buco nella parete in fondo all’armadietto che è nel vano del muro a capo del mio lettino.
Subito è apparso un chiarore, una luce opaca che veniva dall’altra parte, ma riparata da qualche cosa che era frapposta al di là della parete. Spingendo lo scalpello fuori del buco sentii che l’ostacolo era cedevole e dopo averne studiata per un pezzo la natura, mi convinsi che doveva essere un quadro attaccato nella parete che avevo forata. 
Ma se la tela mi vietava la vista non mi impediva l’udito; e io sentivo, sebbene non riuscendo ad afferrar le parole, la voce del signor Stanislao e della signora Geltrude che parlavano tra di loro

Vamba, Il giornalino di Gian Burrasca, in volume 1912 , ed. cons. Giunti, 1994, p. 153

Il diario di Giannino Stoppani, detto Gian Burrasca, ha avuto inizio il 20 settembre 1905, quando la mamma gli ha regalato il giornalino di tela verde per il suo compleanno ed egli teme di non avere niente da scrivere sulle pagine bianche. Ma di settimana in settimana, sotto le date, Gian Burrasca ha registrato le sue avventure e disavventure. È il febbraio dell’anno nuovo: Gian Burrasca è stato mandato nel collegio Pierpaoli da pochi giorni e sta già tramando la sua ribellione. Il 4 febbraio è una data fitta di avvenimenti, di scoperte e di decisioni, prese nella riunione della Società segreta degli allievi del collegio.

Dicono del libro

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19 Maggio

19 maggio 2023

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Erano calendari molto comuni, di quelli con i paesaggi che certi bottegai regalano ai clienti per Natale. Intorno a molte date si ammassavano appunti sbiaditi in una sorta di stenografia domestica che mi fu impossibile decifrare, e ogni giorno del mese era coperto dalla sua bella X. Sette anni erano stati cancellati in quel modo. Le X si interrompevano il diciannove di maggio, dieci giorni prima della morte di mia madre, piùo meno quando dalla fattoria, mi avevano portato in città a casa di mia zia. Mi pareva che neppure Iddio, avvolgendo la terra nelle tenebre e assicurando al creato il sonno ristoratore, avesse dimostrato maggiore autorità e controllo sul finire del giorno di quanto la marcia inesorabile delle X di mia madre sembrasse proclamare nel corso di quegli anni

John McGahern, Il pornografo, 1979, tr. it. S. Basso, Einaudi 1994, pp.203-4

Nel momento in cui il protagonista della storia – un giovane irlandese che per mestiere scrive racconti pornografici – si trova a riflettere sul tempo, la vicenda narrata è quasi al termine.  La zia con cui è cresciuto sta per morire; la ragazza con cui ha una relazione, relazione che vorrebbe chiudere, è incinta. Il pensiero va al mucchio di calendari trovati in casa alla morte della madre, che cancellava con una X tutti i giorni trascorsi, e a un calendario in particolare, in cui la sequenza arriva fino alla data del 19 maggio. È il grafico della marcia inesorabile del tempo, che ha portato “ciascuno di noi al punto in cui eravamo, ora e per sempre”. 

 

Dicono del libro

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“Era ora” un film con le date dipinte

Il fim Era ora (2022), “commedia esistenziale” diretta da Alessandro Aronadio, interpretata da Edoardo Leo e Barbara Ronchi, distribuita da Netflix, è un piccolo regalo per chi è attratto dal grande tema del tempo e delle invenzioni narrative che ne raccontano i paradossi e i vincoli. La storia – ispirata a Long Story Short di Josh Lawson – è imperniata sul giorno del compleanno del protagonista Dante, un manager talmente concentrato sulla vita lavorativa che passa dal 26 ottobre del suo quarantesimo compleanno a quelli successivi senza rendersi conto di ciò che accade ai suoi cari: la moglie delicata illustratrice, la figlia Galadriel, il padre che perde la memoria, gli amici, le colleghe.
Solo nelle 24 ore del compleanno, il tempo della sua vita coincide con quello condiviso dagli altri, e Dante fa i conti con i cambiamenti di cui non si è accorto nel ritmo condensato delle sue giornate iperattive.
Una parte importante della storia è affidata alla figura della moglie Alice, che firma i suoi disegni con un datario, un vecchio timbro a data da ufficio, in cui le cifre giorno-mese-anno vanno sistemate manualmente.

A chi conosce il panorama degli artisti contemporanei interessati al tempo, non può non venire in mente la tecnica di Federico Pietrella, che ha sviluppato negli anni uno stile peculiare, in cui le forme rappresentate nelle sue tele – paesaggi, interni, ritratti –  sono ottenute proprio attraverso datari. E difatti, nel film, dal dettaglio della data si passa a vedere una grande composizione in cui il volto emerge dalla sapiente trama, più e meno fitta, più e meno regolare, delle date.


Ma anche i disegni di Alice hanno una fonte artistica reale, le opere dell’illustratrice e scrittrice Beatrice Alemagna,  pluripremiata, fra l’altro, per il libro, dal titolo assai pertinente, Un grande giorno di niente. Aver inserito gli stili di questi due artisti italiani nella narrazione dà al film un valore aggiunto, un’intensità visiva che accende la curiosità e permane nella memoria.

(a.s.)

Su diconodioggi: Le date dell’artista Federico Pietrella, di Franco Chirico
e Notizie da una mostra sul tempo

Il clima dei giorni

Lo scrittore islandese Andri Snær Magnason, nei suoi libri e nelle sue conferenze, ripete che non ci sono parole abbastanza grandi per esprimere la portata dei cambiamenti in corso, ghiacciai che si sciolgono, innalzamento degli oceani, riscaldamento globale ecc. Sono previsioni  di modifiche immense che potrebbero aver luogo nell’arco della vita della prossima generazione. Il tempo stringe sul clima che cambia.
È arrivato il momento anche per diconodioggi di osservare la percezione dei cambiamenti del clima attraverso la lente delle narrazioni che la raccontano, tenendo sempre come riferimento la misura del giorno.
Non è facile: ma vorremmo rintracciare descrizioni di giorni specifici (o archi temporali) nella letteratura recente e confrontarle con analoghe descrizioni degli stessi giorni o passaggi di tempo nella letteratura precedente.
Il database di diconodioggi contiene un vasto repertorio di giorni del calendario con le loro caratteristiche climatiche, di cui un esempio è in una frase del Pasticciaccio di Carlo Eilio Gadda: “Ventuno marzo: una giornata piuttosto riggida, pe èsse l’entrata del la primavera”. Come è tratteggiato, nella finzione attuale, il clima di giorni mutanti?

Per chi vuole partecipare alla raccolta, l’hashtag su Twitter è #ilclimadeigiorni e l’account @diconodioggi

Qualche lettura sulla letteratura e il clima
Andri Snær Magnason, Il tempo e l’acqua, 2019 (trad. it. di Silvia Cosimini, Iperborea edizioni)
Il rumore bianco del clima che cambia, Il Post, 20 ottobre 2020 (da cui è tratta la foto in apertura)
Chiara Mengozzi, La letteratura italiana all’epoca della crisi climatica, “Narrativa”, nuova serie, 41, 2019, pp. 23-39
A cura di Niccolò Scaffai, Racconti del pianeta terra, Einaudi, 2022
Luca Ortino, La percezione del clima. Nella società e nella letteratura, Odoya, 2021
Nicola Turi, Ecosistemi letterari. Luoghi e paesaggi nella finzione novecentesca, Firenze University Press, 2016

(a.s.)

 

Daybook: il calendario di “Documenta 14”

Il tempo della terra e il tempo delle comunità, il tempo storico e il tempo personale si incontrano fatalmente nelle griglie dei calendari. Lo sanno gli artisti, che hanno regalato innumerevoli varianti creative alla forma calendariale, e lo sanno – da alcuni decenni – i curatori di mostre e cataloghi, che scelgono la successione regolare delle date per alloggiare opere e autori. L’esempio più recente lo troviamo nella rassegna Documenta 14, in corso nella città tedesca di Kassel. La mostra quinquennale, dedicata a ricerche artistiche di taglio politico, sociale, ecologico, partecipativo, e svoltasi quest’anno, oltre che nella sede consueta di Kassel, anche ad Atene, offre – accanto al catalogo, ai booklet e alle mappe – un Daybook. Si tratta di un diario-agenda, in cui i giorni e le date (quelle della durata della mostra e quelle scelte dagli artisti, come vedremo) si presentano come formato organizzativo dei contenuti e come spunto per attraversamenti personali da parte dei lettori.

Al posto dei numeri delle pagine, il Daybook riporta, in alto al centro di ciascuna doppia pagina, le date in cui la rassegna si svolge: dall’8 aprile (stampigliato sulla copertina) al 17 settembre 2017. Le prime pagine (e dunque i primi giorni) ospitano l’indice e l’introduzione; le ultime un’appendice con l’esergo, il colophon, l’elenco degli sponsor e dei collaboratori, i ringraziamenti, lo spazio per le annotazioni. Il nucleo centrale – le doppie pagine che vanno dal 15 aprile al 3 settembre – è dedicato a 143 artisti fra quelli presenti alla rassegna. 
Sfogliando il Daybook, la prima azione che viene da fare è cercare l’artista che corrisponde alla data in corso, o a date che abbiano una risonanza per chi legge. E mentre emerge la curiosità di sapere quale criterio abbia determinato l’associazione fra artisti e date, ci si accorge che nella pagina di sinistra è presente un riquadro nero che riporta un’altra data. Dunque, oltre al calendario progressivo che va dall’aprile al settembre 2017, un’altra time-line si dipana sfogliando questo catalogo temporale. Una time-line fatta di date discontinue, che vanno da un futuro indistinto al passato preistorico, attraversando i secoli a ritroso e con salti enormi. Queste date sono state scelte dagli artisti su invito dei curatori: sono giorni e tempi che hanno, per ciascuno dei partecipanti, un significato particolare, sul piano intimo o pubblico, storico o fantastico. Sono queste date, messe in ordine dal futuro al passato, a determinare l’ordine di apparizione degli artisti nella sequenza dell’impaginato. 
Un doppio criterio cronologico governa così il Daybook di Documenta 14: la griglia del calendario convenzionale condiviso e i giorni vaganti nella memoria degli artisti interpellati. Insieme, invitano a esplorare la varietà geografica e concettuale delle presenze tenendosi attaccati a un foglio di diario con la familiare sequenza giorno-mese. Un accorgimento che coinvolge chi legge, facendo appello al bagaglio personale di giorni accumulati nella memoria e nell’immaginazione. 
Tre riferimenti puntellano l’introduzione al Daybook: il film di Guy Debord del 1959 Sul passaggio di alcune persone attraverso un’unità di tempo piuttosto breve;  l’incipit di Sotto il vulcano di Malcolm Lowry e la poesia Itaca di Kavafis: passaggi di tempo, lunga durata e condizione effimera, viaggi, distanze. E anche, tempo-reale: queste date – si legge sempre nell’introduzione – in sé “non significano niente di speciale, ma ciascuna di loro può diventare significativa, per via di eventi personali e politici che avranno luogo nel corso dello svolgimento di Documenta 14”. 
Ma si può sfogliare il Daybook anche leggendo – in sequenza o casualmente – i riquadri neri con le date scelte da ciascun artista e le motivazioni: ne viene fuori uno spaccato vivido della storia di ognuno, che rivela di più di quanto possa fare il testo critico che accompagna la scheda dell’artista, o l’immagine riprodotta. La scelta di un punto nel tempo svela i contesti, le aspettative, gli obiettivi, talvolta la fisionomia profonda di ciascuno. 

Il cinese Wang Bing (allocato al 9 giugno) sceglie il 29 gennaio 1987 “un giorno qualunque nella storia, ma un giorno molto importante per me” – scrive nel suo riquadro nero – poiché quel giorno ha visto per la prima volta l’oceano, ha preso in mano una videocamera e le immagini hanno iniziato a riempire la sua vita.
Giorni qualunque che diventano eccezionali, anniversari di eventi storici, tragedie collettive, gioie personali, compleanni, nascite, morti, inizi di rivolte, proclamazioni di indipendenze, censure. C’è chi immagina un futuro senza data, chi un “giorno qualunque”, chi sceglie l’avverbio deittico per eccellenza “oggi” (“this current day matters the most”, afferma il lituano Algirdas Šeškus), chi lascia il riquadro nero e spoglio (il polacco Artur Żmijewski) e chi sprofonda nel neolitico, o nell’inizio (“In the beginning was the Word”, dicono Marie Cool e Fabio Balducci), o nella negazione del tempo calcolabile (la nigeriana Otobong Nkanga).
Una variegata “cronologia discontinua di tipo storico, personale, speculativo emerge da questi contributi”, scrivono i curatori. E questo è un altro modo di visitare la mostra Documenta 14, anche dopo la chiusura, perché l’artificio del calendario permette di ritornare ciclicamente in punti del tempo dispersi nelle linee del passato.

Fra i precedenti dell’uso della griglia calendariale in cataloghi: la mostra di Seth Siegelaub; il catalogo Effemeridi su e intorno Marcel Duchamp (Venezia 1993), il catalogo di Hanne Darboven alla Diaart.org (ora rimosso); l’opera Sono stata io. Diario 1900-1999 di Daniela Comani. Altri riferimenti nella mostra Dall’oggi al domani. 24 ore nell’arte contemporanea (Macro, Roma, 2016). 

Antonella Sbrilli @asbrilli

L’horror vacui cronologico di Federico Galeotti

Tra ossessione per il tempo, elenchi di date, calcoli sul tempo e la creazione di un vasto “database d’artista”, si svolge la ricerca di Federico Galeotti, dall’eloquente titolo “Encase Time Project”. Lucia Signore lo racconta in questo post:
Federico Galeotti, giovanissimo artista formatosi presso l’Accademia delle Belle Arti di Carrara, ha sin dal periodo di formazione improntato la propria ricerca sul tempo, il suo «peggior nemico» con cui ogni giorno si misura artisticamente nel tentativo di arrestarne l’incessante fluire. Egli è infatti autore dell’Encase Time Project (a lato un dettaglio), un programma artistico con il quale letteralmente racchiude, imprigiona e fissa il tempo mediante la registrazione quotidiana di una cifra nera su tela bianca, secondo una ritualità ben precisa.

Galeotti Encase Time 1

Questa operazione artistica rievoca immediatamente il lavoro del polacco Roman Opalka che, infatti, è il suo principale ispiratore. Però Galeotti è molto vicino anche ad On Kawara per il gesto artistico di fissare un’unica data al giorno, con la differenza che il giovane carrarese non ripropone la data per esteso indicando giorno mese e anno, ma la condensa in un’unica cifra riportata su una tela che, come quelle realizzate da Opalka, si riempie giorno dopo giorno. La vicinanza ad On Kawara è anche data dall’uso di quotidiani con cui Galeotti crea dei collages, appartenenti alla serie Days, che rientrano nel più vasto progetto volto ad inscatolare il tempo.
È bene sottolineare che, parallelamente alla realizzazione di questi lavori, Galeotti aggiorni quotidianamente un database in cui sono registrate tutte le date dipinte, a partire da quella a cui risale l’inizio del progetto, il 20 maggio 2011: si tratta di un’operazione artistica che rievoca la compilazione di registri o libri d’artista, come One Million Years di On Kawara, in cui viene annotato il succedersi degli anni. Dunque, la compilazione informatica effettuata da Galeotti si esplica in un ”database d’artista”, corrispettivo virtuale dell’ormai quasi desueto libro: in maniera complementare all’attività pittorica svolta manualmente, la rappresentazione del tempo viene resa anche in modo razionale, riproponendo in maniera codificata l’arithmetical enigma alla base dell’irreversible time teorizzato da Roman Opalka e riproposto con atteggiamento cronofobico dal giovane artista. Allora diviene ridondante la presenza delle cifre numeriche, le quali vengono combinate in tre modalità differenti per rappresentare allo stesso tempo la medesima data: una singola cifra sulla tela, tra le sei e le otto cifre nel database, una stringa di numeri che traduce nel linguaggio informatico quel dato/data inserito nel sistema. Ciò testimonia il proliferare dell’uso del codice numerico non solo per misurare il tempo mediante calendari, diari, agende, o quadranti e schermi di radiosveglie, cellulari e altri supporti tecnologici, ma anche e soprattutto per rappresentarlo, senza ricorrere alla tradizionale personificazione del mitico Kronos. La serie Numbers – costituita da scatti fotografici in cui si può notare la presenza di una delle tavole dell’Encase Time affiancata ad un oggetto, di qualsiasi natura, recante uno dei numeri presenti sulla tela ove viene mascherato con materiale coprente – testimonia ulteriormente tale profusione numerica.

galeotti 1 2 3

Federico Galeotti, Encase Time part I-II-III (unfinished)

Possiamo tentare una ricostruzione dell’arco temporale racchiuso nell’Encase Time Part I, e precisamente stabilire gli estremi cronologici di un’esperienza molto significativa memorizzata in questa tavola e contrassegnata con il colore azzurro: si tratta del fatidico viaggio effettuato a Parigi alla scoperta (non a caso!) di Roman Opalka. Ciò permette di constatare quanto sia determinante per il giovane Galeotti l’insegnamento dell’artista polacco, la cui morte lo ha spinto, seppur silenziosamente, a presentare il suo progetto ad un pubblico più vasto, pur nell’incertezza metaforicamente rappresentata dall’opera Confidence. A questo viaggio ne hanno fatto seguito altri, come si può evincere dalle tele successive ove alcune cifre sono contraddistinte cromaticamente dalle altre che riempiono questo horror vacui cronologico. Mediante un atteggiamento ludico di boettiana memoria, è possibile risalire ai giorni trascorsi a Parigi e racchiusi nella prima tavola: considerando che il numero 1 corrisponde al 20 maggio 2011, egli ha pertanto soggiornato nella capitale francese dal 17 giugno 2011 al 23 giugno 2011. Ma stabilire gli estremi cronologici del soggiorno effettuato a Madrid e rievocato nella seconda tela con il colore rosso, risulta più complesso, poiché la nostra mente fatica ad effettuare il calcolo creando un parallelismo tra singola cifra e data corrispondente. In aggiunta si pone anche il problema della geo-localizzazione: è grazie ad un’intervista che mi ha gentilmente rilasciato che posso indicarvi con esattezza dove egli si è
recato in quei giorni cromaticamente contraddistinti da quelli racchiusi in cifre nere che rappresentano la quotidianità. Opalka dipingeva sempre nel suo studio e On Kawara in giro per il mondo, rendendo però comprensibile ove si trovasse, non solo grazie ai suoi “database” che aggiornava quotidianamente con svariate informazioni, ma anche grazie alla modalità di scrittura della data che rispettava la convenzione del paese in cui realizzava l’opera. Galeotti dipinge nel suo studio e in giro per il mondo, dato che porta con sé la tavola durante i soggiorni all’estero, ma lascia avvolto nel mistero luogo e data, esplicitati solo nel suo personale e misterioso database, un diario precluso ad ogni accesso esterno.
Lucia Signore
Foto courtesy Federico Galeotti