4 Gennaio

4 gennaio 2014

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Comprai l’attrezzatura da pesca e le esche, e andavo fuori cento metri oltre la mia casa, prendevo corbine e sgombri, e una volta presi un halibut. Li portavo a casa, li cucinavo ed erano pessimi, li buttavo fuori sulla sabbia, e gabbiani vigili piombavano giù e se li portavano via. Un giorno dissi: devo scrivere qualcosa. Scrissi una lettera a mia madre, ma non riuscii a metterci la data. Non avevo la cognizione del tempo. Andai a trovare la giapponese e le domandai la data.
‘Il quattro gennaio’ disse lei.
Sorrisi. Ero stato lì due mesi, e non mi erano sembrati più di due settimane 

John Fante, Sogni di Bunker Hill, 1982, tr. it. F. Durante, Marcos y Marcos, Milano, 1996, p. 121

In continua fuga da frustrazioni e figuracce, e da fallimenti con le donne che incontra nella Los Angeles degli anni Trenta, l’aspirante scrittore Arturo Bandini ha cambiato diversi alloggi, stanze d’hotel, bungalow, case di amici. Dopo  un incarico come sceneggiatore presso una casa di produzione, durante il quale ha ricevuto molti soldi senza fare niente e dopo aver rifiutato di firmare la sceneggiatura di un film a quattro mani, Bandini si rifugia a Terminal Island, nel silenzio e nella solitudine. Le giornate passano fra le letture dei libri della biblioteca pubblica e la pesca. Il tempo senza scrittura non ha scansioni e Bandini si accorge di quanto a lungo si trova lì solo nel momento in cui decide di scrivere alla madre a Boulder, Colorado. 

Dicono del libro
“Giovane e bellicoso figlio di immigrati italiani, Arturo Bandini è uno scrittore a caccia di lavoro e di fama a Hollywood. Il racconto appena pubblicato sulla rivista ‘American Phoenix’ gli vale l’attenzione di un noto e sordido agente letterario, Gustave Du Mont, che gli affida la revisione di un orribile racconto della ricca e gloriosamente bella (‘c’era così tanto da vedere in lei’) Jennifer Lovelace. Sbugiardato di fronte a lei dallo stesso Du Mont per aver stravolto il racconto, Bandini si licenzia, e tenta maldestramente di sedurre Jennifer in occasione di una gita al mare, sicché tutto va a rotoli. Bandini scritturato da un ricco produttore della Columbia, Harry Schindler, da cui riceve un sacco di soldi senza dover scrivere una sola parola. Bandini vorrebbe essere un vero scrittore…”
(Dalla quarte di copertina dell’edizione Marcos y Marcos, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… La mattina del 4 gennaio 1925 mia madre fu colta dalle doglie…”
Yukio Mishima,Confessioni di una maschera 

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“… Sono nato il 4 gennaio 1951, nella prima settimana del primo mese del primo anno della seconda metà del ventesimo secolo…”
Haruki Murakami, A sud del confine, a ovest del sole

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“4 genn.1929  La vita, insomma, è molto solida o molto instabile? Sono ossessionata da questa contraddizione ”
Virginia Woolf  (segnalazione di Adriana Giuffrida ‏@melanthea)

3 Gennaio

3 gennaio 2014

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Fin da S. Silvestro spirava un forte vento di nord-est, che nei giorni seguenti si accrebbe quasi fino a diventare una tempesta, e il pomeriggio del tre gennaio corse la voce che una nave non era riuscita ad entrare in porto, ed era naufragata a cento metri dal molo; era una nave inglese… Furono tratti in salvo tutti quanti, e mezz’ora dopo, tornando a casa con Innstetten, Effi avrebbe voluto gettarsi sulla sabbia e piangere. Un sentimento puro aveva trovato nuovamente posto nel suo cuore, ed essa si sentiva infinitamente felice che fosse così. Questo era accaduto il tre di gennaio

Theodor Fontane, Effi Briest, 1895, tr. it. E. Linder, Garzanti, 1981, p. 150

Effi è stata una ragazza spensierata, che ha lasciato la casa paterna per seguire il marito nel nord della Germania, in un ambiente desolato e solitario. Gli anni sono trascorsi fra abitudini pedanti e poco calore, malgrado la nascita di una figlia. L’arrivo di un nuovo comandante del distretto, un viaggio notturno in slitta durante le feste di Natale, la trascinano nell’avventura e nell’ambiguità. Il 3 di gennaio di un anno alla fine dell’Ottocento, mentre assiste al salvataggio dei marinai, Effi prova una gioia  pura, così diversa dalla sua condizione. E quel giorno ha come un presentimento, per contrasto, dei giorni infelici che la attendono.

Dicono del libro
“Effi Briest, più ancora di Emma Bovary, tradisce non per passione, ma per noia, per rompere la monotonia della vita coniugale. La sua vicenda è narrata con grande penetrazione psicologica da Fontane ed è stata anche ripresa in un bellissimo film del regista tedesco Rainer Fassbinder.”

 

Altre storie che accadono oggi


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“…’Non sarò libero prima del mese di gennaio’ ‘Che giorno?’ ‘Le va bene il 3? Verso le sette al Criterion?'”
Raymond Queneau, Gli ultimi giorni

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“.. lo Svedese aveva trovato la data 3/1/68 scritta, con la sua calligrafia, nel quaderno a spirale…”
Philip Roth, Pastorale americana

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“… Il quinto paio di scarpe lo comperai il 3 gennaio del ’72 in un posto denominato Lake Elsinore…”
Paul Auster, Moon Palace

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Il 3 gennaio i terroristi, guidati da Sergio Segio, danno l’assalto al carcere di Rovigo, La prima linea di Renato De Maria (segnalazione di Enrico Magrelli @enricomagrelli)

Capodanni narrati

31 dicembre e primo gennaio sono giorni che ospitano molte storie, dalla fiaba di Andersen La piccola fiammiferaia che inizia la sera di San Silvestro, al lento passaggio dal 1935 al ’36  narrato da Saramago nel romanzo L’anno della morte di Ricardo Reis, passando per il compleanno di Lolita, che Nabokov colloca al primo di gennaio. Numerosi tweet, nei giorni scorsi, hanno segnalato racconti, film e canzoni, riflessioni (fra cui Odio il Capodanno di Gramsci), su questo passaggio di tempo del calendario occidentale. Alcuni di questi contributi inviati dai lettori del blog e dell’account twitter @diconodioggi sono raccolti nell’antologia Capodanni narrati.
In copertina, c’è un’opera dell’artista sardo Lino Fois della serie Boxes (2010-2011): una scatola che, come dice  il titolo, Contiene 365 giorni di felicità rinnovabili a ogni Capodanno. Nella scatola di legno chiusa da un vetro sono conservati i petardi esplosi al principio di un anno nuovo, in mezzo agli scarti colorati degli involucri. All’esterno, la scatola bianca è decorata di grafie non leggibili e pentagrammi con segni verbo-musicali, stenografie di suoni e formule augurali della festa.

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Tweetbook, in copertina: Lino Fois, “Contiene 365 giorni di felicità rinnovabili a ogni Capodanno”, 2010-11 (courtesy L. Fois)

Una variazione sul tema di una copertina-tastiera per i tweet di Capodanno viene da @around2033:

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“Copertina per i tweet di Capodanno” da @around2033, photo @glocalwalk

31 Dicembre

31 dicembre 2013

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Oggi è l’ultimo giorno dell’anno. In tutto il mondo retto da questo calendario le persone si intrattengono a dibattere con se stesse le buone azioni che intendono mettere in atto nell’anno che incomincia, giurando che saranno rette, giuste ed equanimi, che dalla loro bocca emendata non uscirà mai più una parola cattiva, una bugia,  un inganno, anche se il nemico se lo meritasse, è chiaro che è degli uomini comuni che stiamo parlando, gli altri, quelli d’eccezione, fuori dell’ordinario, si regolano in base a ragioni proprie per essere e fare il contrario sempre che ne ricavino gusto o interesse, questi sono coloro che non si lasciano illudere, arrivano a ridersela di noi e delle buone intenzioni che mostriamo, ma, alla fin fine, lo impariamo con l’esperienza, già nei primi giorni di gennaio abbiamo dimenticato metà dei nostri propositi e, avendo tanto dimenticato davvero non c’è motivo di tener fede al resto, è come un castello di carte, se sono già caduti i piani alti, è meglio che rovini giù tutto e si mescolino i semi

José Saramago, L’anno della morte di Ricardo Reis, 1984, tr. it. R. Desti, Feltrinelli, 1985, p. 48

È il 31 dicembre del 1935 quando Ricardo Reis, medico portoghese di quarantotto anni, aspetta l’arrivo dell’anno nuovo nell’albergo Bragança di Lisbona. Nelle case di Lisbona si preparano i festeggiamenti e l’uva passa da mangiare a mezzanotte, un chicco per ogni rintocco, per chiamare la fortuna nei dodici mesi che verranno. È una giornata di temporali improvvisi e di schiarite. Ricardo Reis è arrivato a Lisbona da due giorni, dopo sedici anni di lontananza dal suo paese. Ha intenzione di aprire uno studio medico. Ma, prima di tutto, vuole rendere omaggio alla tomba di Fernando Pessoa, il poeta e amico morto un mese prima. È il poeta che l’ha inventato, proprio così, e grazie al quale vive una vita propria, apparentemente reale. Il 31 dicembre, dopo aver passeggiato per il centro, Ricardo Reis è tornato in albergo, dove tutti attendono, con gli occhi sull’orologio, la “riga di luce”, la “frontiera” invisibile che scandisce il passaggio da un anno all’altro. Rientrato in camera Reis trova seduto sul sofà proprio Pessoa: non è un fantasma, ma l’ombra che permane sulla terra per nove mesi dopo la morte e che lo visiterà ancora, da buon amico, per il tempo che gli rimane, pieno di avvenimenti privati e di tragedie pubbliche, la dittatura, e la guerra di Spagna del 1936. 

Dicono del libro
“Nel 1936, mentre all’orizzonte si preannuncia la seconda guerra mondiale, scoppia la guerra di Spagna. In quello stesso fatidico 1936 muore Ricardo Reis, solo un anno dopo la scomparsa del suo inventore, Fernando Pessoa. Reis è infatti uno dei tanti eteronimi di Pessoa, che ne aveva immaginato l’ideale biografia (nato a Porto nel 1887, educato dai gesuiti, medico, espatriato per ragioni politiche in Brasile nel 1919) e gli aveva attribuito come poeta classicistiche odi oraziane, ma non gli aveva dato carne e sentimenti. Cosa che invece compie Saramago, che lo fa tornare dal volontario esilio in occasione della morte del suo creatore, gli fa aprire uno studio medico a Lisbona, gli fa vivere una vita sociale, gli fa avere due donne, la cameriera d’albergo Lidia e la giovane Marcenda, e un figlio, e prima di morire lo fa essere testimone di tragici eventi, filtro attraverso cui rileggere la storia della patria salazarista, allineata a fascisti, nazisti e falangisti in tutt’Europa”.

(Dalla scheda del libro nel sito ibs)

Altre storie che accadono oggi

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“… Per la sera di San Silvestro poi il diavolo mi riserva sempre una festa speciale…”
E.T.A. Hoffmann, La notte di San Silvestro

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“… La sera del 31 dicembre arrivò un telegramma con le parole: Buon anno a te, Nora…”
Massimo Bontempelli, Gente nel tempo


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“… Una volta all’anno, il pomeriggio del 31 dicembre, si recava con i figli nella cattedrale…”
Sandor Marai, Divorzio a Buda
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“… Martedì  31 dicembre 199… Ore 19:00 Cristiano Carucci aveva in testa tre possibilità per sfangarequella maledettissima notte…”
Niccolò Ammaniti, L’ultimo capodanno dell’umanità

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“… E la notte di Capodanno del duemila, cosa farai? Scenderai giù nelle piazze a far capriole…”
Marco Lodoli, Diario di un millennio che fugge

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“…È l’ultimo giorno dell’anno. Un grande freddo vento dal nord si è impadronito della terra…”
Agota Kristof, La prova

 

 

30 Dicembre

30 dicembre 2013

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Quando, la mattina del 30 dicembre, nella via dei Condotti, inaspettatamente si rincontrò con Elena Muti, egli ebbe una commozione inesprimibile, come d’innanzi al compiersi d’un fatto meraviglioso, come se il riapparir di quella donna in quel momento tristissimo della sua vita avvenisse per virtù d’una predestinazione ed ella gli fosse inviata per soccorso ultimo o per ultimo danno nel naufragio oscuro

Gabriele D’Annunzio, Il Piacere, 1889, ed. cons. Mondadori 1990, p. 244

Dopo due anni di lontananza, il conte Andrea Sperelli incontra di nuovo, a Roma, la sua amante Elena Muti. Si sono lasciati senza un motivo e da allora Andrea ha avuto diverse avventure, ha affrontato un duello e si è innamorato di una donna sposata, molto diversa da Elena. Tornato a Roma in autunno, si è rituffato nella vita mondana della città. Il 30 dicembre, giornata serena e tiepida, quasi primaverile, passeggia fra le vetrine e le vetture di via dei Condotti, vicino a piazza di Spagna. È lì che inaspettatamente incontra Elena e la invita a casa sua per l’indomani, giorno di San Silvestro, ultimo dell’anno, sperando che l’incontro possa riportare in vita il passato che hanno vissuto insieme.

Dicono del libro
“Edito nel 1889, nello stesso anno e con maggior fortuna del Mastro-don Gesualdo di Verga, Il Piacere è il primo dei romanzi dannunziani. L’esperienza biografica nella Roma di fine secolo, mondana e bizantina, si fa letteratura: ‘Nel personaggio di Andrea Sperelli’ scrive D’Annunzio ‘c’è assai di me stesso colto sul vivo’”

(dalla quarta di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… non c’è paragone con questa mattina del millenovecentotrentacinque, trenta dicembre, con un cielo così coperto…”
José Saramago, L’anno della morte di Ricardo Reis

Le date dell’artista Federico Pietrella

Federico Pietrella: il trionfo del Dataismo
di Franco Chirico

L’artista italiano Federico Pietrella crea opere datate ma la cosa non scandalizza nessuno. Anzi, da tempo sta lasciando un’impronta precisa nel panorama artistico europeo e la sorpresa non è concettuale ma figurativa. Apparentemente chi guarda le sue opere, ha la sensazione di vedere immagini iperrealistiche, soggetti fotografici tradizionali come monumenti, scorci di vita cittadina, paesaggi, nature morte, e tutte perfettamente realizzate. Solo in una susseguente e più attenta visione ravvicinata ci si accorge che la vera novità è la tecnica e che la particolare frammentazione costruttiva ricorda il puntinismo: audace, impeccabile, pedissequa e ripetitiva.
F_PietrellaRipetitiva perché l’artista romano, classe ’75, che da anni vive a Berlino, spesso per realizzare ogni suo pezzo impiega settimane, anche mesi. Ognuna delle sue opere è il resoconto di un calendario preciso dei giorni impiegati nella lavorazione, giorni scanditi da migliaia di impronte inchiostrate più o meno intensamente su un cuscinetto per timbri. Timbrate che con il suo datario in gomma imprime ogni giorno uguali e ogni giorno diverse, formando linee, campiture, nuance e aree scure, tutte piene di date. Una temporalità timbro-grafica che colloca l’opera in un’epoca precisa, in un momento storico inconfondibile, in un giorno certo, in una contemporaneità circoscritta, in un calendario ben datato, ben espresso ma del tutto diverso nel timbro artistico e concettuale da altri artisti, uno su tutti, On Kawara. (f. c.)

 

29 Dicembre

29 dicembre 2013

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Oki era l’unico viaggiatore in quel vagone. Sprofondato nel sedile, guardava distratto la poltrona sull’altro lato, che continuava a girare su se stessa. Non che girasse sempre nella medesima direzione o con la medesima velocità. Accelerava, rallentava, si arrestava di tanto in tanto e a volte rimaneva completamente  immobile per qualche minuto, poi riprendeva a girare nella direzione opposta. Guardando la poltrona che girava da sola nel vagone deserto Oki sentiva affiorare la solitudine stagnante in fondo al suo cuore, dove continuavano a fluttuare pensieri incerti. Era il ventinove dicembre. L’anno stava per finire. Oki aveva preso il treno perché voleva sentire il suono delle campane a Kyoto, nell’ultima notte dell’anno

Yasunari Kawabata, Bellezza e tristezza, 1965, tr. it. A. Suga, Einaudi 1983, p. 3

A due giorni dalla fine dell’anno, il celebre scrittore Oki sta viaggiando sul treno per Kyoto. Tutti gli anni, per capodanno, la radio trasmette i rintocchi delle campane di Kyoto e Oki vuole sentirli dal vivo. Ma non solo per questo ha intrapreso il viaggio. A Kyoto vive una donna con cui molti anni prima ha avuto una relazione, quando lei era una sedicenne e lui un uomo sposato. La storia era finita male, con un bambino nato morto e un tentativo di suicidio della ragazza. Dopo quella vicenda, Oki aveva pubblicato un libro di grande successo. Ora vuole rivedere la donna, che fa la pittrice e vive nel recinto di un tempio buddista. Per questo è sul treno, il 29 dicembre, mentre viene buio presto e il monte Fuji appare all’orizzonte. 

Dicono del libro
“L’arte, la contemplazione della natura, il mondo dei giovani, la fragilità dei sentimenti, l’omosessualità. Ma come in tutti i libri di Kawabata il senso nascosto è lo spietato incalzare del tempo”.

(Dalla scheda del libro nel sito Einaudi)

Altre storie che accadono oggi

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“… Fu l’effetto cumulativo di tutto questo che indusse Perry Parkhurst, il 29 dicembre, a prendere una decisione…”
Francis Scott Fitzgerald, La parte posteriore del cammello

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“… Tali, in certo senso, furono per me i giorni successivi a quel 29 dicembre, anzi sera, secondo 29 dicembre eterno della mia vita…”
Anna Maria Ortese, Il porto di Toledo

 

28 Dicembre

28 dicembre 2013

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Quanti, di qui a molti anni, avranno la ventura di rivedere risorte Reggio e Messina dal terribile disastro del 28 dicembre 1908, non potranno mai figurarsi l’impressione che si aveva, allorché, passando in treno, pochi mesi dopo la catastrofe, cominciava a scoprirsi, tra il verde lussureggiante dei boschi d’aranci e di limoni e il dolce azzurro del mare, la vista atroce dei primi borghi in rovina, gli squarci e lo sconquasso delle case

Luigi Pirandello, Il professor Terremoto, 1910, in Novelle per un anno, Giunti, 1994, vol. I, p. 572

In uno scompartimento di prima classe di un treno che percorre la Sicilia, i viaggiatori rievocano il terremoto che distrusse Messina il 28 dicembre 1908 e alcuni episodi di salvataggi ed eroismi che che accaddero in quella tragica occasione. Il professore protagonista della novella, però, ha un parere tutto suo sul tema dell’eroismo e sulle conseguenze di atti a prima vista sublimi. Più che esaltare l’attimo glorioso il professore considera l’evolversi successivo dei fatti, quando la vita ordinaria – passata l’emergenza – riprende il sopravvento. Come esempio porta se stesso, autore, anni prima, del coraggioso salvataggio di una famiglia di sei persone la cui riconoscenza, col tempo, è diventata una catena e un peso che ha rovinato la sua vita.

Dicono del libro
“Pubblicata nel ‘Corriere della sera’ del 10 aprile 1910; in La trappola, Milano, Treves, 1915; in L’uomo solo, Firenze, Bemporad, 1922″.

(Dalla nota nell’ed. Giunti, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… Nella notte del 28 dicembre dell’anno 1713 ho fatto un sogno. Man mano che mostravo forza di volontà, anche il contenuto del sogno cambiava…”
Yamamoto Tsunetomo, Hagakure

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“… Durante la notte dal 27 al 28 dicembre, il Nautilus abbandonò i paraggi di Vanikoro a grande velocità, facendo rotta per sud-ovest…”
Jules Verne, Ventimila leghe sotto i mari

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“… Che cosa direbbe Goethe della veduta, che si ha da questa finestra, della strada invernale, male illuminata…”
Saul Bellow, L’uomo in bilico

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“… Lunedì 28 dicembre 1987. E torno così alla creazione di questo diario … Ho 12 anni,quasi 13. Sono scout…”
Daniel Pennac, Storia di un corpo

 

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“… gli altri vecchietti lo seguivano con la distratta attenzione da 28 dicembre, giorno tradizionalmente riempitivo e privo di significato”
Marco Malvaldi,La tombola dei troiai

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“… Il 28 dicembre scorso, all’ora del tè, mi sono recato a Westminster, all’albergo dell’Elmo d’oro…”
Wu Ming, Manituana (segnalazione di @seanmichaelhall) 

 

27 Dicembre

27 dicembre 2013

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Così, la sera del 27 dicembre, si diresse verso le Petrovskie linii e, uscendo, mise nel manicotto la rivoltella di Rodja, carica e senza sicura, decisa a sparare contro Viktor Ippolitovic se lui le avesse risposto con un rifiuto, l’avesse fraintesa o comunque umiliata. Camminava per le vie festanti, in preda a un profondo turbamento, senza accorgersi di nulla intorno a sé. Nella sua testa già era echeggiato il colpo di pistola, non importava contro chi. Quello sparo era l’unica cosa di cui fosse cosciente. Seguitò a sentirlo per tutto il tragitto: era diretto contro Komarovskij, contro se stessa, contro il proprio destino, contro la quercia di Dupljanka, nella radura, col bersaglio intagliato nel tronco

Borìs Pasternàk, Il dottor Živago, 1957, tr. it. P. Zveteremich, ed cons. Feltrinelli, 1994, p. 67

Nelle case di Mosca, la sera del 27 dicembre di un anno al principio del Novecento, si festeggia la Festa dell’Albero di Natale ed è a una di queste feste che si sta recando la giovane Larisa Guichard, detta Lara. E non per prendere parte al rito tradizionale delle danze, delle luci e delle conversazioni. La sua intenzione è quella di sparare all’avvocato Komarovskij, un faccendiere che ha rovinato diverse persone, amante della madre e seduttore di Lara stessa. Nella fredda sera di dicembre, la ragazza cammina nella strada dei negozi, con la pistola del fratello nascosta nel manicotto e il desiderio di  compiere un gesto eversivo e liberatorio. Non riuscirà a uccidere Komarovskij, anzi la pallottola colpirà di striscio un altro ospite della festa e Lara, semisvenuta, attirerà l’attenzione e l’ammirazione di un giovane medico, Juri Živago, lì presente. È un giorno fatale, in cui si accavallano avvenimenti densi di conseguenze per le vite dei protagonisti, mentre intorno si preparano cambiamenti epocali durante i quali Lara e Juri si incontreranno e perderanno di vista diverse volte. 

Dicono del libro
“Borìs Pasternàk nacque ne 1890 a Mosca. Il suo ingresso nella vita intellettuale russa coincise con la moda del cubofuturismo e con le più accese esperienze di rinnovamento letterario. ma per quanto animato da un ansioso bisogno di ricerca, egli nn dimenticò mai la più genuina tradizione della su terra come testimonia l’opera poetica e, ancor meglio e di più, il romanzo. La sua poesia, così improduttiva ai fini della propaganda, non lo mise mai in buona luce presso le autorità; egli stesso , non per una ben individuata ragione di ordine politico, ma per un preciso bisogno di salvare la libertà dell’arte e del pensiero, sin dal 1930 visse in disparte nella sua dacia di Peredelkino, presso Mosca, dove morì nel 1960. Fu in questa volontaria solitudine che maturò e fu scritto Il dottor Živago”.
(Dalla quarta di copertina dell’ed. Feltrinelli, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… Il 27 di dicembre fuggì di casa col piccolo…”
Saul Bellow, Il re della pioggia

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“… E’ il 27 dicembre. Sediamo sulle stesse sedie. Sul tavolo c’è la stessa teiera, gli stessi sottobicchieri sotto le tazze da tè…”
Peter Høeg, Il senso di Smilla per la neve

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“… Un 27 dicembre mi sposai. Un quadro di Paul Klee dedicato al numero 27 sintetizza le luci e le ombre della società segreta…”
Enrique Vila-Matas, Storia abbreviata della letteratura portatile

Il punto più distante dal Natale

“Eccoci, siamo nel punto più lontano possibile dal prossimo Natale. M’aspetto da un momento all’altro la chiamata di mamma per i regali 2014” ha scritto @carlogabardini in un tweet, nel pomeriggio del 25 dicembre. E molti altri tweet (di @quasiblu, @manlioprimo, @_heyjade) sottolineano che il giorno 26 dicembre ci si trova nel momento più distante dalle prossime feste.

Dezember_26Quasi un secolo fa, lo scrittore tedesco Thomas Mann nel romanzo La montagna incantata (o La montagna magica, secondo una nuova traduzione)così aveva raccontato il 26 dicembre, secondo giorno delle feste natalizie, che contemporaneamente fa sprofondare il Natale nel passato e lo proietta nel futuro:

“Il secondo giorno delle feste natalizie non si distinse altrimenti dagli altri comuni della settimana se non per una lieve consapevolezza della sua presenza, e quando esso fu finito il Natale apparteneva ormai al passato, o per dire più esattamente, apparteneva ad un lontano futuro, ad un futuro di un anno. Mancavano ancora dodici mesi fino al punto in cui esso nel suo ciclo si sarebbe rinnovato…”.
(Thomas Mann, La montagna incantata, 1924, tr. it. B. Giachetti-Sorteni, dall’Oglio editore, vol. I, pp. 320-321)

Eccoci.

 

26 Dicembre

26 dicembre 2013

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Il signor Willard mi portò in macchina sugli Adirondacks. Mi sentivo rimpinzata, ottusa e delusa, come sempre mi accade il giorno dopo Natale quasi che tutte le promesse, qualunque esse fossero: rami di pino, candele, regali avvolti in nastri d’oro e d’argento, fuoco del ceppo di betulla, tacchino natalizio e inni cantati al pianoforte mai si realizzassero. A Natale desideravo quasi di essere cattolica. Dapprima guidò il signor Willard, poi io. Non so di che parlassimo, e mentre ci lasciavamo alle spalle la campagna ormai sprofondata sotto precedenti nevicate e ci inoltravamo in un paesaggio ancora più squallido e gli abeti, di un verde così cupo da parer neri, scendevano a gruppi dalle grigie colline fino sull’orlo della strada, mi sentivo sempre più tetra

Sylvia Plath, La campana di vetro, 1963, tr. it. D. Menicanti, Mondadori, 1979, p. 80

In un albergo di New York, città dove sta svolgendo uno stage in una rivista, la giovane Esther, aspirante scrittrice, sente risvegliarsi un dolore alla tibia. È un dolore profondo, che la riporta a un episodio altrettanto doloroso, accaduto durante le feste di Natale. Il suo amico Buddy Willard, studente di medicina con cui ha una contrastata relazione, è ricoverato in un ospedale sui monti Adirondack, per curare una malattia dei polmoni. Esther va a trovarlo insieme col padre di lui, il signor Willard, che guida la macchina nel paesaggio innevato. La ragazza, in realtà, vorrebbe tornare indietro, ma non riesce a farlo e prosegue il viaggio verso Buddy e verso un incidente con gli sci, in cui riporterà la frattura della gamba. Il viaggio si svolge il 26 dicembre,  il giorno successivo al Natale, giornata che riflette in pieno – con la sua atmosfera da giorno-dopo la festa – l’insoddisfazione di Esther in quel momento. 

Dicono del libro
“E se il giovane Holden fosse stato una ragazza? In un albergo di New York per sole donne Esther, diciannovenne di provincia, studentessa brillante, vincitrice di un soggiorno offerto dalla rivista di moda più sofisticata, incomincia a sentirsi ‘come un cavallo da corsa in un mondo senza piste’. Intorno a lei, sopra di lei, l’America degli anni Cinquanta chiude una campana di vetro da cui sfugge a poco a poco l’aria. L’alternativa sta tra abbandonarsi al fascino soave della morte o ritrovarsi con la mente invasa dalle onde azzurre dell’elettroshock”.

(Dalla quarta di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… Il secondo giorno delle feste natalizie non si distinse altrimenti dagli altri comuni della settimana…”

Thomas Mann, La montagna incantata

 

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“… Un giornale del mattino basterà sempre a darmi notizie di me: X…, 26 dicembre…”
André Breton, Nadja

 

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“… Così terminava il sunto di Stillman del libretto di Henry Dark, datato 26 dicembre 1690, settantesimo anniversario dello sbarco della Mayflower…”
Paul Auster, Città di vetro

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“… Il giorno di Santo Stefano furono avvistate le prime rondini…”
Arto Paasilinna, L’allegra apocalisse

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I Cani,Il pranzo di Santo Stefano (segnalazione di Laura Serranti  @lau_serr)

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25 Dicembre

25 dicembre 2013

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Terribile senso di desolazione. Incombeva su di me da anni. Se credessi nelle stelle dovrei credere che io fossi proprio sotto l’influenza di Saturno. Tutto quel che mi succedeva era troppo tardi per significare qualcosa. Fu così anche la mia nascita. Fissato per Natale, venni al mondo con mezz’ora di ritardo. Parve sempre a me che io dovevo essere il tipo di individuo che uno è destinato a diventare per esser nato il 25° giorno di dicembre. L’ammiraglio Dewey nacque in quel giorno, e così Gesù Cristo… forse anche Krishnamurti, ch’io sappia. Comunque questo ero il tipo che io dovevo essere

Henry Miller, Tropico del Capricorno, 1939, tr. it. L. Bianciardi, Feltrinelli 1987, p. 67

In Tropico del Capricorno, romanzo largamente autobiografico che prende il titolo dal segno zodiacale di questo periodo, lo scrittore americano Henry Miller (nato il 26 dicembre del 1891), si presenta sotto le spoglie del protagonista della storia. Un giovane inquieto e contraddittorio, che guarda spietatamente dentro di sé mentre vive, negli anni Venti, a New York, impiegato nell’ufficio del personale della Cosmodemonic Telegraph Company. In questa pagina il discorso cade sulla data di nascita, giorno fatale che può segnare tutto il destino futuro, delle persone comuni, come dei grandi della storia e della religione, Gesù compreso. 

Dicono del libro
“Miller ha affermato più d’una volta che il Tropico del Capricorno è la sua opera più importante, e molti critici lo considerano il suo capolavoro. le origini del libro sono antiche; racconta lo stesso Miller : ‘Nell’anno 1927, mentre ero ancora in America. e mi immaginavo di avere, come Abelardo, sofferto più dolorosamente di qualche comune mortale, stesi il piano per un grosso libro della mia vita che mi proponevo di scrivere un giorno. Ma fu solo nel 1938, a Parigi, che il primo frammento di quell’opera – l’inizio di una serie di romanzi autobiografici – apparve. Lo chiamai Tropico del Capricorno“.

(dalla Notizia nell’ed. Feltrinelli, op. cit.)

 

Altre storie che accadono oggi

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“… Non le venne in mente di voltare il foglio e di leggerlo. Avrebbe saputo allora che, tra le 4 e le 6 antimeridiane del 25 dicembre, il capitano MacWhirr…”

Joseph Conrad, Tifone

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“… Fu un Natale corto e freddo…”
Herman Melville, Moby Dick

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“… Ma ora, il giorno di Natale, il nostro Natale benedetto, se vi decideste a portare il pranzo al forno…”
George Eliot, La bella storia di Silas Marner

 

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“… Il giorno di Natale la signora Samzelius dà un grande pranzo a Ekebù…”
Selma Lagerlof, La saga di Gosta Berling

 

Il 24 dicembre di Joseph Cornell

Uno dei più grandi artisti americani, Joseph Cornell (1903-1972), è celebre per la sua produzione di collage di immagini e film e soprattutto per le scatole di legno chiuse da un vetro, in cui oggetti trovati (pipe d’argilla, piume, conchiglie, spirali, carte geografiche) compongono degli assemblaggi affascinanti e densi di significati. Cornell non era solito datare le sue opere e aveva una concezione del tempo – mutuata anche dalla sua appartenenza alla setta della Christian Science – che va sotto il nome di eterniday, parola-valigia che fonde insieme l’eternità e la quotidianità, l’effimero e il senza tempo. A un periodo dell’anno però Cornell era particolarmente sensibile: i giorni intorno a Natale. Nato il 24 dicembre, Cornell amava l’atmosfera natalizia, sia nella sua casa di Utopia Parkway (Flushing, New York), sia a Manhattan, dove si recava nelle sue derive quotidiane, in cerca – come scrive Charles Simic ne Il cacciatore di immagini – di quegli “oggetti ancora sconosciuti che vanno insieme” e che, una volta riuniti, faranno un’opera d’arte. Cornell cercò sempre, per quanto possibile, di far coincidere le mostre delle sue opere con il Christmastime, ricorrenza della sua nascita, periodo di memorie e aspettative, tempo di regali, che sono – come le sue scatole e i suoi collage – il risultato di una ricerca e di una scelta accurata.
Cornell at Cooper Union 1972 (6) Al senso del Natale si collegano molti temi nell’opera di Cornell: il richiamo ai giocattoli, alle sorprese, ai dolciumi, l’uso delle miniature, l’estetica della meraviglia e soprattutto, l’infanzia. L’infanzia intesa non tanto come stato di innocenza, quanto di assoluta interezza dei significati, “quando una bilia che rotola su un parquet appare portentosa come il passaggio di una cometa” (Ashbery).
Un delle ultime mostre di Cornell si tenne, solo per bambini, alla Cooper Union School of Art and Architecture (New York) nel 1972, l’anno in cui l’artista sarebbe morto, il 29 dicembre. (Antonella Sbrilli @asbrilli)

24 Dicembre

24 dicembre 2013

 

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Una mattina, all’alba (era il 24 dicembre 1744) Paul scorse, alzandosi, una bandiera bianca inalberata sul monte La découverte. Era il segnale di un bastimento che si vedeva in mare. Paul corse in città nella speranza che portasse notizie di Virginie, e vi rimase fino al ritorno del pilota del porto che era salito sul bastimento, secondo l’usanza, per procedere al riconoscimento. L’uomo non tornò fino alla sera. Riferì al governatore che il bastimento segnalato era il Saint-Géran, aveva una portata di settecento tonnellate ed era comandato dal capitano M. Aubin; si trovava a quattro leghe al largo, e avrebbe gettato l’ancora nelle acque di Port-Louis il pomeriggio del giorno seguente, in caso di vento favorevole. Per il momento di vento non ne tirava affatto

Bernardin de Saint-Pierre, Paul e Virginie, 1787 tr. it. R. Carifi, Bompiani, 1995, pp. 100-101

La vicenda di Paul e Virginie si svolge nel Settecento nell’isola Mauritius, dove i due protagonisti sono cresciuti insieme sin da piccoli. Figli di due donne francesi che hanno dovuto rifarsi una vita lontano dalla patria, i due giovani sono vissuti felicemente nella natura, ignari della civiltà, finché Virginie non è stata costretta a tornare in Francia per una questione di eredità. Dopo una lunga assenza, la ragazza ritorna all’isola, al suo piccolo paradiso e al suo innamorato. La nave ha affrontato la traversata nel periodo degli uragani ed è giunta in prossimità dell’isola il 24 dicembre, giornata afosa, col cielo coperto di nubi basse. È il segno che di lì a poco si scatenerà una tempesta, dalla quale non tutti i passeggeri della nave riusciranno a salvarsi. Malgrado gli sforzi di Paul, Virginie sarà travolta dalle acque a poca distanza dalla riva, nel caldo del dicembre australe. 

Dicono del libro
Paul e Virginie inizia con ‘le rovine di due piccole capanne’ e si conclude con l’immagine della ‘terra desolata’ dove giace il corpo di Virginie. Nella parabola disegnata da questa duplice rovina è come se la natura venisse sottratta al tempo e restituita a un tempo immobile  primordiale, esattamente come la morte trasforma l’amore dei due ragazzi in un assoluto”.
(Dalla quarta di copertina dell’ed. Bompiani, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… è nostra immutabile usanza – disse Mr Wardle – alla vigilia di Natale, stare insieme, domestici e tutti, come siamo adesso, e aspettare i 12 rintocchi che annunciano il Natale…”
Charles Dickens, Il Circolo Pickwick

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“… Ha già un’ora e mezzo di ritardo-fece Arthur in tono lamentoso. Bè, si sa, è la vigilia di Natale – disse Annie…”
David H. Lawrence, Figli e amanti  

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“… Mio padre mi aveva angariato per anni, e una vigilia di Natale, reso ostile dall’alcol, lo sfidai…”
John Fante, A ovest di Roma

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“… Nell’epoca della Colonia, le famiglie abbienti si riunivano il 24 dicembre intorno a una grande tavola…”
Isabel Allende, Eva Luna

Aldo Spinelli: 99 + 2, la soluzione

Per il centenario del cruciverba, il 21 dicembre, Aldo Spinelli ha proposto di giocare con un suo schema a sorpresa: eccolo qui. Ed ecco lo schema risolto e il commento dell’autore al cruciverba e alle soluzioni che sono arrivate via twitter (#21_12cruciverba) e via mail

Fino al 21 dicembre 1913 non esisteva il cruciverba. O, almeno, non esistevano le caselle nere.
Per rendere loro un doveroso omaggio ho realizzato questo modesto gioco nel quale i buchi (o i pieni) tra le parole assumessero un loro proprio “valore”.
Da qui l’idea di inserire altri numeri nello schema e la richiesta di trovarne il totale (vedi il post del 21_12)
Una prima – del tutto imprevista – coincidenza ha fatto sì che il totale dei numeri nello schema fosse uguale a 99, proprio come i capitoli de La vita istruzioni per l’uso di Georges Perec e gli Esercizi di stile di Raymond Queneau (grazie a @sbartezzaghi per avermelo fatto notare).
E grazie anche per aver twittato la soluzione “Vedo nero. Ma capisco il ‘tuo cenno'” con una frase chiara (TUO CENNO = anagramma di CENTOUNO) ma del tutto incomprensibile agli altri partecipanti, evitando perciò di togliere loro il piacere del gioco.
Ma soprattutto grazie a tutti coloro che si sono cimentati e che spero si siano divertiti a scoprire quanto il centenne sia ancora ben vivo e vegeto… (aldo spinelli)soluzione

23 Dicembre

23 dicembre 2013

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Anche nell’altro scatolone c’erano oggetti poco interessanti. Un’incisione vittoriana della cappella del King’s College. Una sveglia Waralarm da pochi soldi, regolata per suonare alle undici, in una custodia di fibra nera. Una radiolina. Un tocco accademico e una toga polverosa. Una boccetta d’inchiostro. Un telescopio. Una copia del “Times” del 23 dicembre 1942, piegata alla pagina del cruciverba che era stato compilato in due grafie diverse, una molto minuta e meticolosa, l’altra più arrotondata, probabilmente femminile. Sopra il cruciverba era scritto 2712815. E infine, in fondo allo scatolone, una carta che, aperta, risultò essere non dell’Inghilterra e nemmeno della Germania, come la signora Armstrong aveva sospettato e sperato, bensì del cielo notturno

Robert Harris, Enigma, 1995, tr. it. R. Rambelli, Mondadori, 1996, pp. 110-111

Dall’inizio della II guerra mondiale, il giovane matematico inglese Tom Jericho lavora a Bletchley Park, l’unità dei servizi segreti britannici destinata alla decifrazione dei messaggi in codice tedeschi, in particolare di quelli relativi alle missioni dei sottomarini U-Boot. All’inizio in pochi, gli addetti alla decrittazione dei messaggi sono aumentati col passare dei mesi, trasformando la residenza di Bletchley Park in un quartier generale dove si muovono – accanto al matematico Alan Turing – le menti più geniali della logica e dell’analisi dei linguaggi. I tedeschi cifrano i messaggi con una macchina chiamata Enigma, un congegno portatile in grado di trasformare il testo originale in un crittogramma, sfruttando un numero “astronomico, e tuttavia calcolabile” di permutazioni. Dalla decifrazione di questi messaggi dipende la navigazione dei convogli alleati nell’Atlantico e a Bletchley Park si lavora su macchine altrettanto potenti – dette Bombe – che possano trovare la chiave dei testi in tempo per salvare le navi. Dopo un crollo nervoso dovuto alla tensione, ai ritmi e alla responsabilità del proprio compito, Tom Jericho è stato mandato a Cambridge per un periodo di riposo, ma è presto richiamato in servizio. Gli scatoloni con le sue cose sono stati recapitati nella pensione dove risiederà e la padrona di casa, la signora Armstrong, curiosando fra libri e carte, vi trova una copia del Times del 23 dicembre, con il cruciverba compilato. Insieme con gli scacchi, il cruciverba è uno dei pochi passatempi di Jericho, che lo usa anche come verifica delle sue facoltà mentali, sovraffaticate dal lavoro. Il gioco delle parole crociate (come racconta Stefano Bartezzaghi nell’Orizzonte verticale) aveva fatto la sua comparsa negli Stati Uniti una trentina d’anni prima, il 21 dicembre del 1913;  dagli anni Venti aveva conquistato larga popolarità, e durante la guerra la sua storia si sarebbe intrecciata con quella dello spionaggio. Non pochi degli addetti di Bletchley Park furono reclutati fra enigmisti con un concorso su un quotidiano inglese. La pagina del Times nello scatolone di Tom Jericho risale all’antivigilia di Natale, a un momento di pausa in cui la ricerca della chiave –  sempre in bilico fra il caos e il significato -, è per qualche minuto trasferita alla soluzione di uno schema di parole crociate:  “un matematico, come un pittore o un poeta, è qualcuno che crea schemi”.  (an.s.)

Per giocare con il cruciverba a sorpresa dell’artista Aldo Spinelli, vai al post del 21_12

Dicono del libro
“Il romanzo è ambientato sullo sfondo di un evento storico reale. I messaggi della Marina tedesca citati nel testo sono tutti autentici. I personaggi, al contrario, sono interamente inventati”.
(Nota dell’autore nell’ed. Mondadori, op. cit.)
Sulle date in Enigma, vedi il post 4 marzo. Da Sherlock Holmes alla II guerra mondiale

Altre storie che accadono oggi

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“… Lo ammetto, mi vestii un po’ più in fretta del solito quella nevosa, ventosa, gelida notte. Era il 23 di dicembre, 197…”  Stephen King, Una storia d’inverno

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“… La Dalmazia è grande. Se non si sa esattamente in quale porto è nato il capitano Stalio, serve poco sapere quando, cioè il 23 dicembre 1854…”
Stanislao Nievo, Le isole del paradiso

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“… una guida giornaliera ai programmi televisivi trasmessi da un’anonima città dell’emisfero settentrionale il 23 dicembre 1999 offre un’interessante prospettiva sulle origini del disastro …”
James G. Ballard, Una guida alla morte virtuale

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“… Era dicembre, l’antivigilia di uno di questi ultimi natali, e a Madrid faceva freddo, molto…”
Saramago, Una notte a Plaza Major

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“… Passò ancora qualche settimana, senza fornirmi risposte; poi, al mattino del 23 dicembre, presi un taxi per Roissy…”
Michel Huellebecq, Piattaforma

 

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“… Era il mezzogiorno del 23 dicembre. Fuori faceva freddo, il cielo era nuvoloso…”
Sarah Winman, Quando dio era un coniglio (segnalazione di Sandra Muzzolini)

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“… tra due giorni è Natale, non va bene e non va male…”
Francesco De Gregori, Natale (segnalazione di @LiviaVigorito, @GiuliAntonia, @lau_serr)

22 Dicembre

22 dicembre 2013

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Industriosi come api, se proprio non lievi come fate, i quattri pickwickiani si ritrovarono il mattino del ventiduesimo giorno di dicembre dell’anno di grazia nel quale furono intraprese e compiute le avventure qui fedelmente registrate. Natale era ormai prossimo, con tutta la sua schietta e franca letizia; era la stagione dell’ospitalità, della gioia, della bontà. L’anno vecchio, simile a un antico filosofo, si preparava a chiamare a raccolta i suoi amici e, fra tripudio di feste e giubilo, andarsene tranquillo e pacifico. Lieta e serena era quella stagione, e lieti e sereni erano almeno quattro dei tanti cuori esultanti per l’avvicinarsi di quel giorno. […] Ma presi dall’incanto del Natale, lasciamo aspettare al freddo sull’imperiale della diligenza per Muggleton, appena presa, Mr Pickwick e i suoi amici, tutti ben avvolti in cappotti, scialli, trapunte. Borse e sacche sono state caricate; Mr Weller e il postiglione si sforzano di far entrare nel bagagliaio anteriore un enorme merluzzo di gran lunga troppo grande per starci

Charles Dickens, Il circolo Pickwick, 1836-1837, tr. it. G. Lonza, Garzanti 1990, vol. I, pp.431-32

Dicono del libro
“Con Il Circolo Pickwick, capolavoro dell’umorismo, Dickens conquista una popolarità straordinaria. Pubblicato a dispense mensili, dalle 400 copie della prima puntata passò in breve tempo alle 40.000. La trama è poco più d’un pretesto per mettere in scena una città e il brulichìo incessante dei suoi abitanti: gentiluomini e ciarlatani, impiegati, sguatteri, burocrati e vetturini affollano le strade “alte” di Londra e i suoi quartieri poveri, sciamano tra i suoi palazzi, le locande, gli uffici, il tribunale e anche il carcere. Se ne ricava l’immagine idealizzata e nostalgica di un’Inghilterra eccentrica e cordiale, estrosa e ricca di umanità, non ancora frammentata nonostante l’affermarsi sempre più vistoso delle divisioni di classe”.

(Dalla scheda del libro nel sito Garzanti)

Altre storie che accadono oggi

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“… William era atteso a Portsmouth per il 24: il 22 sarebbe stato dunque l’ultimo giorno che avrebbe trascorso con loro…”
Jane Austen, Mansfield Park

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“… Turbin incominciò a morire durante la giornata del 22 di dicembre: una giornata opaca, bianca e tutta impregnata del riflesso del vicino Natale…”
Michail Bulgakov, La guardia bianca

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“… E infatti il 22 dicembre Cosimo Zaccaria, che alla pesca ci stava appassionato, si recò con canna e vermi sulla punta del molo di ponente…”
Andrea Camilleri, Par condicio

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“… ricorderò sempre la data, 22 dicembre, tutti in attesa del sorteggio della lotteria di Natale, io non giocavo …”
Almudena Grandes, Atlante di geografia umana

Aldo Spinelli: un’opera-cruciverba per il 21_12

Un secolo fa, domenica 21 dicembre 1913, il cruciverba cominciava la sua avventura, con uno schema pubblicato sul supplemento del ‘New York World’, opera del giornalista Arthur Wynne. Un’avventura che Stefano Bartezzaghi ha ripercorso in un libro dall’eloquente titolo L’orizzonte verticale, presentandone di recente le tappe salienti, decennio dopo decennio, a partire da quel giorno di dicembre che porta la stessa data di oggi.
Per Aldo Spinelli, inventore di giochi, designer, artista concettuale e potenziale, il cruciverba è anche un’opera d’arte, dove – oltre al vincolo dell’incrocio delle parole – c’è sempre una regola ulteriore, che si rivela come una sorpresa grafica, visiva e mentale. Valga come esempio il definizionario, che raccoglie le variazioni sul cruciverba a una sola casella proposto da Georges Perec.
Per il centenario del cruciverba, Aldo Spinelli invita i lettori di www.diconodioggi.it a giocare con uno dei suoi schemi a sorpresa, fra rimandi incrociati e parole che possono essere numeri:

Spinelli
Completato il cruciverba con le soluzioni e le 12 caselle nere, dunque, tutti  i numeri che compaiono, in varie forme,  dentro lo schema, vanno sommati.
C’è tempo fino alle 24:00 del 21 dicembre per twittare il numero risultante a @diconodioggi e @aldo_spinelli con l’hashtag #21_12cruciverba
La spiegazione apparirà sul blog il giorno 23 dicembre, un’altra data che ha a che fare con questo gioco…

21 Dicembre

30 novembre -0001
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21 dicembre 2013

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Era una giornata freddissima; perciò ella prese il trovatello e lo nascose nel cassettone della sua stanza. Il ventuno dicembre, a desinare, io stavo dicendo: “Bambine, è il solstizio d’inverno”,  e proprio allora dalle tubazioni del riscaldamento (il radiatore era sotto il buffet) giunse il vagito del neonato. Io abbassai la testa del mio berretto da caccia, di lana pesante, che portavo sempre a tavola, e per nascondere lo stupore mi misi a discorrere d’altro. Infatti Lily rideva, guardandomi con aria saputa, il labbro di sopra abbassato a coprire i denti, e in viso un caldo pallore. Guardai Ricey e vidi nei suoi occhi una tacita felicità

Saul Bellow, Il re della pioggia, 1958, tr. it. L. Bianciardi, ed. cons. Mondadori, 1984, p. 23

La scena si svolge verso la fine degli anni Cinquanta, in una città americana, a casa di Eugene Henderson, ricco e irrequieto discendente di una famiglia di pionieri. Il 21 dicembre, solstizio d’inverno, mentre la famiglia è a tavola, un vagito rivela che c’è un neonato nella stanza della figlia. È un bimbo trovato in una macchina, che rimarrà però poco a casa degli Henderson. Quel 21 dicembre, segnato dai preparativi per il Natale e dalla viva novità del bambino, è una delle ultime giornate trascorse da Henderson in famiglia. Di lì a poco, spinto dall’inquietudine, partirà all’improvviso per l’Africa, dove perderà la cognizione del tempo acquisendo un coraggio mai immaginato e il nome di Re della pioggia.

Dicono del libro
“Premio Nobel per la letteratura nel 1976, Saul Bellow racconta nel Il re della pioggia la vicenda di Eugene Henderson, un americano che, giunto a cinquantacinque anni pieno di donne, di figli e di denaro, fugge nel cuore dell’Africa alla ricerca di verità fondamentali sul mondo e su se stesso: ne emerge un ritratto fortemente comico, ma insieme inedito e corrosivo, del tradizionale ‘innocente’ americano”.

(Dalla quarta di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… La mattina del lunedì, il ventun dicembre, scrisse a Lotte la lettera seguente, che dopo la sua morte fu rinvenuta sigillata sul suo scrittoio…” Wolfgang Goethe, I dolori del giovane Werther

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“… uccisero due amanti giovani / su un’auto ferma al parco di Saint-Cloud / lungo il viale della Felicità / sul calar della sera / del ventuno dicembre / millenovecentocinquantasei…”
Salvatore Quasimodo, Notizia di cronaca

 

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“… Il freddo – fine d’anno: il 21 dicembre…”
Roberto Bazlen, Città grigia

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“… Era il mattino del 21 dicembre 1931. Sandusky era distante sessanta miglia, e Hector dormì per quasi tutto il viaggio…”
Paul Auster, Il libro delle illusioni