20 Settembre

20 settembre 2013

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Settembre 20
Ecco fatto. Ho voluto ricopiare qui in questo mio giornalino il foglietto del calendario d’oggi, che segna l’entrata delle truppe italiane in Roma e che è anche il giorno che son nato io, come ci ho scritto sotto, perché gli amici che vengono in casa si ricordino di farmi il regalo

Vamba, Il giornalino di Gian Burrasca, 1912 (in volume), ed. cons. Giunti, 1994, p. 5

Il 20 settembre 1870 è il giorno della breccia di Porta Pia. Ventisette anni dopo, nello stesso giorno di settembre, nasce Giannino Stoppani, detto Gian Burrasca. Per il suo nono compleanno (o forse l’ottavo, visto che è il 1905?) ha avuto in regalo dalla mamma un giornalino con la “rilegatura di tela verde e tutte le pagine bianche”. Su questo diario, racconterà le sue disavventure, le punizioni, gli slanci verso la libertà.
Per cominciare, non sapendo ancora cosa scrivere, ricopia proprio il foglietto del calendario del 20 settembre, 263° giorno dell’anno, Sant’Eustachio. Entrata delle truppe italiane in Roma. Luna piena. 

Dicono del libro
“Ogni giorno Giannino Stoppani, detto Gian Burrasca, annota in un diario gli avvenimenti della sua vita e della vita della sua famiglia. Naturalmente, poiché è stato educato a non mentire mai, dice sempre la verità, anche quella che non dovrebbe o potrebbe dire, o che le sorelle e i loro fidanzati, poi mariti, non vorrebbero si sapesse. E, certo, combina un sacco di guai per merito dei quali viene chiuso nel collegio Pierpaoli dove non solo non si educa, bensì diviene l’anima di una ribellione contro la falsa e tirannica disciplina che vi è imposta da una ridicola ma prepotente coppia di proprietari-direttori. Il diario diviene così la protesta e la rivolta di un ragazzo contro il mondo conformista e soffocante dei ‘grandi’. Non per nulla Vamba dedicò il Giornalino ‘ai ragazzi d’Italia perché lo facciano leggere ai loro genitori'”

(dalla scheda del libro su Ibs)

Altre storie che accadono oggi

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“… È il 20 settembre 1850. Conosco queste cifre che ho appena scritto come se fossero un’iscrizione da lungo tempo familiare…”
George Eliot, Il velo strappato

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“… Tutto era cominciato quel venerdì pomeriggio, il 20 settembre…”
Rudy Rucker, Su e giù per lo spazio-tempo

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“…l’unità del Regno è compiuta da 4 anni e già non contenta più nessuno, peggio che se avesse 4 secoli. La borghesia accende i bengala la sera del 20 settembre, ma essa stessa è divisa..”
Riccardo Bacchelli, Il diavolo al Pontelungo

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“… Eppure, proprio quel 20 settembre, l’Italia era diventata Una…”
Vasco Pratolini, Metello

 

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“… Il 20 settembre due carri partirono alla volta di Crifosso, carichi di roba: trasportavano nella nuova dimora tutto il mobilio…”

J. R. R. Tolkien, Il signore degli anelli

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“… I cento florali vennero inaugurati contemporaneamente il 20 settembre 1875 (squisita coincidenza: la vecchia parola russa rjuen, che significa settembre e non rovina…”
Vladimir Nabokov,  Ada

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“… Sono tornato a casa, ho preso un foglio ho scritto Dove sei che non ti trovo. venti settembre novantotto. Ore undici e venti…”
Paolo Nori, Bassotuba non c’è

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“…  Il 20 settembre si era tenuta a Giakarta una grande manifestazione internazionale di aquiloni…”
Haruki Murakami, 1Q84

pittura

Giacomo Balla, Dimostrazione XX settembre, olio su tela, 1915, (Balla Futurista Via Paisiello Dimostrazione 20 settembre), coll. pr. (segnalazione @mickybrescia)

19 Settembre

19 settembre 2013

 

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andai prima nel bagno e pensai di buttarlo nel gabinetto, ma poi mi sembrò troppo banale, troppo pratico e troppo giusto, volevo il mio dramma, volevo adesso anche attribuire un significato all’anello, e andai in macchina fino a Klosterneuburg, rimasi lì per ore sul ponte sopra il Danubio nel primo vento invernale, poi presi l’astuccio dalla tasca del cappotto e tolsi l’anello dall’astuccio, perché non lo portavo già più da qualche settimana. Era il 19 settembre. Un pomeriggio freddo, era ancora giorno, lo gettai nel Danubio

Ingeborg Bachmann, Malina, 1971, tr. it. M. G. Manucci, Adelphi, 1973, pp. 194-195

La narratrice – una giovane scrittrice viennese – sta raccontando a un uomo che si chiama Malina i suoi sogni, pieni di situazioni angosciose, che hanno al centro la figura temibile del padre. In questo dialogo si parla di un anello che il padre le ha comprato dopo molte insistenze e di cui lei ora vuole liberarsi, immaginando prima di tirarglielo in faccia, poi di buttarlo nel bagno e infine di lanciarlo nel Danubio. Il Danubio è pieno di anelli gettati dai ponti – le dice l’uomo: ogni giorno qualcuno si toglie un anello e lo butta nel fiume. E così fa lei in un pomeriggio, forse sognato, che porta la data del 19 settembre. 

Dicono del libro
“Malina è la storia di un abnorme triangolo amoroso e di un abnorme assassinio. Leggibile sui più diversi piani, immediato e insieme carico di riferimenti nascosti, agilissimo e quasi temerario nel toccare anche l’attualità più intrattabile o la più proibita realtà dei sentimenti, questo romanzo riesce in ciò che molti hanno provato e che rare volte non è fallito: narrare una storia che ha la massima concretezza, facendola però coincidere con un delirio segreto che appartiene a un’altra realtà, con una favola nera che nessun mondo visibile potrebbe ospitare”.
(Dalla scheda del libro nel sito dell’editore Adelphi).

Altre storie che accadono oggi

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“… A Dublino, una settimana più tardi, diciamo il 19 settembre, Neary, privo dei suoi mustacchi, fu riconosciuto…”
Samuel Beckett, Murphy

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“… 19 Settembre Ci sono in città sei “bordelli”. Due di essi godono fra i soldati di ottima reputazione: il più povero e il più ricco…”
Henri-Pierre Roché, Le due Inglesi e il continente

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“… 19 settembre. Il Largeau, atteso inutilmente per due giorni, arriva all’alba…”
André Gide, Viaggio al Congo

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“… Il colpo finale gli venne però dato il 19 settembre…”
Oscar Wilde, Il fantasma di Canterville (segnalazione di Sandra Muzzolini)

 

 

Oggi: Elogio dell’orologio di Maria Sebregondi

Sebregondi 1987

Maria Sebregondi, Elogio dell’orologio (Orologio ad Haiku), 1987

Traduttrice di Queneau, artista dell’Oplepo (Opificio di Letteratura Potenziale), autrice di Etimologiario, Maria Sebregondi nel 1987 ha realizzato un Elogio dell’orologio (Orologio ad Haiku), litografia fustellata in 20 esemplari. Si tratta di una composizione che richiama il calligramma, perché le parole sono disposte in modo da rappresentare graficamente ciò che significano (come nell’opera di Apollinaire, La Cravate e la montre). Un calligramma composto di haiku, componimenti poetici di tre versi di 5, 7 e 5 sillabe che – in questo caso – parlano del tempo. Alle undici, per esempio, si legge: Gira la sfera / illusoria allegria / orna la vita
Ad aumentare la consistenza verbo-visiva, grafica e poetica, di quest’opera, le iniziali di ciascun verso formano un acrostico che ripete per due volte, in senso orario (dalle 12 alle 5 e dalle 6 alle 11),  il titolo dell’opera Elogio dell’orologio. Le 18 lettere di questa frase sono disposte in modo che le ore opposte nel quadrante presentino le stesse 3 lettere  iniziali di ciascuna “terzina”. La parola oggi, anche se non è mai scritta risuona, come una parola-tema, nei versi e soprattutto nel titolo, nascosta tra le lettere che possono anagrammarsi come: “Olio le ore, lodo l’oggi”.

L’opera è esposta alla mostra Dall’oggi al domani. 24 ore nell’arte contemporanea al Museo Macro di Roma, via Nizza, dal 29 aprile al 2 ottobre 2016.
Antonella Sbrilli (@asbrilli)

18 Settembre

18 settembre 2013

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Conoscevamo la data precisa, 18 settembre 1867, in cui il bisnonno del dottor Hoffman era arrivato nel mio paese, un esponente della piccola nobiltà dai magri mezzi, sfuggito a imprecisabili rovesci in un montagnoso principato slavo infestato dai lupi, che in seguito era stato soppresso giuridicamente durante la guerra franco-prussiana o qualche altra simile. Sapevamo che, quando era nato il figlio, suo padre gli aveva fatto l’oroscopo e poi aveva offerto alla levatrice che lo aveva aiutato a venire al mondo una ricompensa di alcune migliaia di dollari

Angela Carter, Le infernali macchine del desiderio, 1972, tr. it. L. Perria, Interno Giallo, 1989, p. 27

Le infernali macchine del desiderio del dottor Hoffman, romanzo del 1972, è noto anche come War of dreams (e i sogni son Desiderio, come il protagonista del libro). Riecheggia H.G.Wells ma il romanzo forse più immaginifico di Angela Carter è fantarealtà più che fantascienza. Ci ha messo dentro tutto, come in una vignetta di Jacovitti, di quello che amava e abitava il suo subconscio: femminismo, ambiguità sessuale, rapporto media e società (ed era solo il 1972!), tra ragione e sentimento, tra finzione artistica e realtà. Nel recensirlo, il “Fancy Fantasy” scrisse “ci si dimentica subito che il terreno che la Carter scruta con tanta cura è l’interno della sua stessa immaginazione, perché il mondo che descrive diventa reale come un resoconto naturalista”: e infatti nessuno come Angela Carter riesce a descrivere con precisione botanica la frutta e la verdura esposte nel banco di un mercato e allo stesso tempo collocare quel mercato in un mondo tanto lisergico da sembrare inventato da un altro Hofman(n) – Albert, il padre dell’LSD.
La storia sarebbe quella di un Dottor Faust le cui diaboliche macchine del titolo liberano il potere dell’immaginazione e la cui figlia (Albertina…vien da pensare che la Carter avesse davvero in mente lo scienziato svizzero) seduce Desiderio, l’io narrante, segretario del Ministro della Determinazione di un non identificato paese che sfugge ad Hoffman e sopravvive ai suoi inganni perché “riesce a non arrendersi al flusso dei miraggi”. Di fatto il romanzo è un affresco fiammingo, pieno zeppo di trame e figurine  (e qualche data da ricordare), apparentemente normali e un po’ naif, ma che viste da vicino rivelano ghigni goffi e pose assurde. È la realtà, bellezza. And there’s nothing you can do about it. Nothing! (Commento di Silvia Veroli)

Dicono del libro
“Un’epica erotica, picaresca, esplosiva, che narra della guerra contro il diabolico dottor Hoffmann, deciso a demolire tutte le strutture della ragione usando come campo di battaglia la mente e il cuore dell’uomo. Le infernali macchine del desiderio è il romanzo più magico fra quelli scritti da Angela Carter; un pirotecnico racconto di avventure dentro e fuori dallo spazio e dal tempo, una visione appassionata e surreale di ciò che potrebbe essere”.
(Dalla bandella dell’ed. Interno Giallo, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… Era buio; ma vide la Wilson entrar furtiva nella stanza e prender la sacca di sotto il letto e portarla fuori senza far rumore. Ciò accadeva la sera di venerdì 18 di settembre…”
Virginia Woolf, Flush. Una biografia

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“…18 settembre. La temperatura non è elevatissima (non supera i 32 gradi); ma l’aria è satura di elettricità e umidità..”
André Gide, Viaggio al Congo

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“…La lettera era datata 18 settembre 1952 (era il 22), e l’indirizzo che Lolita mi dava era ‘Fermo Posta Coalmont’…”
Vladimir Nabokov, Lolita

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“… 18-9-1949. E’ più che incantata, è impietrita. E’ catatonica. Sono parole di venti anni fa. Anselmo continua: Come colpita dalle folgore, il viso verso l’alto. Giovanna d’Arco insensibile alle sevizie…”
Mario Tobino, Per le antiche scale

17 Settembre

17 settembre 2013

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“Ma bene,” pensò il giovine signore Andrea von Ferschengelder, quando il barcaiolo quel dì 17 settembre 1778 gli ebbe posato la valigia in cima alla scala di pietra e si allontanava, “ma benissimo, costui mi pianta qui e festa signori, carrozze a Venezia non ce ne sono, chi non lo sa, un facchino, e che verrebbe a farci? è un angolo sperduto dove non passa un cane. Come se alle sei del mattino si facesse scendere di posta sulla Rossauerlande o tra i Weissgarber chi non è pratico di Vienna. So la lingua, e con questo? fanno di me quel che vogliono egualmente. E come rivolgersi a gente che non s’è mai vista e se ne sta dormendo placidamente – busso e dico: ehi, di casa?” – Sapeva che non l’avrebbe fatto, – intanto passi si avvicinavano sul lastrico sonoro netti e distinti nel silenzio del mattino, ci volle del tempo perché si facessero vicini, e un uomo in maschera uscì da una piccola calle, si avviluppò stretto nel mantello, lo tenne chiuso con tutte e due le mani, e fece per attraversare la piazza

Hugo von Hofmannsthal, Andrea o I ricongiunti, 1930, 1932 in volume (post.), tr. it. G. Bemporad, Adelphi 1970, pp.11-12

Ha inizio in una mattina di settembre del 1778 il viaggio in Italia del giovane austriaco Andrea. Dopo una sosta in Carinzia, dove è caduto vittima di un imbroglio e si è innamorato di una ragazza, Andrea è arrivato a Venezia alle sei del mattino. Non sa a chi rivolgersi, quando vede un uomo in maschera, avvolto in un mantello, sotto il quale indossa solo la camicia, e ai piedi porta scarpe senza fibbie, che ha perso al gioco. Con aria affabile, lo sconosciuto lo conduce nella casa di un conte, dove Andrea prenderà in affitto la stanza di Nina, la figlia maggiore. In poche ore di quella giornata, Andrea entra in un mondo fatto di teatro e lotterie,  di donne e personaggi emblematici, di enigmi e avventure, durante cui tutto si trasforma, a cominciare da lui stesso: “non esiste nulla di passato; tutto ciò che esiste è presente”. 

Dicono del libro
Andrea o I ricongiunti è uno dei grandi romanzi del nostro secolo. Come L’uomo senza qualità di Musil, esso nasce nel clima della rovina asburgica, nel crollo di quella tradizione aristocratica dell’Austria che trovò in Hofmannsthal la sua espressione suprema. Iniziata ne 1912, quest’opera avrebbe accompagnato Hofmannsthal fino alla sua morte, avvenuta nel 1929, rimanendo incompiuta e insieme perfetta, chiusa”.

(Dalla bandella dell’ed. Adelphi, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi
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“… Il 17 settembre, onomastico di Liubinka, il cartellone del teatro di Samovarnov annunciava una rappresentazione straordinaria…”
Michail Saltikov-Scedrin, I signori Golovljov

 

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“… 17 settembre. Stamani è partito Manuel. Siamo stati ad accompagnarlo fino alla stazione di Rovigliano…”
Gabriele D’Annunzio, Il Piacere

16 Settembre

16 settembre 2013

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“Alla sua salute… Insomma, nessuno sa cosa è successo nella notte del 16 settembre…”
“Nessuno… Era una notte di nebbia, simile alla notte scorsa. Io non ero di guardia. Ciò nonostante, fino alle nove sono stato qui a fare una partita a carte con Joris e gli amici qui presenti…”
“Vi vedete tutte le sere?”
“Quasi tutte.. A Ouistreham non ci sono divertimenti. Tre o quattro volte, quella sera, Joris si è fatto sostituire per andare ad assistere al passaggio di un battello. Alle nove e trenta, la marea era finita… Si è allontanato, nella nebbia, come se fosse diretto verso casa

Georges Simenon, Maigret e il porto delle nebbie, 1932, tr. it. R. Cantini, ed. cons. Mondadori, 1974, p. 32

Il capitano Joris, comandante del porto di Ouistreham, una piccola località della Bassa Normandia, è scomparso il 16 settembre. Ritrovato a Parigi dopo sei settimane, ha una ferita alla testa e non parla. Il commissario Maigret lo riconduce a casa,  dove – la mattina dopo – verrà trovato avvelenato. L’inchiesta ha inizio, in una atmosfera avvolta dalla nebbia, fra la chiusa, il faro, la taverna della Marina. Un conto in banca improvvisamente accresciuto, l’eredità lasciata alla domestica Julie, la goletta mercantile Saint-Michel, il sindaco del paese entrano via via nell’indagine, che torna sempre inevitabilmente alla giornata – e alla notte – del 16 settembre. C’era la nebbia anche allora, mentre il capitano Joris controllava il passaggio delle navi nella chiusa e l’andamento della marea. Che cosa c’è dietro la scomparsa e la morte di questi, Maigret lo scoprirà, ricostruendo infine una delicata storia familiare, e dopo aver chiesto – ed essersi chiesto molte volte – che cosa è successo il 16 settembre. 

Dicono del libro
“Per Maigret non era una novità che gente sconosciuta penetrasse nella sua vita come un colpo di vento, imponendo la sua presenza durante giorni, settimane o mesi. Ma questo caso gli procurò più grattacapi di tanti altri e gli fu difficile dimenticare ‘l’uomo’, così soprannominato perché non aveva neppure un nome e si limitava a rispondere con u sorriso vacuo alla varie domande che gli venivano rivolte. E il commissario non dimenticherà, in seguito, nemmeno Ouistreham, un piccolo nebbioso porto sull’Atlantico che vive da ottobre a maggio lungo giorni sonnolenti, noti squallide sferzate dalla pioggia e dal vento”.

(Dalla quarta di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… in un raduno generale di cacciatori fu deciso di farli riposare tre giorni e di uscire il 16 settembre per una battuta…”
Lev Tolstoj, Guerra e pace

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“… 16 settembre. – Pomeriggio delizioso, passato quasi tutto a conversare con Francesca su le logge…”
Gabriele D’Annunzio, Il piacere

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“… Se l’è svignata il sedici settembre – disse Gregory. Era il giorno di libertà dell’autista e nessuno l’ha visto prendere la macchina…”
Raymond Chandler,  Il grande sonno

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“… cosa dev’essere stato lì da loro,quella notte del 16 settembre 1943 che bombardarono l’aeroporto…”
Antonio Pennacchi, Canale Mussolini

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René Magritte, Sedici settembre, olio su tela, 1956, Anversa, Museo Reale di Belle Arti (segnalazione di Elisa Bonfanti e Michele Brescia)

15 Settembre

15 settembre 2013

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Il 15 settembre 1840, verso le sei del mattino, il Ville-de-Montereau, sul punto di partire, lanciava grosse spire di fumo davanti al quai Saint-Bernard. Arrivava gente trafelata; barili, rotoli di corda, cesti di biancheria ingombravano il passaggio; i marinai non davan retta a nessuno; urti, spintoni; i bagagli venivano issati a bordo fra i due tamburi e il baccano si scioglieva nel fischio vago e denso del vapore che sprigionandosi tra fogli di lamiera avvolgeva tutto in una nube biancastra mentre la campana, a prua, non smetteva di rintoccare.
Finalmente la nave partì; e le due rive cominciarono a svolgersi come due larghi nastri trascinando via la loro processione di magazzini, fabbriche, cantieri. Un giovane di diciott’anni, con i capelli lunghi, se ne stava immobile vicino al timone tenendo un album sotto il braccio. Guardava passare, nella nebbia, campanili e palazzi di cui sapeva il nome; a un tratto, con un’ultima occhiata, abbracciò l’Île Saint-Louis, la Cité, Notre-Dame; poi, mentre Parigi scompariva rapidamente, si lasciò sfuggire un gran sospiro

Gustave Flaubert, L’educazione sentimentale, 1869, tr. it. G. Raboni, Garzanti 1985, p.3

Ha inizio il 15 settembre del 1840 la storia di Frédéric Moreau, diciottenne di passaggio a Parigi sul battello che lo porta a casa dopo la fine della scuola e una visita a uno zio a Le Havre. È lì, ed è quel giorno, che fa la conoscenza dell’editore e mercante d’arte Jacques Arnoux, e della moglie di questi, Marie, il cui fascino segna per sempre la sua educazione sentimentale. Frédéric incontrerà altre donne, sarà coinvolto in diverse imprese, ma l’apparizione della donna sul battello, con i capelli neri, il profilo diritto, la linea del mento, tutta la figura incisa “nel blu-cielo dello sfondo” di quel 15 settembre, rimangono e ritornano nella sua memoria in tante stagioni successive. 

Dicono del libro
“Non sempre la biografia di un autore è indispensabile ai fini di una più ricca lettura dell’opera: ma nel caso di Flaubert, e dell’Educazione sentimentale in particolar modo, sì. È risaputo che l’amore ‘eterno’ di Federico e Madame Arnoux ha il suo preciso riscontro nella lunghissima, corrisposta, mai sopita e mai soddisfatta passione dello scrittore per Elise Foucault, moglie dell’editore di musica  Schlésinger”.
(Dal profilo storico-critico di G. Giudici nell’ed. Garzanti, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“…. Verso la fine di agosto egli rimandò la cosa a ottobre, ma Nanà furibonda dichiarò che sarebbe andata alla Mignotte il quindici settembre…”
Émile Zola, Nanà

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“… Il mattino del 15 settembre, quando il giovane Rostov, in veste da camera, guardò fuori dalla finestra, vide che la giornata non poteva essere migliore per la caccia…”
Lev Tolstoj, Guerra e pace

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“… Di brutto c’è solo che il 15 settembre è così lontano..”
Gabriel  García Márquez, Dell’amore e di altri demoni (segnalazione di Martina Landini)

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“… quella di una donna minuziosa che smarrì il suo unico figlio nell’affollata notte di un 15 settembre…”

Augusto Monterroso, Una su tre (Opere complete e altri racconti)

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“… Allora esco per strada, per fare tutte le cose che devo fare, il quindici di settembre…”
Paolo Nori, Bassotuba non c’è

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“… Nella notte del 15 settembre, Michel fece un sogno stranamente felice…”
Michel Houellebecq, Le particelle elementari

14 Settembre

14 settembre 2013

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Dietro un dato sguardo, in luogo del buon pensiero che avevo creduto scorgervi in passato, mi si palesava un desiderio sino allora insospettato, che mi alienava una nuova parte di quel cuore di Albertine che avevo creduto assimilato al mio. Per esempio, quando nel luglio precedente Andrée era partita da Balbec, Albertine non mi aveva detto che avrebbe dovuto rivederla presto; e io credevo anzi che l’avesse riveduta prima del previsto, a causa della grande tristezza che avevo provata a Balbec, in quella notte del 14 settembre, in cui Albertine mi aveva fatto il sacrificio di lasciare Balbec per tornare immediatamente con me a Parigi

Marcel Proust, La prigioniera (Alla ricerca del tempo perduto), 1923 (post.), tr. it. P. Serini, Mondadori 1973, pp.381-382

Era un 14 settembre – dice il narratore – quando Albertine acconsente a lasciare la località balneare chiamata Balbec per tornare con lui a Parigi. È un episodio che si riaffaccia alla sua memoria, mostrando – via via che viene ricordato alla luce di dettagli allora invisibili – un significato diverso da quello che era apparso quando avvenne e un altro aspetto di Albertine, la giovane amata gelosamente e tenuta come prigioniera nella casa parigina. Quello che sembrava un gesto di generosità (lasciare il mare, accompagnare il narratore a casa) si carica di ambiguità, quando si viene a sapere che Albertine – che aspettava a Balbec l’amica Andrée – quel giorno di settembre ebbe la notizia che l’amica sarebbe rimasta a Parigi. Molte decisioni, slanci e frasi di Albertine dissimulano intenzioni sconosciute, e talvolta menzogne, come quando la sua affermazione di aver incontrato lo scrittore Bergotte “il giorno prima” – il giorno in cui Bergotte muore – fa dubitare il narratore dell’esattezza dei giornali che riportano la data del fatto. Le informazioni attraversano la trama della realtà in tutte le direzioni temporali, interne ed esterne, modificandosi a ogni passaggio. Non ci sono timbri a data né verbali nella memoria, ma solo le tracce del “gioco formidabile” fatto continuamente con il tempo.

Dicono del libro
“Proust incominciò a scrivere ordinatamente la Recherche nel 1908; concluse questo lavoro nel 1922, ultimo anno della sua vita. Tutto il romanzo si sviluppa come una ricognizione della memoria nelle vicende e nei significati che attraverso una fortissima trasfigurazione poetica, vengono a ricomporsi nello spirito del protagonista-narrante, dall’infanzia alla consapevole vigilia della morte, trovando infine un ‘supremo ordine’ nel quale dominano i poteri esercitati dal Tempo su ogni aspetto della realtà.”
(Dalla quarta di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… Woldenstein, 14 settembre. Fervono, nel nostro distretto, i preparativi per le elezioni senza che ve ne sia una necessità…”
Theodor Fontane, Mathilde Möhring

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“… E poi, il 14: ‘Mancano sette giorni alla fine dell’estate. Sono stufo. Di non stare bene e dell’estate’…”
Javier Marias, Tutte le anime

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“… Poi vedo che invece di 15.9 ho scritto 14.9, sul modulo. Mi sono sbagliato, gli dico, ho sbagliato la data…”
Paolo Nori, Bassotuba non c’è

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“….Lunedì 14 settembre una vicina, udendo dei pianti, cercò di entrare nella casa…”
Georges Perec, La vita istruzioni per l’uso (segnalazione di Luigi Scebba)

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“… Era solo il secondo sabato di settembre ma l’aria si era già rinfrescata e signor Alce pensò che era il momento buono per fare il cambio del guardaroba…”
Davide Calì, Sara Welponer, Signor Alce (segnalazione di Agata e Alice Gambini)

13 Settembre

13 settembre 2013

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Paul si massaggiò le tempie alzando gli occhi dai fogli che aveva riempito di calcoli per dimostrare la sua tesi. Era l’alba: mezzanotte era passata e lui era vivo. Chiuse il testo di Kummer, piegò i fogli, ripose la pistola, strappò il testamento e dimenticò la fanciulla. Gli avvenimenti avevano trovato la soluzione: la resurrezione grazie alla dimostrazione. Aveva un debito con Fermat e il suo ultimo teorema, e decise d’istituire un premio per compensare  chi fosse riuscito a risolvere quel problema che gli aveva salvato la vita. La data che Paul Wolfskehl aveva scelto per suicidarsi era il 13 settembre

Denis Guedj, Il Teorema del Pappagallo, 1998, tr. it. L. Perria, Longanesi, 2000, pp. 459, 461

Un uomo, che ha deciso di suicidarsi a causa di un amore infelice, mette in ordine le carte sullo scrittoio e si trova ad aprire un libro, che parla di un difficile problema matematico, noto come l’ultimo teorema di Fermat. Mentre legge, gli sembra di trovare un errore nel testo che sta leggendo e si mette alacremente al lavoro per verificarlo. L’errore non c’è, ma intanto il tempo è trascorso, l’idea del suicidio si è allontanata ed è passata la mezzanotte della data che aveva scelto per compierlo, il 13 settembre, 13-9, 256° giorno dell’anno.  

Dicono del libro
“La matematica diventa in questo libro protagonista di un romanzo. Un libraio in pensione, per scoprire le strane circostanze della morte di un amico che gli ha lasciato in eredità una biblioteca interamente dedicata alle scienze matematiche, deve rimettersi a studiare aritmetica, algebra, trigonometria e logica, materie che ha sempre detestato fin da quando era studente di filosofia”.

(Dalla scheda del libro nel sito ibs)

Altre storie che accadono oggi

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“… Nella notte del 13 settembre un gruppo di dieci attori del teatro noh facevano un banchetto al chiaro di luna…”
Yamamoto Tsunetomo, Hagakure

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“… Il 13 settembre – qualche ora soltanto prima del minuto fissato da Herr Schultze per la distruzione di France-Ville…”
Jules Verne, I 500 milioni della Begum

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“… 13 settembre, ultimo giorno. Ho passato una notte tranquilla e senza incubi…”
Fred Uhlman, Un’anima non vile

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“… Così oggi è il 13 settembre 1939. I francesi pensano di aver sfondato la Linea Sigfrido…”
Philip K. Dick, Ubik

Tutti i venerdì 13 dell’artista Claude Closky

Tutti i venerdì 13 dell’artista Claude Closky
Laura Leuzzi

Contare, enumerare e classificare i giorni – per l’artista francese Claude Closky (Parigi, 1963) – sono una vera e propria mania: da più di vent’anni realizza opere, sotto forma di libretti d’artista, dedicate a questo tema, a partire dal 1991, a cui risalgono Les 365 jours de l’année 1991 classés par ordre chronologique e Les 365 jours de l’année 1991 classés par ordre de taille.
Tra le sue opere più curiose e singolari vi è senz’altro Trois mille quatre cent quinze vendredis 13 (1992), in cui elenca tremila quattrocento quindici “venerdì 13” in ordine cronologico a partire dal “venerdì 13 dicembre 1991” al “venerdì 13 gennaio 1”.
Invertendo la macchina del tempo, l’artista snocciola a ritroso il calendario alla ricerca di un giorno considerato, in particolare nella società americana, “sfortunato”,  sino ad arrivare – paradossalmente – addirittura all’anno 1, in cui il calendario gregoriano non era stato ancora introdotto. Dobbiamo inoltre pensare che, secondo le ricerche più accreditate, la nascita della superstizione legata al “Friday 13th” sarebbe relativamente recente e frutto dell’unione di due elementi distintamente considerati sfortunati già nell’antichità: il numero 13 e il giorno di venerdì.

LawsonLa prima menzione del Venerdì 13 non risalirebbe che al XIX sec. nelle fonti scritte e la sua diffusione a livello popolare sarebbe stata scatenata da un romanzo del 1907 di Thomas W. Lawson intitolato Friday, The Thirteenth.
Un riferimento va fatto anche al brano del compositore Thelonious Monk, Friday the 13th, registrato nel 1953 (segnalazione di Stefano Bartezzaghi).
Ad alcuni, l’opera di Closky potrebbe apparire come un invito a verificare la reale fondatezza della credenza nei macroeventi passati alla storia. D’altronde, anche Dan Brown nel suo Il Codice Da Vinci (2003), ha fatto un’operazione simile: notando che l’arresto dei Templari in Francia era avvenuto venerdì 13 ottobre 1307, sostiene fantasiosamente nel romanzo che la superstizione del venerdì 13 sarebbe da far risalire proprio a quell’avvenimento.
Closky d’altronde sembra amare i paradossi temporali: nel 1994 ha realizzato 8560 nombres qui ne servent pas a donner l’heure in cui elenca altrettanti orari impossibili, esistenti solo nella spazio temporale fantastico dell’artista.
Numerosi sono quindi i filoni che si possono percorrere per interpretare le opere di quest’artista, in cui enumerazione, classificazione, tempo e numeri si intrecciano indissolubilmente. (l.l.)

12 Settembre

12 settembre 2013

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Nel pomeriggio di quel giorno, nel tumulto di quel temporale, in una piccola casa sull’isola di Xaltòcan, io uscii da mia madre e cominciai così a morire.
Per rendere più chiara questa cronaca – come vedi, mi sono dato la pena di imparare anche il vostro calendario – ho calcolato che il giorno in cui nacqui sarebbe stato il dodicesimo giorno del mese da voi denominato settembre, nell’anno al quale date il numero mille quattro cento sessanta e sei

Gary Jennings, L’Azteco, 1980, tr. it. B. Oddera, Rizzoli, 1994, p. 21

Il bambino che vede la luce il 12 settembre 1466, una data che nel suo calendario ha tutt’altro nome – “il giorno di Sette Fiori, nel mese del Dio Ascendente, nell’anno del Tredicesimo Coniglio” – è Mixtli l’Azteco. Scrivano, commerciante, viaggiatore, vedrà – durante la sua vita – l’arrivo degli Spagnoli nella sua terra e si troverà a raccontare al vescovo del Messico la storia del suo paese, in un lungo memoriale che verrà letto in Spagna e gli costerà l’accusa di eresia. Racconta le usanze pacifiche e quelle cruente, le competenze astronomiche e architettoniche, il culto del Serpente Piumato, le battaglie, le feste delle popolazioni di quelle terre che – nel momento in cui parla – sono in mano ai conquistatori spagnoli. Molte pagine del suo memoriale sono dedicate alla descrizione dei complessi calendari aztechi e dei loro rapporti: quello divinatorio basato su 260 giorni e quello solare, suddiviso in 18 periodi di 20 giorni, che lasciano sospesi 5 inquietanti giorni “vuoti”. Testimone di un evento inimmaginabile quando nacque, quel 12 settembre,  Mitxli vede cambiare anche i nomi dello spazio e del tempo. 

Dicono del libro
“Mixtli l’Azteco ci racconta la sua avventurosa vicenda personale e, insieme, l’affascinante storia della meravigliosa civiltà che ebbe la sua culla in quella parte della Terra che gli Aztechi chiamavano Unico Mondo. Assistiamo con lui ai barbari massacri e alla gloria delle Guerre dei Fiori, allo splendore delle bandiere di piume che sventolano su Tenochtitlán, alla fiera civiltà del Popolo delle Nubi, a storie perverse di sangue e di passione fino all’arrivo di Hernán Cortés”.

(Dalla quarta di copertina dell’ed. Rizzoli, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… Il 12 settembre 1774 il signor De Monti, console della Repubblica di Venezia a Trieste, mi consegnò un biglietto degli Inquisitori…”
Giacomo Casanova, Fuga dai Piombi

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“… Io partii da T. al principio di settembre, il dodici settembre; ricordo bene …”
Fëdor Dostoevskij, L’eterno marito

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“… La mattina del 12 settembre, giorno della grande marea, il Danebrog era pronto a riprendere il mare…”
Emilio Salgari, I pescatori di balene

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“… Il trionfo di Celia su Murphy, successivo al suo confidarsi col nonno, si era consumato a metà settembre, il giovedì 12 a essere pignoli, appena un po’ prima delle Quattro Tempora…”
Samuel Beckett, Murphy

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“… Adesso le bombe segnavano un altro 12 per il giorno della data. E lui non era partito da Parigi per Madrid la sera del 12 settembre 1936?…”
Paolo Volponi, Il sipario ducale

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“… Ieri ho visto un giornale nel mio appartamento di New York. Era il dodici settembre…”
Philip K. Dick, Ubik

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“… Sulla pagina bianca era scritta la parola ORARIO e la data del 12 settembre 1906. E sotto: Sveglia 6:00…”
Francis Scott Fitzgerald, Il grande Gatsby

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“… Quando sei nato? Il dodici settembre. E tu?…”
Niccolò Ammaniti, Io non ho paura

Antologie di giorni su tweetbook

Giorno dopo giorno, i tweet  che arrivano sulla pagina di ciascun utente formano un lungo nastro, che si srotola virtualmente, facendo scorrere verso il basso i messaggi più vecchi. Diversi strumenti editoriali consentono di creare raccolte di tweet, recuperandoli dall’invisibilità (e dal passato) in cui via via cadono e accostandoli per temi.
Di recente due antologie, che raccolgono tweet collegati al tema dei giorni, sono state realizzate in forma di tweetbook, piccolo ebook in pdf dall’azienda TryTweetbook (chiusa nel 2018). 
In Settembre. Scattered Thoughts Sandra Muzzolini ha selezionato decine di tweet che parlano del mese di settembre e li ha disposti nelle sezioni Impressioni, Pensieri, Rientri, Note, creando un’antologia di citazioni, aforismi, immagini, link musicali coerenti e sfaccettati, in cui trovano posto contributi di diversi utenti di Twitter.
La stessa TryTweetbook.com ha realizzato Dicono di oggi. Il gioco dei giorni narrati. Cento tweet – scelti  fra quelli pubblicati da @diconodioggi su Twitter  fra il 30 maggio e il 6 settembre 2013 – presentano una delle possibili, personali, sequenze narrative per i cento giorni prescelti.

Muzzolini Settembre

Settembre

 

Diconodioggi tweetbook

11 Settembre

11 settembre 2013

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“Camminavo sperando di incontrarlo. Ho persino attaccato dei volantini ‘All’uomo che ha comprato il tale vaso nella vendita della Settantacinquesima del tale weekend, si prega contattare…’ Ma era la settimana dopo l’11 settembre. C’erano manifesti dappertutto.”
“La mia mamma aveva attaccato la sua foto.”
“Non capisco.”
“Lui è morto l’11 settembre. È così che è morto”

Jonathan Safran Foer, Molto forte, incredibilmente vicino, 2005, tr. it. M. Bocchiola, Guanda, p. 323

Oskar ha nove anni, una domanda buona per ogni argomento, moltissime convinzioni e un padre morto nel crollo delle Torri Gemelle. Un giorno, per caso, trova una busta con una chiave e il nome “Black”: inizia una ricerca nei cinque distretti di New York, un viaggio di crescita attraverso paure e sensi di colpa e la scoperta di una storia familiare già toccata dal dolore. Ritroverà il proprietario della chiave, il rapporto con la madre e scoprirà la figura, molto poetica, del nonno.
Il tempo si snoda su diversi registri e epoche: per Oskar è una gara di velocità contro un ricordo che può svanire, per il nonno è il momento della confessione, del racconto e della riconciliazione. Il riferimento a una data storica così riconoscibile proprio per la natura dell’evento, è quasi mai esplicita, nonostante la giornata sia spesso ripercorsa nelle ore, nei minuti e nei secondi che hanno cambiato la vita di molti.
Jonathan Safran Foer non scrive un libro sull’attacco al World Trade Center, quanto piuttosto, in soggettiva dagli occhi del bambino, un romanzo intenso sul rimpianto, sul tempo perduto e sul coraggio della memoria. (Commento di Daniela Collu)

Dicono del libro
“Un libro commovente e irriverente, che ti lascia senza fiato eppure quel fiato lo tiri fino alla fine, come per magia”

(E. Loewenthal, dalla quarta di copertina dell’ed. Guanda, Le Fenici tascabili, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… L’infelice che vergò queste linee, morì nel manicomio di Milano l’11 settembre 1865…
Igino Ugo Tarchetti,  La lettera U

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“… la villa di Mariana Combaceres de Alvear in via Undici Settembre, in Belgrano…”
Jorge Luis Borges, L’Aleph

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“… La mattina dell’undici settembre del 1891 uscì dalla sua casa di Ponta Delgada, scese a piedi la ripida via ombreggiata fino alla Igreja Matriz…”
Antonio Tabucchi, Antero de Quental. Una vita

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“… Celebra l’11 settembre, ha detto. E che cosa c’è da celebrare? La Giornata della Catalogna, ha detto…”
Roberto Bolaño, Il Terzo Reich

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“…. Ci sono dei cracker nella credenza sul lavello. Sono lì dall’11 settembre 2001…”
Douglas Coupland, Il ladro di gomme

10 Settembre

10 settembre 2013

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Mio caro Hans,

ti scrivo questa lettera dalla prigione di Spandau il 10 settembre 1944, tre giorni prima di essere assassinato come i miei amici: Schulenburg, Stauffenberg, Moltke che, come me, hanno preso parte al complotto per uccidere Hitler. Non so se riceverai mai questa lettera. Mi aiuterebbe in un certo qual senso a morire; perché affronterei la morte con la coscienza più leggera, sapendo che essa può aiutarti a perdonarmi e a capire perché ho trattato te, l’unico vero amico che abbia mai avuto e amato, in modo così sleale e vigliacco. Mi ricordo come fosse oggi quando ci siamo conosciuti: poco dopo la mia iscrizione al Ginnasio Karl Alexander, in una pungente giornata invernale del 1932

Fred Uhlman, Un’anima non vile,1965 (1979),  tr. it. B. Armando, Guanda 1987, p.11

I due compagni di scuola Hans e Konradin non si vedono da diversi anni, da quando Hans, di famiglia ebrea, ha lasciato la Germania per gli Stati Uniti, appena in tempo per non subire la persecuzione nazista. Sono stati grandissimi amici, malgrado l’epoca in cui si sono conosciuti evidenziasse le differenze fra di loro: nobile e sostenitrice di Hitler la famiglia di Konradin, borghese ed ebrea quella di Hans. È soprattutto la madre di Konradin a spingere il figlio verso la carriera di ufficiale nell’esercito. Ma il giovane non condivide la politica del partito nazionalsocialista e quando viene a conoscenza dello sterminio degli ebrei, si unisce al piano di Stauffenberg per uccidere Hitler. Il complotto fallisce e Konradin è imprigionato a Spandau, in attesa dell’esecuzione. Da lì, il 10 settembre, scrive la sua ultima lettera all’amico più caro – che vive ignaro in America -, sperando che lo raggiungano, prima o poi, le ragioni delle sue scelte e le memorie della loro amicizia. 

Dicono del libro
Alla vigilia dell’esecuzione, Konradin von Hohenfels, condannato a morte per aver partecipato al complotto contro Hitler, scrive una lunga lettera all’amico di liceo Hans Schwarz, ebreo tedesco emigrato all’inizio della persecuzione nazista. Un’anima non vile viene a completare la trilogia del ritorno’ (dopo L’amico ritrovato e Niente resurrezioni, per favore).

(Dalla bandella dell’ed. Guanda, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“…essendoci stata il 10 settembre dello stesso anno una anticipata consumazione con completo rapporto carnale….”
James Joyce, Ulisse

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“… 10 settembre: piena magnificenza autunnale; i festoni verde e oro del platano ondeggiano in trasparenza contro l’alto cielo illuminato dal sole…”
Palinuro (Cyril Connolly), La tomba inquieta

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“… Però oggi è il dieci settembre. Lo so di sicuro, che oggi ho pagato l’affitto. L’affitto, dove sto io, si paga il dieci del mese…”
Paolo Nori, Bassotuba non c’è

9 Settembre

9 settembre 2013

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Quando, all’alba del 9 settembre del 1943, Jack era saltato dalla tolda di un LST sulla riva di Pesto, presso Salerno, s’era visto sorgere davanti agli occhi, meravigliosa apparizione, nella rossa nube di polvere sollevata dai cingoli dei carri armati, dagli scoppi delle granate tedesche, dal tumulto degli uomini e delle macchine accorrenti dal mare, le colonne del tempio di Nettuno, sul labbro di una pianura folta di mirti e cipressi, sullo sfondo dei nudi monti del Cilento simili ai monti del Lazio. Ah, quella era l’Italia, l’Italia di Virgilio, l’Italia di Enea! E aveva pianto di gioia, aveva pianto di religiosa commozione, buttandosi in ginocchio sulla riva sabbiosa, come Enea quando sbarcò dalla trireme troiana sul lido arenoso alla foce del Tevere, davanti ai monti del Lazio sparsi di castelli e di templi bianchi nel verde profondo delle antiche selve latine. Ma il classico scenario delle colonne doriche dei templi di Pesto nascondeva ai suoi occhi un’Italia segreta, misteriosa: nascondeva Napoli, quella prima terribile e meravigliosa immagine di un’Europa ignota, posta al di fuori della regione cartesiana, di quell’altra Europa di cui egli non aveva avuto, fino a quel giorno, se non un vago sospetto, e i cui misteri, i cui segreti, ora che li veniva a poco a poco penetrando, meravigliosamente lo atterrivano

Curzio Malaparte, La pelle, 1949, ed. cons. Mondadori 1984, p.32

9 settembre del 1943: il giorno dopo l’annuncio dell’armistizio, il colonnello americano Jack Hamilton è sbarcato nel golfo di Salerno, “sotto il fuoco delle mitragliatrici tedesche”, da una di quelle navi LST (Landing Ship Tank), che trasportano soldati e mezzi. La sua esperienza diretta dell’Italia comincia da lì, dalla visione di Paestum, che gli ricorda i suoi studi e l’ammirazione per la cultura classica. Guidato da un ufficiale di collegamento italiano – che racconta la storia – Jack avrà modo di conoscere Napoli, nel momento in cui la liberazione e la corruzione s’intrecciano in modo inquietante. Un luogo pericoloso, dove i carri armati statunitensi “rischiano di affondare nella melma nera dell’antichità, come in una sabbia mobile”. Mentre Jack sbarca, in mezzo al tumulto e agli spari, ancora non sa che cosa si nasconde dietro le colonne, le rovine e il paesaggio bellissimo, in quella data destinata a fissarsi  nei suoi ricordi e nella storia. 


Dicono del libro
“Quando La pelle esce, prima a Parigi nel ’49 e poi a Milano nel ’50, Malaparte è convinto solo di una cosa: di avere fatto opera d’arte, La quale arte, allora, dovette dispiacere moltissimo. L’episodio che chiude il capitolo ‘Il vento nero’, quello del soldato americano ferito al ventre, potrebbe fare ottima figura in un’antologia di neorealisti: sembra che Malaparte lo abbia quasi scritto per scommessa e proprio perché nella Pelle non ci sia niente d’intentato”.

(Dall’introduzione di L. Baldacci all’ed. Mondadori, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… Il 9 settembre il ghiaccio iniziò a sgretolarsi e si udivano lontani ruggiti forti come tuono…”
Mary Shelley, Frankenstein

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“… ricordo una data che mi parve dovesse sigillare per sempre la bara in cui volevo mettere il mio vizio: ‘Nono giorno del nono mese del 1899’…”
Italo Svevo, La coscienza di Zeno

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“… Perché non riconoscevo, infatti, che dopo il comunicato del 9 settembre, e perfino dopo la circolare aggiuntiva del 22,le cose, almeno a Ferrara, erano andate avanti quasi come prima?…”
Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini

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“… Oggi, nove settembre 1978/ho preso in palmo di mano un piccolo disco/dei 361 che necessitano/per il gioco astrologico del go…”
Jorge Luis Borges, Il “Go”

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“… con l’inquieta speranza dei migratori e dei profughi / scoccando nel cielo il mezzogiorno montano / del 9 settembre ’43…”
Attilio Bertolucci, Verso Casarola

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“… Cristina de Melo Pessoa prese in mano le redini di quel mercoledì 9 del nono mese dell’anno..”
René Depestre, Samba per Cristina de Melo Pessoa

8 Settembre

8 settembre 2013

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Forse Anne ha un’altra settimana prima che per lei il tempo si fermi definitivamente. Quanto a me, tre settimane, forse? È strano pensare che, diciamo alle 15:47 precise dell’8 settembre, il tempo si fermerà per sempre. Un unico microsecondo scorrerà senza che nessun altro lo noti, ma per me durerà un’eternità. Farei meglio a decidere come voglio trascorrerlo!

James G. Ballard, Ricordi dell’era spaziale, 1982, tr. it. L. Briasco, in Tutti i racconti, vol. 3 1969-1992, Fanucci, 2007, p. 446

C’è ancora qualche data nel mondo del dottor Mallory, ex medico della Nasa afflitto – come la moglie Anne – da strani attacchi durante i quali il tempo sembra rallentare. Arrivato da Vancouver a Cape Kennedy in cerca di Hinton – un astronauta che ha ucciso il co-pilota – e di una spiegazione del fenomeno, Mallory si accorge che tutto il centro spaziale e l’intera Florida è coinvolta nella deformazione del passaggio del tempo. Il tempo, “come una pellicola in un proiettore difettoso, si muoveva a ritmo irregolare, rallentando a tratti fino a fermarsi”. Nei grandi alberghi vuoti, fra le rovine del centro spaziale, fra pochi esseri viventi – gli animali di uno zoo, molti uccelli, la figlia del pilota ucciso, l’astronauta Hinton che sta cercando di fuggire dal tempo attraverso la competenza nel volo – Mallory si muove in un tempo “ agglutinato”. Fra la fine di agosto e i primi giorni del mese successivo, registra ancora gli effetti di questa esperienza su di sé e sulla moglie, in attesa del momento in cui il presente si sarebbe fermato su un unico istante, forse nella luce vivida del pomeriggio dell’8 settembre.

Dicono del libro
“I temi del tempo e dello spazio, che erano stati ampiamente affrontati da Ballard nella narrativa degli anni cinquanta e sessanta, giungono a una maturazione potente e convincente in tre dei racconti di questa antologia, pubblicati tutti nello stesso anno, il 1982: Ricordi dell’era spaziale, Notizie dal sole e Miti del futuro prossimo“.

(Dalla postfazione di A. Caronia all’ed. Fanucci, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“18° anniversario della di lei nascita (8 settembre 1870)”
James Joyce, Ulisse


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“… Mi sentivo miserabile e vigliacco assai più dell’8 Settembre del 1943, quando avevamo dovuto buttare le nostre armi…”
Curzio Malaparte, La pelle

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“… L’otto settembre, nel paese festa di Maria Bambina, il simulacro di una bambina fasciata d’oro e perle portato in processione, fuochi d’artificio..”

Leonardo Sciascia, A ciascuno il suo

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“… Il 45° giorno, che fu l’8 settembre 1943, gli Alleati angloamericani, padroni ormai di gran parte del sud d’Italia, avevano segnato un armistizio…”
Elsa Morante, La Storia

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“… mi disse che per l’8 settembre, festa di Piedigrotta, i lavori sarebbero stati ultimati, e la strada pronta per l’impianto delle luminarie…”
Anna Maria Ortese, Il mare non bagna Napoli

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“… Mio cugino Paride invece era rientrato in rada nel pomeriggio a Ragusa – quell’8 settembre – mentre eravamo ancora in guerra…”
Antonio Pennacchi, Canale Mussolini

7 Settembre

7 settembre 2013

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La sera del sette settembre, vigilia della festa di Maria, a Cherasco, a Bra, a Roreto, alla Morra, a Novello, a Roddi, a Verduno, su tutte le colline della Langa, si accendono i falò per celebrare la festa della Madonna. È un’usanza che testimonia la fede della gente, eppure quella sera le colline, coi fuochi rossi, con le cascate delle scintille che divampano all’improvviso e i cerchi urlanti e danzanti dei bambini intorno, hanno qualcosa di pagano. È come se la terra ribollisse, con la forza antica e intatta, esplodendo in rosse lingue divoratrici del cielo

Gina Lagorio, I villeggianti, in Il silenzio. Racconti di una vita, Mondadori, 1993, p. 44

 

Anche se mancano ancora alcuni giorni all’equinozio d’autunno, la data del 7 settembre segna, nella zona delle Langhe, il passaggio dell’estate. Chi è venuto in collina per le vacanze, sta per tornare a Torino o a Milano e la festa dei falò, che si accendono in quella data, e la cui origine risale ai tempi della peste, quando segnalavano – di collina in collina – la presenza di chi era ancora vivo, è l’occasione per i saluti, le dichiarazioni, le promesse fra le persone che si sono conosciute nei mesi estivi. 


Dicono del libro
“Questo volume raccoglie i racconti scritti da Gina Lagorio in un arco di oltre trent’anni. Si ritrovano tutti i luoghi e i temi più cari alla scrittrice: le Langhe e la Liguria, lo sfondo della Resistenza, la città e la campagna. E le storie di donne alle prese con l’amore e la malattia, i turbamenti, i soprassalti dell’adolescenza, i rovelli dell’età adulta, le inquietudini dell’intellettuale”.

(Dalla quarta di copertina dell’ed. . Mondadori, op. cit.)


Altre storie che accadono oggi

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“… la predilezione per i giornali. Già, disse il principe, Mi procuri per favore un numero del ‘Times’ del 7 settembre…”
Thomas Bernhard, Perturbamento

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“… È una granata francese, sparata il 7 settembre 1812 alla battaglia di Borodino…”
Daniel Pennac, La fata carabina

6 Settembre

6 settembre 2013

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E così la stagione evolveva via via nell’estate, come uno che si addentri nell’erba alta. In questo modo finii il mio primo anno di vita nei boschi; e il secondo anno fu simile a questo. Alla fine lasciai il lago di Walden ed era il 6 settembre 1847

Henry D. Thoreau, Walden ovvero Vita nei boschi, 1854, tr. it. P. Sanavio, Rizzoli, Milano, 1994, p. 394

Per due anni e due mesi, il giovane Henry David, americano di Concord, Massachusetts, ha vissuto in una capanna, sulle sponde del lago Walden. Lontano da tutti, circondato da pochi oggetti e da un riparo che ha costruito da solo, ha cercato di vivere con il minimo indispensabile, seguendo i ritmi e le indicazioni della natura. Il 6 settembre del 1847, il suo esperimento di vita nei boschi si conclude ed egli  torna nel “consorzio civile”, nel tempo dell’agenda e dell’orologio, dopo essersi orientato – per due anni e due mesi – con la luce, il comportamento degli animali, il rumore del ghiaccio e il colore delle foglie degli aceri, calendari infallibili del tempo naturale.


Dicono del libro
“Nel luglio 1845, Henry David Thoreau, naturalista, filosofo e agrimensore, lasciava la cittadina di Concord dove abitava ed era nato, per andare a vivere in una capanna di legno, nei boschi del vicino lago di Walden. Intendeva compiere un esperimento, mostrare quanto poco costasse vivere. Il gesto, pure se non nuovo nel Massachusetts del XIX secolo, assumeva nella sua arroganza significati politici ed estetici insieme: si inseriva nella scelta di una ‘disubbidienza civile’ a una società di cui Thoreau non condivideva gli ideali mercantili (…) Nella relativa solitudine del lago, analizzando se stesso, i suoi simili e il proprio rapporto con la natura, Thoreau cercava un perduto alfabeto”

(Dalla quarta di copertina dell’ed. Rizzoli, op. cit.)

 

Altre storie che accadono oggi

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“… Gracechurch Street, 6 settembre. Mia cara nipote, ho appena ricevuto la tua lettera e dedicherò l’intera mattinata a risponderti…”
Jane Austen, Orgoglio e pregiudizio

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“… per andare a Gand, dove maestro e allievo arrivarono il 6 settembre del 1492..”
William Beckford, Aldrovandus Magnus (Memorie biografiche di pittori straordinari)

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“… Il 6 settembre grande aspettazione al Palazzo..”
Antonio Fogazzaro, Malombra

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“… Non c’era dubbio: si chiamava come aveva detto ed era nato a Vigàta il 6 settembre 1920…”
Andrea Camilleri, Being here…

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“… 6 settembre. L’improvviso impeto con cui il desiderio di andare a vedere se le iniziali da me incise più di vent’anni prima nello sportello di uno dei gabinetti nel bagno dell’Art Building fossero ancora lì…”
David Foster Wallace, La scopa del sistema

5 Settembre

5 settembre 2013

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Il 5 settembre 1395 non ci fu milanese che non cercasse un posto nella piazza di Sant’Ambrogio. Era uno spettacolo di grandezza che rendeva pensosi gli antichi spiriti guelfi e comunali, ma che affascinava tutti. S’erano viste tante incoronazioni imperiali; ma non s’era mai visto incoronato un milanese. Nella dolce mattina appena brumosa, l’uscita della cavalleria dal castello di Porta Giovia è coloratissima, folta di principi di ambasciatori e di vescovi, seguita da una turba di cantanti e di musici che in ordine vivace si dispongono sulla piazza. Un palco ad anfiteatro coperto di tessuti purpurei occupava la parte della cittadella – le mura descritte dal Petrarca – di fronte alla chiesa. Lo riparava un gran baldacchino d’oro. Giangaleazzo e i familiari, il messo imperiale, i condottieri celebri, coloro che avevano una carica nello stato, stavano sotto il cielo d’oro; una squadra di veterani fedelissimi viscontei facevano la guardia. Sventolavano le biscie verdi sulle bandiere

Maria Bellonci, Tu vipera gentile, 1972, Mondadori 1993, p.255

La vita di Giangaleazzo Visconti – potente duca di Milano, durante il cui governo la città prospera – è costellata di date fatali. Quando morì, il 3 settembre del 1402, forse di peste o di malaria, “in cielo era apparsa una cometa”, in cui riconobbe, orgogliosamente, una specie di chiamata divina. Era stato nominato duca di Milano qualche anno prima, nel 1395, dopo lunghe trattative con il Sacro Romano Impero. La cerimonia che lo trasforma in duca si tiene il 5 settembre, una giornata di tempo sereno, appena nebbiosa al mattino, una delle date storiche rievocate – come se fosse ora –  nel libro di Maria Bellonci che segue le vicende della famiglia Visconti e della serpe rappresentata nel suo stemma. 

Dicono del libro
Tu vipera gentile, racconto visconteo che si muove sullo sfondo di una Milano tra Medioevo e primo Rinascimento, rosseggiante, ricca di traffici, di tumulti, di partiti, di fazioni”.
(Dalla quarta di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)

Altre storie che accadono oggi

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“… Ascoltate –  disse – non è oggi il 5 settembre? – Sì – Oggi alle undici vostro padre deve pagare circa 300.000 franchi…”

Alexandre Dumas, Il conte di Montecristo

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“… Così il crepuscolo del 5 di settembre svanì nella tenebra della notte, in Whitechapel…”
Virginia Woolf, Flush. Una biografia

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“… Il tempo era corso via. Ora, il 5 settembre del 1880, lo Strait Times , il giornale locale avvisa la partenza di una nave…”
Stanislao Nievo, Le isole del paradiso

Un film lungo 24 ore: “Psycho” per l’artista Douglas Gordon e lo scrittore DeLillo

Due date in Punto omega di Don DeLillo di Antonella Sbrilli
Il soggiorno del giovane regista americano Jim Finley nella casa nel deserto di Richard Elster, intellettuale e consulente bellico, sul quale vuole girare un film; l’arrivo e  l’improvvisa scomparsa della figlia di Elster, la giovane Jessica, che ha una relazione con un uomo che forse si chiama Dennis; le intense conversazioni sul tempo e sulla coscienza, sono il nucleo della vicenda narrata nel libro Punto omega di Don DeLillo (2010, tr. it. F. Aceto, Einaudi).
Questo nucleo è racchiuso fra due brevi capitoli, dal titolo Anonimato e Anonimato 2, datati il 3 e il 4 settembre e ambientati in una sala del museo (il Moma di New York), in cui è esposta un’opera dell’artista scozzese Douglas Gordon, realizzata nel 1993 e citata in chiusura del libro. L’opera è 24 Hour Psycho: “non era un film, ma un’opera concettuale. Il vecchio film di Hitchcock proiettato così lentamente da durare ventiquattro ore”.
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