29 Agosto

29 agosto 2024

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Pietro la tira più dentro nel garage “Io ti sposo, sai” le dichiara (lo farà tra una licenza e l’altra, nel ’42, e per raggiungerlo lei salirà e scenderà da un numero incredibile di treni nelle stazioni più disparate, in Grecia, in Albania, a Sebenico). Le mani le rialzano i capelli e reggono la sua testa come il calice del Santo Graal, Pia lo guarda e nella notte è in realtà bellissima, gli occhi e i capelli sembrano crepitare di luce propria, e mentre gli risponde la sua voce ha l’odore dell’erba e delle prugne, dell’edera lungo il muro. Una notte da ricordare per sempre. Per sempre il garage, l’edera, il giorno: 29 agosto 1939

Rosetta Loy, La ragazza venuta per l’estate, 1984, in All’insaputa della notte, Garzanti 1990, p.126

Mentre la seconda guerra mondiale è sempre più vicina, in una famiglia in vacanza nella campagna di Casale nasce l’amore fra Pia Marcon, la ragazza venuta per l’estate a badare ai ragazzi, e Pietro, il figlio maggiore. Da una parte le notizie della guerra, i treni con i soldati, l’inquietudine, dall’altra i giochi in giardino, le letture di svago, i desideri. La notte del 29 agosto, Pia lascia il fidanzato del suo paese per Pietro che le promette di sposarla, come effettivamente farà, anche se quel “matrimonio di guerra, come si diceva allora”, sarà di breve durata. E la casa, il frutteto, il garage della promessa di matrimonio del 29 agosto verranno distrutte dai tedeschi.

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19 Luglio

19 luglio 2024

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Poi, le quattro pareti attorno erano coperte di stampe anch’esse guerresche: la battaglia di Calatafimi, la spedizione di Sapri, San Fermo, Aspromonte, la partenza da Quarto, la morte d’Anita; e di ritratti: quello di Mazzini e di Garibaldi, non c’è bisogno di dirlo, di Nino Bixio e di Stefano Canzio e di Menotti, di Felice Orsini e di Guglielmo Oberdan. Per giunta, nella parete di fronte, a mo’ di panoplia o di trofeo, ricordo della campagna del Trentino, Marco Leccio aveva appeso il suo vecchio schioppettone d’ordinanza incrociato con lo sciabolone d’ufficiale di Defendente Leccio suo padre. Sopra il motto di Garibaldi in grosse lettere: Fate le aquile; in mezzo il suo berretto di garibaldino e una fascetta di velluto – rosso s’intende – ov’erano affisse le medaglie. Più sotto, in cornice, una lettera scritta da lui il 19 luglio 1866 dal forte d’Ampola a un amico di Roma, con un ritaglio della bandiera austriaca presa in quel forte

Luigi Pirandello, Frammento di cronaca di Marco Leccio e della sua guerra sulla carta nel tempo della grande guerra europea, 1919, Appendice a Novelle per un anno, Giunti, 1994, III, p. 2716

Marco Leccio è un ex garibaldino che ha combattuto nella battaglia di Bezzecca e ha dato ai suoi figli i nomi di Giuseppe, Anita, Nino, Canzio, in onore degli eroi del Risorgimento. La seconda figlia l’ha chiamata proprio Bezzecca, in ricordo della battaglia, ma la sorte ha voluto che si sposasse con un orologiaio svizzero, dal cognome tedesco. Avvenimento tanto più sgradevole ora che – nel momento della narrazione – sta cominciando la prima guerra mondiale e Marco Leccio, all’età di 67 anni, vorrebbe arruolarsi volontario, insieme a figli e nipoti. Non verrà preso e seguirà le vicende belliche – come dice il lungo titolo del racconto – su delle carte geografiche e su “una plastica in rilievo di cartapesta colorata”, nel suo studio, piccolo santuario di ricordi della battaglia combattuta il 21 luglio del 1866 e di cui fanno parte la bandiera e la lettera del 19 luglio.

 

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14 Luglio | Vierzehnte Juli

14 luglio 2024

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Ich ging an die Regale und griff eine Stadtgeschichte von Paris heraus, in der ich stehend blätterte. Da waren Pläne und Zeichnungen der Alten Viertel am linken Ufer. Und in meiner Erinnerung, stieg jener seltsame “Vierzehnte Juli” auf, den wir vor de Cidre-Wirtschaft in der schmalen uralten Rue de l’Hirondelle verbrachten, an einer Tonne sitzend und dem Tanz der bunten Mädchen aus dem benachbarten “Hotel” zuschauend.

Franz Hessel, Pariser Romanze, 1920

 

Mi diressi verso gli scaffali, ne estrassi una storia della città di Parigi e rimasi lì in piedi a sfogliarla. C’erano piante e disegni degli antichi quartieri sulla riva sinistra. E mi riaffiorò alla memoria quel singolare Quattordici Luglio che trascorremmo insieme davanti alla locanda del sidro, nell’angusta, vecchissima rue de l’Hirondelle, appoggiati a una botte a guardare la danza delle variopinte fanciulle del vicino Hotel

Franz Hessel, Romanza parigina, 1920, tr. it. E. Arosio, Adelphi, 1997, p. 31

Nel 1916, mentre – in una cittadina polacca di frontiera – attende di essere mandato al fronte, un giovane soldato tedesco scrive all’amico francese Claude. Non gli parla della guerra che li ha divisi, ma degli anni trascorsi a Parigi in compagnia di artisti, poeti, modelle, cameriere, abitando a Montparnasse, a Passy e attraversando la città in lungo e in largo, di notte e di giorno. Per sopravvivere al presente, si rifugia nella memoria di un tempo irripetibile e, mentre inizia a raccontare dell’incontro con Lotte, enigmatica diciannovenne con cui ha condiviso i vagabondaggi parigini, ricorda un episodio accaduto un Quattordici Luglio, uno dei tanti momenti perfetti della vita prima della guerra.

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4 Luglio | Fourth of July

4 luglio 2024

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I think it was the Fourth of July when they took the chair from under my ass again.
Not a word of warning. One of the big muck-a-mucks from the other side of the water had decided to make economies; cutting down on proofreaders and helpless little dactylos enabled him to pay the expenses of his trips back and forth and the palatial quarters he occupied at the Ritz (…)
my mind had slipped back to a Fourth of July when I bought my first package of firecrackers and with it the long pieces of punk which break so easily, the punk that you blow on to get a good red glow, the punk whose smell stick to your fingers for days and makes you dream of strange things. 

Henry Miller, The Tropic of Cancer, 1934

Credo che fosse il quattro di luglio quando mi levarono la sedia da sotto il culo. Non una parola di preavviso. Uno dei grossi pescicani che stanno dall’altra parte dell’Oceano aveva deciso di fare economie; risparmiando sui correttori di bozze e sulle povere piccole dattilografe riusciva a pagarsi le spese dei viaggi avanti e indietro e il sontuoso appartamento che occupava al Ritz.
(…) il pensiero m’era tornato al Quattro di Luglio, quando comprai il mio primo pacco di mortaretti, e assieme i lunghi bastoncini d’esca, l’esca che si accende per fare una bella fiamma rossa, l’esca col suo odore che ti rimane attaccato alle dita per giorni e ti fa sognare strane cose

Henry Miller, Tropico del Cancro, 1934, tr. it. L. Bianciardi, Feltrinelli 1967 (ed. cons. 1973) p. 181, p.192

È il 4 luglio quando il protagonista di Tropico del Cancro – un giovane americano a Parigi tra gli anni ’20 e ’30 – viene licenziato in tronco dal giornale dove lavora come correttore di bozze, mentre cerca di avere la testa lucida dai fumi dell’alcol, del sesso e dell’immaginazione. A Parigi conduce una vita intensa e debosciata, in alberghi miseri, in compagnia di altri aspiranti scrittori, artisti, viaggiatori e viaggiatrici. È duro per lui perdere il lavoro al giornale e di nuovo andare in cerca di un modo per sbarcare il lunario: scrivere tesi di laurea o posare nudo, abbordare turisti o insegnare inglese, e attendere denaro dagli Stati Uniti. Tanto più che il 4 luglio si celebra in patria la dichiarazione d’Indipendenza e il pensiero corre alla giornata di festa, alle confezioni di mortaretti e all’odore esotico della miccia che resta attaccato alle dita e alla memoria.

 

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29 Giugno

29 giugno 2024

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Sebbene, specie da principio, lo sforzo fosse durissimo, mi feci una sorta di punto d’onore di sottostare scupolosamente ai divieti di Micòl. Basti dire che essendomi laureato il 29 di giugno, ed avendo immediatamente ricevuto dal professor Ermanno un caldo bigliettino di felicitazioni nel quale era contenuto, tra l’altro, un invito a cena, credetti opportuno rispondere di no, che mi dispiaceva ma non potevo. Scrissi che avevo mal di gola, e che il papà mi proibiva di uscire la sera. La ragione vera del mio rifiuto, tuttavia, era che dei venti giorni di esilio impostimi da Micòl, ne erano trascorsi soltanto sedici

Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini, Einaudi, 1962, p. 241

Nella storia dell’amicizia del narratore con la famiglia Finzi-Contini – soprattutto con la giovane Micòl – nella Ferrara degli anni Venti e Trenta del Novecento, si incontrano poche date. Alcune richiamano avvenimenti storici, come le infauste leggi razziali contro gli Ebrei, emanate nel 1938. La data del 29 giugno appare verso la fine della vicenda, è il giorno della laurea del protagonista, la cui felicità è incrinata dalla promessa fatta a Micòl di non vedersi per un po’. Il 29 giugno richiama, come un chiasmo, il primo incontro fra i due giovani, nel giugno del ’29 quando il narratore, rimandato agli esami di licenza ginnasiale, era capitato sotto il muro di cinta della dimora dei Finzi-Contini. E Micòl, allora tredicenne, l’aveva invitato a scavalcare il muro per entrare nel giardino. Quando la vicenda viene raccontata, la famiglia Finzi-Contini è stata decimata dalla guerra e dall’Olocausto e il narratore si chiede: “Quanti anni sono passati da quel remoto pomeriggio di giugno?”

Il 29 giugno 2015 a Fahrenheit – Radio 3 Rai conversazione di Tommaso Giartosio con Alberto Bertoni, Roberto Pazzi e Antonella Sbrilli su Giorgio Bassani e i suoi 29 giugno (leggi razziali del 29 giugno 1939 e nascita del figlio dello scrittore).

 

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7 Giugno | seite de junio

7 giugno 2024

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el día siete de junio, a la madrugada llegó a mis manos el Zahir; no soy el que era entonces pero aún me es dado recordar; y acaso referir, lo ocurrido. Aún, siquiera parcialmente, soy Borges

Jorge Luis Borges, El Zahir (El Aleph, 1949)

il giorno sette di giugno, all’alba, lo Zahir giunse alle mie mani; non sono più quello che ero allora, ma ancora mi è dato ricordare, e forse narrare, l’accaduto. Ancora, seppur parzialmente, sono Borges

Jorge Luis Borges, Lo Zahir (1947) in L’Aleph, 1949, tr. it. F. Tentori Montalto, in Tutte le opere, I Meridiani Mondadori, 1985, I, p. 847

Dopo aver passato la notte vegliando l’amica Teodelina Villar, all’alba del 7 giugno, come resto di un’aranciata ordinata in una mescita di Buenos Aires, il narratore di questa storia – che si chiama Borges come l’autore- riceve una moneta da 20 centesimi. Da quel momento, il piccolo oggetto diventa un’ossessione, un pensiero a cui non si riesce a sfuggire, un’immagine forte come un incantesimo, a cui gli Arabi danno il nome di Zahir. Chi incontra lo Zahir – sotto qualunque forma – non può pensare ad altro, fino a dimenticare il mondo reale, guadagnando, però, forse, la visione di tutti i “futuri possibili”. Il 7 giugno torna in un altro racconto di Borges, dal titolo Tom Castro, l’impostore inverosimile.

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24 Aprile

24 aprile 2024

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È difficile enumerare gli ingredienti della poltiglia che Stëpa aveva nella testa. C’era la diavoleria con il berretto nero, la vodka gelata e l’incredibile contratto e, oltre a tutto, per gradire, anche il sigillo sulla porta! […] Dopo il ricordo dell’articolo, arrivava il ricordo di una conversazione ambigua svoltasi la sera del 24 aprile, proprio nella sala da pranzo, mentre Stëpa e Michail Aleksandrovič cenavano. In verità, la conversazione non si poteva definire ambigua nel senso pieno della parola (altrimenti Stëpa non ci si sarebbe avventurato): era una conversazione su un argomento inutile. Era una conversazione, cittadini, che si sarebbe potuto evitare di cominciare

Michail Bulgakov, Il Maestro e Margherita, tr. it. M. Crepax, Feltrinelli 2011, p. 130

Stëpa,  il direttore del teatro Variété di Mosca, svegliatosi con un gran mal di testa, senza sapere “che ore fossero” “quale giorno della settimana, quale mese”, trova in camera uno sconosciuto, che si presenta come il professore di magia nera Woland. Non solo, la stanza del suo coinquilino, Michail Aleksandrovič Berlioz, è sigillata. Stëpa non ricorda di aver firmato con il mago un contratto per sette esibizioni, e non sa che Berlioz è stato investito da un tram. Né che fra poco si ritroverà a Jalta… Ricorda solo un dialogo, il 24 aprile, col suo amico e tutto è confuso, ambiguo, prodigioso, in questa primavera moscovita. 

 

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31 Gennaio

31 gennaio 2024

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Che M. fosse costretto a simulare quell’ultima sera – fu mercoledì 31 gennaio 1973 – quando arrivò all’improvviso dopo una lunga assenza, in compagnia della sua amica, molto più giovane di lui, una sua ex allieva, per restituire un libro preso in prestito (Musil: L’uomo senza qualità), era nella natura delle cose. Sapeva che era l’ultima sera della sua vita. Nella giacca a vento che la ragazza appese in corridoio doveva trovarsi la lettera che spedirono quella sera stessa: dissero che non potevano trattenersi, dovevano ancora andare alla posta

Christa Wolf, Trama d’infanzia, 1976, tr. it. A. Raja, edizioni e/o, 1992, pp. 126-7

Raffronti di date e continui salti dall’oggi (gli anni Settanta in cui il libro viene scritto) all’oggi (gli anni Trenta, Quaranta e oltre) della materia raccontata: la scrittrice tesse una vera trama nel tempo, mentre narra di Nelly, bambina e adolescente durante il Nazismo e la guerra, della sua famiglia, della sua città, passata dalla Germania alla Polonia, dei mutamenti di regime, delle ondate di paura, delle speranze, dell’aderenza al presente che continuamente si aggiorna.
Il libro è costellato di riflessioni sul tempo: “Il passato non è morto; non è nemmeno passato. Ce ne stacchiamo e agiamo come fosse estraneo” e soprattutto di date, come questa del 31 gennaio del 1973, un’incursione del ‘presente’ nell’allora (il 1935) che viene raccontato nella pagina.

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Montaggi di tempo: Fiona Tan a Bologna il 29.10.23

In una video intervista dal titolo Sculpting Time (Lousiana Art Channel, I July 2023), l’artista Fiona Tan presenta sé stessa, e la sua profonda ricerca sulla memoria, le identità, la natura, chiamando il causa il tempo come materia prima e strumento del suo lavoro.
Come artista e filmmaker, l’attività di editing – il montaggio e la manipolazione dei materiali che vengono allungati, schiacciati, compattati – è per lei una sorta di “sculpting with time”. L’antica espressione che esprime l’azione del flusso immateriale sulla materia, usata da Victor Hugo, ripresa da Marguerite Yourcenar nella raccolta Le Temps, ce  grand sculpteur, rievocata da Salvatore Settis per Giuseppe Penone,  “scolpire il tempo”, è l’incipit del discorso di Fiona Tan, che la restituisce variandola a suo modo, “scolpire con il tempo”.
Il suo discorso prosegue con un’altra osservazione in cui è implicito, quasi incarnato, un ulteriore pensiero sul tempo, ancora più antico: “n
on si può non pensare al tempo” e insieme esso “è una delle cose più difficili di cui parlare”, afferma nel video l’artista, in risonanza con Sant’Agostino e con sapienze che le vengono dalla rete delle sue origini, dalla Cina, dall’Indonesia, dal Nord Europa, dall’Australia.
Dotata della capacità di spiegare insieme le scelte tecniche, i nuclei tematici che la ispirano e il loro trasformarsi in opere, Fiona Tan racconta alcune opere recenti, in 
cui filmati d’archivio delle collezioni olandesi sono accompagnati dall’audio delle lettere che il padre dell’artista le scriveva nei tardi anni Ottanta. Frammenti di repertori pubblici, spezzoni di documentari provenienti dal passato, si mescolano con la corrispondenza familiare, che parla del quotidiano e del presente. Consapevole che la storia non può considerarsi mai conclusa, Fiona Tan rende  percepibile – col suo lavoro di connessioni, accostamenti, riprese multiple – il carattere aperto e rinegoziabile degli archivi stessi: “Time always moves on and we need to go with flow”. 

Il 29 ottobre 2023 Fiona Tan è la protagonista di un incontro al MAMbo di Bologna, nell’ambito della rassegna Archivio aperto 2023, durante il quale sono visibili due cortometraggi:

il primo è News from the Near Future (2003) cheesplora la memoria e il passare del tempo attraverso filmati d’archivio in bianco e nero provenienti dall’Eye Filmmuseum di Amsterdam, colorati in modo da creare una texture quasi pittorica. Il motivo ricorrente è l’acqua: il mare, su cui navigano imbarcazioni di ogni tipo, dai piccoli yacht ai piroscafi più grandi; le onde che bagnano la riva del mare; i paesaggi con enormi cascate e i disastri che lasciano dietro di sé le inondazioni ci ricordano l’ambivalenza del rapporto tra uomo e natura”;  

il secondo risale al 1998 e si intitola Linnaeus’ Flower Clock.
Come si legge nel sito dell’artista, una donna che teme che l’intensità della sua felicità presente si affievolisca col tempo, evoca ripetutamente immagini che incarnano l’appagamento fisico ed emotivo per prolungare l’adesso (‘now’) e inciderlo nella memoria. Per farlo, cerca di costruire un orologio personale che mostri il suo tempo interiore, in contrapposizione a un orologio meccanico. 

Il suo fallimento nel fermare il tempo è dimostrato dalla continuità temporale del video e dalla vista dei fiori che si aprono e si chiudono. Accettare che la vita continui perché tutte le cose passano costringe le persone a concentrarsi sul presente e dà vita ai loro ricordi (Midoti Matsui)”.

Il titolo Linnaeus’ Flower Clock fa riferimento all’orologio floreale (horologium florae) proposto alla metà del Settecento da Linneo: osservando come ogni fiore si apra e chiuda in momenti precisi, il naturalista svedese ipotizzò di poter utilizzare i momenti delle fioriture per indicare le ore e i minuti. Impossibile da realizzare in un giardino reale, è stato allestito dall’artista inglese Anna Ridler con l’aiuto di sistemi di Intelligenza artificiale. 

Qui le informazioni sull’incontro Dearest Fiona, MAMbo, sala conferenze, 29 ottobre 2023

(a.s.)

 

19 Luglio

19 luglio 2023

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Poi, le quattro pareti attorno erano coperte di stampe anch’esse guerresche: la battaglia di Calatafimi, la spedizione di Sapri, San Fermo, Aspromonte, la partenza da Quarto, la morte d’Anita; e di ritratti: quello di Mazzini e di Garibaldi, non c’è bisogno di dirlo, di Nino Bixio e di Stefano Canzio e di Menotti, di Felice Orsini e di Guglielmo Oberdan. Per giunta, nella parete di fronte, a mo’ di panoplia o di trofeo, ricordo della campagna del Trentino, Marco Leccio aveva appeso il suo vecchio schioppettone d’ordinanza incrociato con lo sciabolone d’ufficiale di Defendente Leccio suo padre. Sopra il motto di Garibaldi in grosse lettere: Fate le aquile; in mezzo il suo berretto di garibaldino e una fascetta di velluto – rosso s’intende – ov’erano affisse le medaglie. Più sotto, in cornice, una lettera scritta da lui il 19 luglio 1866 dal forte d’Ampola a un amico di Roma, con un ritaglio della bandiera austriaca presa in quel forte

Luigi Pirandello, Frammento di cronaca di Marco Leccio e della sua guerra sulla carta nel tempo della grande guerra europea, 1919, Appendice a Novelle per un anno, Giunti, 1994, III, p. 2716

 

Marco Leccio è un ex garibaldino che ha combattuto nella battaglia di Bezzecca e ha dato ai suoi figli i nomi di Giuseppe, Anita, Nino, Canzio, in onore degli eroi del Risorgimento. La seconda figlia l’ha chiamata proprio Bezzecca, in ricordo della battaglia, ma la sorte ha voluto che si sposasse con un orologiaio svizzero, dal cognome tedesco. Avvenimento tanto più sgradevole ora che – nel momento della narrazione – sta cominciando la prima guerra mondiale e Marco Leccio, all’età di 67 anni, vorrebbe arruolarsi volontario, insieme a figli e nipoti. Non verrà preso e seguirà le vicende belliche – come dice il lungo titolo del racconto – su delle carte geografiche e su “una plastica in rilievo di cartapesta colorata”, nel suo studio, piccolo santuario di ricordi della battaglia combattuta il 21 luglio del 1866 e di cui fanno parte la bandiera e la lettera del 19 luglio.

 

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Memoria per le date e tempo ciclico

Luglio 2018: diversi articoli riportano la ricerca di Valerio Santangelo e Patrizia Campolongo  su un gruppo di persone – donne e uomini di varia età – dotate di una formidabile memoria autobiografica. Come Funes nel racconto di Borges, i dettagli delle giornate trascorse, anche molto lontane nel tempo, tornano in superficie in modo vivido e inarrestabile.
“Non ho bisogno di un’agenda e non ho mai avuto il diario a scuola. È un dono che non riesci a spiegare agli altri. Per me il tempo è circolare: le cose successe 10 anni fa, le vivo come se fossero accadute oggi” – racconta una delle persone coinvolte in questa ricerca (fonte un articolo de La Stampa, 12 luglio 2018).
“Con il tempo ho imparato a scindere i ricordi del passato da quelli di oggi. La mia mente gli dà la stessa importanza. è come se vivessi un eterno presente. Se mi sveglio la mattina e vedo che è l’11 luglio mi vengono in mente tutti i compleanni di chi è nato quel giorno e quello che ho fatto l’11 luglio di ogni anno della mia vita”.
Le date funzionano come una griglia su cui appoggiare le esperienze, per poi  richiamarle, e non solo quelle macroscopiche, ma anche quelle minuscole, in apparenza ininfluenti e cancellabili.
Chi segue Diconodioggi sa che il repertorio di racconti organizzati per giorno in cui la storia si svolge nella finzione risponde a suo modo alla forza mnemonica della data: la data incontra – nel momento della lettura – il tempo presente, scatenando in chi legge una catena di ricordi anche autobiografici. 


Il calendario come sistema di memoria, la stringa giorno-mese come accesso al passato, che avviene seguendo percorsi profondi e misteriosi, anche sinestetici, come si legge ancora nell’articolo citato: “E la cosa particolare è che associo anche i colori, una sorta di sinestesia mentale:l’11 lo vedo nero, il luglio viola, il 2 rosso e lo 0 grigio”.
E come aveva raccontato nei suoi studi Oliver Sacks: vedi questo post sui colori delle date

2020: la ricerca è andata avanti e ha permesso di “identificare le aree del cervello specificamente deputate a dare una dimensione temporale ai ricordi, organizzando quelle informazioni che nelle persone comuni restano memorie indistinte e sfocate”. I risultati degli studi di Valerio Santangelo, Tiziana Pedale, Simone Macrì, Patrizia Campolongo sono pubblicati sulla rivista Cortex: Enhanced cortical specialization to distinguish older and newer memories in highly superior autobiographical memory (https://doi.org/10.1016/j.cortex.2020.04.029).
Come si legge nella pagina Sapienza che riporta gli aggiornamenti della ricerca “c
omprendere i sistemi neurobiologici alla base dell’iper-funzionamento della memoria – concludono i ricercatori – fornisce importanti indicazioni su quali aree è necessario intervenire per stimolare il ripristino di un funzionamento adeguato della memoria in persone con deficit o lesioni neurologiche”.
(a.s.)

 

Due fragranze del tempo: Byung-Chul Han e Carlo Rovelli

Se fosse possibile pubblicare e condividere un sapore o un odore, sarebbe quello il modo ideale per iniziare questo post, che presenta due libri affascinanti, uno del filosofo Byung-Chul Han e l’altro del fisico Carlo Rovelli.

Da prospettive diverse – la scienza della cultura e la gravità quantistica – i due autori affrontano il tema del tempo, risalendo lungo secoli di ricerche scientifiche e speculazioni filosofiche, con l’obiettivo il primo, Byung-Chul Han, di proporre un’idea di “vita contemplativa” che rallenti l’affanno del tempo attuale; il secondo, Carlo Rovelli, di mostrare che il tempo è un elemento emergente a una certa scala della nostra percezione e descrizione del mondo.
La parola tempo è usata evidentemente in contesti e a livelli differenti, ma vuoi per la perizia degli autori che rendono accessibili concetti specialistici attingendo fuori del proprio specialismo, vuoi per una convergenza di riferimenti, metafore, affacci sulla poesia e sul pensiero orientale, i due libri vivono in una zona di “buon vicinato”.
Il titolo del primo è Il profumo del tempo, in tedesco (l’autore Byung-Chul Han è di origine coreana e insegna a Berlino) Duft der Zeit. Sottotitolo L’arte di indugiare sulle cose.
Il libro di Rovelli si chiama L’ordine del tempo (da una frase del filosofo Anassimandro) e un capitolo è intitolato Il profumo della madeleine, con riferimento al dolcetto che, immerso nel tè ai fiori di tiglio, riporta il narratore della Ricerca del tempo perduto di Marcel Proust nel mondo immenso del suo passato.
Il profumo dunque, in rapporto con il tempo. L’olfatto come veicolo di un viaggio nella memoria che schiude alla coscienza “vasti territori” (Rovelli) e “ampi spazi di tempo” (Han).

Analista dei mutamenti sociali e individuali legati alla tecnologia e alla globalizzazione, Han parte dalla considerazione che l’attuale società iperconnessa ha perso il “profumo” del tempo, la tensione narrativa profonda, l’“orbita delle cose”. 
L’episodio narrato da Proust è l’occasione per l’autore di indagare la potenza iconica e narrativa dell’olfatto, immaginando che una società dominata dai profumi – a differenza della società dominata dalle immagini e dalle misurazioni discrete del tempo – si nutrirebbe “del ricordo, della memoria, della lentezza e della permanenza”.
All’incirca alla metà del libro, dopo aver percorso i sentieri del pensiero di Heidegger, Han ci porta nella Cina antica, dove erano in uso degli orologi “profumati”, gli orologi a incenso: 香印 (hsiang yen, letteralmente “sigilli di profumo”).
Si tratta di manufatti raffinati, composti di un recipiente dove viene fatto bruciare l’incenso che si consuma nella forma di un sigillo, composto di uno o più segni che formano una parola o un detto.


Mentre il profumo riempie lo spazio, l’incenso si trasforma in cenere che a sua volta prende la forma del segno scritto nel sigillo, in un processo che allude al fluire e al trasformarsi. “Il tempo che profuma non scorre né passa. E nulla si svuota”, come accade invece negli orologi a sabbia o ad acqua. Il profumo “spazializza il tempo, conferendogli in tal modo la parvenza della durata”.

Fisico teorico, Carlo Rovelli arriva al tema del profumo nella terza parte della sua trattazione. Dopo aver discusso e smontato una a una le qualità del tempo come sono trapassate dalla fisica classica al linguaggio corrente: il tempo come qualcosa di uniforme che scorre dal passato al futuro, il presente come uno stato comune a tutto l’universo, l’ordine causale degli accadimenti; dopo essersi affacciato nel “mondo senza tempo” descritto dalla fisica attuale, nelle cui equazioni fondamentali il “tempo” sparisce; ecco che giunge il momento di considerarlo dalla parte dell’essere umano, che è in qualche modo l’inventore del tempo, poiché è solo dalla prospettiva umana che il tempo è quello che è: “la sorgente della nostra identità”, “la forma con cui noi esseri il cui cervello è fatto essenzialmente di memoria e previsione interagiamo con il mondo”.
È a questo punto della trattazione che l’olfatto fa la sua comparsa: il profumo e il sapore del dolcetto di Proust riportano alla percezione istantanea del protagonista una miriade di ricordi, in un ordine che non ha a che fare con la linearità, col prima e il dopo, con la causa e l’effetto; ricordi che emergono in un tempo infrasottile, a riprova – e a garanzia – di un’identità profonda e peculiare, fatta di relazioni incessanti fra gli eventi e le loro tracce.
Il terzo movimento del libro del fisico Rovelli si svolge nella mente umana, nell’attività del cervello, nelle cui sinapsi tracce di passato permangono e si modificano senza pausa.
È da lì che il tempo rivela il suo ordine, riversandolo nella nostra nicchia biochimica dominata da cicli di 24 ore, nel nostro punto di osservazione locale sul cosmo, nella nostra capacità innata di ricordare (e dimenticare), nella nostra invenzione del linguaggio narrativo.

Scanditi dai versi delle Odi di Orazio, i capitoli del libro di Rovelli sono tappe di un viaggio straordinario che fa incontrare pensiero scientifico e racconto, invitando a riformulare le domande consuete da un altro punto di vista, a considerare le nozioni acquisite di tempo suscettibili di rovesciamenti anti-intuitivi, come lo furono la rotazione della terra, la relatività, l’indeterminazione.
Time: the Familiar Stranger. Tempo, lo straniero familiare, l’inquietante vicino: con questa immagine Julius T. Fraser, fondatore nel 1966 dell’International Society for the Study of Time (a cui questo blog è collegato per diversi motivi e occasioni) ha definito il tempo. Una struttura complessa e stratificata a cui ci avviciniamo per approssimazioni, sfocature, metafore. E le metafore – scrive Byung-Chul Han – “sono come profumi sprigionati dalle cose, quando queste stringono tra loro amicizia”.

Antonella Sbrilli (@asbrilli)

Byung-Chul Han, Il profumo del tempo. L’arte di indugiare sulle cose (2009), tr. it. Claudio Aleandro Bonaldi, Vita e Pensiero, Milano 2017

Carlo Rovelli, L’ordine del tempo, Adelphi, Milano 2017

La mostra Dall’oggi al domani prosegue in Realtà Virtuale

La mostra Dall’oggi al domani. 24 ore nell’arte contemporanea – che per 155 giorni ha scandito il tempo al Macro di Roma, via Nizza – si è chiusa fisicamente  il 2 ottobre 2016.
Le opere sono state staccate dalle pareti e tolte dalle teche, le installazioni smontate… Eppure qualcosa – oltre al catalogo e alle tante foto e interazioni sui social network – rimane, di questa mostra che ha abitato e animato le sale al primo piano del Museo Macro, qualcosa che riguarda la sua dimensione spaziale. Di che si tratta?
Di una versione in Realtà Virtuale, esplorabile tramite appositi visori, che consente di muoversi negli spazi della mostra, girare intorno alle installazioni, fermarsi sulle pareti, entrare nella stanza di Beninati, girovagare, avere una visione d’insieme e di dettaglio di una ventina di opere fra quelle esposte. Un percorso che consente di ricollocare ogni opera nel luogo in cui si trovava, di coglierne le relazioni di vicinanza con le altre, il dialogo che si percepisce – dal vivo – durante una visita museale. E che l’esplorazione virtuale può di nuovo suggerire, ponendosi come un modo consistente di mantenere la memoria di un evento temporaneo, come appunto una mostra.

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Realizzata in collaborazione con la Ripartizione Cultura della Provincia Autonoma di Bolzano, la versione in Realtà Virtuale della mostra romana è visitabile presso il Centro Trevi di Bolzano (via Cappuccini 28), all’interno dei progetto multimediale  Il Cerchio dell’arte, che propone continue sperimentazioni sugli scambi fra arte, tecnologie, comunicazione e didattica. Dedicato ogni volta a un tema diverso, Il Cerchio dell’arte sviluppa quest’anno il tema “tempo e denaro”, proponendo ai visitatori un video immersivo, esplorazioni di opere tramite touch-screen, giochi e interazioni e anche la presenza di due dipinti in prestito.
Qui tutte le informazioni.
Per la presentazione della mostra in Realtà Virtuale: appuntamento  al Centro Trevi il 22 novembre 2016, ore 18:30, con Antonella Sbrilli e Alessandro Rizzi, che ha curato lo sviluppo tecnico di questa realizzazione.

Date a colori: in ricordo di Oliver Sacks

Scomparso il 30 agosto del 2015, il grande neurologo e scrittore Oliver Sacks – nella sua lunga e prolifica carriera (era nato a Londra nel 1933 e aveva insegnato alla Columbia University di New York) – ha avuto modo di occuparsi anche delle date.
Con il suo inconfondibile stile narrativo, che rende accostevoli i labirinti del cervello e delle emozioni, della memoria e dei comportamenti, attraverso il racconto di casi clinici e di esperienze personali, Sacks lascia delle pagine anche sul tema dei giorni. Si trovano negli studi raccolti col titolo Musicofilia. Racconti sulla musica e il cervello (2007, ed. it. Adelphi 2010), dove lo scienziato riporta l’esperienza del compositore Michael Torke che, sin da piccolo, associa la musica ai colori. Si tratta di una forma di sinestesia, per cui i brani musicali sono percepiti simultaneamente con sfumature cromatiche.

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Nel ripercorrere l’esperienza di Michael Torke, Sacks rivela che questa “istantanea congiunzione di sensazioni” riguardava anche esperienze non musicali: “per lui le lettere dell’alfabeto, i numeri e i giorni della settimana hanno tutti il loro particolare colore e anche una topografia o un paesaggio peculiari”.
E prosegue, in nota, con l’elenco delle associazioni (dal verde lunedì alla domenica nera) e con l’esempio eloquente: “Non appena si fa riferimento a una data, immediatamente nella mente di Michael appare il suo correlato cromatico e topografico. Domenica 9 luglio 1933 (la data di nascita di Sacks! n.d.r.),  per esempio, genererà  all’istante l’equivalente cromatico della domenica, e poi quello del giorno, del mese e dell’anno, spazialmente coordinati”.
Tale capacità è messa in relazione, infine, con la mnemotecnica: “questo tipo di sinestesia ha una certa utilità come aiuto per la memoria”.
Più avanti nel capitolo, Sacks racconta anche il caso dello psicologo e musicista Patrick Ehlen, dotato di una “sinestesia molto estesa” che riguardava – oltre ai suoni e ai rumori – le lettere, i numeri e ancora una volta i giorni della settimana. Una caratteristica che si riscontra sin dall’infanzia quando –  alla maestra che gli chiedeva che cosa stesse fissando – rispose di stare “contando i colori fino a venerdì'”.
www.oliversacks.com
Antonella Sbrilli @asbrilli

Metro di Tempo. “M” di Stefano Bartezzaghi

Come nel paese delle meraviglie di Carroll, l’ingresso attraverso il quale si entra nella metropolitana di Milano di Bartezzaghi è il Tempo.

Il metro non è un’unità di misura del tempo (anche se metri di legno sono usati a scuola per raffigurare la storia: gli anni in millimetri, i secoli in decimetri…), ma la metro, intesa come metropolitana, il tempo a suo modo lo misura, eccome.
“Prossimo treno fra due minuti” si legge nel display, e si fa il conto di che ore saranno fra due minuti; sei minuti fra una stazione e l’altra e si calcola l’ora di arrivo; mezz’ora, quaranta minuti per un intero percorso e si pianifica l’agenda della giornata. La metropolitana è a suo modo un orologio che si muove sotto la città e si muove, nel tempo di ognuno e di tutti, delle persone e della stessa città, nel modo zigzagante, diretto e avviluppato, in cui Stefano Bartezzaghi lo racconta nel libro M Una metronovela (Einaudi 2015).
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Il racconto che Bartezzaghi fa della metropolitana di Milano è intessuto nel tempo (e come potrebbe essere altrimenti?) ma, di più, mette in comunicazione la griglia macroscopica del tempo fisico con la percezione personale, fatta di attualità e memoria, di lampi e di limiti, di quel sapere e non-sapere di cui parla Sant’Agostino nelle Confessioni: “Che cos’è insomma il tempo? Lo so finché nessuno me lo chiede; non lo so più, se volessi spiegarlo a chi me lo chiede”.

San’Agostino è una fermata della linea 2 della metropolitana di Milano, una di quelle che Bartezzaghi conosce meglio e di cui racconta nel capitolo XVII (210); la fermata viene dopo Sant’Ambrogio, “come nella storia” e offre lo spunto all’autore per trattare dei nomi delle piazze, degli spiazzi, degli spazi cittadini con le loro forme. Fra queste forme – guarda un po’ proprio nel capitolo su Sant’Agostino – c’è anche l’orologio: un orologio da polso, col suo cinturino, è la figura evocata da Bartezzaghi per descrivere una piazza-non-piazza e un viale di Lambrate (212).
Come il tempo, la metro va sempre avanti; come il tempo, nella metro “non ci si può stare, è un luogo di passaggio” (220). Come il tempo, il tempo, nella metro di Bartezzaghi, è dappertutto.
C’è il tempo “tatuato” sui biglietti dalle vecchie obliteratrici e ancora più indietro nel tempo dai bigliettai, che li timbravano “a mano con giorno e ora” (26).
Ci sono i giorni della settimana: il lunedì e il giovedì della raccolta differenziata (14); i weekend (21) con i loro riti; la domenica del primo viaggio in metro da bambino (25) e la domenica nei parchi (115); il martedì e il sabato del mercato a Sant’Agostino (211).
Ci sono le stagioni: inverno (57); fine primavera, un pomeriggio torrido (65). I mesi: un luglio di fine secolo (237), quando un blackout interrompe l’erogazione della luce e il ritmo del tempo lavorativo.
Ci sono le parti del giorno, col loro carattere ciclico e l’individualità del lì e allora. Fra la pausa-pranzo (118), le sere prefestive (135), le notti, si contano tante mattine: la mattina presto e la tarda mattinata (42), una fredda mattina d’inverno (120), “un matin d’aprile, sensa l’amore” di una canzone di Jannacci (219); una mattina di giugno, a vent’anni, che diventa le tre del pomeriggio e sfocia in un temporale memorabile (221), unendo così la memoria di uno spazio di tempo con quella di un fenomeno del meteo. Del resto, il meteo è disseminato nel racconto della metro, che non è indipendente dalle condizioni atmosferiche (122) e un intero capitolo, Lo spirito del tempo (220), è dedicato a questo connubio, del tempo esterno e mutevole con il tempo del percorso sotterraneo.
Come in un Libro d’ore medievale, come in un breviario, nel racconto spazio-temporale di Bartezzaghi s’incontrano le ore (le 23, le 18, le 18.10 dell’orario dei treni), la mezzanotte, le tre del pomeriggio di agosto (208), l’ora dell’ultima metro (“Corri, ché questa è l’ultima metro”, 245) e i tempi della vita, infanzia, adolescenza, maturità e morte.
E poi i minuti, i secondi, i momenti, gli istanti (121), che portano al tema delle coincidenze (82, 87), degli incontri, degli incroci, del tempismo, delle occasioni.
Ci sono le date, un 2 novembre, il 18 aprile del 1996, quando il poeta Jacques Jouet tra le 5 e mezzo del mattino e le 9 di sera compie un intero percorso della metro parigina.
Ci sono le date nelle strade (un vecchio gioco di Bartezzaghi su La Stampa): XXIV Maggio, XII Marzo, XX Settembre, Cinque Giornate.
C’è il tempo della passeggiata, che ha un limite orario (10), il ritmo della camminata del pedone: “ha tempo? Non ha tempo?” (21).
Ci sono la puntualità e il ritardo (12), l’attesa e l’ansia, la fretta (81), il rallentamento (65), la pazienza, la durata delle passioni e degli stati d’animo, captati sulla linea dei viaggi (67), la sospensione (8), i soprusi sul tempo (38). Ci sono esperimenti sul tempo, legati all’ascolto e alla musica.
C’è poi il tempo interpolato della metronovela che fa da sottotitolo al libro, la met-com: una storia scandita in puntate di tre, quattro minuti, trasmessa dagli schermi nelle stazioni della metro, che si interrompe all’arrivo del treno, come un orologio narrativo, che riempie di fiction gli intervalli del tempo dei viaggiatori.
Dappertutto, nel racconto di Bartezzaghi, le M di metro, di Milano, di memoria si connettono, nel palinsesto di passaggi e sottopassaggi in cui impressioni, ricordi, imprinting si sono depositati per via di decenni di passi.
Come nel paese delle meraviglie di Carroll, l’ingresso attraverso il quale si entra nella metropolitana di Milano di Bartezzaghi è il Tempo.
(I numeri in parentesi si riferiscono alle pagine del libro di Stefano Bartezzaghi, M Una metronovela, Einaudi 2015)
Antonella Sbrilli @asbrilli

Diteci di oggi, Memorie di storie

Gioco Diteci di oggi – Pagina99 we: settimana 13 – 20 dicembre 2014 (si partecipa fino a lunedì 15 dicembre 2014)

Il blog Diconodioggi collabora con il settimanale Pagina99 con Diteci di oggi: una rubrica di giochi e interazioni che hanno a che fare con la scrittura e con il tempo raccontato, in particolare con le date che s’incontrano nella narrativa. Ecco la proposta per il gioco della settimana 13 – 20 dicembre:

memo“La notte del 20 dicembre 1849 un uragano violentissimo imperversava sopra Mompracem, isola selvaggia, di fama sinistra”: è l’incipit delle Tigri di Mompracem di Salgari.
E nel romanzo La misteriosa fiamma della regina Loana di Umberto Eco, il protagonista, che ha perso la memoria autobiografica, ma tiene a mente pagine di letteratura, torna nella casa di campagna sperando di recuperare il passato, attraverso album di fumetti e libri, fra cui Conan Doyle e appunto Salgari.
Chi era il suo eroe – si chiede: Holmes o Sandokan? Qual era la figura e la pagina cui appigliarsi per recuperare i ricordi individuali?

L’invito per il prossimo numero è a indicare a quale personaggio e a quale pagina è affidata, dall’infanzia, una parte consistente della propria memoria di lettori e lettrici.

Si partecipa inviando i testi a giochi@pagina99.it fino a lunedì 15 dicembre, per permettere la scelta per la pubblicazione nel giornale di sabato 20 dicembre 2014.

Diteci di oggi, Album


Gioco Diteci di oggi – Pagina99 we: settimana 12 – 19 luglio 2014 (si partecipa fino a lunedì 14 luglio)

Diconodioggi collabora con il giornale Pagina99 con Diteci di oggi: una rubrica di giochi e interazioni che hanno a che fare con la scrittura e con il tempo raccontato, in particolare con le date.

Luglio 43

L’interazione di questa settimana è ispirata alle pagine del romanzo La Storia di Elsa Morante, dove è descritto il 19 luglio del 1943, quando il bombardamento del quartiere romano di San Lorenzo fece strage di persone e animali e distrusse case e parte della basilica di S. Lorenzo fuori le Mura.

L’invito è a segnalare – sulla base di memorie, fotografie, diari, racconti – un episodio di distruzione o decadenza di un bene pubblico o privato, un monumento, un’opera, un paesaggio. In non più di 800 caratteri e/o due immagini, da inviare a giochi@pagina99.it entro lunedì 14 luglio. Appuntamento col giornale in edicola sabato 19 luglio, per una scelta e un commento. Ma poi, continuate a inviare immagini ed esempi per tutta l’estate.

March 2525 Marzo

25 marzo 2013

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MARCH 25, MORNING. A troubled night of dreams. Want to get them off my chest.

A long curving gallery. From the floor ascend pillars of dark vapours. It is peopled by the images of fabulous kings, set in stone. Their hands are folded upon their knees in token of weariness and their eyes are darkened for the errors of men go up before them for ever as dark vapours.

James Joyce, A Portrait of the Artist as a Young Man

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Il giorno del gran commiato fu appunto il venticinque di marzo del mille ottocento ottanta cinque, fuori della Porta Pia, in una carrozza. La data era rimasta incancellabile nella memoria di Andrea. Egli ora, aspettando, poteva evocare tutti gli avvenimenti di quel giorno, con una lucidezza infallibile. La visione del paesaggio nomentano gli si apriva d’innanzi ora in una luce ideale, come uno di quei paesaggi sognati in cui le cose paiono essere visibili di lontano per un irradiamento che si prolunga dalle loro forme

Gabriele D’Annunzio, Il Piacere, 1889, Mondadori, 1990, p. 13

Andrea Sperelli, mentre attende di rivedere Elena Muti, la sua amante di due anni prima – ora sposata con un gentiluomo inglese – torna col pensiero al giorno della loro separazione, il 25 marzo del 1885. In quella giornata di vento forte, hanno percorso la via Nomentana in carrozza e si sono fermati in un’osteria romanesca, sull’Aniene. Nella luce suggestiva del tramonto, lei gli ha comunicato la decisione di partire e si sono separati, non senza passione, sotto l’arco di Porta Pia. Ora che ha incontrato di nuovo la sua vecchia amante, Andrea “rivedeva tutti i gesti, riudiva tutte le parole” di quel giorno, che viene richiamato ancora nel corso del romanzo, così come sono molti gli accenni al clima di marzo (mese in cui D’Annunzio era nato nel 1863 e sarebbe morto nel 1938).

Dicono del libro
“Edito nel 1889, nello stesso anno e con maggior fortuna del Mastro-don Gesualdo di Verga, Il Piacere è il primo dei romanzi dannunziani. L’esperienza biografica nella Roma di fine secolo, mondana e bizantina, si fa letteratura: ‘Nel personaggio di Andrea Sperelli’ scrive D’Annunzio ‘c’è assai di me stesso colto sul vivo'”

(dalla quarta di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)

 

27 Gennaio

27 gennaio 2013

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27 gennaio. L’alba. Sul pavimento, l’infame tumulto di membra stecchite, la cosa Sómogyi.
Ci sono lavori più urgenti: non ci può lavare, non possiamo toccarlo che dopo aver cucinato e mangiato. E inoltre, “rien de si dégoûtant que les débordements”, dice giustamente Charles; bisogna vuotare la latrina. I vivi sono più esigenti; i morti possono attendere. Ci mettemmo al lavoro come ogni giorno.
I russi arrivarono mentre Charles ed io portavamo Sómogyi poco lontano. Era molto leggero. Rovesciammo la barella sulla neve grigia. Charles si tolse il berretto. A me dispiacque di non avere berretto.
Degli undici della Infektionsabteilung, fu Sómogyi il solo che morì nei dieci giorni. Sertelet, Cagnolati, Towarowski, Lakmaker e Dorget (di quest’ultimo non ho finora parlato; era un industriale francese che, dopo operato di peritonite, si era ammalato di difterite nasale), sono morti qualche settimana più tardi, nell’infermeria russa provvisoria di Auschwitz. Ho incontrato a Kastowice, in aprile, Schenck e Alcalai in buona salute. Arthur ha raggiunto felicemente la sua famiglia, e Charles ha ripreso la sua professione di maestro; ci siamo scambiati lunghe lettere e spero di poterlo ritrovare un giorno

Primo Levi, Se questo è un uomo, (1947), ed. cons. Se questo è un uomo. La tregua, Einaudi, 1989, p. 153

 

Con queste frasi si chiude il libro di Primo Levi, il giorno dell’ingresso dei russi nel campo di concentramento di Auschwitz. Il 27 gennaio è il giorno della memoria dell’Olocausto. 

Dicono del libro
“Il bisogno di raccontare agli ‘altri’, di fare gli ‘altri’ partecipi, aveva assunto fra noi, prima della liberazione e dopo, il carattere di un impulso immediato e violento, tanto da rivaleggiare con gli altri bisogni elementari: il libro è stato scritto per soddisfare a questo bisogno; in primo luogo quindi a scopo di liberazione interiore. Di qui il suo carattere frammentario: i capitoli sono stati scritti non in successione logica, ma per ordine di urgenza. Il lavoro di raccordo e di fusione è stato svolto su piano, ed è posteriore.
Mi pare superfluo aggiungere che nessuno dei fatti è inventato”
(Primo Levi)

……..

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“…quali sono le circostanze che provocano una perdita di coscienza di massa? In questi giorni – fine gennaio del 1975 – ricorre il trentesimo anniversario della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz…”
Christa Wolf, Trama d’infanzia

Ricordarsi le date (e non solo)

 

Il testo che segue è un estratto dell’intervento di Antonella Sbrilli alla giornata di studi Giochi di memoria (San Marino, Centro di Studi sulla Memoria,  13 luglio 2012). Il testo completo è edito, col titolo Memoria per le date. Date per la memoria, presso l’editore Guaraldi – San Marino University Press, 2013.

“Non ho impresso quella data nella mia memoria, ho impresso la mia memoria in quella data”

Giacomo Balla autoritratto courtesy Elena Gigli

Giacomo Balla, Autoritratto, 1940, olio su tavola, 60×50 cm. Courtesy E.Gigli

La memoria per le date
Collettivamente, oltre alle date canoniche religiose o civili, si ricordano le date collegate ad eventi epocali, lo sbarco sulla Luna, la caduta del muro di Berlino, la morte di Lady Diana, l’attentato alle torri gemelle. Sul piano personale, si ricorda quello che, in virtù del coefficiente emotivo dell’evento, rimane impresso. Alcune date si fissano con sforzo, altre naturalmente. Ora i social network segnalano anniversari di ogni genere, con una funzione da maggiordomo della memoria, che avrà i suoi effetti, probabilmente, nello sviluppo di sistemi mnemonici condivisi.
Anche quando il senso autobiografico, la continuità dell’identità personale è compromessa da una malattia neurologica, le date possono permanere.Oliver Sacks ha raccontato più volte il caso di Rose R., malata di encefalite letargica. Non ricordava nulla di decenni della sua vita, ma poteva riferire “la data di Pearl Harbor, dell’assassinio di Kennedy… Io le ho tutte registrate, ma nessuna importa”.
L’evento drammatico accaduto all’esterno funziona come un agente, crea un collegamento con il qui e ora e fissa nella memoria – perfino in un caso limite come quello della paziente di Sacks – la sequenza numerica della data.

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