Il giardino dei 3 minuti di David Trueba

Un affascinante bosco di clessidre compare nel romanzo Blitz, di David Trueba, il cui indice si presenta come un calendario, con i nomi dei 12 mesi a connotare i 12 capitoli: lo racconta in questo post Sandra Muzzolini.
L’ultimo romanzo dello scrittore spagnolo David Trueba – romanziere ma anche regista, sceneggiatore e giornalista – si intitola Blitz (ed. it. Feltrinelli, 2016) e ha come protagonista un architetto paesaggista di Madrid che all’inizio della storia incontriamo a Monaco di Baviera, dove si trova per presentare un progetto a un concorso internazionale. L’intervento paesaggistico ideato da Beto – questo il nome del protagonista – è un parco per adulti con “panchine dove fermarsi a leggere e riposare negli istanti rubati all’ufficio”. L’idea è quella di “perdersi” in un altro spazio-tempo, sedendo su panchine delimitate da una recinzione che crea una sorta di capsula isolata dall’esterno. L’elemento qualificante ed innovativo del progetto è rappresentato da un “bosco di clessidre, in scala umana” che servono a quantificare il tempo trascorso nel parco, a concedere un tempo di astrazione.
Trueba Muzzolini

“Ecco cosa mi piace delle clessidre” dice il protagonista, “riformulano l’idea di ansia dovuta al trascorrere del tempo e fanno sì che quel processo inevitabile diventi visibile.” Questo è quello che intende dire alla presentazione in veste di architetto, ma poi confessa che più semplicemente “mi piacciono perché indicano il vero senso della vita, e cioè la sottomissione alla legge di gravità, come la sabbia che cade dall’alto in basso nei due bulbi di vetro.” Poiché il tempo di capovolgimento delle clessidre è di tre minuti, il titolo del lavoro di Beto è Giardino dei tre minuti.

Il progetto non viene premiato al concorso ma il motivo della clessidra rimane importante nel romanzo, anche nella definizione dei personaggi. Se a Beto piacciono le clessidre, un altro personaggio le detesta, le trova angoscianti: “La sabbia che cade ti taglia dentro come un coltello.” L’idea delle clessidre viene sviluppata più avanti nella storia sempre in relazione alla professione del protagonista, portandolo alla creazione di oggetti di design di tale forma e persino di una applicazione per smartphone. Lavorando intorno a questo soggetto l’architetto si ritrova anche a fare alcune considerazioni sulle parole che in alcune lingue indicano le clessidre. Osserva che in castigliano e in tedesco si fa riferimento al contenuto – reloj de arena, Sanduhr – mentre in inglese al contenitore, hourglass (accanto a questo termine in inglese sono usati anche sandglass e sand clock); in italiano e in greco ci si rifà invece all’antico  klepsydra che indicava gli orologi ad acqua. Beto trova poi in un’enciclopedia il riferimento all’Allegoria del Buon Governo (c.1340), l’affresco di Ambrogio Lorenzetti in cui una figura femminile coronata con una clessidra in mano simboleggia la temperanza; in realtà non è questa, come egli annota, la prima rappresentazione di una clessidra nell’arte, poiché in un sarcofago romano del IV secolo che rappresenta le nozze di Peleo e Teti si può osservare Morfeo che regge una clessidra.

Un’ultima nota riguarda la scansione temporale della storia, che inizia nei primi giorni di gennaio, in una fredda Monaco con un po’ di neve, e si conclude l’ultima notte dell’anno, a Maiorca, in vista di una cala che i turisti tedeschi chiamano Blitz. I capitoli sono dodici, intitolati semplicemente con i nomi dei dodici mesi, sicché l’indice del romanzo si presenta come un calendario. Piacerà ai “cronomaniaci”.
(#cronomania è l’hashtag di un gioco partecipativo su Twitter, Facebook e Instagram, legato alla mostra Dall’oggi al domani. 24 ore nell’arte contemporanea al Museo Macro di Roma fino al 2 ottobre 2016, in cui – fra l’altro – sono esposte due clessidre d’artista, opere rispettivamente di Mario Ceroli ed Enrico Benetta).

Sandra Muzzolini (@sandra_mzz)

 

In Time, il tempo è denaro, di Roberta Aureli

“Il tempo è denaro”, recita il vecchio adagio, che ci ricorda quanto esso sia prezioso e quanto sia sciocco sprecarlo in occupazioni inutili. Ma se il suo senso non si esaurisse tutto qui? Se davvero, cioè, il tempo fosse la valuta di scambio in un mondo ipotetico? Alcuni artisti hanno provato ad andare oltre il semplice modo di dire, traducendolo visivamente: come Iván Argote, che ha sviluppato un’applicazione web per mostrare l’ora in tempo reale attraverso le cifre sulle banconote del dollaro (Time Is Money, 2009 http://thetimeismoney.com/). E mentre al Macro di Roma prosegue la mostra Dall’oggi al domani. 24 ore nell’arte contemporanea e al Centro Trevi di Bolzano (fino alla primavera del 2017) è possibile interagire con la mostra multimediale Tempo & denaro. Nel cerchio dell’arte, nemmeno la finzione cinematografica si è lasciata sfuggire la possibilità di immaginare le conseguenze estreme della correlazione tra i due termini.
In Time Niccol Aureli

In Time, film distopico del 2011 scritto e diretto da Andrew Niccol (già sceneggiatore di The Truman Show), racconta di un futuro prossimo nel quale i soldi sono aboliti e le necessità o i lussi si pagano col proprio tempo. Le persone sono geneticamente progettate per smettere di invecchiare a venticinque anni: da quel momento hanno un anno bonus a disposizione, terminato il quale diventerà essenziale guadagnarsi da vivere. Letteralmente. Sul braccio di ciascuno si attiverà, infatti, un conto alla rovescia per registrare i secondi, i minuti, le ore, i giorni, i mesi, gli anni – i secoli per i super ricchi – che gli restano. Un vero orologio biologico come conto bancario, inquietante nel suo somigliare al timer degli esplosivi e azzerato il quale l’individuo cesserà di vivere.

La storia inizia il giorno del compleanno della madre del protagonista Will. Lei, nell’aspetto sua bellissima coetanea, compie in realtà cinquant’anni, o venticinque anni per la venticinquesima volta. Il suo orologio dice che le restano a malapena tre giorni di risparmi: “La metà serve per l’affitto, 8 ore per l’elettricità e c’è la rata del prestito”, ricorda al figlio, al quale tuttavia non rinuncia a dare la paghetta, “30 minuti, così avrai un pranzo decente”. Tutto in questo mondo si paga con il tempo: 4 minuti per una tazza di caffè, 1 ora per un cartone di birra, 59 anni per la macchina di lusso che Will potrà acquistare nel corso della vicenda. Al casinò si puntano secoli, mentre fuori i poveri fanno la fila davanti alla Caritas del tempo per qualche spicciolo di ora in più. E poi, all’interno di città divise in “zone orarie”, veri e propri quartieri-ghetto ordinati per fasce di reddito, si muovono i Custodi del tempo (Timekeepers nella versione originale), corpo speciale della polizia incaricato di monitorarne gli spostamenti, e la gang malavitosa dei Minute Men, che vive rubandolo agli altri.

Questo meccanismo ha effetti sulle persone e sulla loro percezione del tempo, inevitabilmente diversa tra i ricchi e i poveri. Rispetto ai primi, che possono permettersi di non badare mai al proprio orologio e aspirano a vivere per oltre un secolo, i poveri di In Time hanno un tratto distintivo che li rende ovunque riconoscibili: sono abituati ad andare sempre di fretta, per risparmiare minuti preziosi negli spostamenti tra la casa il lavoro. Anche l’espressione “vivere alla giornata” assume un significato nuovo. Normalmente intesa come propensione a cogliere l’attimo accettando ciò che arriva senza fare programmi, nel film è la cruda realtà di molti indigenti che hanno davanti ventiquattr’ore appena, rinnovabili – se si ha fortuna – con qualche espediente.

Pur concentrandosi molto sugli elementi spettacolari dell’azione senza entrare nel vivo delle implicazioni sociali ed etiche, il film di Niccol fornisce qua e là spunti per riflettere sulla crescita demografica, sull’esaurimento delle risorse, sulle disuguaglianze sociali. Quello descritto è un sistema di “capitalismo darwiniano”, come spiega il banchiere Weis, uno dei personaggi con i quali Will finirà per scontrarsi. Non il più forte sopravvive in questa società, bensì il più ricco di tempo. Weis ha perfino scelto come combinazione della sua cassaforte la cifra 1221809, che altro non è se non la data di nascita di Charles Darwin, il 12 febbraio 1809.
Roberta Aureli
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Abele Malpiedi: “è ora”, di Elena Lago

Abele Malpiedi, artista recanatese trapiantato a Milano, classe 1986, ha inventato, brevettato e prodotto un orologio privo dei suoi elementi funzionali: non ha né lancette né batteria. È presente, all’interno, il meccanismo della corona che però, se viene caricata, gira a vuoto.

Presentato al Salone del Mobile del 2014 ed esposto – nella variante a parete – al Museo del Novecento di Milano dal marzo 2016, ha un minimale quadrante a sfondo bianco con una concisa frase in nero al centro: è ora, per ricordarci che è sempre l’ora giusta per agire. Nella versione in inglese, la scritta IT’S TIME, è bianca su sfondo nero e le lettere sono disposte come i numeri, attorno al quadrante. Orologi da polso, a muro o sveglie, tutti contrassegnati da questa sorta di sollecitazione che ci rende protagonisti di un’insolita dimensione temporale. Non più un orologio “spaventoso e impassibile”, ma un “orologio concettuale” a cui è stata tolta la sua principale funzione, quella di misurare e scandire il tempo. Il curioso oggetto di Malpiedi ci permette, infatti, di immergerci in una temporalità diversa, non più regolata da numeri, ticchettii e scadenze, ma solo dal nostro impulso ad agire e a vivere il momento presente, forse regalandoci più tempo e di una qualità migliore. È l’hic et nunc che conta e che ci esorta a non dipendere né dal passato né dal futuro. In fondo, come ricorda l’artista, “la vita è un eterno gerundio”.

Malpiedi da polso
L’orologio, dio sinistro, spaventoso e impassibile  / ci minaccia col dito e dice: «Ricordati!» Così Baudelaire descriveva l’orologio in una poesia del 1860: una inesorabile minaccia che ci ricorda il passare del tempo, “giocatore avido”. Chi non ha mai pensato, almeno una volta nella vita, di rompere tutti gli orologi come il Capitan Uncino di Spielberg, tacitando quel fastidioso ticchettio, fermando, almeno apparentemente, il tempo che passa?

Nella serie di opere lanciata da Malpiedi, il perpetuo movimento circolare delle lancette scompare, lasciando il posto ad un tempo interno, scandito dai nostri umori e dalle nostre esigenze e che spesso ci porta addirittura a perdere il conto dei giorni della settimana. L’artista crede in un tempo costellato di accidentalità, “ad esempio quando finisco un quadro e allo stesso tempo finisce anche l’album musicale che avevo messo su […] non è una semplice coincidenza, ma qualcosa di più elevato […]. È molto importante saper cogliere gli attimi per entrare nel giusto ritmo.”
L’invito è quello ad “ascoltare il nostro tempo” e l’artista ha ideato anche un altro strumento per farlo, oltre al “non-orologio”: gli Occhiali riflessivi, le cui lenti sono oscurate all’esterno, mentre all’interno sono schermate da una superficie riflettente che ci permette di guardare i nostri occhi che si avvicinano sempre di più, mentre inforchiamo gli occhiali. È un oggetto affascinante che produce una sensazione di straniamento e allo stesso tempo di divertimento. Siamo sulla scia dell’opera di Penone Rovesciare i propri occhi, del 1970, un autoritratto fotografico in cui gli occhi sono ricoperti da lenti a contatto specchianti: l’artista è cieco, ha rovesciato i suoi occhi, ma può indagare nella profondità della sua interiorità e permetterci allo stesso tempo di rifletterci nelle sue iridi. Non vede, ma ci fa vedere. Abele Malpiedi dà la possibilità di indossare gli occhiali per rifletterci e riflettere, per “rovesciarci” in noi stessi e nel nostro tempo, quando sentiamo che è ora.
Elena Lago

Immagini: Courtesy Abele Malpiedi
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“Così iniziava la lettera…” un gioco su “Pagina99”

Per vedere quest’opera ci si deve affacciare a una finestrella, oppure la si può guardare in semitrasparenza dal vetro della porta chiusa a chiave: ciò che appare è una stanza in subbuglio, abbandonata dai suoi abitanti e investita da una folata di vento che trascina via le cose.
Cose di legno pesante come la scrivania, le sedie, gli scaffali e poi fogli accartocciati, pagine di giornale, libri, fiori, un pallone, un mappamondo illuminato.

Beninati gioco pagina99

Non è un incantesimo di Hogwarts, la celebre scuola di Harry Potter, anche se il tappeto che sembra scrollarsi di dosso i mobili e sollevarsi a un angolo, fa pensare a un mondo magico.
È un’opera dell’artista (e bibliotecario) palermitano Manfredi Beninati, visibile fino al 2 ottobre 2016 a Roma, Museo Macro di via Nizza 138, nella mostra Dall’oggi al domani. 24 ore nell’arte contemporanea.

Ricordi d’infanzia, sogni, andate e ritorni nel tempo (e del tempo): Beninati dà forma a questi temi immensi allestendo – con grande cura dei dettagli – dei veri ambienti in scala uno a uno, visibili attraverso un vetro, su cui chi guarda all’interno vede anche la propria immagine.

I titoli sono spesso dei lunghi appunti che introducono nell’atmosfera dell’opera, catturando chi li legge in un un gioco di riflessioni sul tempo.

In questo caso, il titolo dice: Non ho mai capito cosa s’intende per dilatazione temporale. E voi? Forse vuol dire pensiero? Così iniziava la sua lettera…”.

L’invito per i lettori del settimanale “Pagina99”  è a continuare la lettera a cui allude il titolo di quest’opera, inviando i testi a segreteria@pagina99.it
Si gioca anche su Facebook seguendo la pagina Diconodioggi e su Twitter con l’account @diconodioggi e l’hashtag #oggidomani
Ed ecco qui alcune risposte, sul sito del settimanale “Pagina99”.

Antonella Sbrilli (@asbrilli)

13 Luglio

13 luglio 2016

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Venerdì 13 luglio […] Hélas! è un venerdì 13 e, in luogo di genovesi o di qualcos’altro di pari, incontro un costantinopoletano. Era fatale! Questa terribile giornata, accoppiata alla data ancor più terribile, non sarebbe trascorsa per me senza un intoppo in qualché di tremendo: lo prevedevo (ecco, qui sono coniglio). Il pregiudizio si avvera: Taranto mi riserbava l’incontro con questo bisantino, italiano di oriente, al presente soldato nel R. Esercito per una inverosimile concordanza di casi, di sudditanze, di fedi di nascita e tutto un oscuro lavorio di cancellerie consolari

Alberto Savinio, La partenza dell’Argonauta (Hermaphrodito), 1918, Einaudi 1974, p.186

Nel caldissimo mese di luglio, un giovane soldato italiano, nato ad Atene (si tratta di Andrea de Chirico), sta viaggiando da Ferrara a Taranto, con destinazione Salonicco, dove le truppe italiane fanno base durante la prima guerra mondiale. Ha percorso lentamente la penisola – in vagoni di terza classe – e ora si trova nella città dei due mari, che gli appare come una faccia rasata a metà, la Taranto nuova e quella vecchia. Prima di raggiungere la sua destinazione, c’è un tempo d’attesa e di incontri con altri soldati, ufficiali, signore, tipi singolari, nella giornata venata di superstizione mediterranea di venerdì 13 luglio 1917.

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12 Luglio

12 luglio 2016

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Partì il dodici luglio, alle sette di mattina. Restai a J… la notte precedente. Nell’andarvi, mi promettevo di non chiudere occhio tutta la notte, per fare una tale provvista di carezze, da non avere più bisogno di Marta pel resto dei miei giorni.
Un quarto d’ora dopo essermi coricato, mi addormentai. 
In generale, la presenza di Marta mi turbava il sonno. Per la prima volta, al suo fianco, dormii bene come se fossi stato solo.
Quando mi svegliai la vidi già in piedi. Non aveva osato svegliarmi. Non mi restava che una mezz’ora prima del treno. Mi rodevo di aver sciupato nel sonno le ultime ore che avevamo da passare insieme

Raymond Radiguet, Il diavolo in corpo, 1923, tr. it. M. Ortiz, ed. cons. Garzanti, 1966, p. 112

Ultimo anno della prima guerra mondiale, in una cittadina francese lungo il corso del fiume Marna, al primo piano di una villetta, la mattina del 12 luglio. Lei è la diciottenne Marthe. Lui è il narratore della storia, un ragazzo di sedici anni. Si sono conosciuti quando lui era uno studente brillante e poco disciplinato e lei era già fidanzata con Jacques, che ora è suo marito, ed è al fronte. Sono diventati amanti, mentre il mondo intorno è preso dalla guerra. Ora lei è incinta e sta per partire. Lui la accompagna a Parigi, fino alla stazione di Montparnasse, dove la attendono i suoceri. Mancano pochi mesi all’armistizio, al parto, al ritorno alla normalità, al termine di una passione da adolescenti. Per questo, anche, la data del 12 luglio resta impressa nella memoria.

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10 Luglio

10 luglio 2016

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Addio
Luglio 10, lunedì

Al tocco ci trovammo tutti per l’ultima volta alla scuola a sentire i risultati degli esami e a pigliare i libretti di promozione. La strada era affollata di parenti, che avevano invaso anche il camerone, e molti erano entrati nelle classi , pigiandosi fino accanto al tavolino del maestro: nella nostra riempivano tutto lo spazio fra il muro e i primi banchi. C’era il padre di Garrone, la madre di Derossi, il fabbro Precossi, Coretti, la signora Nelli, l’erbaiola, il padre del muratorino, il padre di Stardi, molti altri che non avevo mai visti; e si sentiva da tutte le parti un bisbiglio, un brulichìo, che pareva d’essere in una piazza. Entrò il maestro: si fece un grande silenzio. Aveva in mano l’elenco e cominciò a leggere subito

Edmondo De Amicis, Cuore, 1886, ed. cons.Rizzoli, 1978, p. 421

L’anno scolastico raccontato nel libro Cuore e ambientato in una scuola elementare torinese è quello del 1881-82: è cominciato il 17 ottobre con la presentazione del maestro e dei compagni del narratore, Enrico, ed è proseguito con i resoconti delle vicende avvenute in classe e fuori, le lettere dei genitori e della sorella, i commoventi (e crudeli) racconti mensili, mentre regnava re Umberto e moriva Garibaldi. L’anno scolastico – e il libro – si concludono alla data del 10 luglio, quando il maestro legge i voti degli esami e hanno inizio i tre mesi di vacanza che passeranno “come un sogno”.

 

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9 Luglio

9 luglio 2016

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9 luglio. Bel tempo. Tutti furono occupati a riparare la murata di babordo. Peters si intrattenne di nuovo per un pezzo con Augustus, e parlò in maniera più esplicita di quanto non avesse fatto sino allora. Gli disse che nulla al mondo poteva costringerlo a mettersi dal punto di vista del secondo, e gli lasciò capire che intendeva strappare il brigantino dalle sue mani. Chiese anzi al mio amico se, nel caso, avrebbe potuto contare su di lui, al che, senza esitazione, Augustus rispose ‘Sì’.”

Edgar Allan Poe, Le avventure di Gordon Pym, 1838, tr. it. E. Vittorini (1937), ed. cons. Mondadori, 1990, p. 73

Il barometro segna bel tempo il 9 luglio del 1827, nel diario di bordo del giovane navigatore Arthur Gordon Pym. Si è imbarcato di nascosto, da meno di un mese, sul brigantino Grampus partito dal porto di Nantucket. Il viaggio è pieno di avvenimenti così straordinari che egli stesso, nel raccontarli, teme di non essere creduto. Subito dopo la partenza, all’altezza delle isole Bermude, un gruppo di ammutinati ha preso il comando della nave. Il 9 luglio è appena passata una tempesta e mentre i marinai discutono se far rotta verso le Antille per darsi alla pirateria, Gordon Pym e due compagni fidati decidono di riprendere in mano il brigantino. Ci riusciranno e il viaggio li porterà verso l’Antartide, fra fenomeni inspiegabili su cui la narrazione si interrompe.

 

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8 Luglio

8 luglio 2016

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L’8 luglio 1940 sale con lui nel crepuscolo, per una breve passeggiata, fino alla piscina vuota. Le lucertole serpeggiano sul fondo asciutto. Si appoggia al suo braccio mentre scendono: 
“Dimmi che mi ami come il primo giorno”.
“Ti amo come il primo giorno” dice lui

Giuseppe Pontiggia, Vite di uomini non illustri, 1993, Mondadori, p. 113

Quella di Nena Prinzhofer è una delle tante vite di persone non illustri raccontate da Giuseppe Pontiggia seguendo “la scansione cronologica” delle biografie, applicata a figure anonime, che non sono presenti nei libri di storia. Nena è una donna avvenente, di origine svizzere ma nata in Italia. È stata sposata con un conte, ha incontrato un amante di nome Carlo, per il quale si è separata e con cui vive sul lago di Bolsena. Alla data del 10 giugno 1940, giorno della dichiarazione dell’entrata in guerra, Nena è presa dalla scoperta di un capello femminile sulla giacca di Carlo e, con una vena di gelosia un po’ folle, cerca rassicurazioni sulla fedeltà del compagno, come in questo 8 luglio, mentre l’Italia è coinvolta nel conflitto mondiale da meno di un mese.

 

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7 Luglio

7 luglio 2016

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Finalmente una sera – ma quanto tempo c’era voluto – un lumicino tremolante apparve entro la lente del cannocchiale, fioco lume che sembrava palpitare moribondo e invece doveva essere, calcolata la distanza, una rispettabile illuminazione. Era la notte del 7 luglio. Drogo per anni si ricordò la gioia meravigliosa che gli inondò l’animo e la voglia di correre a gridare, perché tutti quanti lo sapessero, e la orgogliosa fatica di non dir niente a nessuno, per la superstiziosa paura che la luce morisse

Dino Buzzati, Il deserto dei Tartari, 1940, Mondadori 1984, pp.84-85

L’imponente Fortezza Bastiani sbarra un valico fra le montagne che segnano il confine settentrionale del paese e fronteggia un deserto, chiamato dei Tartari. È da quel confine che possono arrivare le truppe nemiche, ma il pericolo è vago e lontano, così vago che l’attesa sempre smentita diventa piano piano speranza, perché l’arrivo degli stranieri darebbe infine un senso alla presenza dei militari, al regolamento talvolta incomprensibile, ai turni di guardia che scandiscono giornate e notti tutte somiglianti. Da quando è stato assegnato alla Fortezza come sottotenente, Giovanni Drogo ha scrutato dagli spalti in attesa di avvistare il nemico. Nel tempo monotono della sua permanenza alla Fortezza, poche date emergono e fra queste il 7 luglio, quando Drogo scorge una luce all’orizzonte, segno che qualcosa sta accadendo nel deserto, qualcuno sta costruendo una strada. Nulla però cambia nell’immediato. La novità – che pare così importante – è diluita nel lungo periodo dell’attesa e ci sarà tempo per andare in pensione, per morire, per avere una promozione, prima che, forse, qualcuno arrivi.

 

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6 Luglio

6 luglio 2016

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La fiesta esplose a mezzogiorno di domenica 6 luglio. Non c’è altro modo di descrivere ciò che avvenne. Era tutto il giorno che arrivava gente dalla campagna, ma si mimetizzavano nella città e non li notavi. Sotto il sole cocente, la piazza era tranquilla come in qualsiasi altro giorno. I contadini erano nelle osterie fuori mano, a bere e a prepararsi alla fiesta

Ernest Hemingway, Fiesta, 1926, tr. it. E. Capriolo, Mondadori 1990, p. 154

Dopo mesi trascorsi a Parigi con scrittori, boxeur, viaggiatori inglesi e americani in giro per l’Europa dopo la fine della prima guerra mondiale, il giornalista Jake Barnes è partito per la Spagna. All’inizio di luglio si trova a Pamplona, antica capitale della Navarra che celebra il suo patrono San Firmin con sette giorni di processioni, danze, corride, precedute dalla corsa dei tori lungo le strade, in mezzo alla folla. Barnes alloggia all’Hotel Montoya, dove scendono anche i toreri più famosi. Tutto è pronto per l’inizio della Fiesta, che esplode come un fuoco d’artificio a mezzogiorno del 6 luglio, trascinando spagnoli e stranieri in eccessi e azzardi che lasciano conseguenze anche oltre quella data.

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5 Luglio

5 luglio 2016

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Comunque sia, i nostri trovarono il posto così piccolo che temettero di non trovarvi da dormire, e andarono oltre come due viaggiatori che disdegnano una cattiva locanda di villaggio e si spingono fino alla città più vicina. Ma il Siriano e il suo compagno se ne pentirono presto. Camminarono a lungo senza trovare nulla. Alla fine scorsero un lumicino; era la terra: roba da far pena a gente che veniva da Giove. Tuttavia, per paura di doversi pentire per la seconda volta, risolsero di sbarcare. Passarono sulla coda della cometa e, trovando un’aurora boreale pronta, ci entrarono dentro, e arrivarono sulla terra dal bordo settentrionale del mar Baltico, il cinque luglio millesettecentotrentasette, nuovo stile

Voltaire, Micromega, 1752, tr. it. M. Moneti in Candido, Zadig, Micromega, L’ingenuo, Garzanti 1973, ed. cons. 2012 e-book

In questo racconto fantastico di Voltaire, il protagonista è uno scienziato di proporzioni gigantesche, di nome Micromega, abitante di un pianeta che gira intorno alla stella Sirio. Bandito dal suo paese a causa di una pubblicazione non gradita alle autorità, è partito per un viaggio stellare. Su Saturno, pianeta molto più piccolo di quello da cui proviene, ha conversato con un filosofo del posto, confrontando le idee sulla natura e sulla durata della vita. Insieme proseguono il viaggio, saltando dagli anelli di Saturno alle sue lune, da una cometa ai satelliti di Giove, da Marte a un minuscolo pianeta, la Terra, con abitanti quasi invisibili. Percorrendo un’aurora boreale sulle coste del mar Baltico, sbarcano su questa piccola palla “che gira intorno al sole in modo maldestro”, in un giorno che – secondo il calendario – è il 5 di luglio del 1737.

 

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4 Luglio

4 luglio 2016

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Credo che fosse il quattro di luglio quando mi levarono la sedia da sotto il culo. Non una parola di preavviso. Uno dei grossi pescicani che stanno dall’altra parte dell’Oceano aveva deciso di fare economie; risparmiando sui correttori di bozze e sulle povere piccole dattilografe riusciva a pagarsi le spese dei viaggi avanti e indietro e il sontuoso appartamento che occupava al Ritz.
(…) il pensiero m’era tornato al Quattro di Luglio, quando comprai il mio primo pacco di mortaretti, e assieme i lunghi bastoncini d’esca, l’esca che si accende per fare una bella fiamma rossa, l’esca col suo odore che ti rimane attaccato alle dita per giorni e ti fa sognare strane cose

Henry Miller, Tropico del Cancro, 1934, tr. it. L. Bianciardi, Feltrinelli 1967 (ed. cons. 1973) p. 181, p.192

È il 4 luglio quando il protagonista di Tropico del Cancro – un giovane americano a Parigi tra gli anni ’20 e ’30 – viene licenziato in tronco dal giornale dove lavora come correttore di bozze, mentre cerca di avere la testa lucida dai fumi dell’alcol, del sesso e dell’immaginazione. A Parigi conduce una vita intensa e debosciata, in alberghi miseri, in compagnia di altri aspiranti scrittori, artisti, viaggiatori e viaggiatrici. È duro per lui perdere il lavoro al giornale e di nuovo andare in cerca di un modo per sbarcare il lunario: scrivere tesi di laurea o posare nudo, abbordare turisti o insegnare inglese, e attendere denaro dagli Stati Uniti. Tanto più che il 4 luglio si celebra in patria la dichiarazione d’Indipendenza e il pensiero corre alla giornata di festa, alle confezioni di mortaretti e all’odore esotico della miccia che resta attaccato alle dita e alla memoria.

 

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3 Luglio

3 luglio 2016

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Era il tre luglio. C’erano un’afa e una calura insopportabili. A Velciàninov era capitata una giornata fastidiosissima; tutta la mattina aveva dovuto girare a piedi o in vettura, e in prospettiva c’era la necessità imprescindibile di far visita quella sera stessa a un signore di cui aveva bisogno, uomo d’affari e consigliere di stato, nella sua villa, da qualche parte sul Fiumicello Nero, e coglierlo in casa di sorpresa. Dopo le cinque Velciàninov entrò finalmente in un ristorante (molto dubbio, ma francese), sul Nevskij prospékt presso il ponte della Polizia, sedette nel suo solito angolo al suo tavolino e chiese il suo pranzo quotidiano

Fiodor Dostoevskij, L’eterno marito, 1870, tr. it. A. Polledro, Mondadori 1989, p. 10

È il 3 luglio di un anno dell’Ottocento, quando ha inizio la vicenda di Velciàninov, che invece di partire per la villeggiatura, decide di restare a Pietroburgo per stare dietro a una causa. È un uomo sui quarant’anni, soffre d’insonnia e da qualche tempo ha l’impressione di essere seguito. Lo aspetta in effetti l’incontro con il marito di una sua ex amante e con una bambina di otto anni, Liza, forse la figlia avuta da quella relazione. Preso da questa rivelazione e dalle sue conseguenze, Velciàninov dimentica “perfino il tempo”, in quel luglio afoso trascorso in città.

 

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2 Luglio

2 luglio 2016

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“Oggi ho tratto l’oroscopo” disse l’Armeno, “e ho veduto che questa sera deve portarmi qualcosa. Saturno minaccia, Marte è neutrale, Giove domina. O Klingsor Li Tai Pe, non siete voi un nato di luglio?”
“Son nato il 2 luglio.”
“Lo pensavo. C’è gran confusione nelle vostre stelle, amico, solo voi potreste interpretarle. La fecondità vi avvolge come una nuvola pronta a scoppiare. Le vostre stelle stanno in uno strano congiungimento, Klingsor; dovreste sentirlo”

Hermann Hesse, L’ultima estate di Klingsor, 1920, tr. it. B. Allason, in Romanzi, I Meridiani Mondadori 1977, p. 627

L’ultima estate del pittore Klingsor trascorre in una località “del sud” fra monti, boschi, vallate, distese di girasoli e amici, con cui parlare di arte e poesia. Il mese di luglio è particolarmente intenso per il pittore, che cerca di fissare i colori infuocati dell’estate al suo culmine, come se presentisse, di lì a poco, il volgere della stagione e della sua stessa vita. Del resto luglio è il suo mese, essendo nato – come veniamo a sapere dall’astrologo che gli fa l’oroscopo – il 2 di luglio. Lo stesso giorno in cui era nato, nel 1877, l’autore del romanzo, Herman Hesse.

 

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I Luglio

1 luglio 2016

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Primo luglio. Divide l’anno come la scriminatura divide una testa di capelli. Lo avevo previsto come un segno di confine: ieri un me, domani un me diverso. Avevo fatto le mie mosse, irripetibili. Tempo e incidenti erano entrati nel giuoco, erano parsi collaborare con me. Non avevo nemmeno cercato di nascondere a me stesso quel che stavo facendo. Nessuno mi aveva spinto a prendere la strada che avevo scelto

John Steinbeck, L’inverno del nostro scontento, 1961, tr. it. L.Bianciardi, Mondadori ed. cons. 1991, p. 264

Il primo luglio del 1960 è una data spartiacque per Ethan Hawley, discendente di una famiglia di balenieri, un tempo proprietario di un negozio di alimentari nella cittadina di New Baytown e ora commesso nel negozio gestito da Marullo, immigrato negli Stati Uniti dalla Sicilia. Scontento della sua condizione, Ethan è ossessionato dal motto che i soldi fanno i soldi, poco importa che vengano da speculazioni, quiz televisivi truccati o bravura negli affari. Per tutto l’inverno ha meditato su come cambiare la vita sua e della sua famiglia, progettando addirittura una rapina in banca per i primi di luglio. La rapina non avrà luogo, ma molte cose cambieranno a partire da quella giornata estiva, quando “il confine orlato di luce a oriente era luglio, perché giugno se n’era andato via quella notte”.

 

 

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30 Giugno

30 giugno 2016

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L’indomani, martedì 30 giugno, alle sei, la discesa riprese. Seguivamo sempre la galleria di lava, vera rampa naturale, dolce come quei piani inclinati che sostituiscono le scale in certi antichi palazzi. Continuammo così fino a mezzogiorno e diciassette minuti, l’istante preciso in cui Hans, che ci precedeva, si fermò.
– Ah, – esclamò mio zio, – siamo arrivati a una biforcazione!
Mi guardai intorno: eravamo al centro di uno slargo da cui partivano due strade, entrambe scure e strette. Quale scegliere?

Jules Verne, Viaggio al centro della Terra, 1864, tr. it. C. Fruttero e f. Lucentini, Einaudi 1989, p. 54

Le date hanno grande importanza nel Viaggio al centro della Terra. In un antico documento ritrovato dallo scienziato tedesco Lidenbrock nel maggio del 1863, si parla di un cratere, in Islanda, che conduce al centro del pianeta. Per identificarlo, bisogna seguire l’ombra proiettata su di esso da un monte, negli ultimi giorni di giugno. Lo scienziato, insieme al nipote Axel che racconta la storia, parte subito alla volta dell’Islanda e lì, identificato il cratere, ha inizio l’esplorazione, lungo strade e gallerie di lava, come questa in cui si trovano a mezzogiorno del 30 giugno, mentre scendono in direzione sud-est.

 

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29 Giugno

29 giugno 2016

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Sebbene, specie da principio, lo sforzo fosse durissimo, mi feci una sorta di punto d’onore di sottostare scupolosamente ai divieti di Micòl. Basti dire che essendomi laureato il 29 di giugno, ed avendo immediatamente ricevuto dal professor Ermanno un caldo bigliettino di felicitazioni nel quale era contenuto, tra l’altro, un invito a cena, credetti opportuno rispondere di no, che mi dispiaceva ma non potevo. Scrissi che avevo mal di gola, e che il papà mi proibiva di uscire la sera. La ragione vera del mio rifiuto, tuttavia, era che dei venti giorni di esilio impostimi da Micòl, ne erano trascorsi soltanto sedici

Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini, Einaudi, 1962, p. 241

Nella storia dell’amicizia del narratore con la famiglia Finzi-Contini – soprattutto con la giovane Micòl – nella Ferrara degli anni Venti e Trenta del Novecento, si incontrano poche date. Alcune richiamano avvenimenti storici, come le infauste leggi razziali contro gli Ebrei, emanate nel 1938. La data del 29 giugno appare verso la fine della vicenda, è il giorno della laurea del protagonista, la cui felicità è incrinata dalla promessa fatta a Micòl di non vedersi per un po’. Il 29 giugno richiama, come un chiasmo, il primo incontro fra i due giovani, nel giugno del ’29 quando il narratore, rimandato agli esami di licenza ginnasiale, era capitato sotto il muro di cinta della dimora dei Finzi-Contini. E Micòl, allora tredicenne, l’aveva invitato a scavalcare il muro per entrare nel giardino. Quando la vicenda viene raccontata, la famiglia Finzi-Contini è stata decimata dalla guerra e dall’Olocausto e il narratore si chiede: “Quanti anni sono passati da quel remoto pomeriggio di giugno?”

Il 29 giugno 2015 a Fahrenheit – Radio 3 Rai conversazione di Tommaso Giartosio con Alberto Bertoni, Roberto Pazzi e Antonella Sbrilli su Giorgio Bassani e i suoi 29 giugno (leggi razziali del 29 giugno 1939 e nascita del figlio dello scrittore).

 

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28 Giugno

28 giugno 2016

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Quando fu sul marciapiede, rimase per un attimo immobile, incerto sul da farsi. Era il 28 di giugno, e gli restavano in tasca solo tre franchi e quaranta per tirare avanti fino alla fine del mese. Il che significava due pranzi senza colazione, o due colazioni senza pranzo, a scelta. Dato che i pasti del mattino costavano ventidue soldi rispetto ai trenta di quelli della sera, pensò che limitandosi ai primi gli sarebbe avanzato un franco e venti centesimi, la qual cosa significava altri due spuntini a base di pane e salame, più due boccali di birra sul boulevard. Ch’era poi tutta la spesa e tutto il piacere delle sue notti; e s’avviò lungo rue Notre-Dame de Lorette

Guy de Maupassant, Bel-Ami, 1885, tr. it. D. Selvatico Estense, Mondadori, 1993, p. 5

È una giornata calda come un forno a Parigi, il 28 giugno di un anno alla fine dell’Ottocento. Il giovane impiegato delle Ferrovie Georges Duroy, tornato dall’Algeria, con pochi soldi in tasca e molta sete, sta per incontrare l’amico ed ex commilitone Charles Forestier, che lo introdurrà nel mondo del giornalismo. Quel giorno di giugno comincia per Georges – detto Bel-Ami,amico del cuore – la personale discutibile scalata alla società parigina, dalla redazione del giornale La Vie Française, ai salotti della politica e della finanza, alle donne importanti, fra le quali anche la moglie dell’amico incontrato il 28 giugno, al principio della storia.

 

 

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27 Giugno

27 giugno 2016

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Un tardo pomeriggio radioso. Un sole quasi languido nelle strade tranquille della Rive Gauche. E ovunque la gioia di vivere, sui visi, nei mille rumori familiari della strada. 
Ci sono giorni come questo, in cui l’esistenza è meno banale, e i passanti sui marciapiedi, i tram e le auto sembrano uscire da una fiaba.
Era il 27 giugno. Quando Maigret arrivò alla postierla della Santé, la guardia osservava intenerita un gattino bianco che giocava con il cane della lattaia.
E ci sono giorni in cui anche il selciato dev’essere più sonoro. I passi di Maigret risuonarono nell’immenso cortile

Georges Simenon, La balera da due soldi, 1931, tr. it. E. Vicari, Adelphi e-book 2012

Come spesso accade nelle storie del commissario Maigret, l’atmosfera della giornata è una cornice in cui tutti gli eventi narrati si dispongono, sia i crimini che vengono commessi, sia la vita simultanea della città e soprattutto le mosse, i pensieri, i tragitti dello stesso commissario. Il 27 giugno – un giorno di luce straordinaria, che contrasta con il luogo in cui si dirige – Maigret varca la porta della prigione per incontrare il condannato a morte Jean Lenoir, per il quale quel 27 giugno è l’ultimo giorno. Ma l’incontro fra i due è anche l’ingresso in un’altra storia, accaduta anni prima e segnata da altre date da ricostruire, mentre l’estate si fa più calda e Maigret rimanda le ferie in campagna di giorno in giorno.

 

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