Sara Morawetz: Marte a Roma (il I giugno 2017)

Sara Morawetz si presenta come un’artista interdisciplinare che esplora le profonde connessioni fra ricerca scientifica e artistica. Di lei e dei suoi esperimenti sul tempo ha scritto su questo blog Roberta Aureli nell’articolo Un giorno su Marte. Il testo faceva riferimento in particolare a un’opera dell’artista di origine australiana, un’opera dal titolo How the Stars Stand, consistente in una performance dominata da un vincolo: dalle 9 del mattino del 15 luglio 2015 fino alle  18 del 21 agosto, l’artista ha organizzato le sue giornate e le sue notti sull’ora di Marte, sperimentando slittamenti e derive del tempo.
“I have been in another time – another place – somewhere in between Earth and Mars // awake and asleep… transitioning through thoughts – ideas – feelings in a real time that is entirely of my own creation…”, scrive l’artista a proposito di questo soggiorno straniante in un diverso trascorrere del ritmo sonno/veglia, luce/buio. 

Il I giugno 2017, in dialogo con Antonella Sbrilli e Roberta Aureli, Sara Morawetz racconta quella esperienza – ed altre azioni su e intorno al tempo – in un incontro pubblico presso il Dipartimento di Storia dell’arte e Spettacolo della Sapienza (piazzale Aldo Moro, 5 – Facoltà di Lettere e Filosofia, aula 2 – ore 11).

(Immagine: two times//two watches Credit: Sara Morawetz/Instagram)

 

23 Aprile: libri nel tempo

Il 23 aprile si celebra la giornata mondiale del libro e questa data è stata scelta dalla rivista “Alfabeta2” per pubblicare l’intervista all’artista Katie Paterson, l’autrice del progetto Future Library. Un progetto partito nel 2014 e destinato a compiersi a cento anni da allora, nel 2114. L’avvio è la piantagione di una foresta di 1.000 abeti norvegesi nelle vicinanze di Oslo, il compimento sarà il taglio di quegli alberi e la loro trasformazione nella carta che servirà a stampare un’antologia di testi che vengono scritti – un anno dopo l’altro – dalle autrici e dagli autori invitati.

Ogni anno, nel pieno della primavera, il testo viene consegnato (su carta e in digitale), durante una cerimonia nella foresta, senza rivelare nulla della sua natura, del contenuto, dello stile, della lunghezza.
Un’opera sulla fiducia: nelle tante persone e istituzioni coinvolte al proseguimento dell’impresa; nella continuità dell’esperienza della lettura; nella presenza futura dei libri.
Sandra Muzzolini, nel post 100 libri futuri, aveva parlato su diconodioggi.it di questo progetto al suo avvio, nel 2014.
Qui il sito di Future Library
Qui il pezzo di Laura Leuzzi e Antonella Sbrilli su “Alfabeta2”, La biblioteca del futuro. Una conversazione con Katie Paterson

#alfagiochi con “Alfabeta2”

Da dicembre 2016 Antonella Sbrilli tiene una rubrica quindicinale di giochi con i lettori e le lettrici sulla rivista on line “Alfabeta2“: giochi con le parole, con la scrittura, con il tempo, con le immagini: #alfagiochi

 

Intitolati/Intitolate: anagrammi di artisti che potrebbero essere anche titoli di mostre, coerenti con la produzione e le idee degli anagrammati (puntate dell’11 dicembre 2016, 8 gennaio 2017, 22 gennaio 2017)

L’oracolo in Archivio: interrogazione dell’Archivio della rivista tramite parole-chiave (Alfabeta 2 – 25 dicembre 2016)

#Alfagiochi: A cercasi; In cerca della L; La forma della F; La B di (alfa)Beta; Ecce E (gioco in corso dal 5 febbraio 2017)

a questo link l’indice della rubrica con tutti i giochi.

 

ArtPlug&Play: il blog di Elena Lago

La testata del blog ArtPlug&Play, aperto da Elena Lago sulla piattaforma wordpress e dedicato a quelle forme di arte contemporanea in cui l’interazione, l’immersione virtuale, l’aumento di dati siano caratteri decisivi, è  un disegno dell’illustratore e musicista Lucien Clear. Una figura dinoccolata – capelli platino e mise total black –  punta il dito indice della mano sinistra sul nome del blog, scritto su un cartello e a sua volta oggetto di puntamento da parte di un’altra mano sinistra: quella che proviene dal dipinto di Marcel Duchamp Tu m’, esempio precoce (1918) e quasi profetico dell’importanza del click e del touch nell’arte contemporanea.

ArtPlug&Play
A rendere più densa la situazione, la scritta e la manina duchampiana appaiono come una proiezione dell’esperienza percettiva che la figura  sta vivendo grazie al visore VR che indossa.
Fedele al programma del suo titolo, il blog presenta opere d’arte e situazioni creative da toccare obbligatoriamente, da attivare con un’azione o un’interferenza, oppure da esplorare immergendosi nella visualizzazione di ambienti aumentati, anche esterni (tema di cui Elena Lago è specialista).
Non mancano in questo programma opere che trattano il tema del Tempo, nel suo intreccio con la memorizzazione e la resa grafica di dati quotidiani e di scambi a distanza.
Antonella Sbrilli (@asbrilli)

 

 

Una tesi su Diconodioggi

Dal Gioco dei giorni narrati (Giunti, 1994) alla versione in Realtà Virtuale Oculus Rift della mostra Dall’oggi al domani. 24 ore nell’arte contemporanea (Museo Macro di Roma, 2016), passando – nell’arco di venti anni – per il database della raccolta di citazioni sui giorni, per questo blog e per la rete dei social: è questo il tema di una lusinghiera – per Diconodioggi – tesi di laurea discussa in quest’anno accademico presso l’Accademia di Belle Arti di Frosinone.

tesi Accademia Frosinone

L’autrice è Martina Frattarelli e la sua relatrice Loredana Finicelli, docente presso il Corso di laurea in Conservazione e restauro dei materiali dell’arte contemporanea.

Titolo della tesi: “Dall’oggi al domani. 24 ore nell’arte contemporanea. Caratteri di innovazione nella comunicazione multimediale dell’esposizione.

La tesi ripercorre con chiarezza l’origine e l’evoluzione del progetto e il suo riversamento su canali editoriali, mezzi e situazioni diverse: un libro antologico, un database relazionale, una mostra animata da eventi e interazioni, una ricostruzione VR, un blog collaborativo. Ecco l’indice:

Capitolo 1: I progetti editoriali
1.1 Il Gioco dei giorni narrati
1.2 La Bustina di Minerva
1.3 Il Database
1.4 Dicono di oggi: “Era una notte buia e tempestosa. Va bene, ma in quale data?”
1.5 Da Toni A. Brizi ad Antonella Sbrilli

Capitolo 2: La Mostra.Dall’oggi al domani. 24 ore nell’arte contemporanea
2.1 Le nuove concezioni temporali nel ‘900
2.2. Il tempo nell’arte del ‘900. La performance, l’happening. Fluxus
2.3 L’arte di Alighiero Boetti
2.4 Alighiero Boetti e il tempo
2.5 La mostra: sviluppo e caratteri innovativi
2.5.1 Lo sponsor Bulgari
2.5.2 I percorsi tematici. Un rapido sguardo alla mostra
2.5.3. La comunicazione. La didattica e l’interazione con il pubblico

Capitolo 3: L’applicazione multimediale
3.1 La premessa: “Nel Cerchio dell’arte”
3.2. Realizzazione del progetto virtuale
3.3. Arte e tecnologie

Bibliografia e sitografia chiudono questo lavoro, che – speriamo – trovi diffusione e seguito.
(a.s.)

 

Ore di luce, ora

Una delle più belle opere che trattano il tema dei fusi orari è il capolavoro di Olafur Eliasson dal titolo Daylight map, del 2005.
L’opera consiste di 24 tubi al neon sagomati come le linee verticali che suddividono la Terra in zone col medesimo orario. Tali linee, lungi dall’essere diritte, si presentano spezzettate, zigzaganti, con rientri e scarti verso est od ovest, poiché seguono confini e situazioni collegate alla mappa politica del pianeta. L’opera dell’artista danese-islandese è un dispositivo che – grazie a timer e sequenziatori – funziona in tempo reale: i tubi  infatti si accendono in corrispondenza delle zone illuminate in quel momento nel pianeta e si spengono di conseguenza nel momento in cui su quella zona oraria cala la notte.

Eliasson Daylight mao 2005

Olafur Eliasson, Daylight map, 2005 (dal sito olafureliasson.net)

Due aspetti sorprendono e affascinano in questa installazione. Uno riguarda lo spazio e la sua rappresentazione: visualizzate al di fuori dal contesto familiare dell’atlante, queste linee non danno nessun indizio dei paesi che attraversano, rendendo irriconoscibile la mappa dal punto di vista geo-politico. L’altro aspetto concerne il tempo e la (sempre) sorprendente constatazione che il presente è insieme universale e locale, condiviso e circoscritto.
Il genio di Olafur Eliasson sintetizza così il tema per lui dominante della luce diurna nel suo intreccio con il tempo e l’intreccio di entrambi (luce e tempo) con l’esistenza biologica delle specie viventi e con la convenzione politica e sociale delle comunità. E ne ricava una partitura ritmica, che sincronizza il flusso continuo della luce con la struttura spaziale della griglia.
Nella notte fra il 25 e il 26 marzo 2017, nei paesi che la adottano, va in vigore l’ora legale: in Italia sono 101 anni – salvo qualche lunga interruzione – che l’espediente per allungare le giornate estive è attivo.
Gli effetti di questo jet-lag, ridotto ma concreto, si risentono nei ritmi circadiani e nelle abitudini, generando piccole confusioni sul prima e sul dopo (che ore sono? che ore sarebbero?).
La mappa luminosa dell’artista Eliasson – con la forza e la poesia della sua evidenza – fa riflettere su tutto questo, movimenti della terra, convenzioni di misurazione, passaggi di tempo, di cui i grandi e sconosciuti artigiani sono i compilatori degli orari dei voli aerei intercontinentali.

Antonella Sbrilli (@asbrilli)

Il Tempo sotto vetro in un libro di Roberta Aureli (Bulzoni editore)

Fra i diversi motivi per i quali leggere il libro di Roberta Aureli, La campana di vetro. Trasformazione della “camera di compensazione per sogni e visioni” nelle pratiche artistiche contemporanee (Bulzoni editore, Roma 2017), c’è un capitolo sul Tempo.
Dopo aver ripercorso la storia della campana di vetro – ambivalente oggetto d’arredo, cupola da salotto che racchiude ogni sorta di memorabilia privati o naturali – risalendo dalle case vittoriane fino alle visioni dei Surrealisti; dopo aver trattato nei dettagli le scatole-vetrina di Joseph Cornell e il loro riverbero che da New York arriva anche in Italia, in certe opere di Munari, Dangelo, Del Pezzo; dopo aver rintracciato il retaggio della campana di vetro nelle poetiche della miniatura, della meraviglia, del frammento, della mutilazione, della reliquia, variamente declinate a cavallo della grande guerra, Roberta Aureli si rivolge all’epoca contemporanea, allestendo una mostra ideale di “campane di vetro” reinterpretate da una rosa di artisti ed artiste internazionali. Qui troviamo le messe in scena di David LaChapelle, gli “accostamenti impervi” di Pablo Mesa Capella, i giocattoli di Lucas Mongiello, l’estetica bonsai di Aiba Takanori. E molte altre significative esperienze, che riconducono una parte consistente della ricerca attuale alla fascinazione per la Wunderkammer, agli sconfinamenti nell’immaginario scientifico e fantascientifico, alle simulazioni di habitat e di universi sotto vetro.
Aureli Campana di vetroÈ nel sesto capitolo, dall’eloquente titolo Custodire il tempo, che la dimensione temporale – evocata dalla funzione conservatrice della campana di vetro  – si rivela come contenuto stesso delle opere. Il capitolo si apre con una citazione dal trattato che Ernst Jünger dedicò nel 1954 alle clessidre, Il libro dell’orologio a polvere:  “Il tempo dilegua ma non svanisce”. L’artista al centro del capitolo è Chiara Camoni (Piacenza, 1974), presentata con alcune imprese emblematiche: l’esposizione del 2006 dal titolo (Di)segnare il tempo, in cui erano raccolti centinaia di disegni realizzati e firmati dalla nonna dell’artista, che per mezzo di una fitta trama di stelle e asterischi, ” aveva segnato sulla carta il tempo”, scandendo “come un metronomo il passare dei giorni”.
Nei lavori di Camoni “c’è il tempo dei ritmi e delle scansioni, il tempo della lotta contro la materia, il tempo lungo e paziente della creazione artigianale; c’è il tempo dei calendari e, soprattutto, il tempo condiviso con coloro ai quali l’artista delega il lavoro” – scrive Roberta Aureli – soffermandosi poi sull’opera Clessidra, presentata in una mostra del 2004. Si tratta di una clessidra sistemata – per l’occasione della mostra –  dentro una campana di vetro di misura molto maggiore rispetto a quella necessaria per contenere il piccolo oggetto, che appare simile ai segnatempo che corredano tanti giochi da tavolo. La sproporzione fra lo scorrere del tempo e la possibilità di controllarlo e misurarlo si lega così ai passatempi, ai giochi e ai ritmi con cui lo si riempie.
La trattazione di Roberta Aureli prosegue – dopo il capitolo sul Tempo – con una serie sorprendente di rivisitazioni della campana di vetro, che spaziano dall’Europa agli Stati Uniti, all’Australia, alla Cina, al Brasile (The Eight Day di Eduardo Kac), con un forte nucleo britannico (Damien Hirst, Kate McGwire, Janie Graham e Georgia Russell, Justine Smith, Jake e Dinos Chapman); per l’Italia spiccano David Casini, con le sue miniature di ecomostri e utopie politiche allestite sotto vetro e Sebastiano Mauri, con i suoi arrangiamenti di mondi in cui convivono creature aliene e terrestri, divine e umane. Il libro si chiude con riferimenti a campane di vetro metaforiche e futuribili, invisibili cupole colossali capaci di racchiudere intere comunità, bolle di cristallo esplorabili nello spazio-tempo.
Antonella Sbrilli (@asbrilli)

Il blog di Roberta Aureli, PlaychesswithMarcel.tumblr.com

Il Tempo senza date di Ghirri (a Narni, febbraio 2017)

“In febbraio leggo e studio molto” annotava Beppe Sebaste nel Calendario, il testo che apre la raccolta di scritti dal titolo Cafè Suisse e altri luoghi di sosta (Feltrinelli, 1992), dove lo scrittore – parmense di nascita – capta atmosfere e risonanze, cieli e stati d’animo, memorie di posti e città disparate. Quella raccolta era dedicata al fotografo Luigi Ghirri, un maestro di luoghi e di cieli: nel 1974 ne fotografò 365, uno al giorno, e ne scelse 28 per allestire il calendario celeste di un febbraio non bisestile (è stato esposto alla mostra Dall’oggi al domani, Macro 2016).
Ghirri Cieli febbraio 1974
Ghirri ritorna in una nuova iniziativa di Beppe Sebaste: l’artista ora è il fulcro della mostra dal titolo La Casa e le Stagioni – Casa Ghirri, che si apre sabato 18 febbraio 2017 (25 anni e 4 giorni dopo la scomparsa del maestro, avvenuta il 14 febbraio 1992). La mostra ha luogo a Narni, ne La Stanza, lo spazio espositivo aperto da Sebaste in via del Campanile 13. “Uno spazio laboratorio di pratiche e linguaggi. Un luogo di creazione, ma anche di ricerca e di raccoglimento, di felicità, di pellegrinaggio”, in cui ha già trovato forma, nel 2016, il progetto Ci sono cieli dappertutto.
Ghirri è la presenza numinosa di questo spazio, chNarni via del campanilee ora presenta  le immagini di un reportage compiuto da Sebaste con tre amici fotografi – Daniele De Lonti, Vittore Fossati e Gianni Leone – intorno all’ultima  casa di Ghirri a Roncocesi, nei pressi di Reggio Emilia, reportage avvenuto alla morte della moglie e collaboratrice di Ghirri, Paola, che per vent’anni aveva tenuto viva la memoria e l’archivio del marito. Il titolo La Casa e le Stagioni fa riferimento all’ultimo irrealizzato progetto del grande fotografo: la destinazione di un casolare nei pressi della casa di Roncocesi a luogo di raccolta ed esposizione di opere collegate al ritmo ciclico delle stagioni, un tempo senza date e senza griglie. A questo progetto, nel 2009, Elisabetta Sgarbi ha dedicato il film Deserto rosa. 
Nel corso del vernissage della mostra di Narni verranno letti testi e dediche di amici scrittori per Casa Ghirri.
Il blog di Beppe Sebaste “mantenere la parola”.
Antonella Sbrilli (@asbrilli)

Nuove notizie dal Tempo

Il tempo non si ferma e l’arte cerca sempre nuovi modi di volgere in creatività il vincolo del suo passare. Terminata la mostra Dall’oggi al domani. 24 ore nell’arte contemporanea (Roma, Macro 2016), Diconodioggi continua a raccogliere opere che hanno a che fare con la dimensione temporale. Ecco una lista di alcune realizzate nel 2016 e al principio del 2017.

Marilyn Arsem, 100 Ways to consider Time (November 2015 – February 2016)

Manfredi Beninati, Domenica 10 dicembre 2039 (Sunday December 10th 2039), Firenze, 2016

Claude Closky, ‘2017 Calendar,’ 2016

Tacita Dean, When first I raised the Tempest, 2016

Pamela Diamante, 20162016

Olafur Eliasson, The Shape of Disappearing Time, 2016

Douglas Gordon, I Had Nowhere to Go, 2016

Christian Marclay, Lids and Straws (One Minute), 2016

Thomson & Craighead, Temporary Index, 2016

Federico Pietrella, 18, 19, 20, 21 January 2017, 2017

il libro di Luca Vitone, Effemeride Prini, Quodlibet, Macerata 2016

Nell’immagine di apertura: Fili di tempo, assemblage di Dario Di Stefano, 2017

Mostre che ritornano (in Realtà Virtuale)

La mostra Dall’oggi al domani. 24 ore nell’arte contemporanea – che per 155 giorni ha scandito il tempo al Macro di Roma, via Nizza – si è chiusa fisicamente  il 2 ottobre 2016.
Le opere sono state staccate dalle pareti e tolte dalle teche, le installazioni smontate… Eppure qualcosa – oltre al catalogo e alle tante foto e interazioni sui social network – rimane, di questa mostra che ha abitato e animato le sale al primo piano del Museo Macro, qualcosa che riguarda la sua dimensione spaziale. Di che si tratta?

Realtà Virtuale 24 gennaio 2017 Macro
Di una versione in Realtà Virtuale, esplorabile tramite appositi visori Oculus Rift, che consente di muoversi negli spazi della mostra, girare intorno alle installazioni, fermarsi sulle pareti, girovagare, avere una visione d’insieme e di dettaglio di una ventina di opere fra quelle esposte. Un percorso che consente di ricollocare ogni opera nel luogo in cui si trovava, di coglierne le relazioni di vicinanza con le altre, il dialogo che si percepisce – dal vivo – durante una visita museale. E che l’esplorazione virtuale può di nuovo suggerire, ponendosi come un modo consistente di mantenere la memoria di un evento temporaneo, come appunto una mostra.

vr macro 24 gennaio 2017
Martedì 24 gennaio 2017, nel Museo Macro di Roma (via Nizza), per un pomeriggio, i visitatori possono rientrare virtualmente nelle sale espositive. Appuntamento alle 17,30 nella Sala Cinema per esplorare la postazione e parlarne con le curatrici della mostra, gli sviluppatori e alcuni esperti di musei, mostre, documentazione, politiche culturali.Qui informazioni e dettagli.

Vr Macro 2017 gennaio 24

Realizzata in collaborazione con la Ripartizione Cultura della Provincia Autonoma di Bolzano, la versione in Realtà Virtuale della mostra romana è visitabile presso il Centro Trevi di Bolzano (via Cappuccini 28), all’interno dei progetto multimediale  Il Cerchio dell’arte, che propone continue sperimentazioni sugli scambi fra arte, tecnologie, comunicazione e didattica. Dedicato ogni volta a un tema diverso, Il Cerchio dell’arte sviluppa quest’anno il tema “tempo e denaro”, proponendo ai visitatori un video immersivo, esplorazioni di opere tramite touch-screen, giochi e interazioni e anche la presenza di due dipinti in prestito. Qui tutte le informazioni.

(a.s) @asbrilli

Il tempo di un haiku nel libro di Susanna Tartaro

Diversi tipi di tempo si affacciano nel libro che Susanna Tartaro dedica alla cultura degli haiku giapponesi – Haiku e sakè. In viaggio con SantōkaAdd edizioni, 2016 – svolgendo in dodici  capitoli l’intuizione che alimenta da alcuni anni il suo blog Dailyhaiku: la notizia del giorno commentata da un haiku classico, in cerca di risonanze e sprazzi di saggezza.
Nei dodici capitoli, che scandiscono come un calendario il vasto tema, l’autrice presenta la sua guida, il monaco buddista e poeta camminatore Santōka, vissuto nel Giappone del primo Novecento, che illumina con i suoi versi e la sua irriducibile autonomia, le situazioni quotidiane di un mondo lontano, la Roma di adesso.
Tempi differenti, eppure comparabili: il tempo del cammino e del vagabondaggio si rifrange nei percorsi in motorino sulle strade dissestate e negli incontri inaspettati con dettagli di bellezza e di senso, o di nonsenso; il tempo cristallizzato in un fermo-immagine – negli haiku della poetessa Momoko Kuroda – si rintraccia nella pagine della scrittrice francese Annie Ernaux, e nel nostro sguardo ogni volta che cade su un fiore e sulle sue impercettibili metamorfosi.
Ma il passo del tempo – nel libro di Susanna Tartaro – si trova verso la metà del volume, a pagina 85, quando l’autrice (che è curatrice di Fahrenheit su Radio3) racconta dei suoi primi lavori alla radio. Il suo incarico allora era quello di ascoltare vecchie bobine e annotare il minuto e il secondo del frammento di registrazione che occorreva al programma, “con il tempo che passava veloce girando su se stesso come quei nastri”. In uno di questi nastri, l’autrice si imbatte in un’intervista a Primo Levi e la colpisce un silenzio lungo, un buco sonoro durante il quale – capisce – lo scrittore si sta accendendo una sigaretta. Intorno a questa esperienza – un silenzio che rende visibile un’azione, un tempo vuoto che torna a riempirsi e a svuotarsi –  il presente si connette al passato. Anche lì in qualche modo comincia il cammino di Susanna Tartaro nella cultura degli haiku e nel loro farsi  presenza viva e attuale.

susanna-tartaro-haiku

“Forma poetica minuscola e infinita nello stesso tempo”, lo haiku è la composizione giapponese di tre versi (ku), che coglie un’immagine, una situazione, un pensiero, senza mai tralasciare un riferimento alla stagione in corso.
“Con solo tre ku di 5-7-5 sillabe, poeti e filosofi zen da più di trecento anni uniscono la brevità di twitter e le immagini di instagram in un colpo solo. Gli haiku, componimenti pensati da monaci viaggiatori già alla fine del diciassettesimo secolo, riescono a fotografare anche la nostra realtà, i nostri giorni, le nostre miserie”.
Nel suo blog Dailyhaiku e attraverso il suo account twitter (che ha più di 1800 follower) Susanna Tartaro  sceglie nel repertorio degli haiku quelli che sembrano cogliere un aspetto del presente e commenta – contemporaneamente – il passato e il presente, il tempo attraversato dai poeti e dalle poetesse giapponesi e quello in cui ci troviamo, comprese le condizioni meteorologiche, e comprese le perdite, i ritorni, le partenze. Tutto accade insieme, ma la scrittura di Susanna Tartaro trova il ritmo per rendere possibile – a chi legge – la percezione di un intero spazio-temporale che si srotola, da est a ovest, da ieri a oggi, lungo le strade del pianeta.

Il sito di Add editore
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l blog Dailyhaiku di Susanna Tartaro
Il gioco Oggihaiku con i lettori di Pagina99
Antonella Sbrilli (@asbrilli)

VisiTag: 20.12.2016 alla Galleria Nazionale di Roma

VisiTag è una parola-composta che unisce la visita con il tag. Che ci fanno insieme un sostantivo italiano e il termine informatico che indica l’etichettatura dei contenuti? Cercano di descrivere quello che accade il 20 dicembre 2016, nelle sale della Galleria Nazionale di Roma (viale delle Belle Arti): una visita al museo, durante la quale gli allievi e le allieve del corso di Storia dell’arte contemporanea della Sapienza osservano le opere d’arte esposte e – per ogni sala – provano a descrivere quelle opere (e le loro relazioni) usando delle parole-chiave, appunto i tag.
L’idea nasce dalla nuova sistemazione del grande museo romano, che dispone le opere della collezione (con aggiunte di prestiti temporanei) non in modo cronologico – dall’Ottocento a oggi – ma per risonanze formali, analogia di contenuti, dialoghi a distanza, nuclei di possibili mostre. Questa nuova sistemazione – che durerà fino al 2018 – è al centro di un acceso dibattito critico e suscita molte curiosità sulla sua efficacia nell’avvicinare il pubblico al piacere e alla riflessione sull’arte contemporanea e su quella del recente passato (ne ho parlato qui).
Poiché alcuni tratti di questa nuova disposizione della Galleria Nazionale rimandano alle caratteristiche degli ipertesti – la mancanza di un percorso lineare e sequenziale prestabilito, la possibilità di accedere a parti del contenuto in modo autonomo, la struttura a collegamenti – ha preso forma il progetto di visitarla appunto come un ipertesto abitabile, dove ogni visitatore marca con tag a sua scelta le singole opere e le loro connessioni.

foto-sferica-gn-roma

(Roma, Galleria Nazionale: screen shot di foto sferica da Google maps)

Del resto, l’uso di queste parole-chiave è diventato via via più comune, diffondendosi nelle comunità social e generando il fenomeno detto folksonomy, la classificazione informale dei contenuti (fra cui anche immagini e didascalie di collezioni museali), fatta dagli utenti. Come si legge nel Lessico del XXI Secolo (Treccani) i tag sono il segno di un sistema di classificazione non gerarchica, reticolare, che tende ad autorganizzarsi in forme che non possono essere del tutto indirizzate o previste dall’alto.
La descrizione per parole-chiave delle sale – il 20 dicembre 2016 – è fatta da un gruppo omogeneo di visitatori (tutti studenti universitari di storia dell’arte), che in parte già conoscono artisti e opere e che hanno in qualche caso già visitato la Galleria nel passato. Si può prevedere dunque l’emergere di termini storici e storico-critici, accanto a descrizioni dell’impatto diretto delle diverse opere nel loro nuovo contesto, e alla ricerca dei collegamenti fra un’opera e l’altra. Un conto – per esempio –  è incontrare in successione, in sale distanti e separate del museo, le sculture di Medardo Rosso e di Lucio Fontana, un altro vederle vicine le une alle altre. La plasticità del lavoro sulle materie investe anche lo spazio fra di esse e lo spazio di chi le osserva collegarsi nel tempo.
Seguendo la pianta del museo, suddivisa in quattro aree principali, la visita del 20 dicembre non segue un percorso lineare, ma procede a stella: ogni partecipante può iniziare da una qualunque delle zone, ripassare per il centro e proseguire nelle altre tre aree.
Chi conduce la visita – ma forse è meglio parlare di chi la facilita e la osserva, facendone parte – può proporre una lettura delle risposte che via via emergono, segnalando la conferma di collegamenti storici o tecnici fra le opere, valutando la ripetizione statistica di termini descrittivi o la presenza di tag isolati. Senza però trarre conclusioni teoriche o di metodo: la visita del 20 dicembre – la VisiTag – è un’esperienza pratica che prova a partire dalle descrizioni dei visitatori per risalire da lì verso i piani della storia e del suo racconto.
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Informazioni pratiche:
– esiste un gruppo chiuso di Facebook – VisiTag – all’interno del quale sono pubblicati in tempo reale i tag della visita del 20 dicembre e dove l’elaborazione dei dati prosegue nei giorni seguenti.

“La mole bianca della Galleria /D’Arte Moderna, con le sue attempate /Decorazioni e i motti tutti intorno: / Questo sol m’arde e questo m’innamora; / Non ci si pensa quanto sangue costa./ Al sommo della grande scalinata / Entrava nel museo. Luce di vetro / Piovuta dagli ampi lucernai”
Ruggero Savinio, La  Galleria d’Arte Moderna (Le Lettere, 2003)

Antonella Sbrilli (@asbrilli)

#AnnosuMisura: disegnare il tempo con Bernacca

Un gioco, un concorso, un invito a disegnare il tempo, in attesa del 2017: quest’anno Diconodioggi vuole attendere l’anno nuovo assieme ai suoi lettori, proponendo un gioco che collega insieme tradizione, creatività e partecipazione. Lo spunto prende l’avvio dai calendari che Paolo Bernacca, illustratore e grafico, crea da ormai quasi trent’anni. I calendari di Bernacca sono esercizi di poesia grafico-visiva sui numeri, sulla forma delle date e sull’andamento dei mesi, e a partire all’8 dicembre 2016 (la data in cui, piaccia o  non piaccia, si iniziano gli addobbi), li presentiamo quotidianamente, aprendo – come in un calendario dell’avvento – la “finestrella virtuale” della pagina Facebook di Dicono di oggi.

COME SI GIOCA

bernacca-2017Ogni anno dunque Bernacca dedica un calendario all’anno nuovo, scegliendo un’immagine che rappresenti graficamente (con analogia benaugurante) le ultime cifre della data. Gli ori del sette di denari, due bicchieri sovrapposti, due punti e una virgola, una faccia del dado, una coppia di ciliegie, e così via. Ad esempio il 2013 pesca la sua immagine dal gioco del biliardo: la palla con la cifra rappresenta anche lo zero e i dodici mesi si dispongono in una carambola che allude al tempo e al gioco; mentre il 2014 è un metro che misura un tempo tra reale e immaginario, oggettivo e personale.
Quello del 2017 è un elegante arabesco verde che sembra fiorire dalla punta del pennino (per vederne una GIF animata, ecco il link).

Sull’esempio di questi calendari d’autore, l’invito è quello di creare una personale interpretazione grafica del proprio anno di nascita, o di un anno particolarmente significativo, e postarla con l’hashtag #AnnosuMisura scegliendo il canale social preferito (sulla pagina di Dicono di oggi o su Twitter e Instagram taggando @diconodioggi) entro il 20 dicembre 2016.
L’opera migliore, che risulterà dal voto congiunto dei like della community e dal giudizio dello stesso Paolo Bernacca, riceverà in premio il calendario 2017 dell’artista.

CHI È PAOLO BERNACCA

L’illustratore romano Paolo Bernacca è un autore poliedrico, che gioca con le immagini e i suoi supporti. Ogni decennio della sua carriera è caratterizzato da una cifra stilistica:

gli anni Ottanta sono caratterizzati dalla serie dei Pannelli astratti che giocano con l’impaginazione e il colore. Derivano la loro struttura dalla cultura e dall’attività grafica di Paolo Bernacca, maturata in decenni di lavoro: lo spazio delle tavole è organizzato sapientemente per accogliere le pennellate di colori timbrici, con i loro ritmi ricorrenti;
gli anni Novanta vedono l’elaborazione dei Fari, serie che nasce dalla passione dell’autore per il mare e la vela e offre un catalogo di variazioni sul tema. Con gli stessi colori timbrici dei Pannelli astratti, con lo stesso occhio grafico che ora impagina il paesaggio di costa e l’architettura, Bernacca realizza decine di vedute con punti di vista anomali, aggiungendo, nella serie dei Fari scritti, un elemento narrativo e letterario;

dal 2000 in poi si dedica alla serie Pagine salate dove è la sintesi grafica a dare il carattere all’opera: l’autore riconosce nelle schegge di legno dei profili di paesaggio marino e le assembla per ottenere vedute che sono insieme di due e tre dimensioni. I colori, a differenza che nei Fari e nei Pannelli astratti, diventano morbidi e tonali, in sintonia con le sfumature del legno;

dal 2012 si concentra sulla serie Sketch: negli schizzi realizzati dal vero, Paolo Bernacca riprende la grande tradizione classica del disegno su carta da spolvero, giocando a togliere luce con i segni neri e ad aggiungerla con il bianco del pennarello Uniposca. Le opere sono realizzate velocemente durante gli SketchCrawl, uscite di gruppo in cerca di punti di vista originali su luoghi storici di Roma e dintorni, fra interni ed esterni;

calendari: dal 1988 in avanti

Da quasi trent’anni, Paolo Bernacca preannuncia l’anno nuovo con un calendario sempre diverso, inventando metafore visuali che riecheggiano la forma delle cifre dell’anno. Sono esercizi di poesia visiva sui numeri e sull’andamento dei mesi, che interpretano graficamente il tempo, con immagini e composizioni di buon augurio.

La forza degli anni (e della creatività)

Fino al 10 dicembre 2016, presso lo spazio polifunzionale EX[de]PO’ in Corso Duca di Genova 22 a Ostia, si può visitare una mostra collettiva, frutto dell’attività dei Laboratori d’Arte della Comunità di Sant’Egidio di Roma. Il titolo dell’esposizione è La forza degli annia indicare che il tema affrontato dagli artisti e dai curatori è il tempo; il tempo che passa e che si accumula, lasciando i suoi segni profondi sulle cose e sulle persone. Il segno più evidente del trascorrere degli anni è l’invecchiamento, che porta con sé la condizione della solitudine, la fragilità, spesso l’esclusione, rovesciando in negativo i valori proverbiali della vecchiaia come l’esperienza, la memoria profonda, la visione da un altro punto di vista.

coppa-santegidioNei Laboratori d’Arte della Comunità di Sant’Egidio – che si svolgono insieme alle attività quotidiane di assistenza e inclusione – il tema dell’invecchiare è stato affrontato da persone con disabilità, fra cui artisti con diverse esperienze alle spalle (la Biennale del 2013 e gli eventi ospitati al MAXXI nel 2015-2016) ed altri all’inizio di un percorso espressivo. In mostra ci si trova di fronte con piacere e sorpresa a una vasta gamma di linguaggi creativi: dipinti materici che usano il colore in modo insieme espressivo e simbolico; disegni che colgono l’essenziale delle forme e lo arricchiscono di ironia (come la Venere e il Cupido invecchiati di Marianna Caprioletti e i ritratti di “grandi vecchi” di Sara Curcio); assemblage come le cortecce che propongono “una percezione tattile delle rughe” di Giovanni Battista La Marra; sculture arricchite di pensiero e di giochi di parole, come la Ma_nonna con bambino di Moira Risciogli; oggetti, come la campana di vetro che imprigiona la chiave (Chiudiamo ciò che chiude di Marco Magliocchetti); e ancora video interviste (Fili di memoria); quaderni, situazioni concettuali, come il toccante bicchier d’acqua posto su una mensola in alto, accanto  alla scritta rossa “Ho sete”, opera del Laboratorio Vigne Nuove o la parete occupata dalla ripetizione della frase Fuori tutti, o ancora la coppa piena di bigliettini da pescare per leggere la frase che ci tocca: “Senza vecchiaia non c’è futuro”, “Tutti abbiamo bisogno di qualcuno”.
venere-invecchiata
Tutte le opere presenti in mostra sono accompagnate da didascalie esemplari, che illustrano insieme la tecnica di cui ciascuna opera è fatta e la sua intenzione e mettono in alcuni casi a disposizione del visitatore una breve frase dell’artista che racconta il contesto (“Quando ero piccolo… andavo all’istituto”). Si percepiscono, lungo il percorso nelle sale dell’EX[de]PO’ di Ostia, le tante dimensioni di questa mostra: le opere sono la manifestazione tangibile (da vedere, da toccare, con cui interagire) di un lavoro creativo comune e disseminato, che nasce dalla relazione di scambio quotidiano all’interno dei Laboratori d’Arte della Comunità. Come si legge nella presentazione, queste opere “affrontano temi quali l’alleanza tra le generazioni e il valore della memoria; propongono alternative all’istituzionalizzazione degli anziani e suggeriscono di guardare alla fragilità (degli anni ma anche delle diverse condizioni di disabilità) come ad un valore prezioso da difendere”.
La mostra resterà aperta fino al 10 dicembre, giorno in cui sarà premiata l’opera più votata da una giuria popolare. L’invito è dunque a recarsi nello spazio espositivo di Ostia e a scegliere l’opera che si sente più affine alla propria riflessione sul tempo che passa, sapendo che anche questa azione fa parte della mostra, la completa e la espande.
Antonella Sbrilli (@asbrilli)

 

La mostra Dall’oggi al domani prosegue in Realtà Virtuale

La mostra Dall’oggi al domani. 24 ore nell’arte contemporanea – che per 155 giorni ha scandito il tempo al Macro di Roma, via Nizza – si è chiusa fisicamente  il 2 ottobre 2016.
Le opere sono state staccate dalle pareti e tolte dalle teche, le installazioni smontate… Eppure qualcosa – oltre al catalogo e alle tante foto e interazioni sui social network – rimane, di questa mostra che ha abitato e animato le sale al primo piano del Museo Macro, qualcosa che riguarda la sua dimensione spaziale. Di che si tratta?
Di una versione in Realtà Virtuale, esplorabile tramite appositi visori, che consente di muoversi negli spazi della mostra, girare intorno alle installazioni, fermarsi sulle pareti, entrare nella stanza di Beninati, girovagare, avere una visione d’insieme e di dettaglio di una ventina di opere fra quelle esposte. Un percorso che consente di ricollocare ogni opera nel luogo in cui si trovava, di coglierne le relazioni di vicinanza con le altre, il dialogo che si percepisce – dal vivo – durante una visita museale. E che l’esplorazione virtuale può di nuovo suggerire, ponendosi come un modo consistente di mantenere la memoria di un evento temporaneo, come appunto una mostra.

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Realizzata in collaborazione con la Ripartizione Cultura della Provincia Autonoma di Bolzano, la versione in Realtà Virtuale della mostra romana è visitabile presso il Centro Trevi di Bolzano (via Cappuccini 28), all’interno dei progetto multimediale  Il Cerchio dell’arte, che propone continue sperimentazioni sugli scambi fra arte, tecnologie, comunicazione e didattica. Dedicato ogni volta a un tema diverso, Il Cerchio dell’arte sviluppa quest’anno il tema “tempo e denaro”, proponendo ai visitatori un video immersivo, esplorazioni di opere tramite touch-screen, giochi e interazioni e anche la presenza di due dipinti in prestito.
Qui tutte le informazioni.
Per la presentazione della mostra in Realtà Virtuale: appuntamento  al Centro Trevi il 22 novembre 2016, ore 18:30, con Antonella Sbrilli e Alessandro Rizzi, che ha curato lo sviluppo tecnico di questa realizzazione.

Il Tempo val bene due mostre, alla Galleria Nazionale di Roma

La Galleria Nazionale di Roma presenta due mostre nelle sale di viale delle Belle Arti, entrambe incardinate sul tema del Tempo.
La prima, curata da Saretto Cincinelli e aperta fino al 29 gennaio 2017,  si intitola The Lasting. L’intervallo e la durata. Occupa la grande sala centrale e allestisce – intorno a opere di Fontana, Calder e Medardo Rosso, appartenenti alla collezione permanente – una scelta di artisti coinvolti nei termini del titolo, che mette in risonanza i concetti di persistenza e passaggio.
The Lasting rivendica l’emergenza del tempo, l’importanza del suo fluire, della durata, dell’intervallo, della sedimentazione, della latenza…” si legge nel catalogo, dove gli artisti sono raccolti in sezioni dai titoli evocativi: Il tempo della creazione e l’impronta del tempo; Il tempo della metamorfosi; Il tempo dell’interpretazione, dell’attesa e della collaborazione.
Al visitatore il compito di rintracciare questi caratteri nelle opere e fra di esse, davanti alle teche, alle miniature, alle tende sbiadite, alle lastre di cera e paraffina, alle foto di vecchi cinema, alle tracce di lumache, ai bronzi che ricalcano i legni della laguna veneziana e prendono la forma di clessidre.
La misurazione del tempo è una invenzione e una convenzione, scrive in catalogo Francesco Piccolo in uno dei 24 bellissimi appunti del suo Tentativo di catalogare il tempo, ma “il tempo che passa non è inventato”.
Nel suo fregarsene degli orologi e dei calendari, nel suo costringere il linguaggio a cercare sempre nuove metafore e acrobazie per avvicinarvisi, il tempo pervade l’arte in maniere continuamente nuove.
Bonito Oliva definisce portatori del tempo i protagonisti della sua Enciclopedia delle arti contemporanee; l’urgenza del tempo è evocata dalla XVI conferenza dell’International Society for the Study of Time (Time’s Urgency, Edimburgo 2016); il tempo, i tempi, l’oggi, il domani, il qui e ora, il tempo-reale, i fusi orari, sono ubiqui nelle ricerche, nelle mostre, negli esperimenti relazionali in corso. Per fare un esempio, l’esposizione di Manfredi Beninati (ottobre 2016, Firenze Galleria Poggiali) ha per titolo Domenica 10 dicembre 2039, una data che non esiste nel calendario, poiché quel 10 dicembre sarà un sabato.
Nel catalogo di The Lasting, la direttrice della Galleria, Cristiana Collu – che pure desidera lasciare da parte il tempo convenzionale e lineare – cita, con una sorta di affetto, due date: la festa di Ognissanti, giorno in cui ha preso in carico la Galleria e il Solstizio d’estate, giorno di inaugurazione della mostra.
Diconodioggi non può non notarle, seguendo le trame del tempo finzionale: il primo novembre è scandito dalle citazioni formidabili di tre scrittrici, Virginia Woolf,  Antonia S. Byatt, Jennifer Egan; mentre il Solstizio di giugno è ancorato alla pagina della Montagna incantata (o magica) di Thomas Mann, che ricama sul paradosso di un giorno che segna insieme il culmine della luce e l’inizio del suo decrescere.

La seconda contemporanea mostra della Galleria Nazionale si intitola Time is out of joint e si presenta come una sistemazione temporanea (fino al 2018) delle collezioni, in dialogo con alcune opere in prestito.
Anche qui una data: l’avvio della mostra è caduto il 10 ottobre, “due giorni prima della scoperta dell’America” (come si legge in un racconto di Tabucchi, Il gatto dello Cheshire), ma soprattutto il giorno in cui nell’incompiuto romanzo di René Daumal, Il Monte Analogo, il gruppo di esploratori – fra cui il narratore – si imbarca su uno yacht a due alberi dal nome L’Impossibile, diretto verso una montagna sfuggita fino ad allora all’osservazione e la cui cima è inarrivabile “con i mezzi finora conosciuti”.
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Ha un sentore di spedizione verso spazi inconsueti anche l’apertura di questa mostra, che sceglie come titolo una battuta dell’Amleto, “il tempo  [in alcune traduzioni ‘il mondo’] è fuor dei cardini; ed è un dannato scherzo della sorte ch’io sia nato per riportarlo in sesto”.
Anche in questo caso, e in modo ancora più pervasivo che in The Lasting, la mano da giocare passa subito al visitatore, che negli spazi completamente bianchi della Galleria  incontra opere accostate non per vicinanza storica, ma per analogie, collegamenti, rimandi, affinità, buon (o problematico) vicinato.
Un imponente ipertesto navigabile in grandezza naturale che, in ogni sala, invita a decifrare i nessi fra le opere che lo compongono. La linea diritta della storia che scorre da un prima a un dopo è messa da parte e il suo posto è preso dall’idea della compresenza e dell’intreccio.
Del resto, la citazione della tragedia di Shakespeare, “Time is out of joint”, è anche il titolo di un racconto distopico dello scrittore statunitense Philip K. Dick. Pubblicato nel 1959, il racconto (tradotto in italiano come Tempo fuori luogo e Tempo fuor di sesto) è uno straordinario trattato sulla natura della realtà.
In una cittadina americana, in un periodo che somiglia alla fine degli anni ’50, il protagonista è il campione di un concorso a premi, in cui bisogna indovinare in quale zona di una mappa quadrettata apparirà un omino verde. È un gioco. O almeno così sembra, fino a quando alcuni indizi portano il protagonista a dubitare che la normalità della sua vita quotidiana (compreso il concorso) sia autentica. Dettagli fuori posto, brevi allucinazioni, elenchi telefonici anacronistici: la realtà è in sincrono con chi la percepisce? è un continuo compatto, consecutivo e condiviso? o non presenta invece delle crepe – non visibili a tutti nello stesso modo e momento – attraverso cui trapelano segnali dal passato o dal futuro, strati di altri tempi?
Questa seconda mostra nella Galleria Nazionale mette decisamente in opera l’idea dello scardinamento dei tempi e del loro riversarsi nel presente.
Ogni sala si presenta  a sua volta come una mostra a tema, un’arena di collegamenti, un invito a decifrare gli indizi che collegano due o più epoche distanti, richiamate nell’attualità dello stesso luogo e del visitatore che vi si trova in quel momento. Ogni opera una porta d’uscita e d’ingresso nel tempo di chi la guarda e la ricolloca; ogni gruppo di opere un nodo di reti orizzontali e diacroniche.

Roma, Galleria Nazionale: Canova, Pascali, Penone. Ph: Stella Bottai

Roma, Galleria Nazionale: Canova, Pascali, Penone. Ph: Stella Bottai

Questo tipo di disposizione è una sfida per la didattica e anche un invito a nozze per progettare quella che attualmente si chiama gamification, cioè l’applicazione di forme di gioco in contesti non ludici.
Quanti gradi (o quadri) di separazione dividono un’opera dall’altra? per quali vie sono arrivate vicine, attraversando la storia, la rilettura critica, l’immaginazione letteraria, la serendipity? (un gioco simile è stato proposto alla Gnam nel 2015 in occasione dei Giochi di Sala).
E un gioco d’artista partecipativo è effettivamente già in corso alla Galleria Nazionale: si tratta del Museum Beauty Contest, un concorso di bellezza fra le più belle figure femminili e maschili rappresentate nelle opere della Galleria; inventato dall’artista Paco Cao, coinvolge il pubblico per diversi mesi, fino alla finale nel marzo 2017.
Ma questa proposta di disposizione è un invito a nozze anche per la progettazione di realtà aumentate che raccontino – oltre alla vita delle opere – anche le forme delle precedenti sistemazioni delle sale o per il rilascio di app (o l’avvio di laboratori) che consentano di ricreare una propria parziale configurazione temporanea. Ritrovare il pavimento specchiante di Alfredo Pirri che introduceva nella Gnam, ricostituire le quadrerie, spostare, ricombinare, fermare una configurazione.
Il tempo come linea, il tempo come cerchio, il tempo come rete, il tempo come blocco dove tutto continua ad avvenire nel momento in cui lo si racconti di nuovo, emergono come artifici paralleli di rappresentazione.

Antonella Sbrilli (@asbrilli)

Here: le finestre sul tempo di Richard McGuire

Here: le finestre sul Tempo di Richard McGuire
di Elisa Sorrentino

Il dorso del libro è grigio, con una piccolo ramo di foglie disegnato sopra e con sotto scritto: QUI. Il titolo, semplice e incisivo, mi spinge ad andare oltre. Lo apro e appare l’immagine di una stanza qualsiasi con finestra, camino e pochi mobili accuratamente disposti, volto pagina e compare la stessa stanza, ma immersa in un paesaggio di tanto tempo fa, continuo a sfogliarlo e mi accorgo che l’ambientazione è sempre la stessa ma lo spazio prende vita, di volta in volta, grazie a persone diverse a seconda del tempo in cui lo vivono.
Richard McGuire, l’autore del libro, non solo è un artista – disegnatore di svariate copertine per il New Yorker e illustratore di libri per ragazzi – ma ha anche suonato nel gruppo postpunk dei Liquid liquid come bassista e ha diretto un film di animazione Peur(s) du noir, collaborando con illustratori del calibro di Lorenzo Mattotti, Charles Burns e Blutch. Nel 1989, per il primo numero della seconda serie di “Raw” la celebre rivista storica statunitense dedicata al fumetto curata da Art Spiegelman e Françoise Mouly –  McGuire realizza una breve storia di 36 vignette in bianco e nero intitolata Here.

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La storia propone il tema della rottura della linearità del tempo: la narrazione è incentrata sulla fissità dello spazio, mentre lo sconfinamento temporale è dato dalla sovrapposizione di più finestre. Ed è sulla base di questa storia che, ben venticinque anni dopo, McGuire decide di riprendere la stessa impostazione per crearne una nuova, con le stesse intenzioni ma ampliata nel contenuto e nella mole: un libro di trecento pagine a colori pubblicate nel 2014 da Pantheon Books e in Italia nel 2015 da Rizzoli Lizard.
La stanza che ci si presenta davanti ci riporta alla mente la solitudine severa dei dipinti di Edward Hopper. Salta all’occhio la qualità della fattura delle immagini che mescolano senza timore la tecnica dell’acquerello con quella digitale adoperando programmi come Adobe Photoshop e la grafica vettoriale. L’insistenza sullo spazio fisso e i toni tenui fanno venire in mente le palette scelte da Wes Anderson nei suoi film e, benché la scelta dell’inquadratura non sia simmetrica, far coincidere perfettamente l’asse prospettico della stanza con la piega esatta del libro è un dettaglio che colpisce.
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Il racconto ci trasporta nel salotto di infanzia di Richard McGuire, nato nel 1957 a Perth Amboy nel New Jersey: lo spazio diventa lo spunto per intrecciare le fila del tempo procedendo, avanti e indietro, senza un ordine narrativo-logico  e seguendo in modo “allucinogeno” la schizofrenia del tempo.

McGuire intesse un puzzle visivo in cui l’immagine di una donna in cerca di qualcosa trasporta nell’epoca glaciale dei mammut; un picnic all’aria aperta riconduce a due ragazzi che giocano a twist nel 2015; per poi passare all’immagine della Terra come doveva apparire nel 3.000.000.000 a.c, all’incontro di Benjamin Franklin con il figlio nel 1775, fino all’escursione guidata nel 2213 in cui tutto è cambiato, dal clima agli strumenti tecnologici, per poi ritornare di nuovo al 1957, anno di riferimento all’inizio del testo, quasi a ripiegare il tempo su se stesso e ricondurlo alla sua eterna circolarità.
L’autore utilizza il filo discontinuo del tempo per unire spunti visivi diversi e intreccia storie, immagini e ricordi, come ben visibile dal materiale d’archivio, e dalle fasi di elaborazione del libro.

Colpisce nel testo il modo indifferente e quasi crudele di concepire l’umanità nel suo normale e costante ricambio generazionale, trattandola alla stregua di tutte le altre forme viventi, destinate a nascere, crescere, produrre, consumare e morire. Solo l’interagire delle finestre temporali – dove gesti, frasi e situazioni del passato sembrano trovare una corrispondenza nel futuro e viceversa –  riesce ironicamente a infliggere un momentaneo scacco alla morte.

L’impostazione del testo non è molto distante dalle finestre sovrapposte che utilizziamo sul pc e attraverso cui navighiamo in rete, raggiungendo contestualmente posti distanti da un punto che rimane fisso.

Se ciò che ci consente la tecnologia è di varcare le distanze geografiche alla velocità di un click, Here permette di rimanere nel “qui” della nostra stanza viaggiando in un trip temporale che svela la difficoltà dell’oggi di rimanere concentrati sul tempo presente, continuamente distratti da mille stimoli: le notifiche dei messaggi, il rumore del traffico, la musica dei grandi magazzini, i discorsi sovrapposti delle persone in metro, tutti stimoli che allontanano al suono del silenzio.

Tuttavia il modo migliore per apprezzare Here è scaricare la versione e-book (al momento disponibile solo per i-Pad), realizzata in collaborazione con lo sviluppatore web Stephen Betts. Questa versione sfrutta al massimo le potenzialità multi-screen del testo originale, combinandola e sviluppandola ulteriormente con l’utilizzo degli strumenti digitali  al fine di renderla completamente interattiva e concedendo, inoltre, la possibilità di cambiare la sequenza delle diverse finestre temporali mescolandone l’ordine cronologico, in perfetta sintonia con lo spirito del libro:
Una presentazione è consultabile a questo indirizzo.
Infine Here ha ispirato un cortometraggio sperimentale in cui anche qui, come nel testo, le finestre temporali si attraversano senza un ordine predefinito e talvolta  interagiscono tra di loro.
In Here, il tempo del futuro si immerge nel passato e si rimescola al presente assumendo nuove forme e nuove interpretazioni, come in un gioco dei tarocchi infinito. Il perimetro definito di una stanza diventa il palcoscenico dell’indeterminatezza del tempo, che cambia marce ma ritorna sempre al punto di partenza. Ma dove va a finire il tempo?
Elisa Sorrentino

La storia in 36 vignette da cui ha preso spunto il testo; 
le fasi di elaborazione del libro;
Here come appare oggi.

 

#AncorainTempo: finissage mostra al Macro di Roma

Il 2 ottobre 2016 la mostra Dall’Oggi al Domani. 24 ore nell’arte contemporanea al Museo Macro di Roma (via Nizza, 138) accoglie il pubblico con un ultimo appuntamento che vede nuovamente le sale animarsi con performance e incursioni teatrali, assieme ad artisti e attori, veri ospiti speciali che hanno seguito tutto il percorso di questa mostra dalla sua inaugurazione al finissage.

finissage-mostra-2-ottobre-2016
Per 155 giorni il calendarione appeso all’ingresso della Sala Bianca ha accolto tantissimi visitatori con la citazione legata al giorno in corso, introducendo gli ospiti al tema che avrebbero trovato all’interno della mostra: il Tempo in tutte le sue declinazioni. Il tempo umano del giorno che passa, il tempo cosmico che tutto contiene, il tempo amichevole che guarda al futuro, il tempo beffardo che ti ricorda che invecchi.

Ora che è tempo di concludere, la mostra Dall’Oggi al Domani. 24ore nell’arte contemporanea invita il pubblico #AncorainTempo a trascorrere insieme l’ultimo giorno di apertura, ricordando però che la mostra continua virtualmente: sul web il suo calendario chiude il 31 dicembre 2016. Potete seguirla su diconodioggi.it e i relativi canali social.

#AncorainTempo è a cura di Antonella Sbrilli e Michela Santoro, con Maria Grazia Tolomeo, in collaborazione con Zètema Progetto Cultura.

PROGRAMMA

Ore 16:30 / 19:30

Tempo in azione
Incursioni teatrali sul tema del Tempo a cura di Personcine di Giovanna Mori (Carrozzerie.not)

 Il tempo in emoji
Laboratorio di espressioni figurate a cura della storica dell’arte Maria Stella Bottai

Psycho per un giorno
Rilettura di brani tratti dal romanzo Punto Omega di Don Delillo, interprete l’attore Vito Di Bella. Introduce Antonella Sbrilli

#croMomania o #croNomania? – Il colore del giorno
Scopri il colore del tuo giorno di nascita o di una data particolare. A cura di PiùPop (Carlotta Barillà, Rudimante Belardi). Introduce Michela Santoro

Tempo in Comune: 24 e 25 settembre 2016

Il Tempo lascia i suoi segni dappertutto, scandisce la vita quotidiana e dà forma alle opere d’arte che popolano la nostra città, all’interno dei musei e negli spazi aperti.

Intorno al Tempo ruota l’iniziativa #TempoinComune: un invito a creare insieme – passo dopo passo – una mappa dei tanti modi e tanti luoghi in cui il Tempo è stato rappresentato, analizzato, misurato e immaginato. In questo programma, i visitatori trovano tutti gli appuntamenti fra cui scegliere il proprio percorso, fatto di visite, di incontri, di laboratori, nei musei d’arte e di scienza, nelle biblioteche, nei parchi, nelle piazze: il Tempo in Comune. Gli appuntamenti del 24 e 25 settembre 2016, fra cui anche la visita alla mostra al Macro Dall’oggi al domani. 24 ore nell’arte contemporanea.

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#TempoinVerso: Interferenze poetiche al Macro di Roma

Il 23 settembre 2016 – al Museo Macro di Roma – ha avuto luogo #TempoinVerso, uno degli appuntamenti partecipativi che hanno accompagnato la mostra Dall’Oggi al Domani. 24 ore nell’arte contemporanea, allestita dal 29 aprile al 2 ottobre 2016 presso la Sala Bianca del Museo di via Nizza.

#TempoinVerso. Interferenze poetiche a regola d’arte – questo il titolo completo dell’evento – è un itinerario di connessioni tra alcune delle opere in mostra, tutte dedicate al Tempo, e una scelta di poesie, tratte dall’antologia Dare tempo al tempo. Variazioni sul tema nella poesia italiana del Novecento (Giulio Perrone Editore, 2016, qui recensione nel blog), a cura di Alma Gattinoni e Giorgio Marchini, con prefazione dello scrittore e critico Paolo di Paolo, che ha condotto con Antonella Sbrilli il pomeriggio al Macro.

Tempo è forse una delle parole più importanti e ricorrenti nel linguaggio dell’uomo. Non è forse vero che ogni nostra azione (o progetto) è tesa ad esorcizzare l’angoscia dell’impermanenza delle cose? Con questa riflessione dei curatori del volume ha avuto inizio il gioco di accostamenti, dove la parola gioco sottolinea l’importanza dell’elemento creativo attraverso il quale, liberandosi dalle rigide griglie del reale, si accede a quella dimensione dello spazio-tempo dove l’immaginazione e la fantasia generano nuove connessioni prima non individuate.
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Una decina di poesie, selezionate dai curatori fra le 130 raccolte nell’antologia (in un ordine alfabetico che va da Accrocca  a Zeichen) sono state avvicinate ad altrettante opere in mostra, fra cui le fotografie quotidiane di Roman Opalka, le sequenze di date di Hanne Darboven, il diario del XX secolo di Daniela Comani, i calendari di Alighiero Boetti: questo artista fa da trait-d’union fra la mostra (il cui titolo è una delle frasi di 16 lettere fatte ricamare da lui) e l’antologia di Gattinoni e Marchini, il cui titolo è anch’esso una frase sul tempo scelta da Boetti per uno dei suoi quadrati magici.

A questo link –  2016-settembre-23-macro-interferenze-poetiche – è  scaricabile la presentazione in pdf, con tutti gli accostamenti proposti.
Le letture, nel pomeriggio del 23 settembre, sono state fatte dai curatori del volume, da Paolo di Paolo e dagli ospiti.
Gabriella Palli Baroni ha introdotto e letto la poesia di Attilio Bertolucci Gli anni (da Lettere da casa, 1951), dove risalta – casualità –  un’atmosfera settembrina di primo autunno.
Claudio Damiani ha letto una sua poesia tratta dalla raccolta Attorno al Fuoco (2006), accostata – per l’occasione –  all’opera di Enrico Benetta, una grande clessidra in cui lo scorrere della sabbia è sostituito dal coagularsi di caratteri bodoniani, lettere e cifre che raddensandosi alle due estremità opposte della struttura protendono l’una verso l’altra senza mai raggiungersi (qui la recensione dell’opera sul blog).
Gabriella Sica ha letto 8 marzo,  tratta dalla sua raccolta Poesie Familiari (2001) e stavolta l’opera accostata era Compleanno, di Bertozzi e Casoni. La scultura in ceramica policroma dei due artisti cristallizza il tempo nei resti di una festa: nella torta di un compleanno trascorso è inserito un teschio di animale, nel vuoto di una fetta di dolce mancante, che lascia in bocca l’amaro sapore di un presagio di morte. Sica stessa introduce la poesia sottolineando la strana coincidenza dell’opera di Bertozzi e Casoni con il suo testo, composto proprio nell’ultimo compleanno di suo padre.
In questa rete di emergenze e di coincidenze, la serendipity ha voluto che  l’accostamento conclusivo mettesse vicini una intensa poesia di Vito Riviello, Tempo a pensare, da Apparizioni, e un’opera verbo-visiva di Lamberto Pignotti, una conversazione fra angeli musicanti,  in cui si legge: «Perché dobbiamo fare proponimenti proprio il 1° gennaio? Cosa c’è di male nel 16 maggio o nel 23 settembre?».
L’incontro si conclude con un invito ai presenti a ricercare altre interferenze che colgano – nei mezzi delle arti visive e in quelli della parola – gli aspetti elusivi del tempo, restituendoli all’esperienza percettiva di chi guarda e ascolta.

«Questa piazza è un orologio vasto / una macchina accordata  / che si misura lenta nel tempo.  / È un bosco pietrificato / una scogliera, / la meridiana muta della mente.»
Valerio Magrelli, Ora serrata Retinae – Rima Palpebralis

Sara Fiorelli