I 21 giugno del conte Rostov: una nota di Sandra Muzzolini

Su Twitter negli ultimi mesi molti lettori, scrittori e blogger hanno fatto notare la rilevanza – in tempi di lockdown –  della vicenda narrata dallo scrittore statunitense Amor Towles nel libro A Gentleman in Moscow (2016). Il Washington Post a fine marzo 2020 ha incluso il romanzo di Towles in una lista di dieci letture raccomandate per i giorni di quarantena.
Il libro racconta la storia del Conte Rostov: condannato nel 1922 da un tribunale bolscevico per essersi “arreso alle corruzioni della sua classe sociale”, Rostov viene scortato attraverso i cancelli del Cremlino che danno sulla Piazza Rossa fino all’Hotel Metropol, dove dovrà trascorrere il resto dei suoi giorni agli arresti domiciliari.
Gentiluomo colto, appassionato di libri e di musica, arguto e brillante nella conversazione e perfetto anfitrione, Rostov non si scoraggia, convinto che un uomo deve saper governare le circostanze, non essere governato da esse. Costretto a rinunciare alla suite 317 che aveva occupato negli ultimi quattro anni, si ritrova confinato in una angusta stanza dell’ultimo piano dove non riesce nemmeno a collocare tutte le sue cose. Qui vivrà per una trentina d’anni, fedele ai riti e allo stile di un mondo aristocratico che vede dissolversi stando al riparo di questa prigione dorata che è l’hotel Metropol, un mondo a sé che solo a tratti viene raggiunto dagli echi della storia.
La data del 21 giugno, giorno della condanna di Rostov e dell’inizio del suo soggiorno forzato al Metropol, ricorre altre volte nella storia. Il 21 giugno 1923 il conte si sta preparando ad incontrare Mishka, l’amico poeta che rappresenta il suo contatto con il mondo esterno, e si chiede se sia opportuno celebrare l’anniversario del suo primo anno agli arresti, se abbia senso tenere il conto del tempo che passa, come fanno i naufraghi su isole deserte.

Il narratore ci offre poi il 21 giugno del 1946 un altro sguardo sulla Piazza Rossa, sul Cremlino e la cattedrale di San Basilio, e sulle ragazze vestite a fiori nell’ultimo giorno di primavera. Il quarto libro si apre il 21 giugno del 1950 ed all’inizio del quinto libro veniamo a conoscenza di un evento che si svolgerà a Parigi il 21 giugno 1954, un concerto a cui dovrebbe partecipare una persona cara al conte, uno degli incontri felici della sua vita al Metropol. Agli accadimenti di questa giornata sono dedicate le ultime pagine del romanzo.

Ed ecco un brano significativo:
At half past six on the twenty-first of June 1922, when Count Alexander Ilych Rostov was escorted through the gates of the Kremlin onto Red Square, it was glorious and cool. Drawing his shoulders back without breaking stride, the Count inhaled the air like one fresh from a swim. The sky was the very blue that the cupolas of St. Basil’s had been painted for. Their pinks, greens, and golds shimmered as if it were the sole purpose of a religion to cheer its Divinity. Even the Bolshevik girls conversing before the windows of the State Department Store seemed dressed to celebrate the last days of spring.
“Hello, my good man,” the Count called to Fyodor, at the edge of the square. “I see the blackberries have come in early this year.”
Giving the startled fruit seller no time to reply, the Count walked briskly on, his waxed moustaches spread like the wings of a gull. Passing through Resurrection Gate, he turned his back on the lilacs of the Alexander Gardens and proceeded toward Theatre Square, where the Hotel Metropol stood in all its glory. When he reached the threshold, the Count gave a wink to Pavel, the afternoon doorman, and turned with a hand outstretched to the two soldiers trailing behind him.
“Thank you, gentlemen, for delivering me safely. I shall no longer be in need of your assistance.”

Qui il link al sito dell’autore; l’edizione italiana Neri Pozza tradotta da Serena Prina e poi una curiosità: c’è anche chi ha suggerito di accompagnare la lettura con dello stufato cucinato secondo una tradizionale ricetta lettone, uno dei piatti preferiti del Conte, e prontamente il Book Club Cookbook ha pubblicato una foto del piatto e il link alla ricetta.

Sandra Muzzolini (@sandra_mzz)

@drtime_ un aggregatore di tempo

Uno dei tanti effetti collaterali del Covid-19 è quello di aver aumentato la frequenza della parola tempo nelle conversazioni. Non (solo) il tempo atmosferico, ma la dimensione del tempo che – interrotte le scansioni quotidiane a causa del lockdown – si presenta in blocchi compatti, si sfilaccia, si arrotola su sé stesso, sembra non passare mai o sparire in un batter d’occhio. Metafore, immagini, visualizzazioni, grafici, citazioni, gif animate scorrono nelle timeline dei social e per chi il tempo lo osserva e lo studia diventano una consistente fonte di dati e riflessioni.
Una selezione di risorse e testimonianze sul tempo si trova nell’account Twitter di Dr Time.

Il nome è scritto di seguito, con un underscore alla fine e due emoji che rappresentano il passaggio del tempo; nella presentazione, chi gestisce l’account si definisce un “chronosopher”, che usa Twitter (e anche Instagram) per una ricerca partecipata sul grande tema del “mystery of time”.
E di fatti Dr Time rilancia notizie e mirabilia, lavori di gruppi di ricerca (come il Timing Research Forum) e video in time-lapse di fenomeni naturali, affacci sul tema da diverse prospettive interconnesse, scienze, spiritualità, relazioni, linguaggio, creatività.
Dietro l’alias Dr Time c’è il ricercatore australiano Edward (Eddie) Harran, che si definisce Temporal Designer, Futurist and Researcher of Chronosophy.
Harran fa parte – come chi gestisce diconodioggi – dell’International Society for the Study of Time (ISST) e lavora sul tema in modo profondamente interdisciplinare e progettuale, con l’obiettivo di usare le esperienze presenti per immaginare forme future e potenziali di relazioni con il tempo.  
In questo periodo, il suo account aggrega evidenze sul mal di tempo in cui ci troviamo a vivere, registrando segnali della distorsione collettiva e aperture di pensiero. 

È grazie alle scelte di Dr Time, per esempio, che si incontra l’eloquente e bellissimo calendario di Chaz Hutton, dove il mese di aprile 2020 sgretola giorno dopo giorno la griglia regolare delle settimane e le linee di confine fra le giornate. 
Qui un link a un intervento di Harran sul tema del Future of Time.

 

“Time-taking exercises”

Retreating Horizon of Time in Quarantine (L’orizzonte in ritirata del tempo in quarantena) è il titolo molto eloquente di un articolo di Dan Chiasson apparso il 19 marzo 2020 sul sito del New Yorker. Segnalato da Carol Fischer dell’International Society for the Study of Time, il pezzo raccoglie esempi variegati degli effetti che la quarantena da Covid19 sta producendo nel rapporto con il tempo. In un periodo di forzato isolamento in sé stessi, le persone pongono maggiore attenzione allo “sfruttamento” e al “potenziamento” delle lunghe ore a disposizione, raffinando le scelte, soprattutto quelle che riguardano la lettura e la scrittura. Complici anche i social network, gli esperimenti di lettura collettiva aumentano, offrendo tanti programmi scadenzati a cui partecipare, che possono provocare – insieme alla soddisfazione – anche un misto di ansia e ripetitività. 
In cerca di forme per passare il tempo l’autore richiama una serie di esperienze del passato, oggetto di un suo interesse anche collezionistico. Si tratta di libri e quaderni fatti a mano da persone che si sono trovate alle prese con un tempo estremamente lungo da riempire. Fra questi, Chiasson cita il Cahier de Chansons, un quaderno di canzoni, realizzato alla fine della seconda guerra mondiale da un ufficiale francese prigioniero in uno stalag tedesco. E poi due fascicoli di un misterioso periodico di epoca vittoriana, sempre fatto in casa, che raccoglie racconti, puzzle, indovinelli, poesie, disegni e altri “time-taking exercises”, espedienti fantasiosi ed esercizi disciplinati per occupare il tempo, forse di un’estate ottocentesca. C’è anche un gioco ancora irrisolto su cui l’autore invita a perdere tempo: lo trovate qui.

 

 

29 Febbraio

29 febbraio 2020

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“Cinquantadue carte fanno cinquantadue settimane”, mormorò.
“Il tutto fa 364 giorni. Fin qui tutto bene. E poi i mesi diventano tredici, di ventotto giorni ciascuno…
E anche qui arriviamo a 364. Tutte e due le volte, però, avanza un giorno…”
“Che sarebbe il Giorno del Jolly”, spiegai.
“Per la miseria!”
Rimase a lungo a fissare gli aranci, poi 
mormora: “E tu, quando sei nato, Hans Thomas?”
Non capivo dove voleva arrivare. “Il 29 febbraio 1972”, risposi.
“Ma in quale giorno cadeva?”
Allora ebbi l’illuminazione: nel giorno ‘in più’ di un anno bisestile. Secondo il calendario dell’isola incantata, sarebbe stato il Giorno del Jolly.

Jostein Gaarder, L’enigma del solitario, (Kabalmysteriet)1990, tr.it. D. Braun Savio, Longanesi 1996,ed. cons. TEA, 1998, pp. 216-17

Dicono del libro
“Chi sei, tu? Sei un fante di fiori, una donna di cuori, un asso di quadri, un due di picche? Già, perché ognuno di noi non è che una carta di quel grande solitario chiamato vita, una carta che esce a un certo punto del gioco, prende il proprio posto sul grande tavolo dell’universo e segue le regole che altri hanno stabilito. Ma che cosa ci accadrebbe se, nel ‘grande solitario’, spuntasse un jolly? Probabilmente ci sentiremmo un po’ come il dodicenne Hans Thomas che, nel suo viaggio verso la Grecia alla ricerca della mamma (fuggita di casa per trovare se stessa), scopre un’isola incantata (in cui vivono cinquantadue nani, un naufrago pieno di immaginazione e un folletto molto sarcastico) e finisce per capire che l’unico modo per non essere schiacciati dal destino è trasformarsi lui stesso in un jolly curioso e impertinente, sempre pronto a porsi domande” (dalla quarta di copertina dell’ed. TEA citata)

Altre storie che accadono oggi

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“… Che santi si festeggiano sul calendario, il ventinove di febbraio?…”
Marco Malvaldi, Buchi nella sabbia

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“… So it was that on the twenty-ninth day of February, at the beginning of the thaw, this singular person fell out of infinity into Iping village…”
H. G. Wells, The Invisible Man

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“… Con la presente, dichiaro che sabato 29 febbraio 1967 ho colpito mia cognata Isabe Kerr con un posacenere e l’ho uccisa…”
Rex Stout, Nero Wolfe. Invito a un’indagine

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“… 29 febbraio ’71 Caro Michele, mi sono arrivate le dodici tutine di spugna…”
Natalia Ginzburg, Caro Michele

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“… La Repubblica fu finalmente proclamata in forma solenne a Marsiglia la mattina del 29 febbraio…”
Emile Zola, I misteri di Marsiglia (segnalazione di @atrapurpurea)

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“… si trattava di una sera del tutto fuori dall’usuale, non compresa quasi nel calendario, un hors d’oeuvre, per così dire, una sera extra, una sera bisestile, il 29 febbraio…”
Thomas Mann, La montagna incantata

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“… Il tuo giorno fortunato è stato un 29 febbraio. Una data ballerina…”
Simona Sparaco, Se chiudi gli occhi (segnalazione di Libreria Feedbooks @feedbooks_it)

 

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“… Erano le ultime ore di un freddissimo 29 febbraio del 1936 quando nacqui ad Ampezzo…”
Luigi Schneider, Nato il 29 febbraio. Storia di un uomo fortunato (segnalazione di @atrapurpurea)

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“… campava con uno stecco 365 giorni all’anno e 366 quando l’anno era bisestile…”
Anton Giulio Barrili, La notte del commendatore (segnalazione di @atrapurpurea)

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“… Ma questo è un giorno speciale, è il 29 febbraio Marco Carrera non ha resistito. Non è superstizioso, non è scaramantico, ma si fa comunque ispirare da numeri e ricorrenze, e un giorno che capita solo ogni quattro anni è un buon giorno per giocare…”
Sandro Veronesi, Il colibrì (segnalazione di Fabiazep)

The Library of Encoded Time di Michele Ciacciofera

Quando l’artista Michele Ciacciofera espose alla Biennale del 2017, sulla rubrica Alfagiochi della rivista “alfabeta2” giocammo con le lettere del suo nome e uno degli anagrammi che ne risultarono fu “E lì faccio ceramiche”, trovato da Viola Fiore. Si tratta di un anagramma felice, poiché fa emergere dal nome dell’artista la materia a cui egli si dedica da tempo con una passione da conoscitore, da collezionista e anche da studioso. 
In una interessante conversazione con Irene Biolchini, Ciacciofera – che è nato in Sardegna e vive fra la Sicilia e Parigi – racconta infatti l’importanza della ceramica nel suo percorso artistico, che è tutt’uno con la sua visione della cultura: un viaggio nella lunga durata, dalla natura alla storia, attraverso fossili e reperti, materie prime e tecniche di lavorazione arcaiche, segni, decorazioni e grafie. 
Una sintesi formidabile di questi caratteri della sua ricerca si trova  nella mostra aperta fino a marzo 2020 al Museo Marino Marini di Firenze, a cura di Angelo Crespi, dal titolo  The Library of Encoded Time.
I concetti di biblioteca, di codici e di tempo sono riuniti in una installazione fatta di mattoni che presentano – come tavolette antiche – tracce di scrittura, glifi, linee. Questi “libri che interrogano il tempo” sono il risultato di un lavoro effettuato sui mattoni rinvenuti durante la ristrutturazione del chiostro adiacente alla ex chiesa di San Pancrazio, dove il museo Marino Marini ha sede.
Come si legge nella presentazione della mostra, la procedura che porta alla realizzazione passa per diverse fasi: una prima cottura dei mattoni che, come in “rituale di purificazione”, elimina la calce; la scrittura “quasi automatica” sulla superficie, su cui linee e segni si intersecano e si stratificano in un magma temporale; infine la seconda cottura che fissa indelebilmente smalti e colori sulla superficie “così da far presagire il riutilizzo del mattone per una futura costruzione, una biblioteca, basata sui segni che rappresentano la memoria”.

La mostra The Library of Encoded Time è aperta fino al 2 marzo 2020 al Museo Marino Marini di Firenze.

I venti venti di Paolo Bernacca

L’illustratore e grafico romano Paolo Bernacca è un artista poliedrico, che gioca con le immagini, i supporti, le tecniche e spesso anche con le parole. Oltre all’attività professionale per case editrici e periodici, Bernacca svolge una ricerca su temi che lo appassionano: il mare, la navigazione, il tempo nelle sue accezioni cronologiche e meteorologiche, affrontandole con la pittura, l’assemblage e il disegno dal vero.
Chi ha avuto modo di vedere qualche sua mostra o catalogo, conosce di certo i suoi Fari, una serie di dipinti e di grafiche realizzate negli anni Novanta, che presentano – con tagli prospettici originali e talvolta l’inserzione di un elemento narrativo e letterario – una collezione di queste architetture di segnalazione, presenze cromatiche che svettano sulla linea delle coste. Nelle Pagine salate – altra serie di ispirazione marina –  l’autore riconosce, in grandi schegge di legno, dei profili di paesaggio e le assembla per ottenere vedute che sono insieme bi- e tri-dimensionali.
Dal 2012, Bernacca si dedica poi alla pratica dello sketchcrawl (traducibile come “maratona di disegno”), realizzando schizzi dal vero di vedute paesistiche, scorci cittadini e architetture: l’editore Palombi ha pubblicato  una selezione di sketch di Bernacca  e del collega Maurizio Moretti in un volume prezioso, che si spera il primo di una serie.
Questo post è dedicato però soprattutto a uno dei temi che l’artista affronta con rigorosa e fantasiosa puntualità tra la fine e il principio di ogni anno: il calendario.  

Dal 1988, l’anno che sta per arrivare è visualizzato in forme sempre diverse, che alludono graficamente alle cifre che ne compongono il numero, in un gioco di riferimenti e suggestioni venato di arguzia.
Le invenzioni prodotte fin qui dalla fantasia di Bernacca si possono vedere a questo indirizzo web; ogni schermata un anno che è trascorso, salutato dalla sua immagine emblematica, che ne accompagna il passaggio: ciliegie, virgole, aquiloni, punti interrogativi, coppe e così via.
Il calendario del 2020 racchiude  anche un enigma da risolvere, che ne allarga le dimensioni concettuali e il piacere di averlo accanto nei mesi di questo nuovo anno. Il disegno, che accompagna la sequenza dei mesi e dei giorni dell’anno nuovo, è un diagramma stellare, con le cifre 2 2 0 0 sulle quattro punte principali. Sotto ad esso, la parola Rebus indica che l’osservatore deve risolvere un enigma, la cui soluzione corrisponde a una frase di quattro parole – la cui lunghezza è indicata dai numeri fra parentesi – da ottenere ragionando sul disegno e sui segni che lo accompagnano.


Se non si riesce a risolvere il rebus, basta capovolgere il calendario e la soluzione si può leggere lì in fondo.
Due piccoli aiuti: il primo è un’opera del 1971 dell’artista verbo-visivo Arrigo Lora-Totino, dal titolo Parole ai quattro venti, che si basa su un meccanismo simile a quello del calendario di Paolo Bernacca per il 2020. 
Il secondo aiuto ci porta a Fivizzano,  in provincia di Massa-Carrara, dove ha sede il Meteo Museo Edmondo Bernacca (MMEB), dedicato al celebre  meteorologo dell’Aeronautica Militare, padre di Paolo ed egli stesso fine disegnatore di fenomeni, carte e diagrammi.
Entriamo così nel 2020 con una mappa del tempo cronologico che racchiude in sé folate di tempo atmosferico, collegate da un gioco antico grazie alla matita felice di Paolo Bernacca. 

a.s.

 

 

 

Past + Future

“Quando il presente diventa passato? Quando finisce oggi e inizia domani? E come definiamo lo spazio che si trova nel mezzo, prima che uno sia determinato come conseguenza dell’altro?”
Sono le domande che l’artista australiana Sara Morawetz pone per presentare la serie di opere Tenses. I tempi, i tempi dei verbi, la natura dei termini che indicano la percezione condivisa e personale del tempo sono il soggetto di questa serie di opere che risale al 2017 e che costituisce una delle fasi della ricerca, artistica e scientifica, che Sara Morawetz conduce sul tempo e sulla sua misurazione. 


In questa serie di opere, i termini Today, YesterdayPresent, PastFuture sono stampati neri su fondo bianco con la tecnica della stampa lenticolare, una tecnica per cui, muovendosi davanti all’immagine, il visitatore percepisce una forma che sfuma in un’altra. Nel caso delle parole, lo stato di transizione fra l’una e l’altra produce sovrapposizioni, stati indeterminati, in cui la leggibilità e il senso diventano eventi casuali, effimeri e mutanti mentre l’occhio trascorre sulla superficie.


In questi passaggi, capita che le lettere creino delle sequenze sensate, del tutto inaspettate: per chi parla italiano, nello scatto che si vede riprodotto in questo post, la somma dinamica di PAST e FUTURE produce a un certo punto la sequenza leggibile PAURE, che apre a suggestioni e interpretazioni impreviste dall’autrice, ma cariche di senso per chi parla appunto italiano.

Il tema del passaggio fra uno stato attuale, il presente dell’ora, e un prima, rimanda il pensiero all’opera del fotografo Duane Michals, Now becoming Then (1978), corredata di una legenda che coniuga le neuroscienze (il momento presente è una costruzione della mente) e i pensieri sul tempo di Sant’Agostino: “When I say, ‘this is now’, it becomes then. There is no now, it appears to us as a moment, but the moment itself is an illusion. It is and isn’t, and this illusion is a series of about-to-be’s and has-beens, that put together seem an event. It is a construction, an invention of our minds”.


Il procedimento concettuale di una parola che sfuma nell’altra lasciando una traccia comune ricorda poi la fusione algebrica di A GUEST + A HOST = A GHOST di Marcel Duchamp. Anche gli anni fatti di giorni in trasparenza nei calendari compositi di Alighiero Boetti si affacciano in questi accostamenti che cercano di catturare lo “space in-between“, l’istante di passaggio fra prima, adesso, dopo. Abituati ad esistere nel flusso, fermarsi a ragionare sui punti di passaggio fra le immense misure del passato e del futuro, del PAST e del FUTURE,  può ragionevolmente suscitare le PAURE che i due termini contengono a un certo stadio della loro fusione.

Il sito dell’artista: http://saramorawetz.com

Su Diconodioggi si parla di Sara Morawetz in occasione della sua opera-ricerca How the Stars Stand  e della conferenza tenuta alla Sapienza di Roma nel corso di Antonella Sbrilli.

a.s.

Con Casa Lettori a Più libri più liberi 2019

Che cosa vuol dire aprire e mantenere un blog dedicato ai libri; che efficacia ha diffondere le proprie riflessioni e proposte tramite Twitter, nell’epoca del dilagare di Instagram; come si può coniugare la forma della scrittura con la presenza delle immagini; e perché dedicare tempo della propria vita quotidiana a un impegno non direttamente remunerativo. 
Intorno a queste domande si è svolta la conversazione di giovedì 5 dicembre 2019, nell’accogliente spazio dell’Arena Robinson di Repubblica, allestita a Più libri Più liberi.
Maria Anna Patti, collaboratrice di Robinson e fondatrice/animatrice di Casa Lettori – un dispositivo di promozione della lettura e della partecipazione culturale che conta col solo account Twitter più di 76.000 follower – ha scelto gli ospiti e condotto il dialogo  su questi temi, davanti a un pubblico composto per la maggior parte di giovani studenti, e poi di fedelissimi della lettura, di curiosi, di visitatori e operatori della fiera. 

Con molto piacere, Diconodioggi – nella persona della fondatrice Antonella Sbrilli – ha partecipato a questo incontro, insieme con gli altri blog (e account Twitter) invitati: Corsi e rincorsi di Sara Durantini, che si occupa – come dice il sottotitolo – di “Arts. Literature. More”, in una visione integrata delle espressioni creative;  Un libro, una tazza di lè e il camice bianco di Marzia Giansante, psichiatra che considera l’apporto umanistico indispensabile alla cura e alla stessa professione medica; “Giuditta legge. Il blog di lettura di Giuditta Casale” che fa della lettura personale di un singolo libro un punto per osservare le dinamiche relazionali della società; Letteratume. Spunti di letture con leggerezza di Vincenzo Barometro, che predilige ironia e auto-ironia per le sue incursioni editoriali. 
Anche Sololibri,net ha contribuito al talk, con dati sulla presenza dei blog letterari in rete e sulla consistenza degli scambi sui social, mentre Maria Di Cuonzo ha twittato l’evento in diretta.
Il filo rosso delle considerazioni espresse negli interventi è stato quello della necessità di comunicare il proprio modo di leggere, in cerca di interlocutori affini, di riscontri, di collegamenti.
Il dialogo può crearsi con gli autori, con gli editori (e in questo Twitter è assai più efficace di altri social), con una nicchia di appassionati su temi molto specifici – come nel caso di chi arricchisce giornalmente @diconodioggi con le date trovate nei racconti – oppure con un gruppo molto vasto di persone, come accade proprio a Casa Lettori, che considera ogni tweet inviato al suo account un segno importante della presenza di ciascuno.
Antonella Sbrilli (@asbrilli)

 

 

Muri fuori sincro in un libro di Stefano Scialotti

Stefano Scialotti è un regista di documentari che affrontano i temi – per lui sempre intrecciati – dei diritti umani, dell’infanzia, del gioco e dell’arte in tutte le sue variegate espressioni. Chi vuole conoscere alcune delle sue realizzazioni può seguirlo sul canale Vimeo, dove i video caricati mantengono una traccia, quasi un diario, delle sue tante imprese in giro per il mondo. Dai sogni onirici dei bambini, alla liberazione dei cortili, passando per la documentazione alternativa delle Biennali (non solo quella di Venezia), Scialotti si muove sempre come un creatore di situazioni collettive, director di incontri e di fenomeni il cui racconto filmato è solo uno degli esiti possibili e sperati.
Uno dei temi a cui Scialotti sta dedicando da anni energie, viaggi e impegno è quello dei muri che separano le frontiere calde del panorama geopolitico attuale: manufatti edilizi che condensano materialmente e metaforicamente l’esclusione, anche violenta.
Dal confine fra Stati Uniti e Messico, al campo Aida di Betlemme, in collaborazione con volontari, ricercatori, artisti, attivisti, Scialotti trasforma lo spazio desolato prossimo ai muri in un luogo di avvenimenti inaspettati, che coinvolgono i bambini del posto in partite di calcio e altri giochi in virtuale dialogo con i bimbi dell’altra parte.
All’origine di questo interesse profondo, c’è un’esperienza condotta da Scialotti davanti al muro per antonomasia, quello di Berlino, eretto nel 1961 e smontato nel 1989. A questo muro, Scialotti ha dedicato riflessioni e azioni, fotografando – nel corso degli anni ’80 – il palinsesto di scritte di cui la sua facciata occidentale si copriva, immaginandone la parete nascosta verso Berlino est, organizzando performance e spettacoli (fra cui uno al Piper di Roma, nei primi anni Ottanta).
Tutto questo materiale, rielaborato con un estro fantastico e tecnologico che rivela la formazione di Scialotti – ingegnere elettronico appassionato di fantascienza – e la sua attitudine alla ricerca creativa, è diventato Lennon not Lenin. Il muro di Berlino erano due, un libro pubblicato dall’editore Fausto Lupetti e collegato alla campagna iorompo.it del quotidiano “il manifesto”. 
Tutto è doppio in questo racconto: le facce del muro, nella città dal “cielo diviso”, così come le realtà, quella corrente in cui si svolge la storia  e quella virtuale del dispositivo di Intelligenza Artificiale (anzi di Vita Artificiale, il cui nome è Continua-Mente), che interagisce con i protagonisti. Le vicende raccontate – in capitoli brevi e dallo spirito ipertestuale – si srotolano fra il 13 agosto 1981 (vent’anni esatti dopo l’inizio della  costruzione del muro),  quando un gruppo di artisti, “reduci un po’ disadattati del ’68”, fonda il collettivo utopico No Future Project, e il 25/26 marzo del 1991, quando il gruppo si ritrova in cerca di uno dei componenti, Ario, che è scomparso. La strategia investigativa adottata nella ricerca scatena un corto-circuito di tecnologie, culture e tempi, che è il fulcro della narrazione:  procedendo nella lettura, ci si accorge che i nomi dei protagonisti sono connessi alla Divina Commedia, a cui alludono anche le date di marzo in cui si ambientano le vicende; e così il viaggio di ricerca si riflette e si raddoppia nei versi del poema dantesco che Continua-Mente cita in risposta alle domande che le vengono poste. L’aldilà e l’aldiquà, la storia e la finzione, la realtà e la virtualità,  lungi dall’essere per forza domini separati da muri e confini, rivelano – a saperli trovare – tanti ponti e punti di connessione, fatti di parole e giochi con le parole, immagini fisse, spezzoni di video, telepatie, frammenti “fisici e grafici”. Come spiega Francesco Antinucci nella prefazione al libro, le storie che lo compongono “corrono parallele ma a un certo punto scivolano l’una rispetto all’altra, così che i loro personaggi vanno fuori sincro o nel tempo o nello spazio, creando e vivendo realtà inesistenti (né mai esistite) fatte di pezzi rigorosamente esistenti (o esistiti)”.
Il fuori sincro funziona anche in queste pagine di Scialotti come un modo di raccontare gli strati non lineari delle storie e della storia, ripescando dal magma del tempo segnali ancora trasmissibili, fra cui emergono – ancora potenti e argute come Lennon, not Lenin – alcune delle  scritte del muro di Berlino.

a.s.

Il video Lennon not Lenin di Stefano Scialotti con Davide Canazza

Il codice delle date: Marcello De Angelis

Time Frame è una tipologia di opere di Marcello De Angelis (Villafranca VR, 1977), un artista la cui ricerca è rivolta – come dichiara egli stesso in apertura del suo sito – ad “imbrigliare la materia pittorica entro un ordine razionale”, utilizzando schemi, griglie, procedure, regole, codici. 
Le opere del ciclo Time Frame, per esempio, si presentano come tele di 15×20 cm, su cui sono raffigurate, su righe sovrapposte, due sequenze di segni di colore diverso, stanghette verticali in leggero rilievo, il cui ritmo sottende un mistero da risolvere. E infatti si tratta  della traduzione in codice binario di due date: il giorno di nascita del committente dell’opera, e il giorno in cui l’opera viene commissionata. I colori variano, a seconda del gusto e del caso (oro e verde su fondo azzurro nell’esemplare qui riprodotto). 

Dietro questa configurazione tattile, visiva e matematica, c’è un certosino lavoro sul rapporto fra il codice e le date (e dunque il tempo), a cui De Angelis si dedica dal 2016, quando introduce l’uso del codice binario per la serie di opere CODEX (CDX), dapprima per codificare i colori e poi – via via che la serie procede –  per rappresentare pittoricamente in codice binario l’anno, il mese, la settimana e il giorno in cui l’opera è stata dipinta, con i suoi colori. 
Memore delle sequenze ipnotiche di tele nere con date bianche di On Kawara, De Angelis si applica a studiare la disposizione per esporre la sua serie: “in alto a sinistra una tela isolata con la codifica del primo e dell’ultimo giorno dell’anno. Accanto, dodici righe di tele a rappresentare i 12 mesi dell’anno. Per ogni riga 4 o 5 tele a rappresentare le settimane  di ogni singolo mese… e gli spazi vuoti quando non ho dipinto”.

A sua volta, dietro la serie CODEX, c’è una ricerca procedurale che risale alla formazione di De Angelis, laureato in Industrial Design al Politecnico di Milano. 
“Punto di partenza dei miei lavori è un disegno, un bozzetto che viene successivamente rielaborato al computer mediante un programma di modellazione grafica. Nascono così delle griglie vettoriali costituite da linee e curve tangenti, forme geometriche che vengono successivamente trasferite sulla tela. Da questa struttura ordinata creo una fitta trama di tratti di colore allineati”. 
Su questa base, si inserisce una tecnica particolare, che De Angelis affina con gli anni e che consiste nell’iniettare il colore acrilico sulla superficie della tela utilizzando l’ago di una siringa (strumento di cura, ma anche di morte, allusione alle polarità, agli ossimori, ai paradossi dell’esistenza e del linguaggio).
Da un punto di vista tecnico, l’injection painting produce effetti cangianti che variano con la luce, arricchendo le superfici di spessore e dinamismo. 
È con questa procedura che De Angelis realizza una serie di ritratti non fisiognomici, ma digitali, nel senso che raffigurano l’impronta del dito pollice del committente.
Ognuno di questi ritratti è una sorta di sineddoche, come spiega lo stesso artista, poiché l’impronta digitale è una piccola zona che identifica l’intera persona.
“Attraverso l’impronta – così altamente personalizzante e al contempo apparentemente priva di personalità – pongo l’attenzione sia sul singolo individuo che sulla collettività, senza distinzione di sesso, età, colore della pelle o tratti somatici.

Da questi ritratti deriva una sorta di paradosso analogico-digitale, se si considera il significato originario dei termini digitale e analogico e la loro contrapposizione: digitale poiché  attiene alle dita e alla loro rappresentazione attraverso il segno dell’impronta; analogico in quanto testimonianza della reale presenza dell’individuo nel momento in cui ha lasciato la sua impronta, la sua orma, traccia del suo passaggio nella vita, costante nel tempo, senza cambiare col passare degli anni, sempre uguale dalla nascita alla morte”.

Il tempo con le sue scansioni collettive e private, il tempo del lavoro in atelier, lento e laborioso, sono le cornici concettuali e procedurali delle opere di questo artista, che ha dedicato riflessioni creative al tema dello scarto, della stratificazione, della durata, del diario. 
Ex libris è il nome che raccoglie – in una sorta di libro d’artista – le tracce quotidiane lasciate a margine del suo lavoro, schizzi, piccoli disegni, semplici macchie di colore. 
“Queste tavole, raccolte ogni mese in un cofanetto in plexiglass, rappresentano un diario intimo e personale, la storia evolutiva dei miei quadri, lo scorrere lento del tempo mescolato alle vibrazioni dei colori che di giorno in giorno ho usato per dipingere”. 
Nel percorso di De Angelis, ogni serie di opere risponde a un nucleo di regole, che in parte variano e in parte permangono, appoggiate sulla griglia dei giorni e sulla filigrana dei segni. 

Antonella Sbrilli (@asbrilli)

Immagini: courtesy Marcello De Angelis

 

Calendar Houses: il tempo costruito

Grazie a un tweet inviato all’account Twitter @diconodioggi da Sandra Muzzolini, esperta di letteratura e di cultura inglese, veniamo a conoscenza di una rara tipologia di case, costruite nel Regno Unito dalla fine del XVI secolo, che hanno a che fare con la scansione calendariale del tempo. 
Nel tweet, è riportata una citazione dal libro della scrittrice britannica Natasha Solomons, The House of Gold (2018, tradotto in italiano da Laura Prandino per l’editore Neri Pozza col titolo I Goldbaum):
“Era l’ultima delle calendar houses costruite in Inghilterra; aveva 365 finestre, 52 stanze principali, 12 scale, 7 torri e 4 ali”.


Una casa calendario è un edificio complesso in cui gli elementi architettonici (porte e finestre, stanze, camini, torri, cortili) sono modulati in quantità che rappresentano i giorni della settimana, le settimane e i mesi dell’anno, le stagioni.
La genesi delle case calendario risale – come si legge nell’articolo 
Make a date: the strange world of the calendar house – al fervido clima intellettuale del periodo elisabettiano, attraversato da interessi per le scienze della natura, per la matematica, per l’astronomia e da una attrazione per il “device” which in the 16th-century meant any ingenious or original shape or concept”.
Il dispositivo concettuale sotteso alle calendar houses consiste dunque nell’incorporare le misure convenzionali del tempo nel progetto architettonico: una contrainte che, oltre a vincolare eventuali sviluppi successivi dell’edificio, produce un’attitudine al computo e alla verifica
della regola. Fra i non molti esempi di questa tipologia di dimora – che collega porzioni di spazio e di tempo –  è annoverata – almeno miticamente -anche Knole House nel Kent, proprietà della famiglia Sackville-West, evocata nel libro di Virginia Woolf Orlando.

a.s.

Mappe nel tempo globale: Cristina Lucas

Una storia dell’arte estesa quanto il mondo, che cerchi di raccontare la molteplicità delle espressioni artistiche che si sono sviluppate – nel tempo – nelle diverse aree del globo. Mentre scuole e università affrontano questa nuova prospettiva modificando metodi, libri di testo, pratiche didattiche, le opere d’arte stesse possono rivelarsi efficaci strumenti, come dimostrano le reazioni dei visitatori davanti alle mappe geo-politiche di Alighiero Boetti: i planisferi colorati dalle bandiere cangianti delle nazioni attirano l’attenzione e inducono a percorrere la superficie per un tempo ben maggiore dei pochi secondi che le statistiche indicano come standard nelle visite museali.
Un’opera d’arte che si presenta come una interessante visualizzazione di questo vasto tema è visibile fino al 3 novembre 2019 a Roma, nella mostra collettiva dal titolo Kronos Kairos. I tempi dell’arte contemporanea, a cura di Lorenzo Benedetti, allestita negli spazi dell’area archeologica del Palatino.

L’opera è dell’artista spagnola Cristina Lucas (Jaén, 1973) e si intitola Pantone -500 +2007. Si tratta di una video-installazione che mostra in modo dinamico l’emergere – nella conoscenza geo-politica occidentale – delle diverse zone del mondo in un arco di tempo compreso fra il 500 avanti Cristo e il 2007, anno di realizzazione dell’opera stessa.
L’artista spagnola, che ha all’attivo diverse creazioni che indagano le convenzioni narrative della storia ufficiale, esplorando con i mezzi del video e dell’installazione le fonti secondarie e critiche, per l’opera Pantone -500 + 2007 ha condotto un lungo lavoro di ricerca storico-geografica e cartografica, avvalendosi della consulenza di esperti internazionali.

Ha poi inserito i dati in un programma: ogni secondo che passa nel video corrisponde a un anno nella storia del mondo: 2507 anni in 40 minuti circa. All’aumentare del tempo (il tempo reale che trascorre per chi guarda e quello collegato, proporzionalmente, nella linea ella storia), la superficie bianca dello schermo si anima di zone colorate. E qui si spiega il titolo, che fa riferimento a Pantone, l’azienda che ha creato un sistema standardizzato internazionale per effettuare e condividere selezioni di colore. Nel video in continua mutazione di Cristina Lucas, “ogni colore rappresenta una specifica identità nazionale”, come scrive la curatrice Ghila Limon, “il movimento di macchie di colore rappresenta guerre, invasioni o migrazione della popolazione. Pantone standardizza la rappresentazione di tutti gli eventi storici, senza alcun ordine gerarchico”.

Chi osserva questa mappa in continua trasformazione è coinvolto nella ricostruzione della forma del mondo (così come siamo abituati a vederla negli atlanti), si interroga sulla mancanza di alcune zone, sul loro comparire in corrispondenza della loro “scoperta”, sul loro mutare di colore a seconda della travagliata storia coloniale, fino a che – anno dopo anno – il planisfero si completa, senza che i colori si assestino mai definitivamente. Storia, geografia, politica, rappresentazione sono messe in una prospettiva dinamica e relativa, che dialoga con chi la segue guardando il video, desiderando fermarlo in alcuni anni cruciali, per approfondire una zona, colorata o vuota che sia.
La mappa di Cristina Lucas potrebbe scorrere proficuamente nelle classi scolastiche e universitarie, come traccia mobile su cui interagire per cogliere cromaticamente la dimensione spazio-temporale della storia e riempirla di contenuti e collegamenti inter-disciplinari.

Mostra Kronos Kairos. I tempi dell’arte contemporanea, a cura di Lorenzo Benedetti, Roma, Palatino, fino al 3 novembre 2019

(a.s.)

 

Visualizing Time: Time’s News 2019

Mentre a Los Angeles (Marymount Loyola University) si svolge Time in Variance, il 17° simposio sul tempo organizzato dall’International Society for the Study of Time (ISST), il cinquantesimo numero del magazine dell’ISST,  “Time’s News”, esce a cura di Emily Di Carlo. 
Contiene notizie sulle attività della Società, recensioni, segnalazioni di eventi ed esperienze, call for papers, approfondimenti, interviste e una sezione, dal titolo Visualizing Time, dedicata ad opere d’arte che – nel corso del 2018-19 – hanno fatto emergere una riflessione  sul tempo, attraverso tecniche e strumenti diversi. 
La selezione di questa scelta di “time focused art”, curata da Antonella Sbrilli e Laura Leuzzi, segnala una serie di artisti internazionali, da Olafur Eliasson e Minik Rosing con il loro Time Watch a Tracey Emin (I Want My Time With You), passando per Aiko Miyanaga (Waiting for Awakening – Clock), Marco Godinho (Every Day a Poem Disappears in the Universe), Zhao Zhao (One Second) e due artiste italiane: Daniela Comani che nel 2019 ha realizzato Planet earth 21st Century (ne abbiamo parlato qui), e Mariagrazia Pontorno, con Everything I Know, un progetto che ripercorre il viaggio di Leopoldina d’Austria – appassionata di scienze – verso il Brasile, nel 1817: un diario che rintraccia, aggiorna, rimodula lo sguardo scientifico, le atmosfere geografiche, i passaggi di spazio e di tempo.


Nell’anno in cui si celebra il  cinquantenario del primo sbarco sulla Luna, non poteva mancare l’eloquente opera di Peter Liversidge, From home – how far the moon has, and is, moving away from the Earth since the moon landing, July 20th, 1969


Il numero di “Time’s News” riporta anche un interessante esperimento di Emily Di Carlo,  I Need To Be Closer To You, parte del progetto Daylight Saving Time, che indaga il concetto di “time-specificity” nell’arte contemporanea, lavorando sui fusi orari, sull’ora legale, sulla percezione della distanza temporale e delle sue variazioni. 

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Time in Variance – Los Angeles, 23-29 giugno 2019

L’International Society for the Study of Time (ISST), fondata nel 1966 da Julius T. Fraser (ne ho parlato qui), organizza triennalmente dei simposi multidisciplinari sul tema del Tempo. Quest’anno – 2019 – il 17° incontro si svolge dal 23 al 29 giugno presso la Loyola Marymount University di Los Angeles. Il titolo è Time in Variance: il tempo considerato in rapporto con il concetto di “varianza”,  intesa come variabilità e come modifica. L’intento è quello di indagare le trasformazioni nella valutazione e nella condivisione di scale temporali diverse che producono – concettualmente ed esperenzialmente – forme diverse di tempo “alcune oscillanti, altre circolari, altre ancora lineari”. La frase Time in Variance suggerisce però anche il suono della parola “invarianza”, evocando così la compresenza del flusso delle trasformazioni e della presenza di costanti, la necessità delle misure e la condizione dell’instabilità.
Come sempre, il simposio presenta interventi teorici e laboratori, mostre e workshop creativi, che abbracciano vaste e variegate regioni disciplinari, che includono e intersecano le scienze, la filosofia, la psicologia, la narrativa, il cinema. A questo link si possono leggere gli abstracts degli interventi e dei poster.


Le sessioni di Time in Variance  si svolgono nella Hannon Library della Loyola Marymount University, nelle cui Special Collections è conservata parte dei materiali d’archivio dell’International Society for the Study of Time donati dal fondatore J.T. Fraser.

Il programma del simposio 2019 include fra le altre attività multidisciplinari anche la visita a The Garden of Slow Time, giardino di meditazione progettato da Paul Harris di cui la foto mostra una veduta d’insieme e un dettaglio. 

 

 

Notte bianca #24: Firenze, Museo Marino Marini

Durante l’estate a San Pietroburgo si assiste al fenomeno delle notti bianche, quando la luminosità, per quanto soffusa, permane anche a notte fonda. Sono queste ventitré notti bianche ad aver ispirato la Notte Bianca #24 del Museo Marino Marini di Firenze: un “festival di una sola notte dedicato alla creatività, alla cultura, all’arte e ai sogni”.
Dalle 21,30 di sabato 4 maggio all’alba di domenica 5 maggio 2019, nel museo che ospita le sculture di Marino Marini – l’ex chiesa di San Pancrazio – si avvicendano performance, musiche, dialoghi, esplorazioni, sui temi intrecciati del tempo, dello spazio, del museo, dell’immaginario.

La Notte Bianca #24 fa parte di Accents, Accenti, Акценты, il programma  allestito da Dimitri Ozerkov, visiting director del museo Marino Marini per il 2019. Ozerkov (San Pietroburgo, 1976), storico dell’arte, filosofo, curatore di numerose mostre (da ultima Futuruins a Palazzo Fortuny, Venezia),  è responsabile del Dipartimento di arte contemporanea dell’Ermitage. 

La parola accenti, modulata in tre lingue, evoca la pluralità di voci e di ritmi del programma, che vede tre artisti in residenza, Irina Drozd, Andrey Kuzkin e Ivan Plusch e la mostra Le Tre donne, allestita  nella Cappella Rucellai e dedicata a tre figure femminili del racconto biblico, Giuditta, Giaele e Dalila. 
A questo link il programma

 

Planet Earth: 21st Century di Daniela Comani

Ci voleva un’artista residente a Berlino – e proveniente da un’altra città che inizia con la B, Bologna – per portare nel nuovo millennio l’immagine della città, le immagini delle città. Quelle Städtebilder che un nativo berlinese, Walter Benjamin, aveva descritto seguendo i labirinti delle strade, gli spiazzi fra i blocchi degli edifici, i monumenti, le colonne che si levano sulle piazze “come la data sul blocco di un calendario”.
Ci voleva un’artista che si era immersa profondamente nel Tempo, raccontando in prima persona il periglioso Novecento nella sua opera Sono stata io. Diario 1900-1999, dove – non per caso – Benjamin è evocato alla data del 27 settembre “mi tolgo la vita a Portbou, sulla frontiera tra Francia e Spagna”.
È stato scritto che la descrizione della città è un viaggio nel tempo piuttosto che nello spazio, un viaggio nella familiarità che diventa straniera, nel presente che lascia trapelare il passato, nella lontananza che si alterna alla prossimità.
Se queste osservazioni valgono ancora nell’epoca dei viaggi veloci, dei blog turistici, dei satelliti, delle webcam, allora la nuova opera di Daniela Comani, Planeth Earth: 21st Century, ne è l’espressione più esattamente straniante, la più vicina alle trasformazioni delle tecnologie e dei punti di vista.


Il punto di partenza di Planet Earth è una raccolta di immagini di città, un materiale visivo proveniente dalle applicazioni di cartografia tridimensionale Apple Maps e Google Earth Virtual Reality. Basate su programmi 3D di rendering che creano un mondo tridimensionale grazie a immagini satellitari e fotografia aerea, queste tecnologie consentono di sorvolare le città in 3D, girando intorno a edifici e monumenti, strade, svincoli, ponti e ogni genere di infrastrutture. 
Nel corso di queste esplorazioni virtuali, Daniela Comani ha “catturato” centinaia di foto, manipolando le immagini prodotte dalle mappe di Apple e Google Earth,  in modo che ne risulti un panorama privo di presenze umane, ma denso di pattern murari, di ombre e profondità.


Una volta ottenute queste vedute – souvenir di un pianeta antropico dove gli esseri umani non compaiono – l’artista le ha stampate nel formato tradizionale della cartolina. Un formato che permette anche – agli interlocutori di quest’opera – di accettare la suggestione narrativa delle immagini e di scrivere sul lato bianco del cartoncino la propria storia per quell’immagine, per quella città, per il proprio viaggio, per la propria memoria. 
Da una raffinata tecnologia geolocalizzata al ricordo da spedire via posta, dall’occhio planetario allo sguardo privato, Planeth Earth: 21st Century è anche una inaspettata opera partecipativa, story-telling postale all’insegna di un lieve disorientamento condiviso, dove la sorpresa è continuamente dietro l’angolo delle strade.


Durante il National Geographic Festival delle Scienze 2019 di Roma (Auditorium Parco della Musica, Foyer Petrassi, 8-14 aprile 2019), Planet Earth: 21st Century diventa una mostra, allestita nella forma più consona al suo tema: chi la visita può infatti curiosare fra le cartoline sistemate in una serie di espositori girevoli, tipici oggetti del turismo globale. 
E sempre presso l’Auditorium Parco della della Musica di Roma, nello spazio di passaggio tra il foyer della Sala Petrassi e il Teatro Studio Borgna, il Sound Corner permanente ospita la versione audio di Sono stata io. Diario 1900-1999.

Il sito dell’artista Daniela Comani.
Antonella Sbrilli

Ingannare il Tempo. Un incontro al Museo di Roma in Trastevere

Nell’ambito del programma Educare alle mostre / Educare alla città della Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, il 6 marzo 2019 si svolge un incontro dal titolo “Ingannare il tempo. Giorni inventati fra arte e racconto”, a cura di Antonella Sbrilli.
L’incontro al Museo di Roma in Trastevere prende avvio dalle illusioni ottiche, gli inganni visivi legati alla percezione dello spazio e si inoltra nel tema degli inganni temporali. Qualche esempio: un artista che retrodata un dipinto sta ingannando la visione storica della sua produzione; uno scrittore che segna una data inesistente (37 ottobre, 31 aprile) sta inserendo nella sequenza del calendario un ostacolo sul quale la lettura inciampa e l’immaginazione prende una sua strada.

Nel pomeriggio del 6 marzo 2019 – che fra l’altro è il Mercoledì delle Ceneri (e il pensiero corre all’opera in versi di T. S. Eliot che porta il titolo della ricorrenza) – vedremo una serie di opere che si intromettono con diversi espedienti nella durata temporale, concerti lunghi secoli, orologi annuali, opere che termineranno nel 2114, periodi trascorsi su una scansione del tempo parallela, consapevoli che, come scrive Carlo Rovelli, il tempo è “la sorgente della nostra identità”, la forma con cui noi esseri “il cui cervello è fatto essenzialmente di memoria e previsione interagiamo con il mondo”.

Educare alle mostre / Educare alla città
Ingannare il tempo. Giorni inventati fra arte e racconto
a cura di Antonella Sbrilli
Museo di Roma in Trastevere
Piazza Sant’Egidio, Roma
Mercoledì 6 marzo 2019 ore 16
L’immagine è tratta da http://www.iferridisbrilli.eu

Storia millimetrata del tempo: Art’s Birthday 2019

Diconodioggi ha dato spesso notizia negli anni scorsi della ricorrenza del “compleanno dell’arte”, l’Art’s Birthday inventato dall’artista francese Robert Filliou: correva l’anno 1963 quando, nel poema intitolato L’Histoire chuchotée de l’Art (La storia sussurrata dell’Arte), Filliou incluse il racconto di come “tutto ebbe inizio il 17 di gennaio di un milione di anni fa. un uomo prese una spugna asciutta e la intinse in un secchio pieno d’acqua. non importa chi fu quell’uomo. egli è morto, ma l’arte è viva.”
La data del 17 gennaio corrisponde al compleanno di Filliou stesso  e diventa la data originaria a cui far risalire la prima traccia della capacità creativa del genere umano. Dal 1973, prima in Germania e in Francia e poi in una rete più ampia di paesi, l’Art’s Birthday è festeggiato con iniziative disparate, concerti, feste, azioni. La pagina artsbirthday.net raccoglie le partecipazioni all’anniversario di quello che quest’anno 2019 è  il 1.000.056° compleanno dell’arte.


Quest’anno, il  il Macro Asilo di Roma – su iniziativa di Antonella Sbrilli – organizza una giornata celebrativa che si svolgerà dalle ore 10.00 alle ore 18.00 nella Sala Media e proseguirà con i festeggiamenti fino alla chiusura.
Il centro creativo della giornata è affidato all’artista milanese Aldo Spinelli, che darà vita alla sua Storia millimetrata dell’arte. Ecco di che cosa si tratta.
Il progetto di Aldo Spinelli – come lo descrive egli stesso – prende spunto dalla pretesa di visualizzare il numero 1000056 (unmilionecinquantasei) nella sua vasta estensione che tuttavia può essere riconducibile a dimensioni umane se l’unità di misura scelta è più o meno contenuta e minuscola. Come si potrebbe presentare, per esempio, una superficie di unmilione e poco più centimetri quadrati? Beh, occorrerebbe un mezzo campo da tennis. Allora i millimetri: 56 millimetri in più di un metro quadro, lo spazio minimo che ci è necessario anche in un posto affollato.
Scomponendo 1000056 nei suoi fattori primi si ottiene 2 x 2 x 2 x 3 x 41669 in cui i divisori più piccoli del numero, se moltiplicati tra loro, possono suggerire un’altra idea: 2 x 2 x 2 x 3 = 24 proprio come le ore del giorno.


In 24 ore (o in 24 giorni) si possono dunque realizzare altrettante immagini ognuna delle quali ha la superficie di 41669 millimetri quadrati: 24 x 41669 = 1000056. Quali immagini? Delle semplici forme che richiamano, alludono a 24 “soggetti” tipo che hanno caratterizzato la storia dell’arte: dalle impronte dell’uomo primitivo al ritratto, dal quadrato nero di Malevic al taglio di Fontana, dalla pop art all’arte concettuale.
Queste immagini saranno prodotte in presenza del pubblico e con tecniche varie avendo come unico comun denominatore la carta millimetrata. Da qui il tiolo della manifestazione: L’Histoire millimétré de l’Art.
L’evento è aperto a tutti ed è a ingresso libero.
Aldo Spinelli: Art’s Birthday 2019
Macro Asilo, Roma, via Nizza 138, Sala Media dalle 10 alla chiusura.

Foglietti di tempo a Montevideo

“Camminando per le strade di Montevideo il 31 dicembre, sono stata sorpresa da una pioggia di foglietti che, come piccoli fuochi d’artificio, sbocciavano da diversi palazzi istituzionali”,  racconta Sara De Chiara, storica dell’arte in viaggio in Uruguay.  “Sono riuscita a catturare il lancio dal palazzo della presidenza della repubblica e a capire la natura dei foglietti: calendari spezzettati, pagine di agende strappate, un vero e proprio azzeramento dell’anno agli sgoccioli”. 
È un’usanza della capitale dello stato sudamericano,  riportata anche nelle guide turistiche, quella che accompagna il passaggio da un anno all’altro.  Il 31 dicembre, dai palazzi del centro, una pioggia bianca di foglietti di carta ricade sulle strade, si ammucchia ai bordi dei marciapiedi, si disperde sul selciato. Chi si avvicina ai foglietti, si accorge che si tratta di pagine di agende e calendari, lanciati fuori delle finestre degli uffici, in un rito che – al netto del disagio della ripulitura delle strade – mantiene un valore simbolico eloquente. E non stupisce che il rito si affacci letteralmente dalle finestre nella terra di Eduardo Galeano (1940-2015), l’autore  che ha saputo raccontare il tempo e le sue misure, oscillando fra narrazione lunga e frammento, pagine e foglietti (Bocas del tiempo). 

 

 

 

Passaggi di tempo

Siamo arrivati al 30 dicembre, comincia il conto alla rovescia per l’anno nuovo e si affollano i calendari del 2019.
Per il conto alla rovescia, è d’obbligo citare Ice Watch, l’installazione che l’artista Olafur Eliasson ha realizzato insieme con il geologo Minik Rosing a Londra.
Trenta piccoli iceberg – il peso di ciascuno varia da una tonnellata e mezzo a sei tonnellate – raccolti alla deriva in un fiordo in Groenlandia sono collocati in due zone della città, 24 nei pressi della Tate Modern e altri sei, in cerchio, all’esterno della sede europea di Bloomberg (che finanzia l’operazione). Già due volte, nel 2014 e poi nel 2015, Eliasson aveva trasportato enormi pezzi di ghiaccio in mezzo a due capitali, Copenaghen e Parigi, in concomitanza con incontri internazionali sul cambiamento climatico. Disposti a cerchio, come in un quadrante di orologio, o sfalsati sull’asfalto cittadino come bianchi dolmen fra cui muoversi, i pezzi di ghiaccio si liquefanno giorno dopo giorno, con un chiaro – per alcuni fin troppo didascalico – monito sugli effetti del riscaldamento globale, sul futuro delle calotte polari e del livello dei mari.
L’installazione, inaugurata a dicembre, dura finché i blocchi non saranno sciolti, scandendo il tempo con un ritmo imprevedibile.
Chi cerca invece un calendario con la sua griglia regolare di caselle che accompagnano il 2019 con citazioni e anniversari, può dare un’occhiata a quello creato da Ethics in Bricks. Il calendario presenta per ogni mese un pensiero-guida, su temi di filosofia morale, illustrato da una scena allestita con mattoncini e altri componenti Lego. Ethics in Bricks è attivo su Instagram, Facebook e Twitter, dove posta ammirevoli ricostruzioni di uffici, strade trafficate, aule – tutte fatte di Lego – e ognuna collegata a un tema filosofico, declinato al presente: il dilemma etico dell’auto senza guidatore, il rapporto formatore-discente, le differenze di genere, i big data e così via.
Le scene sono popolate anche dalle figure di filosofi, riconoscibili per dettagli, come la barba scura di Nietzsche, la parrucca bianca di Kant, o per il contesto, come il fiume di Eraclito, fatto con mattoncini piatti celesti e trasparenti.
La copertina del calendario si ispira alla Scuola di Atene di Raffaello e raccoglie in ordine sparso, ma motivato da una legenda, 14 filosofi antichi e moderni, da Socrate ad Hannah Arendt, da Diogene a Martha Nussbaum, e non manca Žižek.
Il mese di gennaio 2019 inizia all’insegna di Platone e ricorda le date di nascita di Simone de Beauvoir, il 9 gennaio, di Gramsci, il 23 e di san Tommaso, il 28.
Il calendario si può scaricare e in cambio fare una libera donazione all’Unicef.

Su Twitter @EthicsInBricks – Plastic philosophy

(a.s.)