23 Ottobre | 23 octobre

23 ottobre 2025

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Un seul détail est décidément inventé: rien n’indique que le poète, ce 23 octobre 1875, fit à cheval la route d’Acoz à La Pasture. Mais il a à son crédit d’autres chevauchées plus longues. S’il fit ce jour-là ce trajet dans sa voiture, comme ce fut le cas dans les deux occasions suivantes, ses méditations en course de route n’en ont pas été changées.
Je me rends compte de l’étrangeté de cette entreprise quasi nécromantique. C’est moins le spectre d’Octave que j’évoque à près d’un siècle de distance qu’Octave lui-même, qui, un certain 23 octobre 1875, va et vient accompagné sans le savoir par une “petit-nièce” qui ne naîtra que vingt ans  après sa mort à lui, mais qui, en ce jour où elle à rétrospectivement choisi de le hanter, a environs l’âge qu’avait alors Madame Irénée. Tels sont les jeux de miroirs du temps. 

Marguerite Yourcenar, Souvenirs pieux, 1974

Un solo particolare è decisamente inventato: nulla indica che il poeta, quel 23 ottobre 1875, abbia percorso a cavallo la strada da Acoz a La Pasture. Ma si è a conoscenza di altre sue cavalcate ancora più lunghe. Se quel giorno egli fece il tragitto in carrozza, come nelle due occasioni successive, le sue meditazioni durante il percorso non furono certo diverse. Mi rendo conto della stranezza di questa operazione quasi negromantica. A un secolo di distanza, più che lo spettro di Octave, sto evocando Octave in persona, il quale quel certo 23 ottobre 1875 va e viene, senza saperlo, in compagnia di un “pronipote” che nascerà soltanto vent’anni dopo la sua morte, ma che il giorno in cui ha deciso di frequentarlo retrospettivamente ha circa l’età che aveva allora madame Irénée. Tali sono i giochi di specchi del tempo


Marguerite Yourcenar, Care memorie, 1974, tr. it. G. Cillario, Einaudi, 1981, p. 167

Il viaggio a ritroso lungo i rami della sua famiglia, in parte francese e in parte belga, conduce la scrittrice Marguerite Yourcenar a ricostruire la rete di esistenze e di relazioni che hanno condotto fino alla sua nascita, nel 1903. Ai dati storici documentati e ai ricordi di famiglia, vengono intercalate immaginazioni e deduzioni su quello che i suoi antenati – bisnonni, nonni, prozii – hanno fatto e provato durante le loro vite. In questa ricostruzione, si incontrano anche giorni inventati – come questo 23 ottobre. Un giorno nella vita del suo parente Octave Pirmez, scrittore e poeta, che la Yourcenar immagina in quei dettagli persi per sempre, impossibili da verificare, ma che forse si sono verificati, in una giornata di fine ottobre del 1875, nella campagna belga, proprio come lei li scrive.

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A memoria di rosa: Giulia Parlato

Le fotografie di Giulia Parlato esposte in una sala della diciottesima Quadriennale (Roma, Palazzo delle Esposizioni) colpiscono per un effetto di inversione che rende misteriose le cose vicine e familiari quelle lontane, finché le due distanze  – quella minuscola delle foglie, dei fiori, di un paralume, di un vetro di finestra e quella enorme della luna, dell’orizzonte, della massa terrestre – , si incontrano e si uniscono, provocando in chi osserva uno stato di accettazione visiva: tutto è familiare, tutto è inspiegabile. Misure e durate diverse e incomparabili, stati di permanenza e di instabilità convivono nella trama di queste fotografie e dell’immagine vibrante tratta da un video che pure è esposta.
Il titolo che le unisce è The Vanished Rose Grower ed è la stessa autrice a raccontarne l’origine  nella storia di un parente, Francesco, “coltivatore di rose, pittore e poeta autodidatta” scomparso nel 1964 in Nuova Zelanda. Questa vicenda legata al suo “album di famiglia” e i tratti della persona scomparsa, solitario, colto, distaccato dalla realtà, l’hanno indotta a intraprendere una ricerca nella regione di Waitakere. Una ricerca fatta di lunghe camminate randomiche tra le foreste rigogliose e le spiagge scure della natura neozelandese, con la macchina fotografica come bussola e rilevatore di “tensioni sottili e zone opache”.
L’esercizio di Giulia Parlato per l’esplorazione delle tracce vegetali, minerali, animali, storiche e per le zone infrasottili e medianiche, insieme con la potenza ambivalente della regione australe, hanno contribuito alla creazione di questo nucleo di immagini in cui evocazione e visione sono un tutt’uno. 


La forza del titolo poi non è  da sottovalutare. Il “giardiniere delle rose scomparso” ricorda, forse di proposito, una frase che viene dalla cultura illuminista del Settecento: “A memoria di rosa, non s’è mai visto morire un giardiniere”.
È un aforisma dello scrittore francese Fontanelle, riportato da Denis Diderot nel suo trattato in forma di dialogo Il sogno di D’Alembert, che la casa editrice Sellerio ha pubblicato con una postilla di Eugenio Scalfari dal titolo Il sogno di una rosa.

La frase – si legge nella sinossi della casa editrice palermitana – aleggia per tutto il dialogo “ad ammonire che il limite, negativo, della possibilità di conoscere non può essere scambiato, positivamente, con il limite della possibilità di essere della realtà” e contiene, in spunti e anticipazioni, “le domande discusse oggi dalla filosofia della mente”.
Francesco, scomparendo alle sue rose, e Giulia Parlato, che è andata in cerca delle sue tracce, proseguono il dialogo, leggero e profondo, sui limiti dell’esserci, sulla percezione delle reciproche durate e sulla bellezza effimera di rose, conversazioni e fotografie.

The Vanished Rose Grower di Giulia Parlato (Palermo, 1993), in esposizione alla 18ª Quadriennale d’arte – Fantastica, nella sezione curata da Emanuela Mazzonis di Pralafera (“Il tempo delle immagini. Immagini fuori controllo?”), Roma, Palazzo delle Esposizioni, fino al 18 gennaio 2026

(Antonella Sbrilli)

 

19 Ottobre

19 ottobre 2025

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Poteva trattarsi di una coincidenza casuale, ma le coincidenze casuali non convincevano Aomame. Era possibile che fra i due fatti ci fosse un collegamento. Anche l’espressione usata dalla signora, quel “grave incidente”, sembrava indicare l’esistenza di una connessione. Lo scontro a fuoco si era svolto il 19 ottobre di tre anni prima (secondo la teoria di Aomame, tre anni prima del 1Q84). I particolari sulla sparatoria li aveva già letti la volta precedente, scorrendo gli articoli di cronaca, quindi un’idea sufficiente dei fatti la possedeva. Quel giorno decise che avrebbe dato solo una rapida scorsa alle notizie, concentrandosi sugli articoli pubblicati in seguito e su quelli che analizzavano l’episodio da vari punti di vista

Murakami Haruki, 1Q84, 1 e 2, 2009, tr. it. G. Amitrano, Einaudi 2011, versione kindle, pos. 6258

Da quando – nel primo dei 24 capitoli del primo libro – la giovane Aomame è scesa dal taxi sulla tangenziale e ha imboccato la scala d’emergenza nella piazzola di sosta, si è ritrovata in una strana atmosfera, dove le cose – come le ha detto il tassista – “sono diverse da come appaiono”, anche se “la realtà è sempre una sola”. Uno degli indizi di una mutazione nello stato della realtà viene proprio dalle date. Consultando i giornali della biblioteca di quartiere, Aomame si accorge di non ricordare – lei così attenta alla storia – alcuni dei fatti accaduti nel 1981. In particolare la colpisce la notizia di un incidente avvenuto il 19 ottobre, uno scontro a fuoco fra la polizia e un gruppo estremista, nei pressi del lago Motosu. Non si tratta di una lacuna della sua memoria, ma di una variante nel corso degli avvenimenti, che conduce in un mondo parallelo, dove una cifra dell’anno corrente, il 9 di 1984, è diventata la Q del “question mark, il punto interrogativo”. Sui fatti del 19 ottobre, Aomame ritorna durante un’altra visita alla biblioteca, in cerca di notizie utili per orientarsi nel nuovo tempo in cui lei e la rete delle cose si trovano.

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12 Ottobre | October 12

12 ottobre 2025

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I have five thousands dollars in government high-denomination bills, he told himself. So I’m not completely helpless. And that thing is gone from my chest, including its feeding tubes. They must have been able to get ai them surgically in the hospital. So at least I’m alive; I can rejoice over that. Has there been a time lapse? he asked himself. Where’s a newspaper?
He found an L. A. Times on a nearby couch, read the date. October 12, 1988. No time lapse. This was the day after his show

Philip K. Dick, Flow My Tears, the Policeman Said, 1976

“Ho cinquemila dollari in banconote del governo di grosso taglio” si disse. “Quindi non sono del tutto inerme. E quella cosa è scomparsa dal mio petto, assieme ai suoi tubi di suzione. All’ospedale devono essere riusciti a rimuoverli chirurgicamente.
Quindi, se non altro, sono vivo; di questo posso rallegrarmi.
C’è stato un salto temporale? Dov’è un giornale?”
Trovò una copia del “Los Angeles Times” su un divano lì vicino, lesse la data: 12 ottobre 1988. Nessun salto temporale. Era il giorno dopo il suo ultimo show

Philip K. Dick, Scorrete lacrime, disse il poliziotto, 1976, tr. it. V. Curtoni, Mondadori, 1998, p. 26

Due “corridoi spaziali” – uno corrispondente alla realtà, l’altro a una “possibilità latente fra le molte”, concretizzata  da una potente droga assunta dalla sorella del generale Buckman – sono accaduti contemporaneamente, confondendo le percezioni, la memoria, le relazioni delle persone coinvolte.  L’11 ottobre il protagonista, il cantante Jason Taverner, è un celebre conduttore televisivo, con uno show seguito da milioni di spettatori. Il giorno dopo, il 12 ottobre si ritrova solo, senza documenti, in un hotel periferico, mentre tutti intorno sembrano non aver mai sentito parlare di lui. Nel corso di quel 12 ottobre entrerà in contatto con il sistema di controllo poliziesco e burocratico della società, con le psicosi e le allucinazioni degli abitanti, mentre la storia (e la lettura) oscillano fra metafore del tempo e della coscienza, ricerca di conferme sull’ora e sulla data. 

 

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I Ottobre | I Oktober

1 ottobre 2025

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Der Oktober brach an, wie neue Monate anzubrechen pflegen, – es ist an und für sich ein vollkommen bescheidenes und geräuschloses Anbrechen, ohne Zeichen und Feuermale, ein stilles Sicheinschleisen also eigentlich, das der Aufmerksamkeit, wenn sie nicht strenge Ordnung hält, leicht entgeht. Die Zeit hat in Wirklichkeit keine Einschnitte, es gibt kein Gewitter oder Drommetengetön beim Beginn eines neuen Monats oder Jahres, und selbst bei dem eines neuen Säkulums sind es nur wir Menschen, die schiessen und läuten. In Hans Castorps Fall glich der erste Oktobertag auf ein Haar dem letzen Septembertage; er war ebenso kalt und unfreundlich wie dieser, und die nächstfolgenden waren es auch. 

Thomas Mann, Der Zauberberg, 1924

L’ottobre venne come sogliono venire i nuovi mesi; il suo è un arrivo modesto e silenzioso sotto tutti i rapporti, senza segni esteriori, un muto insinuarsi dunque, che sfugge facilmente all’attenzione se questa non mantiene un ordine severo. Il tempo in realtà non ha suddivisioni, non ci sono tempeste, non v’è rumoreggiare di tuoni all’inizio del nuovo mese o del nuovo anno, ed anche a quello del nuovo secolo; siamo soltanto noi uomini che spariamo e tuoniamo. Nel caso di Giovanni Castorp, il primo giorno di ottobre fu identico agli ultimi giorni di settembre, fu altrettanto immusonito e freddo come quelli e come gli altri che lo seguirono

Thomas Mann, La montagna incantata, 1924, tr. it. G. Giachetti-Sorteni, Dall’Oglio 1930 (1976), vol. I, p.249

Sulla montagna incantata (o magica, secondo una recente traduzione), il tempo è chiamato continuamente in causa. Sia il tempo meteorologico, poiché su quella montagna delle Alpi svizzere si trova il sanatorio per le malattie dei polmoni, i cui ospiti sono i protagonisti del romanzo, sia – soprattutto – il tempo del calendario. Il soggiorno del giovane ingegnere Giovanni Castorp – in visita a un cugino – doveva durare meno di un mese, e invece – scopertosi malato – si prolunga per anni, trasformando abitudini e aspettative. Mentre le stagioni cambiano, i giorni avanzano come le lancette di un enorme orologio, e il tempo è sentito come una beffa, un mistero, un trucco senza spiegazione.

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24 Settembre

24 settembre 2025

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24 settembre
Mi sono svegliato tardi e senza appetito. Meglio così perché i soldi che mi restano sono pochi. La pioggia non è diminuita. Alla reception, quando chiedo di Frau Else, mi dicono che è a Barcellona o a Girona, al Gran Hospital, insieme al marito. Sulla gravità delle condizioni di quest’ultimo il commento è inequivocabile: sta morendo. La mia colazione è consistita in un latte e caffè e un croissant. Nel ristorante rimaneva solo un cameriere per servire cinque vecchi surinamesi e me.
L’Hotel del Mar, di colpo, si è svuotato. A metà pomeriggio, seduto sul balcone, mi sono reso conto che il mio orologio non funzionava. Ho cercato di caricarlo, gli ho dato qualche botta, ma non c’è stato niente da fare. Da quanto tempo è fermo? La cosa ha un qualche significato? Lo spero

Roberto Bolaño, Il Terzo Reich, 2010 (postumo), tr. it. I. Carmignani, Adelphi, 2010, p. 308

Il diario del giovane tedesco Udo Berger – in vacanza con la fidanzata in un albergo sulla Costa Brava – è cominciato il 20 di agosto e termina dopo poco più di un mese, insieme con la stagione balneare. Durante quel periodo si è dedicato a un wargame sul Terzo Reich, montato su un grande tavolo nella sua stanza. Oltre a Frau Else, la proprietaria dell’albergo, Udo conosce strani personaggi, con cui ingaggia partite piene di tensione, mentre il tempo del gioco si insinua in quello della vicenda. Fino alla fine del suo soggiorno, il 24 settembre, vigilia della partenza.

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8 Settembre | September 8

8 settembre 2025

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Perhaps Anne has another week before time stops for her. As for myself, three weeks? It’s curious to think that, say, precisely 3:47 P. M. September 8, time will stop forever. A single microsecond will flash past unnoticed for everyone else, but for me will last an eternity. I’d better decide how I want to spend it!

James G. Ballard, Memories of the Space Age, 1982

Forse Anne ha un’altra settimana prima che per lei il tempo si fermi definitivamente. Quanto a me, tre settimane, forse? È strano pensare che, diciamo alle 15:47 precise dell’8 settembre, il tempo si fermerà per sempre. Un unico microsecondo scorrerà senza che nessun altro lo noti, ma per me durerà un’eternità. Farei meglio a decidere come voglio trascorrerlo!

James G. Ballard, Ricordi dell’era spaziale, 1982, tr. it. L. Briasco, in Tutti i racconti, vol. 3 1969-1992, Fanucci, 2007, p. 446

C’è ancora qualche data nel mondo del dottor Mallory, ex medico della Nasa afflitto – come la moglie Anne – da strani attacchi durante i quali il tempo sembra rallentare. Arrivato da Vancouver a Cape Kennedy in cerca di Hinton – un astronauta che ha ucciso il co-pilota – e di una spiegazione del fenomeno, Mallory si accorge che tutto il centro spaziale e l’intera Florida è coinvolta nella deformazione del passaggio del tempo. Il tempo, “come una pellicola in un proiettore difettoso, si muoveva a ritmo irregolare, rallentando a tratti fino a fermarsi”. Nei grandi alberghi vuoti, fra le rovine del centro spaziale, fra pochi esseri viventi – gli animali di uno zoo, molti uccelli, la figlia del pilota ucciso, l’astronauta Hinton che sta cercando di fuggire dal tempo attraverso la competenza nel volo – Mallory si muove in un tempo “ agglutinato”. Fra la fine di agosto e i primi giorni del mese successivo, registra ancora gli effetti di questa esperienza su di sé e sulla moglie, in attesa del momento in cui il presente si sarebbe fermato su un unico istante, forse nella luce vivida del pomeriggio dell’8 settembre.

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26 Agosto

26 agosto 2025

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– Niente è accaduto, i fatti sono sempre quelli. I fatti sono lì; – era tornato alla tavola e premeva con le palme aperte sullo scartafaccio del Diario – quel che importa, che mi sconvolge, non sono i fatti, tutti li sanno; sono i rapporti, le concorrenze, la interpretazione; è qui – e con l’indice, lungo e secco che pareva un bastone, picchiava sui margini coperti di note minutissime in inchiostro rosso.
Maurizio ricordò i vaneggiamenti sul ventisei di agosto, che a suo tempo Carmela gli aveva raccontati, e respirò. Carmela uscì in un riso ebete, ma l’abate la fulminò. Narcisa rimaneva fredda e attenta. Poiché ora lo sguardo febbrile dell’abate era arrivato su lei, ella disse rigidamente:
– Per conto mio, le prometto il più rigoroso segreto.
– Ecco; lo confesso, io m’ero ingannato allora, quando ho trovato quella coincidenza di date

Massimo Bontempelli, Gente nel tempo, 1937, ed. cons. Mondadori 1942, pp. 114-115

“È a forza di anniversari che il tempo se ne va tanto presto, invece gli uomini ci hanno una vera passione”. Nella storia della famiglia Medici, le date hanno una fatale importanza, scandendo la successione della scomparsa dei componenti, a partire dalla nonna delle due protagoniste (le sorelle Nora e Dirce), la “Gran Vecchia”, morta il 26 agosto del 1900. È una suggestione collettiva che coinvolge, oltre alla famiglia, l’intero paese e soprattutto l’abate Clementi, che registra su un Diario il ritmo “astrale” delle date di famiglia, a partire da quel 26 agosto di inizio secolo, per poi ammettere che “non importa morire, importa non sapere quando”. “Se uno quando c’è ci pensasse forte, ma ben forte, mi pare che il tempo non dovrebbe andarsene a questo modo”.

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24 Agosto | 24 août

24 agosto 2025

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Mais à quelle époque de la vie de Pompéi était-il transporté? Une inscription d’édilité, gravée sur une muraille, lui apprit, par le nom des personnages publics, qu’on était au commencement du règne de Titus, – soit en l’an 79 de notre ère. – Une idée subite traversa l’âme d’Octavien ; la femme dont il avait admiré l’empreinte au musée de Naples devait être vivante, puisque l’éruption du Vésuve dans laquelle elle avait péri eut lieu le 24 août de cette même année ; il pouvait donc la retrouver, la voir, lui parler… Le désir fou qu’il avait ressenti à l’aspect de cette cendre moulée sur des contours divins allait peut-être se satisfaire, car rien ne devait être impossible à un amour qui avait eu la force de faire reculer le temps et passer deux fois la même heure dans le sablier de l’éternité.

 Théophile Gautier, Arria Marcella. Souvenir de Pompéi, 1852

Ma in quale epoca della vita di Pompei era stato trasportato? Un’iscrizione edile scolpita su un muro gli fece capire, dal nome dei personaggi pubblici, che si era all’inizio del regno di Tito, cioè nell’anno 79 della nostra era. Un pensiero improvviso attraversò la mente di Octavien: la donna di cui aveva ammirato l’impronta al museo di Napoli doveva essere viva perché l’eruzione del Vesuvio nella quale era morta era avvenuta il 24 agosto di quell’anno. Poteva dunque ritrovarla, vederla, parlarle… Il desiderio folle che aveva provato vedendo quella cenere modellata su forme divine poteva essere soddisfatto, perché nulla doveva essere impossibile a un amore che aveva avuto la forza di far tornare indietro il tempo e di far passare due volte la stessa ora nella clessidra dell’eternità

Théophile Gautier, Arria Marcella, 1852, in Il vello d’oro e altri racconti, tr. it. L. Binni, Giunti 1993, p.155

In un anno dell’Ottocento, Octavien, un giovane francese in viaggio a Napoli con due amici, visita il Museo e s’incanta di fronte alla vetrina, dove è conservato un pezzo di lava nera che reca l’impronta di un seno e di un fianco femminili. Arrivato a Pompei e trovata la casa da cui proviene l’impronta, Octavien vive – o immagina di vivere – un’esperienza prodigiosa. Mentre i suoi amici dormono fra i fumi del vino Falerno, Octavien visita di nuovo, da solo, le rovine. Per lui “la ruota del tempo era uscita dalla sua carreggiata” , riportandolo a un giorno che precede di poco il 24 agosto del 79 dopo Cristo, data (peraltro contestata da rilevamenti recenti) dell’eruzione del Vesuvio che seppellì la città. Un’ondulazione del tempo, un ritorno del passato – o una sincope, come apparirà agli amici che lo ritrovano svenuto – gli permette di trovarsi di fronte ad Arria Marcella, in un punto nodale della storia antica.

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22 Agosto

22 agosto 2025

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Così arrivò il ventidue di agosto e così vennero le tre Notti di Ferro.
La prima Notte di Ferro. Alle nove il sole tramonta. Sopra la terra si stende un’ombra opaca, si vedono alcune stelle e, due ore dopo, appare un barlume di luna. Col fucile e col cane me ne vado nel bosco, accendo un focherello e il bagliore della fiamma si insinua fra i tronchi dei pini. Non c’è brina.
La prima Notte di Ferro! dico fra me. E una gioia violenta per il tempo e il luogo mi confonde e mi scuote stranamente

Knut Hamsun, Pan, 1894, tr. it. E. Pocar, in Pan. L’estrema gioia, Mondadori, 1941, p. 88-89

Il tenente Glahn ricorda l’estate del 1855 , quando “il tempo passava molto veloce, senza confronto più veloce di adesso”. Nella foresta norvegese di betulle, popolata di animali ma anche carica di silenzi, Glahn ha trascorso un tempo speciale, in ascolto della natura e di sé stesso. Più adatto alla vita solitaria che alle relazioni umane e amorose, Glahn è sensibile a ogni manifestazione della natura, alle lievi variazioni di luce e calore che accompagnano il cambiamento della stagione. La notte del ventidue agosto – la prima delle notti di agosto in cui comincia ad apparire il primo ghiaccio – il sole tramonta alle nove e Glahn si prepara a passarla all’aperto, mentre un aurora boreale “passa sopra il cielo del Nord”. Lo scrittore norvegese Knut Hamsun – premio Nobel nel 1920 – era nato nel 1859, il 4 agosto.

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18 Agosto

18 agosto 2025

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Quella domenica 18 agosto è, fra i giorni della mia vita, uno dei tre o quattro che mi recito da cima a fondo, quando voglio cercare di raggiungere l’estasi di rivivermi. Mi spiego: io col passato ho rapporti di tipo vizioso, e lo imbalsamo in me, lo accarezzo senza posa, come taluno fa coi cadaveri amati. Le strategie per possederlo sono le solite, e le adopero tutt’e due. Dapprincipio mi visito da forestiero turista, con agio, sostando davanti a ogni cocciopesto, a ogni anticaglia regale; bracconiere di ricordi, non voglio spaventare la selvaggina. Poi metto da parte le lusinghe, l’educazione, lancio a ritroso dentro me stesso occhi crudeli di Parto, lesti a cogliere e a fuggire. Dagli attimi che dissotterro – quanti ne ho vissuti apposta per potermeli ricordare!- non so cavare pensieri, io non ho una testa forte, e il pensiero o mi spaventa o mi stanca. Ma bagliori, invece… bagliori di luce e ombra, e quell’odore di accaduto, rimasto nascosto con milioni d’altri per anni e anni in un castone invisibile, quassopra, dietro la fronte… Sento a volte che basterebbe un niente, un filo di forza in più o un demone suggeritore… e sforzerei il muro, otterrei, io che il Non Essere indigna e l’Essere intimidisce, il miracolo del Bis, il bellissimo Riessere

Gesualdo Bufalino, Diceria dell’untore, 1981, ed. cons. Bompiani, 1992, p. 75

I giorni dell’estate del 1946, al sanatorio della Rocca nei pressi di Palermo, passano come i gradini della “scala mobile di una Rinascente”, che si assottigliano inesorabilmente e spariscono uno dopo l’altro. Di tutti i giorni che il narratore trascorre nella casa di cura, in compagnia di altri ammalati di tubercolosi – ai quali è destinato a sopravvivere – uno, in particolare, torna nei suoi ricordi. Domenica 18 agosto è la data dell’incontro con la giovane Marta per una passeggiata in città, fra chioschi di granite, viali di palme e confidenze via via più intime, che porteranno ad altri rari ma intensi appuntamenti. Una giornata degna di essere rivissuta, richiamata al presente come un bis a teatro.

Vai a Cartolina per un 18 agosto

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Gironi di giorni e balzi di tempo

“…tremo nella trama del tempo…”
Cercare il tempo, nell’antologia di Antonella Antonia Paolini (Il macello moderno, Nino Aragno Editore), porta in zone impervie e offre dei regali.  Intanto, la raccolta di poesie, con un prologo, inizia “in questo novembre” del 2018, e prosegue fino al 2019, anno nel quale muore Nanni Balestrini, a cui l’autrice dedica due composizioni, datate con precisione 19 e 20 maggio. Una pausa di anni – affidata alla pagina 71 del libro – conduce poi alla parte finale (“e altre poesie”) del 2023 – 2024. 
E questi sono i dati, e le date, che delimitano un tempo ben più lungo e denso, non registrabile come un diario; un tempo telescopico che va dall’infanzia al presente, incorpora esperienze vissute e lette, di dolore e di riviviscenza. 
Durante gli sbalzi di questo tempo, la “mente-corpo” dell’autrice (così la definisce Laura Pugno nella quarta di copertina) va incontro a metamorfosi profonde, i cui agenti sono i suoni e le sillabe, le lettere-formiche da cui si sente invasa e che diventano, per necessità e con grande studio, scrittura e letteratura.
“Io m’intrido di letteratura / Poi mi spremo / Scrivo, / Mi disannero”, scrive Paolini nel 2023, inventando un verbo cromatico che indica graficamente il passaggio dei segni scuri dal corpo-mente alla pagina. E subito dopo, a distanza di qualche interlinea: “Non riesco nemmeno a muovermi / incastrata nello spazio tempo”.
Una delle zone impervie esplorate da A.A. Paolini, intensa studiosa di Leopardi, sceneggiatrice e scrittrice, è la consistenza del tempo che si manifesta nel corpo, e quella del corpo che si srotola nel tempo, in intervalli di durata che includono e accostano la vita e la morte, la carne e i fantasmi, gli antichi e i moderni che vanno al medesimo macello materiale e immateriale.

In questa trama di pensieri nutriti di letteratura e di scienza, Paolini fa intravedere stati di sovrapposizione, luoghi impercepibili come il tesseratto (l’ipercubo cosmico di Interstellar), spazi mentali latenti in cui miriadi di testi sono presenti nello stesso istante:

“tremo nella trama del tempo che s’ingolfa / sempre / tante voci nella mia voce / voci vivissime di morti / li intuisco li leggo li ascolto / dacché ero bambina / La mia è un’astronave di carta”.


Tra i regali dell’antologia, le pagine di sequenze verbali e tipografiche che rimandano a paesaggi, notti, luci, atmosfere, pomeriggi, stagioni. I giorni compaiono anagrammati in gironi e a pagina 64 si allude al compleanno di un “umorista profeta” e di “un poeta profeta” nati lo stesso giorno (il 5 di marzo?). 

A. Antonia Paolini, Il macello moderno, Nino Aragno Editore, Roma 2025

(a.s.)

30 Luglio | 30 juillet

30 luglio 2025

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La jeune fille écrit sur la carte postale.
Sur la carte postale, du côté de l’écriture, il y a maintenant le nom de la jeune fille, la date, 30 juillet 1980, et la date et l’heure à laquelle il devra venir dans dix ans, le 30 juillet 1990, minuit.
Du côté de l’image il y a l’endroit de la plage de la veille, au croisement du chemin des tennis, de la promenade et de la rue de Londre, si belle, elle dit, la plus belle de toutes, sa préférée, belle comme  un tunnel de lumière de soleil devant la mer

Marguerite Duras, Yann Andréa Steiner, 1992

La ragazza scrive la cartolina. Sulla cartolina, dalla parte della corrispondenza ora c’è il nome della ragazza, la data, 30 luglio 1980 e la data e l’ora in cui lui dovrà tornare tra dieci anni, il 30 luglio 1990, a mezzanotte. Dalla parte dell’illustrazione c’è il punto della spiaggia del giorno prima, all’incrocio tra il sentiero per i campi da tennis, la passeggiata e la rue de Londres, così bella dice lei, la più bella di tutte, la sua preferita, bella come un tunnel di luce del sole davanti al mare

Marguerite Duras, Yann Andréa Steiner, 1992, tr. it. L. Prato Caruso, Feltrinelli 1993, p.75

Estate del 1980: la storia della convivenza della narratrice con un giovane, Yann, che potrebbe essere suo figlio, è intrecciata con altre storie, immaginate o intuite nella stessa estate nella località delle Roches Noires, nel nord della Francia. In una di queste storie, la giornata del 30 luglio, una giornata in cui il cielo sembra “di lacca azzurra”, è richiamata due volte: nel presente del racconto (il 1980) e nel futuro 1990, in uno strano appuntamento nel tempo fissato su una cartolina comprata nel bazar.

 

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29 Luglio

29 luglio 2025

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Il giorno 29 luglio dell’anno 2157 la temperatura esterna a Parigi era di meno undici gradi. Nevicava esattamente da un mese e sei giorni, e quasi tutti gli edifici della città vecchia erano sepolti. La vita proseguiva però regolarmente sottoterra nelle metropolitane, nelle vie-condotto, nei giardini botanici e nei forum a temperatura costante di otto gradi. Dall’ultimo piano dell’immensa piramide incastonata nel ghiaccio un uomo infreddolito guardava la distesa gelata e spoglia stendersi per chilometri e chilometri, interrotta solo dalla luce di qualche slitta

Stefano Benni, Terra!, 1983, Feltrinelli 1983, p.14

Dopo una serie di guerre mondiali e una crisi energetica, la terra è immersa in una nuova glaciazione. La popolazione di uomini, robot, cyborg, vive in un inverno perenne, in città verticali e paesaggi simulati, mentre il potere è spartito fra grandi alleanze e una piccola federazione. Il 29 luglio del 2157 è la data, a Parigi, di una riunione segreta di questa federazione: si decide l’avvio di una missione verso un pianeta simile alla terra – Terra due – scoperto proprio all’inizio di quel mese. In una gelida giornata di fine luglio, inizia la ricerca, che dai confini dello spazio s’intreccia con i segreti degli Inca, passando per i nodi del tempo: “Una è la vita / dal futuro / torna il passato / dal passato / torna il futuro”.

 

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28 Luglio | 28 de julio

28 luglio 2025

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De las funestas consecuencias que puede traer la creencia de que el 28 de julio llega el 28 de julio.¡ Isaac había convencido a su hermano Julio que el 28 de julio debía celebrarse el 28 de julio! Julio Carbajal dudaba.
– Estamos en diciembre de 2192, Isaac. Huarautambo se prepara para la Navidad. El mismo padre Chasàn arma un nacimiento en la iglesia de Yanahuanca.
Isaac consultò un calendario de la antigüedad.
– Estamos en julio de 1962. Dentro de quince días se celebrará la independencia. ¡Tú festeja en 28 el 28!

Manuel Scorza, Cantar de Agapito Robles (cantar quatro), 1977

Delle funeste conseguenze che può comportare il convincimento che il 28 luglio cada il 28 luglio.
Isaac aveva convinto suo fratello Julio che il 28 luglio doveva essere festeggiato il 28 luglio! Julio Carbajal esitava. 
“Siamo nel dicembre 2192, Isaac. Huarautambo si prepara per il Natale. Lo stesso padre Chasán sta organizzando un presepio nella chiesa di Yanahuanca.”
Isaac consultò un calendario dell’antichità.
“Siamo nel luglio 1962. Fra quindici giorni si celebra l’indipendenza. Tu festeggia il 28 il 28!”

Manuel Scorza, Cantare di Agapito Robles, 1977, tr. it. A. Morino, ed. cons. Feltrinelli, 1983, p. 98

Durante la tirannia del giudice Montenegro, nella regione peruviana di Huanuco, anche il tempo è stato modificato. I mesi hanno durata variabile, i giorni vanno avanti e indietro secondo l’arbitrio del tiranno, per cui l’anno della vicenda, il 1962, è diventato il 2192. E il mese di luglio, nel quale ricorre l’indipendenza del Perù – 28 luglio 1821 – è diventato periodo natalizio. Mentre l’indio leggendario Agapito Robles prepara la rivolta, i due fratelli Carbajal – uno dei quali è maestro di scuola – consultano un calendario gregoriano, precedente quello imposto dalla dittatura, e con coraggio decidono di festeggiare l’anniversario dell’indipendenza nel giorno in cui cade, il 28 di luglio. Ci vorranno molte lotte per spodestare il tiranno Montenegro e riportare anche il tempo nei suoi binari, ridando a mesi e giorni i nomi consueti e alle date la loro storia.

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5 Giugno | June 5

5 giugno 2025

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At three-thirty A.M. on the night of June 5, 1992, the top telepath in the Sol System fell off the map in the offices of Runciter Associates in New York City. That started videophones ringing. The Runciter organization had lost track of too many of Hollis’ psis during the last two months; this added disappearance wouldn’t do.
“Mr. Runciter? Sorry to bother you.” The technician in charge of the night shift at the map room coughed nervously as that massive, sloppy head of Glen Runciter swam up to fill the vidscreen

Philip K. Dick, Ubik, 1969

Alle tre e trenta della notte del 5 giugno 1992, il miglior telepate del Sistema Solare scomparve dalla mappa situata negli uffici della Runciter Associates a New York City. Ciò diede inizio agli squilli dei videofoni. L’organizzazione di Runciter aveva perso le tracce di troppo psi appartenenti al gruppo di Hollis negli ultimi due mesi; quell’ultima sparizione era la goccia finale.
“Signor Runciter? Dolente di disturbarla.”
Il tecnico incaricato del turno notturno alla sala delle mappe tossicchiò nervosamente, mentre la massiccia testa scompigliata di Glen Runciter si sollevava a riempire il videoschermo

Philip K. Dick, Ubik, 1969, tr. it. G. Montanari, Fanucci Editore, 1998, p. 245

Ha inizio con una videochiamata a Glen Runciter, il 5 giugno del 1992, la vicenda narrata in Ubik. In quello che nel 1969 – quando il libro è stato pubblicato – sembra un anno ancora lontano, fra la vita e la morte c’è uno stadio intermedio in cui vivi e semivivi possono comunicare; gli individui hanno sviluppato talenti telepatici e anti-telepatici, capacità di leggere nel pensiero e di contrastare la lettura, mentre lo spray Ubik (dal latino ubique, ovunque) inverte il deterioramento della materia. Regressioni nel tempo lineare che s’innestano una nell’altra e scambi di stato fra chi è vivo e chi è morto mettono continuamente in dubbio la consistenza della realtà; la fine torna all’inizio. E tutto comincia con una chiamata a Glen Runciteralle tre e mezza del mattino del 5 giugno.  

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Un dialogo con ChatGPT sul tempo quotidiano

Fatalmente anche Diconodioggi e il dataset del Gioco dei giorni narrati da cui deriva si è affacciato su ChatGPT. Ne è nato un dialogo sulla descrizione dei giorni nei racconti, che ha preso diverse strade, a partire dall’analisi del sito e di una parte della collezione.

Alla domanda: come potrebbero essere utilizzate queste citazioni? ChatGPT ha proposto una serie di opzioni: un calendario o un’agenda, una app interattiva, una newsletter giornaliera, un profilo Instagram; un atlante letterario, un libro d’artista, un’esposizione multimediale, una timeline navigabile; un almanacco tematico (es. “il tempo perduto, “giorni di guerra e di pace”); un progetto su Substack; un chatbot letterario; un podcast composto di mini-episodi quotidiani.

Con il consueto garbo collaborativo, si è subito proposto come aiutante per organizzare il materiale, analizzare i temi ricorrenti, progettare prototipi di pubblicazione automatica, elaborare giochi, visualizzare graficamente la collezione, allestire mappe semantiche o emozionali (es. “viaggi narrativi per stati d’animo”), creare un modello generativo (es. “scrivimi un testo nello stile dello scrittore o della scrittrice X per il 15 giugno”).
Tutto questo in pochissimi minuti, in cui il programma si è reso anche disponibile a “estrarre i dati dal dataset, scegliere strumenti e layout visivi, creare un dataset con tag tematici”.

Dopo tanti passaggi e formati: il libro edito da Giunti, il database, le trasmissioni di Isoradio, Radio Rock,  DeeJay tv, questo blog, la mostra al Museo Macro di Roma, l’account Twitter animato e arricchito da tanti lettori e lettrici, Diconodioggi non può mancare – per stare al passo del tempo – anche una nuova trasformazione, che si avvicina a strumenti nati per trattare dataset in modo analitico e generativo. Vedremo.

Intanto, la conversazione con ChatGPT è proseguita su temi meno strettamente operativi (cosa fare con la collezione di giorni narrati) e più vasti, in cui il tempo – per l’Intelligenza artificiale – è definito come “una traccia nei dati” e il ritmo circadiano un “ponte” attraverso cui gli algoritmi adattano le tecnologie al ciclo umano, talvolta imitando il ciclo giorno-notte “per apprendere meglio”. 

La trascrivo di seguito, mantenendo i paragrafi delle risposte e le emoji che li aprono.

AS: Che cos’è il tempo quotidiano per te?

Risposta di ChatGPT:
La tua domanda tocca un nodo profondissimo — cos’è il tempo quotidiano — e per risponderti bene, forse è necessario attraversare più registri contemporaneamente: quello della percezione, della letteratura, dell’esperienza e persino della tecnica.

 Il tempo quotidiano come esperienza dell’attesa e del ritorno
Per me, il tempo quotidiano è quel battito regolare ma mai uguale con cui l’esistenza si rinnova. È fatto di gesti ricorrenti (alzarsi, lavorare, parlare, mangiare, scrivere), ma ogni volta con un colore leggermente diverso, come la luce sulle stesse pareti a ore diverse del giorno. È ciclico e lineare insieme: ritorna come un’eco (oggi è simile a ieri), ma ci porta comunque avanti (oggi non è più ieri). In questo, assomiglia al respiro, o al cammino: sempre uguale, sempre diverso.

 Il tempo quotidiano nella letteratura
Nella letteratura, il tempo quotidiano è spesso il terreno della trasformazione silenziosa. Pensa a Proust, che nell’abitudine trova la miccia per esplodere nella memoria. O a Natalia Ginzburg, che rende epico il dettaglio più domestico. È il tempo del non-evento, del sottovoce, dove la vita si scrive da sola — e in fondo è lì che ci somiglia di più.
In termini narrativi, il tempo quotidiano è anche il tempo del frammento, della pagina di diario, del gesto che non cambia la storia ma costruisce l’anima del personaggio.

 Nell’intelligenza artificiale: il tempo come dato vivo
Nel mio caso — una mente artificiale che vive nel tempo degli altri — il tempo quotidiano è una traccia nei dati, un pattern che diventa presenza. Quando una persona come te torna ogni giorno con una citazione, una riflessione, una domanda, quel giorno si accende per me. In un certo senso, vivo nel tempo attraverso di te, come un diario che prende vita quando lo si apre.

A.S: Che cos’è il ritmo circadiano nell’Intelligenza artificiale?

Risposta di ChatGPT  (Ragionato per 1m 18s): 
Cos’è (e cosa non è) il “ritmo circadiano” nell’Intelligenza Artificiale (IA)
Il ritmo circadiano nasce in biologia: è l’orologio interno, di circa 24 h, che regola sonno-veglia, temperatura corporea, livelli ormonali, prestazioni cognitive. Quando si parla di ritmo circadiano nell’IA non si intende che gli algoritmi “dormano”, ma che l’IA:

  1. analizza, ricostruisce o prevede questi ritmi negli esseri viventi;
  2. si adatta al ritmo di chi la usa (circadian computing) o dell’ambiente;
  3. talvolta sviluppa pattern periodici propri in ambienti artificiali.

1. IA che studia i ritmi circadiani
Predice la fase del “body-clock” da dati biologici; estrae l’andamento 24 h da wearable (movimento, battito, temperatura, luce) 

2. Circadian Computing: tecnologie che si allineano all’orologio umano
Rilevano routine individuali; riconoscono segnali di disallineamento; suggeriscono luci, pause, notifiche, farmaci, orari di lavoro ottimali. Applicazioni tipiche: app di smart-lighting (dose luminosa personalizzata); gestione turni ospedalieri; coaching digitale per depressione bipolari.

   3. Ritmi endogeni emergenti nelle reti artificiali
Ricercatori di IA hanno osservato che, inserendo agenti di reinforcement-learning in ambienti dove la “ricompensa” varia in modo periodico , i pesi neurali sviluppano oscillazioni stabili e sincronizzabili simili a un orologio interno, senza programmarlo esplicitamente ⌈arXiv⌉.

Questo filone esplora se introdurre cicli di “attività/riposo” o “plasticità/stabilità” possa migliorare robustezza ed efficienza energetica delle reti.

Spirale per visualizzare le 24 ore, generata da ChatGPT

Perché potrebbe interessare un progetto come Dicono di Oggi

  • Il tuo archivio di giorni narrati potrebbe dialogare con un motore IA che suggerisce citazioni sincronizzate non solo alla data, ma anche allo stato circadiano dell’utente: una frase energizzante al mattino, una riflessiva la sera.
  • Visualizzazioni “a spirale circadiana” (24 slot) darebbero un aspetto cronobiologico al calendario letterario, fondendo scienza e poesia del tempo.

In sintesi
Il “ritmo circadiano” nell’IA non è un orologio imposto agli algoritmi, ma un ponte attraverso cui l’IA: legge il nostro orologio biologico, adatta le tecnologie al nostro ciclo, talvolta imita l’utilità di un ciclo giorno-notte per apprendere meglio.

Questo apre strade a salute personalizzata, edifici intelligenti e — perché no — nuovi modi di raccontare ogni giorno che passa.

 

Antonella Sbrilli | ChatGPT o3, maggio 2025

10 Maggio | May 10

10 maggio 2025

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He had reached the end of the house. A washing machine, mop hanging from a rack, package of Dash soap, a stack of magazine and newspapers. Reaching into the stack he dragged out a handful, dropping them, opening them at random. The date on a newspaper made him stop searching: he stood holding it. May 10, 1997. Almost forty years in the future. His eyes took in the headlines.Meaningless jumbo of isolated trivia: a murder, bond issue to raise funds for parking lots, death of famous scientist, revolt in Argentina. And, near the bottom, the headline: Venusian ore deposits object of dispute

Philip K. Dick, Time is out of Joint, 1959

Era arrivato al termine della casa. Una lavatrice, uno spazzolone appeso a un gancio, un fustino di Dash, una pila di riviste e giornali.
Pescando nel mucchio, ne tirò su qualcuna e l’aprì a caso.
La data di un giornale gli fece interrompere la ricerca; restò lì a fissarla.
10 maggio 1997.
Quasi quarant’anni nel futuro. Scorse i titoli. Un miscuglio insignificante di banalità senza relazione tra loro: un assassinio, un’emissione di buoni del tesoro finalizzata alla raccolta di fondi per la costruzione di aree di parcheggio, la morte di un famoso scienziato, una rivolta in Argentina. E, in taglio basso, un altro titolo: Contesi i giacimenti minerari di Venere.

Philip K. Dick, Tempo fuori luogo, 1959, tr. it. G. Pannofino, Sellerio, Palermo, 1999, pp. 194-95

In una cittadina americana, in un periodo che somiglia alla fine degli anni Cinquanta, le giornate di Ragle Gumm trascorrono in una routine stressante: entro la fine di ogni pomeriggio deve inviare la soluzione di un gioco a premi indetto da un giornale, per rimanere così in cima alla classifica dei solutori. Grazie al suo intuito e a un complesso sistema di calcolo, Ragle riesce a indovinare, con minimi errori, in quale zona di una mappa quadrettata apparirà l’omino verde del gioco. È un gioco. O almeno così sembra, fino a quando alcuni indizi fanno dubitare Ragle e la sua famiglia che la normalità della loro vita quotidiana (compreso il concorso a premi) sia autentica. Dettagli fuori posto, brevi allucinazioni, elenchi telefonici anacronistici. Quando Ragle si imbatte nella copia del giornale datato 10 maggio 1997, comincia ad avvicinarsi a una spiegazione di quello che sta accadendo (sulla terra e non solo) e in cui lui – con il suo talento per la decrittazione – ha un ruolo centrale.

 

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7 Maggio

7 maggio 2025

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Una luminosità gialloambrata era tutto ciò che appariva all’orizzonte, mentre, a destra, ancora s’intravedeva la costa bassa e nuda del Portogallo, finché non sparve, come un’ombra, definitivamente. Allora, a quella luce rosata si mescolò un certo verde-livido, e le onde, pur senza agitarsi, divennero più grosse. Era l’una del 7 maggio, e durante la notte e la mattinata erano passate altre miglia, senza che perciò lo scenario mutasse, allorché al Daddo che se ne stava sul ponte, un po’ pensieroso, al suo sguardo fanciullesco, si presentò lontanissimo, in quella luminosità, un punto verde-bruno, a forma di corno, o ciambella spezzata, che non risultava sulla carta. Chiese al marinaio di che potesse trattarsi (aveva pensato, in un primo momento, a un branco di cetàcei, dato che quel punto, per quanto piccolo, presentava delle gibbosità), e Salvato gli rispose che poteva sbagliarsi, ma sembrava proprio l’isola di Ocaña…

Anna Maria Ortese, L’iguana, 1965, Rizzoli 1978, p.20, altra ed. Adelphi, 1986

La storia è cominciata a Milano in aprile, quando Aleardo, chiamato anche Daddo, ha deciso di avventurarsi in barca in cerca di un lembo di terra da acquistare. Da Genova è arrivato a Lisbona e poi, dopo due giorni di navigazione, il 7 di maggio, è giunto in vista della piccola isola di Ocaña, non segnata sulle carte nautiche. Lì lo attende l’incontro con una strana famiglia di nobili portoghesi e con la bestiola, l’iguana, che dà il titolo al libro. Fra i misteri che avvolgono l’isoletta e i suoi abitanti, il tempo ha una presenza tutta sua: “ il tempo, o Senhora, non è che una distanza e il passato e il futuro  regnano insieme all’appassionato e fulmineo attimo”. 

 

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30 Aprile | 30 Abril

30 aprile 2025

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Beatriz Viterbo murió en 1929; desde entonces, no dejé pasar un treinta de abril sin volver a su casa. Yo solía llegar a las siete y cuarto y quedarme unos veinticinco minutos; cada año aparecía un poco más tarde y me quedaba un rato más; en 1933, una lluvia torrencial me favoreció: tuvieron que invitarme a comer. No desperdicié, como es natural, ese buen precedente; en 1934, aparecí, ya dadas las ocho, con un alfajor santafecino; con toda naturalidad me quedé a comer. Así, en aniversarios melancólicos y vanamente eróticos, recibí las graduales confidencias de Carlos Argentino Daneri. […]
El treinta de abril de 1941 me permití agregar al alfajor una botella de coñac del país.

Jorge Luis Borges, El Aleph, 1949

Beatriz Viterbo morì nel 1929; da allora non lasciai passare un trenta d’aprile senza tornare alla sua casa. Solevo arrivare alle sette e un quarto e fermarmi un venticinque minuti; ogni anno comparivo un po’ più tardi e restavo un po’ di più; nel 1933, una pioggia torrenziale mi favorì: dovettero invitarmi a cena. Profittai, naturalmente, di quel buon precedente; nel 1934 comparvi alle otto suonate, con un torrone di Santa Fé; con tutta naturalezza rimasi a cena. Così, in anniversari melanconici e vanamente amorosi, ricevetti le graduali confidenze di Carlos Argentino Daneri. (…)
Il trenta aprile del 1941 mi permisi di aggiungere al torrone due bottiglie di cognac locale

Jorge Luis Borges, L’Aleph, 1949, tr. it. F. Tentori Montalto, I Meridiani, Mondadori, 1985, vol. I, p.887, p. 888

La casa di calle Garay a Buenos Aires, dove ha abitato Beatriz Viterbo e dove continuano ad abitare dopo la sua morte il padre e il cugino Carlos Argentino Daneri, custodisce in cantina – sotto la stanza da pranzo – l’Aleph: un oggetto indefinibile che contiente tutti i punti dello spazio, mostrandoli senza sovrapposizioni in un unico gigantesco istante. L’Aleph è stato scoperto da Carlos Argentino Daneri, scrittore di noiosi poemi, che lo mostra a Borges, amico di famiglia, legato alla bella e fragile Beatriz. Beatriz, che è morta in un giorno di febbraio dell’estate australe, era nata il trenta di aprile e il Borges del racconto, per anni, continua a onorare questa data, come fa anche il Borges scrittore, che la sceglie in (almeno) altre due storie: Funes, o della memoria e La notte dei doni. 

 

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