10 Marzo

10 marzo 2024

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Mi sbagliavo nel credere che non l’avremmo mai persa. Il dieci marzo, il suo compleanno, telefonò da Santa Cruz per dirci che lei e Rick si erano sposati quel pomeriggio, e che stavano andando in Canada. La notizia mi lasciò stordito e incredulo, non potevo credere di aver sbagliato i miei calcoli e ripensai alle mie colpe  verso di lei. Per parafrasare la canzone, era così bello avere una ragazza in casa, e  ora se n’era andata. Era stata importante nel tessuto delle nostre vite, il filo luminoso che dava il colore, adorata e rispettata dai suoi fratelli, incensata e viziata da sua madre e un bellissimo mistero per suo padre

John Fante, A ovest di Roma (Il mio cane stupido), 1986 (post.) tr. it. A. Osti, Fazi Editore, Roma, 1998, p. 92

Point Dume, la “punta più a nord che forma la baia di Santa Monica”, “agglomerato suburbano” in cui il protagonista – dopo vent’anni che ci abita – ancora si perde se c’è la nebbia, è il luogo in cui lo scrittore Henry Molise vive con la sua famiglia. Nell’inverno di un anno imprecisato si susseguono incontri e abbandoni: l’arrivo di un cane di grossa taglia, inviso alla moglie, alla prole e ai vicini e l’allontanarsi dei figli, ormai cresciuti. Dopo diverse brevi fughe con il furgone del fidanzato Rick, Tina se ne va definitivamente, sposandosi il giorno del suo compleanno, il 10 marzo, una data su cui Henry Molise si trova a meditare, nella stanza della figlia, diventata ormai “una parte della casa spiritualmente morta, un luogo di tristi fantasmi”.

Dicono del libro

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9 Marzo

9 marzo 2024

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io, Leonardo Sinsigalli, figlio di Vito e di Carmina Lacorazza, nato a Montemurro il 9 marzo 1908, sofferente di sciatica al ginocchio, giacevo febbricitante sopra i negri mattoni. Avevo appoggiato la testa sul braccio e mi lamentavo debolmente. Mi lamentavo della mia sorte di pellegrino

Leonardo Sinisgalli, Zinzigorro, in Prose di memoria e d’invenzione, Leonardo da Vinci, Bari, 1964, p. 195

Dicono del libro
“Queste prose di Sinisgalli, scritte sulla traccia della memoria, rievocano momenti e luoghi della sua coscienza, nel tentativo di costruirsi una propria saldezza, di ritrovare la propria innocenza, di ‘fabbricarsi un’anima’.
Nate da un’esperienza chiusa, da una condizione di esilio, esse serbano a distanza di anni dal tempo della loro prima edizione, una suggestione e un fascino ancora vivi e autentici, per quel sapore di confessione che traspare un po’ ovunque”
(dalla bandella dell’ed. citata)

 

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8 Marzo | 8 Mars

8 marzo 2024

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Le 8 mars, à six heures du matin, le marquis, revêtu de ses insignes, se faisait dicter, par son fils aîné, le brouillon d’une troisième dépêche politique; il s’occupait avec gravité à la transcrire de sa belle écriture soignée, sur du papier portant en filigrane l’effigie du souverain. Au même instant, Fabrice se faisait annoncer chez la comtesse Pietranera.
—Je pars, lui dit-il, je vais rejoindre l’Empereur, qui est aussi roi d’Italie; il avait tant d’amitié pour ton mari! Je passe par la Suisse. Cette nuit, à Menagio, mon ami Vasi, le marchand de baromètres, m’a donné son passeport; maintenant donne-moi quelques napoléons, car je n’en ai que deux à moi; mais s’il le faut, j’irai à pied. La comtesse pleurait de joie et d’angoisse

Stendhal, La Chartreuse de Parme, 1839

L’otto marzo, alle sei della mattina, con addosso tutte le sue decorazioni, stava facendosi dettare da Ascanio la minuta di una lettera a Vienna – era già la terza – e si dava da fare con grande austerità e applicazione a scriverla in bella calligrafia su un foglio di carta con il ritratto di Sua Maestà in filigrana. Nello stesso momento Fabrizio entrò nella stanza della contessa Pietranera.
“Parto,” le disse, “vado dall’Imperatore, che è anche re d’Italia. Aveva tanta amicizia per tuo marito! Passerò per la Svizzera. Vasi, quel mio amico, quello che vende barometri, mi ha dato il suo passaporto, stanotte, a Menaggio. E adesso dammi un po’ di soldi, perché ho solo due napoleoni. Ma se occorre andrò a piedi.”
La contessa si mise a piangere. Era spaventata, e felice

Stendhal, La Certosa di Parma1839, tr. it. E. Tadini, Garzanti, 1983, p. 24

Lasciata l’isola d’Elba, dove era stato confinato, Napoleone è sbarcato sulla costa francese il primo marzo del 1815, dando inizio a quelli che sarebbero stati chiamati i “cento giorni” del suo ritorno. La notizia si diffonde velocemente e arriva – nella storia narrata da Stendhal – nella dimora del marchese del Dongo, fedele servitore degli Austriaci. Mentre l’anziano marchese scrive a Vienna, la stessa mattina dell’8 marzo il giovane Fabrizio, vicino agli ideali napoleonici, decide di raggiungere il suo eroe, di cui vedrà la sconfitta, il 18 giugno, nella battaglia di Waterloo. 

Dicono del libro

Dicono del libro
“Con la Certosa Stendhal riprende il  tema fondamentale delle sue opere maggiori: il conflitto tra reazione e rivoluzione nella società del suo tempo. Dopo la Francia postnapoleonica (Il rosso e il nero) e quella di Luigi Filippo (Lucien Leuwen), è ora la volta dell’Italia smembrata e oppressa dai governi dispotici restaurati dalla Santa Alleanza. Teatro dell’azione è un’immaginaria Parma retta da una dinastia (i Farnese) in realtà estinta da un secolo”
(dall’introduzione di P. Bellocchio, ed. Garzanti, op. cit.)

 

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7 Marzo | 7 Mars

7 marzo 2024

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Il est vrai qu’il serait fort possible d’abord que Ravaillac n’eût pas de complices, ensuite que ses complices, si par hasard il en avait, ne fussent pour rien dans l’incendie de 1618. Il en existe deux autres explications très plausibles. Premièrement, la grande étoile enflammée, large d’un pied, haute d’une coudée, qui tomba, comme chacun sait, du ciel sur le Palais, le 7 mars après minuit

Victor Hugo, Notre-Dame de Paris, 1831, I, 1

È vero che sarebbe possibile, innanzitutto, che Ravaillac non avesse avuto complici, e poi che i suoi complici, se per caso ne avesse avuti, non fossero per niente implicati nell’incendio del 1618. Esistono poi dell’accaduto altre due spiegazioni perfettamente plausibili. Per prima cosa, la grande stella fiammeggiante, larga un piede e alta un braccio che, come ciascuno sa, cadde dal cielo sul Palazzo, il 7 marzo dopo mezzanotte

Victor Hugo, Nostra Signora di Parigi, 1831 

Dicono del libro
Un classico senza tempo. Un classico popolare. La grandiosa rivisitazione di una Parigi tardomedioevale in cui si mescolano lo spettrale profilo della basilica di Notre-Dame, abitata dal gobbo Quasimodo, e la notturna Corte dei Miracoli, dove risplende la bellezza di Esmeralda. Come in un grande melodramma, forze del bene e forze del male si scontrano facendo fulcro intorno all’attrazione, alla sensualità, all’innocenza della bella zingara. Romanzo del diverso, del perverso e dell’amore contrastato, Notre-Dame de Paris non ha mai smesso di sedurre l’immaginazione di registi (memorabile il film del 1939 di William Dieterle, con Charles Laughton nelle vesti di Quasimodo), musicisti (recentissimo è il musical di grande successo di Riccardo Cocciante), e naturalmente quella dei lettori. “Hugo non dimentichiamolo, scrive Notre-Dame a ventott’anni, nel 1830, e lo dà alle stampe l’anno dopo: Notre-Dame ha della gioventù o della prima maturità gli entusiasmi della scoperta, la foga dei messaggi“. (Goffredo Fofi sul sito Feltrinelli)

 

 

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6 Marzo

6 marzo 2024

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Il 6 marzo del 1953 il maestro Bonanni disse a mia madre: “Questo bambino le darà  grandi soddisfazioni”. Mi piacciono molto le date: sono chiare e vere. Ma questa data è né più né meno che una combinazione alfabetica irrobustita da qualche cifra. Quale marzo, che 6, quale millenovecentocinquantatré? E’ un giorno di un mese e di un anno che ho davvero vissuto: Anche la frase del maestro Bonanni è stata davvero pronunciata.  Ma il loro contatto su questo foglio è arbitrario: mi serve solo per evocare una storia che è lunga poche righe

Domenico Starnone, Fuori registro, 1991, Feltrinelli, p. 32

A scuola la scansione del tempo è tutto: la “gelatina delle ore” è stabilita dall’orario definitivo e i giorni scorrono uno dopo l’altro, insieme ai registri e alle “pile di carte grigie” , che si vanno accumulando negli anni di scuola del protagonista del racconto, prima allievo e poi a sua volta insegnante.  Arbitrarie ed evocative, le date si rincorrono, e il narratore richiama il giorno del suo ingresso in prima elementare, il I ottobre del 1948, per poi tornare a quel 6 marzo 1953, un “giorno di un mese e di un anno che ho davvero vissuto”. 

Dicono del libro

Dicono del libro
“Tra tutti i ripetenti, l’insegnante è il più ripetente di tutti. Gli studenti, come sassi in una fionda, fanno un po’ di giri e poi fischiano via. L’insegnante resta, anno scolastico dietro anno scolastico, imbambolato dalla giostra su cui è salito a sei anni senza sapere che non sarebbe sceso più”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Feltrinelli, op. cit.) 

 

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5 Marzo

5 marzo 2024

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[… ]me propriis percolentes appellant vero nomine reginam Isidem. Adsum tuos miserata casus, adsum favens et propitia. Mitte iam fletus et lamentationes omitte, depelle maerorem; iam tibi providentia mea inlucescit dies salutaris.Ergo igitur imperiis istis meis animum intende sollicitum. Diem, qui dies ex ista nocte nascetur, aeterna mihi nuncupavit religio, quo sedatis hibernis tempestatibus et lenitis maris procellosis fluctibus navigabili iam pelago rudem dedicantes carinam primitias commeatus libant mei sacerdotes. Id sacrum nec sollicita nec profana mente debebis opperiri.
Nam meo monitu sacerdos in ipso procinctu pompae roseam manu dextera sistro cohaerentem gestabit coronam. Incunctanter ergo dimotis turbulis alacer continuare pompam mea volentia fretus et de proximo clementer velut manum sacerdotis osculabundus rosis decerptis pessimae mihique iam dudum detestabilis belvae istius corio te protinus exue.

Apuleius, Metamorphoseon libri (Asinus aureus), XI, 5-6

 

“Iside mi chiamano, Iside regina. Sono qui, ora, dopo tutte le tue miserabili avventure – ci sono io ora, benevola, propizia. Basta con i pianti, dimentica i lamenti, scaccia la tristezza! Invece sta’ attento, attento a quanto ti ordino. Il giorno che nascerà proprio da questa notte, da sempre mi è sacro. Questo, sì, è il giorno in cui si placa il tempo d’inverno, in cui le tempeste d’onde del mare si quietano, in cui sulla calma distesa marina ora possono correre le navi e una nuova nave mi dedicano i miei sacerdoti, con tutto il suo carico di primizie. Questo giorno sacro tu devi attendere, senza ansia, sereno, fidandoti di me. Ci sarà un sacerdote in testa al corteo, e porterà un serto di rose in mano, insieme al sistro. Non esitare scosta la folla e, rapido, avvicinati al sacerdote, per baciargli la mano; strappagli le rose e, subito, ecco che sei libero della pelle di questa orribile bestia, odiosa da tempo anche a me” 

Apuleio, L’asino d’oro o Metamorfosi, XI, 5-6, traduzione di Monica Centanni

Il 5 marzo è, nel racconto di Apuleio, il giorno della liberazione di Lucio dalle sembianze d’asino in cui l’aveva imprigionato un incantesimo venuto male.
Dopo innumerevoli avventure, incontri, storie nelle storie (fra cui quella, bellissima, di Amore e Psiche), nell’XI libro dell’Asino d’oro o Metamorfosi – grazie all’intervento della dea Iside – Lucio ritorna finalmente se stesso. Il 5 marzo è la festa di Iside, la dea che percorre il mondo per rimettere insieme i pezzi sbranati del figlio Osiris, e infine riesce nell’impresa, inaugurando il culto misterico che dall’Egitto si diffonde in tutto il mondo ellenistico e romano. A Roma il 5 marzo è la festa del Navigium Isidis – il corteo al seguito di una nave ornata di fiori e di primizie che sfilava sul Tevere in mezzo a una folla mascherata e festosa, a festeggiare la fine dell’inverno e la rinascita della natura. Su quella festa guidata da un ‘currus navalis’ si sovrimporrà il calendario cristiano con il ‘carnevale’ che precede l’attesa della Pasqua di resurrezione. È questo, scrive Apuleio, un “giorno sereno, pieno di sole, tanto che gli uccelli rallegrati dal tepore primaverile si mettono dolcemente a cantare, festeggiando anch’essi con tutta la loro gioia la madre degli astri, la signora delle stagioni, la regina di tutto l’universo”. (m.c.)

Dicono del libro
Dicono del libro
“Più che alle opere oratorie e filosofiche la gloria di Apuleio è naturalmente affidata al suo romanzo: Metamorfosi o Asino d’oro (…) Composto nella piena maturità, il romanzo, in 11 libri, è intitolato nella tradizione manoscritta Metamorphoseon libri, cioè ‘Libri delle trasformazioni, delle metamorfosi’ o semplicemente ‘Metamorfosi’, ma fin dall’antichità è noto anche con il titolo, che secondo Sant’Agostino risalirebbe ad Apuleio stesso, di Asinus aureus, ‘Asino d’oro’, dove non sappiamo se l’epiteto aureo sia riferito al pregio letterario o all’utilità edificante dello scritto o se non indichi invece che l’asino di cui si tratta è una creatura eccezionale, un asino dotato di ragione”
(Federico Roncoroni, dall’introduzione all’ed. Garzanti, Milano 1974)

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4 Marzo | March 4

4 marzo 2024

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It was upon the 4th of March, as I have good reason to remember, that I rose somewhat earlier than usual, and found that Sherlock Holmes had not yet finished his breakfast. The landlady had become so accustomed to my late habits that my place had not been laid nor my coffee prepared. With the unreasonable petulance of mankind I rang the bell and gave a curt intimation that I was ready. Then I picked up a magazine from the table and attempted to while away the time with it, while my companion munched silently at his toast. One of the articles had a pencil mark at the heading, and I naturally began to run my eye through it

Arthur Conan Doyle, A Study in Scarlet, 1887

Era il 4 marzo (e io ho i miei buoni motivi per ricordarmene). Mi alzai un po’ prima del solito e trovai Sherlock Holmes che ancora non aveva finito la prima colazione. La padrona di casa si era tanto assuefatta alle mie abitudini di dormiglione che non mi aveva preparato il posto a tavola. Con l’irragionevole petulanza del genere umano, suonai il campanello e annunciai bruscamente che aspettavo il caffè, poi presi una rivista che era sulla tavola e tentai di ammazzare il tempo leggendo, mentre il mio compagno sbocconcellava in silenzio il pane tostato. Uno degli articoli aveva un segno a matita vicino al titolo e, naturalmente, cominciai a scorrerlo

Arthur Conan Doyle, Uno studio in rosso, 1887, tr.it. A. Tedeschi, Mondadori, 2012, p. 22

Il dottor John H. Watson, ex ufficiale medico dell’esercito britannico tornato dall’Afghanistan, al cui diario è affidata la narrazione di Uno studio in rosso, ha buoni motivi per ricordare la data del 4 marzo. Da alcune settimane è andato ad abitare al numero 221 B di Baker Street, condividendo l’alloggio con Sherlock Holmes, di cui ancora non ha individuato la professione. Il 4 di marzo ha l’occasione di vedere per la prima volta all’opera Holmes, chiamato a collaborare dalla polizia londinese alle indagini per un omicidio accaduto nella notte. Passo dopo passo, Watson è coinvolto e ammirato dal metodo di Holmes, basato sull’osservazione dei minimi dettagli, sulla scomposizione analitica dei fatti, sul dipanamento della “matassa incolore della vita”, da cui isolare – come un artista che dipinga – i fili rossi del crimine. Grazie a tale metodo, il tempo accaduto è ripercorso all’indietro, smontato e rimontato, e alcuni giorni (il 4 marzo, il 4 maggio, il 4 agosto) fanno da perno a questa ricostruzione, che porta la vicenda da Londra allo Utah e di nuovo a Londra, a quel 4 di marzo che tanto doveva colpire Watson.


Dicono del libro
Dicono del libro
“Il 1887 rappresenta una data di grande importanza per la letteratura poliziesca. Nel novembre di quell’anno, infatti, Arthur Conan Doyle, all’epoca sconosciuto medico di periferia, dava alle stampe Uno studio in rosso, il romanzo che vedeva l’esordio di due tra i più famosi personaggi letterari di tutti i tempi: il dottor Watson, sotto le cui modeste spoglie si celava un alter ego dell’autore, e il geniale e inimitabile Sherlock Holmes, il detective per antonomasia”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)

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3 Marzo | 3 Mars

3 marzo 2024

 

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Un mousse du haut de la vigie cria : Terre ! C’était le sol de la Grèce et les montagnes de la Morée que l’on apercevait à l’horizon. Un vent frais portait le vaisseau avec rapidité. Le nom de la Grèce réveilla le courage d’Octave : « Je te salue, se dit-il, ô terre des héros ! » Et à minuit, le 3 mars, comme la lune se levait derrière le mont Kalos, un mélange d’opium et de digitale préparé par lui délivra doucement Octave de cette vie qui avait été pour lui si agitée. Au point du jour, on le trouva sans mouvement sur le pont, couché sur quelques cordages. Le sourire était sur ses lèvres, et sa rare beauté frappa jusqu’aux matelots chargés de l’ensevelir. Le genre de sa mort ne fut soupçonné en France que de la seule Armance

Stendhal, Armance, 1827

Un mozzo dall’alto della coffa gridò: “Terra!”. Era il suolo della Grecia, con le montagne della Morea che si scorgevano all’orizzonte. Un vento fresco portava la nave, che correva veloce. Il nome della Grecia risvegliò il coraggio di Octave: “Ti saluto, “si disse “o terra degli eroi!”. E a mezzanotte, il 3 di marzo, mentre la luna sorgeva dietro il monte Kalos, una mistura d’oppio e di digitale preparata da lui stesso liberò dolcemente Octave da quella vita che era stata così agitata per lui. All’alba lo trovarono senza moto sul ponte, sdraiato su alcuni cordami. Aveva il sorriso sulle labbra, e la sua rara bellezza colpì persino i marinai incaricati di seppellirlo. La causa della sua morte fu sospettata in Francia dalla sola Armance

Stendhal, Armance, 1827, tr. it. M. Bonfantini, Einaudi 1976, p.180

Il tre marzo è la data che chiude la storia di una coppia di giovani francesi al tempo della Restaurazione. Lui è Octave de Malivert, “gentiluomo ventenne” affascinante e tormentato; lei è la cugina Armance de Zohiloff. La loro attrazione reciproca attraversa ostacoli esterni e interni. Dopo sposati, Octave decide di andare a combattere per la libertà del popolo greco, lasciando la moglie in Francia. Si darà la morte sulla nave che lo porta in Grecia, dopo aver scritto, ogni giorno del viaggio, una lettera. 

Dicono del libro

Dicono del libro
“Storia del tormentato amore tra due giovani, ‘Armance’ (1827) è il primo romanzo di Stendhal, che vi prova i temi che gli sono cari, gli abbandoni amorosi e poetici, l’arguzia sottile. Tanto da offrire un esempio tipico in ogni storia stendhaliana, del rapporto tra interessi sociali e politici, da un lato, e sfrenato individualismo, esclusiva passione d’amore, dall’altro”(dalla quarta di copertina dell’ed. Einaudi, op. cit.)

 

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2 Marzo | March 2

2 marzo 2024

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Do you recognize the Green and in the middle the steeple, and the gate with a lion couchant on either side? Oh yes, it is Kew! Well, Kew will do. So here we are at Kew, and I will show you today (the second of March) under the plum tree, a grape hyacinth, and a crocus, and a bud, too, on the almond tree; so that to walk there is to be thinking of bulbs, hairy and red, thrust into the earth in October; flowering now

Virginia Woolf, Orlando, 1928

 

Non riconoscete il prato, e il campanile nel mezzo, e i cancelli fiancheggiati dai leoni araldici? Ah, sì, è Kew! Beh, vada per Kew: fermiamoci. Eccoci dunque a Kew; e oggi (il 2 marzo) vi mostrerò un grappolo di giacinto, sotto il prugno, e anche un croco, e anche un germoglio sul mandorlo; e passeggiando quaggiù, sarà come pensare a quei bulbi rossicci e pelosi che si mettono in terra, d’ottobre; e che fioriscono ora
Virginia Woolf, Orlando, tr. it. Grazia Scalero, Mondadori, 1986

 

 

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1 Marzo | Mars 1

1 marzo 2024

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Depuis longtemps déjà le mauvais temps avait cessé; la saison s’avançait; et brusquement les amandiers fleurirent. C’etait le premiers mars. Je descends au matin sur la place d’Espagne. Les paysans ont dépouillé de ses rameaux blancs la campagne et les fleurs d’amandiers charges les paniers des vendeurs. Mon ravissement est tel que j’en achète tout un bosquet. Trois hommes me l’apportent. Je rentre avec tout ce printemps. Les branches s’accrochent au portes, des pétales neigent sur le tapis

André Gide, L’Immoraliste, 1902

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Già da parecchio il tempo cattivo era finito; ci inoltravamo nella bella stagione e d’un tratto fiorirono i mandorli. Era il primo di marzo. Di mattina scendo in Piazza di Spagna. I contadini hanno spogliato la campagna di tutti i suoi rami bianchi e i fiori di mandorlo riempiono le ceste dei venditori. L’incanto che provo è tale che ne compro tanti da riempire un giardino. Tre uomini me li portano a casa. Rientro con tutta questa primavera. I rami si impigliano nelle porte; alcuni petali cadono come neve sul tappeto

 André Gide, L’immoralista, 1902, tr. it. E. Scarpellini, Garzanti, ed. cons. 1982, p. 237

La data del primo marzo compare verso la fine del racconto che il protagonista, Michel, fa ad alcuni amici per spiegare gli ultimi decisivi avvenimenti della sua vita. Il matrimonio con Marceline, il soggiorno in Africa, fatto di lunghi “giorni senza ore”, la malattia ai polmoni da cui si è ripreso, la scoperta dell’omosessualità. E poi, in una specie di simmetria, la malattia della moglie che, incinta, perde il bambino, e di nuovo i viaggi, il lago di Como, Firenze, Roma, dove arrivano alle soglie della primavera, per proseguire ancora verso sud. 

Dicono del libro

29 Febbraio

29 febbraio 2024

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“Cinquantadue carte fanno cinquantadue settimane”, mormorò.
“Il tutto fa 364 giorni. Fin qui tutto bene. E poi i mesi diventano tredici, di ventotto giorni ciascuno…
E anche qui arriviamo a 364. Tutte e due le volte, però, avanza un giorno…”
“Che sarebbe il Giorno del Jolly”, spiegai.
“Per la miseria!”
Rimase a lungo a fissare gli aranci, poi 
mormora: “E tu, quando sei nato, Hans Thomas?”
Non capivo dove voleva arrivare. “Il 29 febbraio 1972”, risposi.
“Ma in quale giorno cadeva?”
Allora ebbi l’illuminazione: nel giorno ‘in più’ di un anno bisestile. Secondo il calendario dell’isola incantata, sarebbe stato il Giorno del Jolly.

Jostein Gaarder, L’enigma del solitario, (Kabalmysteriet)1990, tr.it. D. Braun Savio, Longanesi 1996,ed. cons. TEA, 1998, pp. 216-17

Dicono del libro
“Chi sei, tu? Sei un fante di fiori, una donna di cuori, un asso di quadri, un due di picche? Già, perché ognuno di noi non è che una carta di quel grande solitario chiamato vita, una carta che esce a un certo punto del gioco, prende il proprio posto sul grande tavolo dell’universo e segue le regole che altri hanno stabilito. Ma che cosa ci accadrebbe se, nel ‘grande solitario’, spuntasse un jolly? Probabilmente ci sentiremmo un po’ come il dodicenne Hans Thomas che, nel suo viaggio verso la Grecia alla ricerca della mamma (fuggita di casa per trovare se stessa), scopre un’isola incantata (in cui vivono cinquantadue nani, un naufrago pieno di immaginazione e un folletto molto sarcastico) e finisce per capire che l’unico modo per non essere schiacciati dal destino è trasformarsi lui stesso in un jolly curioso e impertinente, sempre pronto a porsi domande” (dalla quarta di copertina dell’ed. TEA citata)

Altre storie che accadono oggi

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“… Che santi si festeggiano sul calendario, il ventinove di febbraio?…”
Marco Malvaldi, Buchi nella sabbia

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“… So it was that on the twenty-ninth day of February, at the beginning of the thaw, this singular person fell out of infinity into Iping village…”
H. G. Wells, The Invisible Man

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“… Con la presente, dichiaro che sabato 29 febbraio 1967 ho colpito mia cognata Isabe Kerr con un posacenere e l’ho uccisa…”
Rex Stout, Nero Wolfe. Invito a un’indagine

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“… 29 febbraio ’71 Caro Michele, mi sono arrivate le dodici tutine di spugna…”
Natalia Ginzburg, Caro Michele

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“… La Repubblica fu finalmente proclamata in forma solenne a Marsiglia la mattina del 29 febbraio…”
Emile Zola, I misteri di Marsiglia (segnalazione di @atrapurpurea)

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“… si trattava di una sera del tutto fuori dall’usuale, non compresa quasi nel calendario, un hors d’oeuvre, per così dire, una sera extra, una sera bisestile, il 29 febbraio…”
Thomas Mann, La montagna incantata

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“… Il tuo giorno fortunato è stato un 29 febbraio. Una data ballerina…”
Simona Sparaco, Se chiudi gli occhi (segnalazione di Libreria Feedbooks @feedbooks_it)

 

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“… Erano le ultime ore di un freddissimo 29 febbraio del 1936 quando nacqui ad Ampezzo…”
Luigi Schneider, Nato il 29 febbraio. Storia di un uomo fortunato (segnalazione di @atrapurpurea)

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“… campava con uno stecco 365 giorni all’anno e 366 quando l’anno era bisestile…”
Anton Giulio Barrili, La notte del commendatore (segnalazione di @atrapurpurea)

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“… Ma questo è un giorno speciale, è il 29 febbraio Marco Carrera non ha resistito. Non è superstizioso, non è scaramantico, ma si fa comunque ispirare da numeri e ricorrenze, e un giorno che capita solo ogni quattro anni è un buon giorno per giocare…”
Sandro Veronesi, Il colibrì (segnalazione di Fabiazep)

28 Febbraio | 28 Février

28 febbraio 2024

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Quel quantième du mois tenons-nous? demanda Dantès à Jacopo, qui était venu s’asseoir après de lui, en perdant de vue le château d’If.
—Le 28 février, répondit celui-ci.
—De quelle année? demanda encore Dantès.
—Comment, de quelle année! Vous demandez de quelle année?
—Oui, reprit le jeune homme, je vous demande de quelle année.
—Vous avez oublié l’année où nous sommes?
—Que voulez-vous! J’ai eu si grande peur cette nuit, dit en riant Dantès, que j’ai failli en perdre l’esprit; si bien que ma mémoire en est demeurée toute troublée: je vous demande donc le 28 de février de quelle année nous sommes?
—De l’année 1829», dit Jacopo.
Il y avait quatorze ans, jour pour jour, que Dantès avait été arrêté.
Il était entré à dix-neuf ans au château d’If, il en sortait à trente-trois ans.
Un douloureux sourire passa sur ses lèvres

Alexandre Dumas, Le Comte de Monte-Cristo, 1844-46

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“Oggi quanti ne abbiamo del mese?” domandò Dantès a Jacopo che era venuto a sedere vicino a lui dopo aver perduto di vista il castello d’If.  
“Il 28 febbraio”, rispose questi. 
“Di che anno?” domandò ancora Dantès.
“Come di che anno?… Voi domandate di che anno?”
“Si,” rispose il giovane, “vi domando di che anno”
“Avete dimenticato in che anno siamo?”
“Che volete? E’ stata così grande la paura di questa notte,” disse ridendo Dantès, “in cui poco è mancato che non perdessi la vita, che la mia memoria ne è rimasta sconvolta; vi domando dunque di quale anno siamo noi ai 28 di febbraio?”
“Dell’anno 1829”, rispose Jacopo.
Erano 14 anni precisi, giorno per giorno, che Dantès era stato arrestato. Era entrato nel castello d’If  a 19 anni, e ne usciva a 33. Un doloroso sorriso passò sulle sue labbra

Alexandre Dumas, Il conte di Montecristo1844-46, tr. it. E. Franceschini, BUR, 2006, pp. 153-154

Fuggito dal castello d’If, dove è stato tenuto ingiustamente prigioniero molti anni, e salvato in mare da un bastimento di contrabbandieri a cui dice di essere un naufrago, Edmond Dantès ha perso la cognizione del tempo e la prima notizia che chiede riguarda proprio la data. Nel febbraio di quattordici anni prima – 1815 -aveva avuto inizio la narrazione, con l’arrivo di Dantès a Marsiglia, il suo fidanzamento, il complotto dei suoi nemici e l’arresto.

Dicono del libro
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27 Febbraio | February 27

27 febbraio 2024

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February 27
Only twenty-two days until spring. I swear that on the twenty-first I will change from my winter clothes and, no matter what the weather is like, even f there is a blizzard, I will walk through Jackson Park hatless and gloveless

Saul Bellow, Dangling Man, 1944, Penguin Classics 2006, p. 59


27 febbraio

Solo ventidue giorni ci dividono dalla primavera. Giuro che il 21 marzo mi toglierò i panni invernali e, quale che sia il tempo, ci fosse anche una tempesta di neve, me ne andrò a spasso per il Jackson Park senza cappello e senza guanti

Saul Bellow, L’uomo in bilico, 1944, tr. it. G. Monicelli, Mondadori 1976, p.130

In attesa di prendere servizio nell’esercito, fra il 1942 e il 1943, Joseph, il protagonista del libro, registra gli avvenimenti, i cambi di prospettiva, la nuova misura del tempo derivante da questa attesa. In aprile verrà chiamato sotto le armi, “affrancato da ogni dovere di decidere di me stesso” e nei due mesi che precedono questo cambio di stato, passa da grandi temi – come la libertà o la responsabilità – ad annotazioni sul carattere di singoli irripetibili giorni di quel periodo.

Dicono del libro
Dicono del libro
Questo romanzo-diario è un viaggio interiore oscuro e tormentato alla ricerca di sé. L’uomo in bilico è il primo romanzo di Saul Bellow, una sorta di diario in cui confluiscono, in massima parte, gli elementi costitutivi del suo “pensiero”, la ricerca speculativa sulle ragioni dell’esistenza umana e del proprio essere. I suoi personaggi, sono, spesso, uomini con poche qualità, frustrati dalle loro stesse ambizioni, in conflitto con gli schemi del contesto sociale in cui vivono. Il protagonista è Joseph, un giovanotto ventisettenne, impiegato presso l’Inter-American Travel Bureau, diplomato in Storia all’Università del Wisconsin e coniugato da 5 anni. Egli trascorre nove mesi inattivo “in attesa burocratica” delle pratiche ministeriali prima di essere chiamato alle armi (siamo nel dicembre 1942) e in questa pausa riflette sulla propria vita”.
(Dalla recensione al libro su sololibri.net)

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26 Febbraio | 26 февраля

26 febbraio 2024

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26-го февраля 1807 года старый князь уехал по округу. Князь Андрей, как и большей частью во время отлучек отца, оставался в Лысых Горах. Маленький Николушка был нездоров уже четвертый день. Кучера, возившие старого князя, вернулись из города и привезли бумаги и письма князю Андрею.

Лев Толстой, ВОЙНА И МИР, 1867-69

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Il 26 febbraio del 1807, il vecchio principe era partito per la sua circoscrizione. Come accadeva quasi sempre durante le assenze di suo padre, il principe Andrej era rimasto a Lysye Gory. Già da tre giorni il piccolo Nikoluska era ammalato. I cocchieri che avevano accompagnato il vecchio principe, tornarono dalla città, portando delle lettere e altre carte per il principe Andrej. 

Lev Tolstoj, Guerra e pace, 1867-69, tr. it. P. Zveteremich, Garzanti, Milano 1974 (1985), p. 554

Dicono del libro
Sette anni occorsero a Tolstoj (dal 1863 al 1869) per comporre uno dei capolavori della letteratura ottocentesca. L’ossatura del romanzo, sullo sfondo delle guerre napoleoniche – dal 1805 alla travolgente insurrezione di tutto il popolo russo nel 1812 – è data dalle vicende di due grandi famiglie dell’alta nobiltà, i Rostov e i Bolkonskij, depositari dei valori autentici e genuini, intrecciate a quelle dei corrotti e dissoluti Kuragin. Spiccano, nella moltitudine di personaggi, le figure di Natasa, fanciulla e poi donna di straordinaria purezza e d’indole forte e impetuosa; del principe Andrei, che porta il suo orgoglio nella guerra, nella prigionia e nell’infelice amore per Natasa; dell’enigmatico e complesso Pierre Bezuchov, capace di autentica adesione al dolore del mondo”.
Scheda del volume citato presente nel sito ibs.

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25 Febbraio | 25 Février

24 febbraio 2024

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Dans la matinée du 25 février 1848, on apprit à Chavignolles, par un individu venant de Falaise, que Paris était couvert de barricades—et le lendemain, la proclamation de la République fut affichée sur la mairie. Ce grand événement stupéfia les bourgeois. Mais quand on sut que la Cour de cassation, la Cour d’appel, la Cour des Comptes, le Tribunal de commerce, la Chambre des notaires, l’Ordre des avocats, le Conseil d’État, l’Université, les généraux et M. de la Rochejacquelein lui-même donnaient leur adhésion au Gouvernement Provisoire, les poitrines se desserrèrent;—et comme à Paris on plantait des arbres de la liberté, le Conseil municipal décida qu’il en fallait à Chavignolles

Gustave Flaubert, Bouvard et Pécuchet, 1881 (posth.)

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Il mattino del 25 febbraio 1848, si sparse a Chavignolles la notizia, portata da uno  che veniva da Falaise, che Parigi era coperta di barricate; e l’indomani sull’ingresso  dell’edificio comparve l’avviso che era stata proclamata la Repubblica. Questo grande avvenimento impressionò i benestanti. Ma quando si apprese che la  Corte di Cassazione, la Corte d’appello, la Corte dei conti, la Camera di Commercio,  l’Ordine dei notai, quello degli avvocati, il Consiglio di Stato, l’Università, i generali e persino il signor de la Rochejacquelein avevano dato la loro adesione al governo   provvisorio, le fronti si spianarono; e, visto che nella capitale si piantavano alberi della libertà, il consiglio municipale decise che anche a Chavignolles bisognava  piantarne

Gustave Flaubert, Bouvard e Pécuchet, 1881 (post.),  tr. it. C. Sbarbaro, Einaudi 1964, p.122

Nel gennaio del 1839, Bouvard ha eredito una rendita, avvenimento che ha consentito a lui e all’amico Pécuchet – entrambi impiegati parigini di mezza età –  di trasferirsi a Chavignolles, fra Caen e Falaise, per dedicarsi a imprese agrarie e a progetti enciclopedici. Gli anni trascorrono e arriva il 1848, con la rivolta – nel mese di febbraio – delle opposizioni liberali e repubblicane alla monarchia di Luigi Filippo. Avvenimenti di cui, in questo romanzo postumo, Flaubert immagina l’arrivo a Chavignolles,  nello stesso febbraio del ’48.  

Dicono del libro
Dicono del libro
“La storia dei due impiegati parigini si sviluppa come una parabola. Bouvard e Pécuchet sono due copisti affratellati da una candida passione per le ‘idee’.  Una grossa eredità toccata a Bouvard consente a lui e all’amico di lasciare l’impiego e di trasferirsi in campagna per potersi dedicare a una febbrile ricognizione del sapere umano”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Einaudi, op. cit.)

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24 Febbraio | February 24th

24 febbraio 2024

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The day is an epitome of the year. The night is the winter, the morning and evening are the spring and fall, and the noon is the summer. The cracking and booming of the ice indicate a change of temperature. One pleasant morning after a cold night, February 24th, 1850, having gone to Flint’s Pond to spend the day, I noticed with surprise, that when I struck the ice with the head of my axe, it resounded like a gong for many rods around, or as if I had struck on a tight drum-head

Henry D. Thoreau, Walden, 1854
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Il giorno pare proprio un riassunto dell’anno. La notte è l’inverno, la mattina e la sera sono la primavera e l’autunno, e il mezzogiorno è l’estate. Lo scricchiolio e il rimbombo del ghiaccio indicano un cambiamento di temperatura. Una bella mattina, seguita a una notte fredda (il 24 febbraio 1850), andai a Flint’s Pond per passarvi la giornata, e con sorpresa osservai che quando colpivo il ghiaccio con la testa della scure, esso  risuonava come un gong per molte pertiche intorno

Henry D. Thoreau,  Walden ovvero vita nei boschi, 1854,  tr. it. P. Sanavio, Rizzoli, Milano, 1994, p. 376

Le date registrate da Thoreau, nei due anni di vita solitaria nei boschi intorno al lago di Walden, riportano soprattutto quello che accade alla natura, quello che succede alle acque e ai ghiacci, alle foglie, agli alberi. La terra, con la sua atmosfera e i suoi cicli ricorrenti, è la protagonista di queste pagine, in cui l’autore costruisce tavole di corrispondenza fra le scansioni del tempo umano e terrestre, interno ed esterno: “Per noi, spunta solo quel giorno in cui siamo svegli. Ce n’è, di giorno, che ancora deve albeggiare!”

Dicono del libro
Dicono del libro
Nel luglio 1845, Henry David Thoreau, naturalista, filosofo e agrimensore, lasciava la cittadina di Concord dove abitava ed era nato, per andare a vivere in una capanna di legno, nei boschi del vicino lago di Walden. Intendeva compiere un esperimento, mostrare quanto poco costasse vivere. Il gesto, pure se non nuovo nel Massachusetts del XIX secolo, assumeva nella sua arroganza significati politici ed estetici insieme: si inseriva nella scelta di una ‘disubbidienza civile’ a una società di cui Thoreau non condivideva gli ideali mercantili (…) Nella relativa solitudine del lago, analizzando se stesso, i suoi simili e il proprio rapporto con la natura, Thoreau cercava un perduto alfabeto”

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23 Febbraio | February 23

23 febbraio 2024

 

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So in the end he entered, by way of his grandfather’s letter, that Sanctum Americanum where sat the president of Wilson, Hiemer and Hardy at his “cleared desk,” and issued therefrom employed. He was to begin work on the twenty-third of February.
In tribute to the momentous occasion this two-day revel had been planned, since, he said, after he began working he’d have to get to bed early during the week (…)
Morning now—theirs to add up the checks cashed here and there in clubs, stores, restaurants. Theirs to air the dank staleness of wine and cigarettes out of the tall blue front room, to pick up the broken glass and brush at the stained fabric of chairs and sofas; to give Bounds suits and dresses for the cleaners; finally, to take their smothery half-feverish bodies and faded depressed spirits out into the chill air of February, that life might go on and Wilson, Hiemer and Hardy obtain the services of a vigorous man at nine next morning

Francis Scott Fitzgerald, The Beautiful and Damned, 1922

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Così alla fine Anthony entrò, per mezzo di una lettera del nonno, nel Sanctum Americanum dove sedeva il presidente delle Wilson, Hiemer e Hardy al suo ‘tavolo sgombro’ e ne uscì impiegato. Doveva prendere servizio il 23 febbraio. Quest’orgia di due giorni era stata organizzata in tributo a questa circostanza  importante, perché quando Anthony avesse cominciato a lavorare avrebbe dovuto andare a letto presto durante tutta la settimana. […] E ora la mattina: a loro di addizionare gli assegni incassati qua e là in circoli, negozi, ristoranti. A loro di dare aria all’alta stanza azzurra per scacciarne il fetore rancido del vino e delle sigarette, di raccogliere i bicchieri rotti e spazzolare le stoffe macchiate delle poltrone e dei sofà; di dare a Bounds i vestiti e gli abiti da mandare in tintoria; infine di condurre i loro corpi mezzo febbricitanti e soffocati e il loro spirito sbiadito e depresso nell’aria fredda di febbraio, in modo che la vita potesse continuare e  l’indomani mattina alle nove Wilson, Hiemer e Hardy avessero i servigi di un uomo  vigoroso

 Francis Scott Fitzgerald, Belli e dannati, 1922, tr. it. F. Pivano, Mondadori 1973, pp. 183-184

Mentre in Europa si combatte la prima guerra mondiale e negli Stati Uniti comincia ad affermarsi il cinema, scorre la storia del giovane ereditiero americano Anthony Patch e di sua moglie Gloria Gilbert. Le date, nella loro vita, riguardano appuntamenti, feste, viaggi, nei quali la coppia trascorre un tempo d’ozio e di ricerca del divertimento. L’aderenza al calendario è vaga e dipende dai postumi delle feste, che a volte durano diverse giornate consecutive: “che giorno è? Martedì. Martedì? Lo spero. Se è mercoledì devo presentarmi a prendere servizio in quel posto idota”.  Poiché la rendita diminuisce, Anthony ha deciso di provare a fare qualcosa – a lavorare –  e ha chiesto aiuto al nonno Adam. Indirizzato verso la carriera in borsa, deve prendere servizio il 23 febbraio. Nei due giorni che precedono questa data, ha luogo una lunga festa d’addio alla vita non lavorativa, anche se l’impiego, col suo ritmo quotidiano, non durerà a lungo.

Dicono del libro
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22 Febbraio | 22 February

22 febbraio 2024

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He poured himself a nightcap and went into the study to perform the nightly ritual of altering the date of the calendar on his desk. Saturday, 21 February. Great Heavens! It was Sunday morning! Sunday, 22 February. Exactly eight days since the infernal business at the Hanging Rock.
As soon as Albert had attended to the horses he flung himself fully clothed on his unmade truckle bed and fell asleep. He seemed to have hardly laid his head on the pillow before he was wide awake and staring at the little square of grey light at the window, with the events of yesterday, no longer confused by physical exhaustion as they had been last night, falling neatly into place like the pieces of a fretwork puzzle. Except that one of the key pieces was missing. Which was it, and where exactly fit it fit into the pattern?
Joan Lindsay, Picnic at Hanging Rock, 1967, Penguin Books, 1970, p. 90

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Si versò un bicchierino di liquore ed entrò nello studio per compiere il rito serale di cambiare la data sul calendario dello scrittorio. Sabato, 21 febbraio. Santo Cielo!  Era domenica mattina! Domenica, 22 febbraio. Esattamente otto giorni dal dannato affare alla Hanging Rock. Albert, appena terminato di accudire ai cavalli, si buttò tutto vestito sulla branda non rifatta e si addormentò. Gli pareva di avere posato la testa sul guanciale solo da un momento ed era già completamente sveglio e fissava il minuscolo quadrato di luce grigia alla finestra; intanto gli avvenimenti del giorno prima, non più confusi per la stanchezza fisica come lo erano la sera precedente, si collocavano ordinatamente al loro posto come i pezzi di un rompicapo. Ma mancava uno dei pezzi chiave. Qual era? E dove andava sistemato esattamente nel disegno? 

Joan Lindsay, Picnic a Hanging Rock, 1967, tr. it. M.V. Malvano, Sellerio 1993, p.101

L’uomo che cambia la data sul calendario dello scrittoio è il colonnello Fitzhubert, lo zio di Mike, il giovane aristocratico che, con l’amico stalliere Albert, ha visto per l’ultima volta le ragazze scomparse ad Hanging Rock la settimana prima. Durante un picnic organizzato dal collegio Appleyard nel giorno di San Valentino, Miranda, Marion, Irma, Edith e un’insegnante di matematica si sono allontanate in direzione della grande roccia vulcanica, mentre gli orologi sono tutti fermi a mezzogiorno. Solo Edith è tornata indietro, sconvolta da qualcosa che non è in grado di spiegare. Il giovane Mike non si dà pace e continua la ricerca solitaria delle ragazze, mentre lo zio lo aspetta a casa e si accorge che è passato un altro giorno dallo strano accadimento.“Non esiste un solo attimo su questo globo rotante che non sia, per milioni di individui, non misurabile con i comuni sistemi di computo del tempo: un frammento di eternità per sempre privo di rapporto con il tempo e l’orologio”.

Dicono del libro
Dicono del libro
“Hanging Rock, la roccia vulcanica che sorge isolata e improvvisa nella macchia australiana a nord di Melbourne, fu davvero teatro, nel 1900, dell’evento narrato in questo libro: la scomparsa mai spiegata di due fanciulle e una matura insegnante di college, seguita dalla immediata rovina di tante esistenze a quelle vite collegate (…) ‘Se Picnic a Hanging Rock sia realtà o fantasia, i lettori dovranno deciderlo per proprio conto’ “(dalla bandella dell’ed. Sellerio, op. cit.)

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21 Febbraio

21 febbraio 2024

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21 febbraio (tardo pomeriggio)
 […] Ora sono io ad arretrare, a cercare di spegnere la mia mente che s’è accesa con troppo fervore. Presto o tardi si parlerà anche della mia scomparsa. Ascolto da vivo i discorsi – compiaciuti o dolenti – che si faranno su di me dopo la mia morte. Il passato non torna. Possibile – mi chiedo stoltamente, o con ingenuità fanciullesca – che tutto ciò che ho vissuto, debba averlo vissuto una sola volta, e così in fretta, senza avvertirne la veloce fuga all’indietro?

Luca Canali, Diario segreto di Giulio Cesare, 1994, Mondadori, pp. 94, 100

L’autore immagina che Giulio Cesare, negli ultimi quaranta giorni della sua vita, abbia registrato le giornate e le notti in un diario, dove si parla di Roma e del suo governo, di famiglia e di memorie. Il 21 febbraio è una giornata di quiete: ricorrono le celebrazioni Ferali, quando “tutte le famiglie ricordano i loro defunti”. Dopo aver portato doni alla tomba della figlia e della prima moglie, e aver salutato Cicerone, Cesare è solo in casa, a riflettere sul tempo, che “avanza inavvertito come un sicario”. 

Dicono del libro
Dicono del libro
“Abbandonata la terza persona dei commentari guerreschi, nelle pagine di questo apocrifo Cesare si racconta senza reticenze, con asciutta immediatezza. Il diario si apre il 6 febbraio dell’anno 710 dalla fondazione di Roma (44 a.C.), mentre l’ultimo foglio reca la data fatidica del 15 marzo”
(dalla seconda di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)

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20 Febbraio

20 febbraio 2024

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Fu come se gli avessero assegnato una nuova data di nascita: 20 febbraio 1967. Fu come venire al mondo un’altra volta solo per passare notti insonni con lo sguardo rivolto alle gocce di pioggia che scivolavano luccicando lungo il vetro della finestra. E mentre la madre era nell’altra stanza che dormiva tranquilla in tutta la sua diversità, Homer se ne stava disteso sul letto ad ascoltare il ritmo del proprio respiro, il ritmo che accompagnava il buio tristissimo di quelle ore in cui tutto era immobile a parte la pioggia che veniva giù e le gocce che scivolavano luccicando lungo il vetro della finestra, un unico e immenso momento di eternità. Non dormendo mai

 Tommaso Pincio, Un amore dell’altro mondo, Einaudi 2002, p. 30

La narrazione segue la storia parallela e intrecciata di due giovani: Homer B. Alienson (Boda di secondo nome) e Kurt (che ha un amico immaginario che si chiama Boda). Mentre una serie di indizi porta via via il lettore a individuare in Kurt la figura del musicista Cobain, la storia fa avvicinare e allontanare i due personaggi, rendendo immaginari i dati reali e plausibili quelli immaginari. Quest’oscillazione fra finzione e realtà è puntellata da dettagli importanti, come la data del 20 febbraio 1967 (il giorno di nascita del “vero” Kurt Cobain), richiamata nel libro come una data spartiacque nell’esistenza del personaggio Homer. Le alterazioni del ritmo sonno-veglia e della percezione del tempo prodotte dalle droghe sono una parte cospicua della storia: “venne sfiorato dal dubbio che il sistema potesse alterare il corso del tempo, rallentarlo, incastrarlo, arrestarlo, fino a un punto in cui i giorni, anziché passare come si crede cha facciano, finissero per rovinare uno sull’altro in un gigantesco tamponamento”.

 

Dicono del libro
Dicono del libro
“Il romanzo che ha dato vita una volta per sempre al fantasma di Kurt Cobain. Ripercorrendo la sconvolgente vicenda di Homer Alienson, l’amico immaginario del leader dei Nirvana, ci tuffiamo come in un caleidoscopio nelle fine di un’epoca”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Einaudi, op. cit.)

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