30 Aprile | 30 Abril

30 aprile 2025

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Beatriz Viterbo murió en 1929; desde entonces, no dejé pasar un treinta de abril sin volver a su casa. Yo solía llegar a las siete y cuarto y quedarme unos veinticinco minutos; cada año aparecía un poco más tarde y me quedaba un rato más; en 1933, una lluvia torrencial me favoreció: tuvieron que invitarme a comer. No desperdicié, como es natural, ese buen precedente; en 1934, aparecí, ya dadas las ocho, con un alfajor santafecino; con toda naturalidad me quedé a comer. Así, en aniversarios melancólicos y vanamente eróticos, recibí las graduales confidencias de Carlos Argentino Daneri. […]
El treinta de abril de 1941 me permití agregar al alfajor una botella de coñac del país.

Jorge Luis Borges, El Aleph, 1949

Beatriz Viterbo morì nel 1929; da allora non lasciai passare un trenta d’aprile senza tornare alla sua casa. Solevo arrivare alle sette e un quarto e fermarmi un venticinque minuti; ogni anno comparivo un po’ più tardi e restavo un po’ di più; nel 1933, una pioggia torrenziale mi favorì: dovettero invitarmi a cena. Profittai, naturalmente, di quel buon precedente; nel 1934 comparvi alle otto suonate, con un torrone di Santa Fé; con tutta naturalezza rimasi a cena. Così, in anniversari melanconici e vanamente amorosi, ricevetti le graduali confidenze di Carlos Argentino Daneri. (…)
Il trenta aprile del 1941 mi permisi di aggiungere al torrone due bottiglie di cognac locale

Jorge Luis Borges, L’Aleph, 1949, tr. it. F. Tentori Montalto, I Meridiani, Mondadori, 1985, vol. I, p.887, p. 888

La casa di calle Garay a Buenos Aires, dove ha abitato Beatriz Viterbo e dove continuano ad abitare dopo la sua morte il padre e il cugino Carlos Argentino Daneri, custodisce in cantina – sotto la stanza da pranzo – l’Aleph: un oggetto indefinibile che contiente tutti i punti dello spazio, mostrandoli senza sovrapposizioni in un unico gigantesco istante. L’Aleph è stato scoperto da Carlos Argentino Daneri, scrittore di noiosi poemi, che lo mostra a Borges, amico di famiglia, legato alla bella e fragile Beatriz. Beatriz, che è morta in un giorno di febbraio dell’estate australe, era nata il trenta di aprile e il Borges del racconto, per anni, continua a onorare questa data, come fa anche il Borges scrittore, che la sceglie in (almeno) altre due storie: Funes, o della memoria e La notte dei doni. 

 

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In un tempo così breve: 5 secondi di Andrea Martinucci

“a marble rolling across wooden floor could be as portentous as a passing comet”
John Ashbery, 1967

Se ne era accorto alla fine degli anni Sessanta l’economista e informatico statunitense Herbert A. Simon (Premio Turing 1975 e Premio Nobel per l’Economia nel 1978) che la ricchezza crescente di informazioni, nel mondo occidentale, avrebbe portato a un deficit di attenzione. Emanuele Bevilacqua, esperto di media che ha dedicato diverse ricerche a Herbert, è arrivato a creare una newsletter – Attention as Art / L’attenzione come arte – su questa risorsa “preziosa e necessaria, costantemente interrotta dal flusso delle informazioni”. 
E all’arte dell’attenzione fanno riferimento – in un senso esplicito e trasfigurato – due opere dell’artista romano Andrea Martinucci, entrambe intitolate 5 secondi: una mostra, svoltasi da febbraio ad aprile 2025 presso la Fondazione Baruchello di Roma e un libro, collegato a doppio filo alla mostra, ma anche indipendente da essa (Arbor Editions). 
Curata da Serena Schioppa, la mostra si presentava come un dispositivo per “riflettere su un lasso di tempo brevissimo, offrendo l’opportunità di rallentare, fermarsi e cogliere l’imprevedibilità del quotidiano”. Il fulcro di questo dispositivo artistico era la registrazione visiva di un’azione compiuta dall’artista nella piazza del Duomo a Milano. In piedi sull’acciottolato, vestito di scuro, l’uomo incrocia dei passanti, compie dei movimenti con le braccia, solleva e dondola una busta di plastica bianca, finché questa non si lacera e le arance contenute in essa cadono per terra. Il “tentativo di esaurimento” di questo piccolo evento sono 120 immagini in formato A3, stampate in inchiostro nero su carta argentata e srotolate lungo i 35 metri del pavimento della Fondazione Baruchello, “adiacenti una all’altra come in una timeline di montaggio ancora aperta” (Maria Alicata). Dai primi fogli scuri emerge come un ectoplasma la sagoma della busta, seguono i “fotogrammi” dell’evento, che culmina nella caduta delle arance a terra; il terreno, a quel punto, diventa un fondale sempre più nero su cui i frutti si dispongono come astri nel cosmo (quante volte si usano gli agrumi per simulare il sistema solare di fronte a un pubblico di bambini!). E forse anche per richiamare agli occhi la citrinitas delle arance, in mostra erano presenti tre tele di Martinucci del 2024, ad acrilico giallo intenso.


Chi guarda le 120 immagini sistemate a terra, spostandosi da una all’altra – scrive la curatrice Schioppa – è invitato a prestare attenzione a ogni dettaglio, ma anche a interrogarsi sulla veridicità percettiva della scena, sull’effettiva durata dei 5 secondi, sul loro essere anche il prodotto di montaggio e di immaginazione, di partiture e di ritmi.

5 secondi – abbiamo detto – è poi il libro realizzato in occasione della mostra, che ne restituisce il concetto e le immagini, trasformandoli grazie a un altro dispositivo peculiare, che viene dalla tradizione cartotecnica. Curato dalla ricercatrice Lisa Andreani, il libro sceglie di coniugare una prima parte saggistico-narrativa (con i contributi di Serena Schioppa, di Carla Subrizi, di Maria Alicata, di Damiano Gullì in dialogo con Martinucci, della  stessa Andreani) e una seconda parte “animata”. In questa parte le immagini dell’azione sono montate a blocchetto in modo che possano essere sfogliate come un flipbook, dove i passaggi graduali da una pagina all’altra danno l’illusione del movimento continuo. Entriamo qui nella zona dei così detti movable books, quella tipologia editoriale che prevede la manipolazione inusuale del supporto, l’apertura eccentrica del libro, in forma di giostra o leporello, la messa in azione di flap e volvelle, che aumentano le pagine di combinazioni e possibilità, intersecando le dimensioni del gioco filosofico, del precinema, dell’intrattenimento interattivo. Non a caso 5 secondi appare per i tipi di Arbor Editions, dell’editore Edoardo Visalli, che si dedica a multipli e libri d’artista, oggetti ed ephemera e ha scelto la forma del flipbook in diverse occasioni (Amuser Duchamp, Retard, The Crossing). 

In conclusione, in quarta di copertina del volume si trova questa sinossi:

“Come accade in 5 secondi, potremmo interrogarci se la caduta di un sacchetto contenente arance, in un ordinario tragitto quotidiano, non sia altro che un segnale, una metafora, di una caduta interiore, un possibile cambiamento radicale dello stato attuale delle cose. Una  caduta, un piccolo accidente capace di riavviare il ciclo, oppure una caduta che generi uno stravolgimento irreversibile del sempre uguale”.

Leggendola, il pensiero va alla celebre e tanto spesso citata poesia di Wisława Szymborska, Disattenzione (2005). La poetessa polacca Premio Nobel si rammarica di non aver dato la giusta attenzione al giorno trascorso: “Ho svolto attività quotidiane / come se ciò fosse dovuto”, mentre “Uno dopo  l’altro avvenivano cambiamenti / perfino nell’ambito ristretto d’un batter d’occhio”.
Un po’ d’attenzione ci è richiesta dal cosmo, se non altro per educazione, continua Szymborska, e dunque è necessario non dare per scontata nessuna porzione del tempo quotidiano, 24 ore, 1440 minuti,  86.400 secondi. 
Da qui in avanti, 5 di questi secondi sono attenzionati da Andrea Martinucci in piedi sulla piazza, con la busta che si rompe e le arance che si trasformano in pianeti.

Antonella Sbrilli
aprile 2025

Riferimenti:

5 secondi. Andrea Martinucci, a cura di L. Andreani, Arbor Editions, Roma 2025
– Emanuele Bevilacqua ha introdotto e curato la prima traduzione italiana del testo di Herbert Simon nel volume Il labirinto dell’attenzione. Progettare organizzazioni per un mondo ricco di informazioni, trad. di P. Tassi, Luca Sossella editore 2019. Attention as Art si trova su substacks.
– Sui movable books: POP-APP. Scienza, arte e gioco nella storia dei libri animati dalla carta alle app, a cura di Gianfranco Crupi e Pompeo Vagliani, Torino, Fondazione Tancredi di Barolo, 2019.

– La poesia Disattenzione di Wisława Szymborska fa parte della raccolta Due punti (2005, tr. it. a cura di P. Marchesani, Adelphi 2006).

 

 

3 Aprile

3 aprile 2025

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Il 3 aprile verso le cinque. In macchina da piazza della Scala vuol prendere via Verdi ma il semaforo è rosso; stipate intorno le auto, i pedoni che passano, il sole ancora alto, una giornata bellissima, in quel mentre immaginò la Laide sul bordo della pista di Modena dove diceva di andare a posare per le fotografie di moda, è là felice di essere stata ammessa in quel mondo eccezionale di cui i giornali parlano tanto in termini quasi di favola, è là che scherza con due giovani 

Dino Buzzati, Un amore, 1963, Mondadori 1979, pp. 79-80

L’architetto milanese Antonio Dorigo, in febbraio, in una casa d’appuntamenti, ha conosciuto Adelaide, una ragazza col fisico da ballerina, da cui rimane irretito. Durante i mesi invernali Dorigo si è legato sempre più alla ragazza, che non ricambia il suo sentimento e ha una vita sua, in locali notturni e con altri uomini. Nel pomeriggio del 3 aprile, in mezzo al traffico di Milano, “all’altezza del palazzo di Brera lo prese lo sgomento perché in questo preciso istante ha capito di essere completamente infelice senza nessuna possibilità di rimedio” e perché  il pensiero di lei “lo perseguita in ogni istante millimetrico della giornata”. 

 

Dicono del libro

Dicono del libro
“Nella cornice di una Milano grigia, caliginosa e triste, fra salotti di case d’appuntamento e strade impregnate degli odori dei «camini, sfiatatoi delle caldaie a nafta, ciminiere delle raffinerie Coloradi, camion ruggenti e fogne», si sviluppa la vicenda dell’architetto Antonio Dorigo, 49 anni, che nell’inverno del 1960 incontra una giovanissima squillo, sedicente ballerina del teatro alla Scala di Milano”
(dalla recensione del libro in Italialibri.net)

 


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28 Marzo | March 28

28 marzo 2025

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“Look at the date of the magazine issue”.
He pointed to the top heading, just to the left of the page number. It read March 28, 1932. Harlan said, “That scarcely needs translation. The numbers are about those of Standard Intertemporal and you see it’s the 19.32nd Century. Don’t you know that at that time no human being who had ever lived had seen the atomic mushroom cloud. No one could possibly reproduce it so accurately, except…”
“Now, wait. It’s just a line pattern,” said Twissel trying to retain his equilibrium. “It might resemble the mushroom cloud only coincidentally. “Might it? Will you look at the wording again?” Harlan’s fingers punched out the short lines: “All the— Talk— Of the— Market. The initials spell out ATOM, which is English for atom. Is that coincidence, too? Not a chance”

Isaac Asimov, The End of Eternity, 1955

“Leggi la data in cima alla pagina”. Indicò la scritta che diceva: 28 marzo 1932. “Non c’è bisogno di traduzione, vero? I numeri sono quasi uguali a quelli dell’Intertemporale Standard. Non sai che a quell’epoca nessuno aveva mai visto un fungo atomico? Nessuno avrebbe potuto riprodurlo con tanta accuratezza, tranne…” “Aspetta un momento, è solo uno schizzo” disse il Calcolatore, cercando di ritrovare il suo equilibrio. “Può darsi che la somiglianza col fungo atomico sia casuale.” “Ah, sì? Guarda di nuovo le parole, allora.” Harlan indicò la scritta in maiuscolo, All the Talk Of  the Market. “Le iniziali formano la parola Atom, che in inglese vuol dire atomo. Me la chiami coincidenza? Direi proprio di no”

 Isaac Asimov, La fine dell’Eternità, 1955, tr.it. G. Lippi, Mondadori, 1987, p. 202

L’Eternità gode di un equilibrio estremamente delicato, nel mondo immaginato da Asimov in questo romanzo, dove si può viaggiare attraverso i secoli e la storia muta a ogni cambiamento della Realtà effettuato da tecnici del Tempo. Dove si rischia, tornando a un momento già attraversato, di incontrare se stessi. E dove diverse Realtà alternative possono esistere.
Ma c’è stata un’epoca in cui il passato era irreversibile, “la Realtà fluiva ciecamente lungo la linea della massima probabilità”, per esempio il Ventesimo secolo. Lì è finito uno dei personaggi di questo complicato racconto e da lì, dal 1932, sta mandando un messaggio in codice per essere rintracciato. Un messaggio affidato a un anacronismo: il disegno di un fungo atomico su una rivista del 28 marzo 1932.  

 

Dicono del libro

Dicono del libro
“In un futuro ancora molto lontano l’uomo ha imparato a viaggiare nel tempo, spostandosi con disinvoltura da un secolo all’altro e organizzando traffici commerciali tra ere diverse. Il viaggio nel tempo permette anche di tenere l’umanità sotto rigido controllo, modificando tutti quegli elementi che potrebbero provocare gravi turbamenti nella storia. A effettuare i cambiamenti sono delegati gli analisti e i tecnici della rigida casta degli Eterni, gli unici in grado di manipolare passato e futuro”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Mondadori, op. cit.)

 

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24 Marzo

24 marzo 2025

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 24 marzo 1958

In determinate condizioni di atmosfera, di ora e di luce possiamo vedere anche a occhio nudo i tre piccoli satelliti artificiali che l’uomo lanciò dalla Terra verso gli spazi interplanetari dal 1955 al 1958; e ivi sono rimasti appesi, presumibilmente per sempre, girando girando intorno a noi. In certi crepuscoli d’inverno quando l’aria è come cristallo, tre minuscoli punti brillano, di un fisso e corrucciato splendore; due vicini che quasi si toccano, uno più in là, solitario

Dino Buzzati, 24 marzo 1958, in Sessanta racconti, 1958, Mondadori, p. 293

Il 24 marzo 1958 è la data della messa in orbita dell’ultimo di una serie di tre satelliti che – da allora al presente immaginato nel racconto, il 1975 – continuano a girare intorno alla Terra. È una data più importante della scoperta dell’America o della rivoluzione francese, dopo la quale l’umanità è cambiata. Gli ultimi messaggi trasmessi dall’equipaggio alludono infatti a una strana musica e all’arrivo in un luogo che forse è il paradiso. Gli astronauti non sono tornati dai viaggi e i tre satelliti continuano a girare, lasciando il dubbio che il regno dei cieli – con la sua musica sovrumana – sia pericolosamente vicino, proprio alle porte del pianeta Terra, di questa “pulce delle pulci disseminate nell’Universo”.

 

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14 Marzo | March 14

14 marzo 2025

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The first witness was the Hatter. He came in with a teacup in one hand and a piece of bread-and-butter in the other. ‘I beg pardon, your Majesty,’ he began, ‘for bringing these in: but I hadn’t quite finished my tea when I was sent for.’
‘You ought to have finished,’ said the King. ‘When did you begin?’
The Hatter looked at the March Hare, who had followed him into the court, arm-in-arm with the Dormouse.
‘Fourteenth of March, I think it was,’ he said.
‘Fifteenth,’ said the March Hare.
‘Sixteenth,’ added the Dormouse.
‘Write that down,’ the King said to the jury, and the jury eagerly wrote down all three dates on their slates, and then added them up, and reduced the answer to shillings and pence

Lewis Carroll, Alice in Wonderland, 1865

Il primo testimone era il Cappellaio. Si presentò con una tazza di tè in mano e un pezzo di pane imburrato nell’altra. – Chiedo perdono, vostra Maestà, – cominciò, – se sono qui con queste cose; ma non avevo ancora finito il mio tè quando sono stato convocato.
– Dovresti aver finito, – disse il Re. – Quando iniziasti?
Il Cappellaio guardò la Lepre Marzola, che l’aveva seguito in tribunale a braccetto del Ghiro. – Il quattordici marzo, mi pare, – disse.
– Il quindici, – disse la Lepre Marzola.
– Il sedici, – disse il Ghiro.
– Prendetene nota, – disse il Re alla giuria; e la giuria diligentemente annotò sulle lavagnette tutte e tre le date, poi fece la somma e convertì il totale in scellini e penny

Lewis Carroll, Alice nel paese delle meraviglie, 1865, tr. it. A. Ceni, Einaudi, 2003, p. 107

La porta principale attraverso cui si entra nel Paese delle Meraviglie è quella del Tempo, avverte Stefano Bartezzaghi nell’introduzione all’edizione Einaudi delle Avventure di Alice. Il tempo – già di per sé una meraviglia, un indovinello senza soluzione – è il protagonista di situazioni e dialoghi paradossali. Le avventure di Alice si svolgono in maggio: lo dice la bambina, dopo aver incontrato la Lepre Marzola (“forse, poiché siamo di maggio, non matta da legare”). Più avanti, nel capitolo Un tè da matti, viene fuori la data del 4, insieme con un mirabile orologio che, invece dell’ora, segna il giorno del mese. Poiché il Paese delle Meraviglie è un luogo di discussioni, anche la data è oggetto di negoziazione, come in questo capitolo XI (Chi rubò le crostate?), in cui il testimone è contraddetto dalla Lepre Marzola e dal Ghiro e le cifre delle date sono commutate in denaro. Poiché il Paese delle Meraviglie è un luogo di non-certezze, anche la data pare il 14 marzo, ma anche il 15 o il 16. Dipende dall’unità di misura o di cambio del Tempo.

 

Dicono del libro

Dicono del libro
“Le avventure straordinarie della piccola Alice in un bizzarro mondo alla rovescia sono molto piú di un classico per l’infanzia. Se da un lato vi si può leggere una parabola che svela le assurdità e le incoerenze della vita adulta, dall’altro vi si coglie, immediata, una raffinatissima abilità linguistica, dove il gusto per il paradosso e il calembour, il nonsenso e la parodia si esprimono con impareggiabile inventiva. Un classico, quindi, cui hanno guardato molti protagonisti della letteratura del Novecento da Queneau a Nabokov”
(dalla quarta di copertina dell’ed. Einaudi, op. ci.t)

 

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1 Marzo | Mars 1

1 marzo 2025

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Depuis longtemps déjà le mauvais temps avait cessé; la saison s’avançait; et brusquement les amandiers fleurirent. C’etait le premiers mars. Je descends au matin sur la place d’Espagne. Les paysans ont dépouillé de ses rameaux blancs la campagne et les fleurs d’amandiers charges les paniers des vendeurs. Mon ravissement est tel que j’en achète tout un bosquet. Trois hommes me l’apportent. Je rentre avec tout ce printemps. Les branches s’accrochent au portes, des pétales neigent sur le tapis

André Gide, L’Immoraliste, 1902

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Già da parecchio il tempo cattivo era finito; ci inoltravamo nella bella stagione e d’un tratto fiorirono i mandorli. Era il primo di marzo. Di mattina scendo in Piazza di Spagna. I contadini hanno spogliato la campagna di tutti i suoi rami bianchi e i fiori di mandorlo riempiono le ceste dei venditori. L’incanto che provo è tale che ne compro tanti da riempire un giardino. Tre uomini me li portano a casa. Rientro con tutta questa primavera. I rami si impigliano nelle porte; alcuni petali cadono come neve sul tappeto

 André Gide, L’immoralista, 1902, tr. it. E. Scarpellini, Garzanti, ed. cons. 1982, p. 237

La data del primo marzo compare verso la fine del racconto che il protagonista, Michel, fa ad alcuni amici per spiegare gli ultimi decisivi avvenimenti della sua vita. Il matrimonio con Marceline, il soggiorno in Africa, fatto di lunghi “giorni senza ore”, la malattia ai polmoni da cui si è ripreso, la scoperta dell’omosessualità. E poi, in una specie di simmetria, la malattia della moglie che, incinta, perde il bambino, e di nuovo i viaggi, il lago di Como, Firenze, Roma, dove arrivano alle soglie della primavera, per proseguire ancora verso sud. 

Dicono del libro

13 Febbraio | February 13

13 febbraio 2025

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I, Billy Pilgrim, the tape begins, will die, have died and always will die on February thirteenth, 1976.
At the time of his death, he says, he is in Chicago to address a large crowd on the subject of flying saucers and the true nature of time

Kurt Vonnegut, Slaughterhouse Five or The Children’s Crusade, 1969

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Io, Billy Pilgrim, comincia il nastro, morirò, sono morto e sempre morirò il tredici febbraio 1976.
Nell’ora della sua morte, dice, è a Chicago per parlare a una gran folla sul tema dei dischi volanti e della vera natura del tempo

Kurt Vonnegut, Mattatoio n. 5, 1969,  tr. it. L. Brioschi, Feltrinelli, 2003, pp. 133

Billy Pilgrim, sopravvissuto al bombardamento di Dresda del 13 febbraio del 1945 e tornato negli Stati Uniti, racconta la storia della sua vita, come se le diverse fasi fossero reversibili, continuamente attraversabili e interferenti. In questi viaggi nel tempo, si sposta dall’adolescenza all’età matura; dalla traumatica esperienza della II guerra mondiale al lavoro di ottico; da un incidente aereo a un rapimento degli alieni. L’insensatezza delle guerre e dei massacri è curiosamente commentata, qua e là nel testo, dagli uccelli, con un cinguettio onomatopeico: Poo tee weet. Il tempo, soprattutto, è al centro di riflessioni venate di scienza fantastica: “Tutto il tempo è tutto il tempo. Non cambia”; “Eccoci qua incastonati nell’ambra di questo momento”.
Il giorno 13 febbraio ricorre nella narrazione sia come data storica della distruzione di Dresda, sia come termine (ricorsivo) della vita del protagonista. 

Dicono del libro

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28 Gennaio | 28 Enero

28 gennaio 2025

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28 de enero

Pensé una cosa curiosa. Llegaba a la terrible ciudad y era de tarde, tarde verdosa y ácuea como no son nunca las tardes si no se las ayuda pensándolas. Por el lado de la Dobrina Stana, en la perspectiva Skorda, caballos erizados de estalagmitas y polizontes rígidos, hogazas humeantes y flecos de viento ensoberbeciendo las ventanas Andar por la Dobrina con paso de turista, el mapa en el bolsillo de mi sastre azul (con ese frío y dejarme el abrigo en el Burglos), hasta una plaza contra el río, casi en encima del río tronante de hielos rotos y barcazas y algún martín pescador que allá se llamará sbunáia tjéno o algo peor.
Después de la plaza supuse que venía el puente. Lo pensé y no quise seguir.

Julio Cortázar, Lejana, 1951

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28 gennaio 

Ho pensato una cosa strana. Arrivavo nella terribile città ed era sera, sera verdastra ed acquea come mai sono le sere se non le si aiuta pensandole. Dalla parte della Dobrina Stana, nella prospettiva Skorda, cavalli irti di stalagmiti e poliziotti rigidi,  focacce fumose e frange di vento insuperbiscono le finestre. Camminare per la Dobrina con passo da turista, carta geografica nella tasca del mio tailleur turchino (con questo freddo aver lasciato il cappotto al Burglos, fino a una piazza lungo il fiume rimbombante di ghiacci spezzati e di barconi e qualche martin pescatore che la forse si chiama sbunáia tjéno o peggio. Supposi che dopo la piazza venisse il ponte. Lo pensai e non volli proseguire.

Julio Cortázar, Lontana in Bestiario, 1951, tr. it. F. Rossini Nicoletti, Einaudi, 1965, p. 28

Terzo racconto della raccolta BestiarioLontana riporta il diario di una giovane di Buenos Aires, Alina Reyes, abile nei giochi di parole, come i palindromi (“salta Lenin el Atlas”) e gli anagrammi, fra cui risalta quello del suo stesso nome “Alina Reyes”: “es la reina y”, attraente perché la frase non si conclude. Il diario racconta l’inquietante sensazione che un’altra se stessa esista, a Budapest, e che sia una vecchia mendicante. La notte del 28 gennaio, i soggetti, i tempi dei verbi, i luoghi, le distanze, si confondono, preludendo all’incontro inquietante che accadrà di lì a pochi mesi. 

Dicono del libro

Dicono del libro
“Il misterioso, l’irrazionale, il tragico germogliano dalla più corporea descrizione del quotidiano. Sugli scenari reali si stacca il ‘bestiario’ metafisico: animali invisibili, come la tigre del racconto che dà il titolo al libro, o immaginari, o creati dal nulla come i coniglietti della Lettera a una signorina a Parigi, oppure descritti con tanta dolorosa precisione da finire per immedesimarsi in essi. Bestiario è il libro che nel 1951 ha rivelato Cortázar, ed è forse la migliore ‘introduzione’ all’arte di questo scrittore capace di pagine folgoranti”
(dalla quarta di copertina dell.ed. Einaudi, op. cit.)

 


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24 Gennaio | January 24

24 gennaio 2025

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What Cornell did on January 24, 1947.
Shaved and dressed and waved good-bye to Robert on porch (Mother shopping). Waved to Robert from train. So far uneventful but rest of day picked up that kind of richness in which a revealing in detail becomes such a feast of experience – went all the way in to Penn Station. Just before going under tunnel looked up at freight cars – the word Jane scrawled on a box-car in large letters, red with a touch of pink, then toches of primary colors mingling with a scene of men working on the tracks with a long crane mounted on a car – all over in a flash but evoking a strong feeling

Charles Simic, Dime-Store Alchemy. The Art of Joseph Cornell (1992), New York Review Book

*
24 gennaio 1947. Una giornata di Cornell

“Mi sono sbarbato, vestito, ho salutato Robert sulla veranda (la mamma era a far spesa). Un saluto a Robert dal treno. Fin qui niente di particolare, ma il resto della giornata ha accumulato quel genere di ricchezza per cui il godimento dei dettagli si trasforma in un’esperienza grandiosa – sono arrivato fino alla Penn Station. Un attimo prima di infilarmi nel tunnel ho alzato lo sguardo verso i carri merci – la parola Jane scarabocchiata su un vagone a larghe lettere, rosse con una punta di rosa, poi tocchi di colori primari che si fondevano in una scena di uomini al lavoro sui binari accanto a un’alta gru montata su un vagone – tutto come in un flash, ma evocando sensazioni forti

Charles Simic, Il cacciatore di immagini, 1992, tr. it. A. Cattaneo, Adelphi, Milano 2005, p. 29

Joseph Cornell (Nyack, NY 1903 – New York 1972) è un artista statunitense noto soprattutto per la sua produzione di scatole di legno chiuse da un vetro, in cui sono assemblati oggetti d’affezione (pipe d’argilla, piume, conchiglie, quadranti, spirali) che compongono delle partiture plastiche affascinanti e dense di significati. Dai primi esemplari di scatola della metà degli anni Trenta (Untitled. Soap Bubble Set, 1936) realizzati in sintonia con le invenzioni di Max Ernst e con le suggestioni surrealiste conosciute a New York nella galleria di Julien Levy, fino agli ultimi esperimenti con la tecnica del collage, le opere di Cornell si basano tutte sulla costruzione di collegamenti e risonanze tra frammenti trovati. Dalla sua casa in Utopia Parkway, dove viveva con la madre e il fratello Robert, Cornell partiva per il centro della città, dove camminava e osservava, in cerca di quei “quattro o cinque oggetti ancora sconosciuti che vanno insieme” e che, “una volta insieme, faranno un’opera d’arte”. Nel libro Il cacciatore di immagini (in inglese Dime-store Alchemy), il poeta Charles Simic immagina una giornata di gennaio dell’artista, con le sue consuetudini e gli incontri casuali che si trasformano in sorprese e ispirazioni. Una giornata unica, come tante. 

Dicono del libro

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Here: da McGuire a Zemeckis

“What Am I Doing Here”? – Che ci faccio qui? è il titolo di un celebre libro di Bruce Chatwin che raccoglie alcune delle storie dei suoi viaggi, mettendo l’accento sull’avverbio di luogo, qui, che serve a orientarci nello spazio e anche nel tempo. Il libro uscì nel 1988, mentre il poliedrico artista statunitense Richard McGuire preparava le 36 vignette in bianco e nero di un’opera intitolata proprio Here. Nel caso di McGuire, l’avverbio è l’esca per raccontare il tempo attraverso un angolo di spazio: un salotto, che ospita la vita di persone nel corso di anni e decenni, con affacci telescopici e non sequenziali nel passato e nel futuro.
Nato nel New Jersey nel 1957, musicista, narratore, illustratore per testate internazionali fra cui The New Yorker e Le Monde, McGuire pubblicò le vignette di 
Here nel 1989  sulla rivista “Raw” (e si possono vedere qui).
L’idea che le permeava continuò la sua evoluzione nella fantasia e nell’invenzione tecnica dell’autore, sviluppandosi in forma di graphic novel, che andò in stampa nel 2014 per la casa editrice Pantheon Books. Trecento pagine a colori in cui il salotto è il perno fisso dell’avvicendarsi discontinuo delle ere, degli anni e dei giorni.

Nel 2015 apparve la versione italiana edita da Rizzoli Lizard, che la storica dell’arte Elisa Sorrentino ha analizzato in questo articolo, cogliendone la sintassi narrativa, le qualità grafiche, i rimandi stilistici (a Hopper e a Wes Anderson per esempio) e segnalando anche un cortometraggio sperimentale del 1991 che aveva animato l’idea di base di Here.

Here: le finestre sul tempo di Richard McGuire

Ora, dopo un decennio dall’uscita del libro e dopo trentacinque anni dall’incunabolo del 1989, il regista Robert Zemeckis (fra i suo capolavori: Ritorno al futuro) trasforma Here in un film con Tom Hanks, alla cui sceneggiatura hanno collaborato Eric Roth e lo stesso McGuire.  “Ambientato in un’unica stanza, segue le diverse persone che la abitano in diversi anni, dal passato al futuro” recita su Internet Movie Database la sinossi del film, un film che è stato definito “malinconico e dolcissimo” e che mette alla prova l’orientamento di chi guarda, che deve seguire l’andirivieni temporale e la frammentazione dello schermo in riquadri. Per accompagnare i salti nel tempo, sulle immagini degli attori e delle attrici sono state utilizzate tecniche di ringiovanimento digitale. 
(a.s.)

14 Gennaio | 14 Enero

14 gennaio 2025

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El catorce de enero de 1922, Emma Zunz, al volver de la fábrica de tejidos Tarbuch y Loewenthal, halló en el fondo del zaguánuna carta, fechada en el Brasil, por la que supo que su padre había muerto. La engañaron, a primera vista, el sello y el sobre; luego, la inquietó la letra desconocida. Nueve diez líneas borroneadas querían colmar la hoja; Emma leyó que el señor Maier había ingerido por error una fuerte dosis de veronal y había fallecido el tres del corriente en el hospital de Bagé. Un compañero de pensión de su padre firmaba la noticia, un tal Feino Fain, de Río Grande, que no podía saber que se dirigía a la hija del muerto.
         
Emma dejó caer el papel. Su primera impresión fue de malestar en el vientre y en las rodillas; luego de ciega culpa, de irrealidad, de frío, de temor; luego, quiso ya estar en el día siguiente. Acto contínuo comprendió que esa voluntad era inútil porque la muerte de su padre era lo único que había sucedido en el mundo, y seguiría sucediendo sin fin

Jorge Luis Borges, Emma Zunz, 1949

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Il quattordici gennaio del 1922, Emma Zunz, di ritorno dalla fabbrica di tessuti Tarbuch e Loewenthal, trovò in fondo all’ingresso una lettera, col timbro del Brasile, dalla quale seppe che suo padre era morto. La ingannarono, a prima vista, il francobollo e la busta; poi, la inquietò la calligrafia sconosciuta. Nove o dieci righe scarabocchiate cercavano di riempire il foglio

Jorge Luis Borges, Emma Zunz, 1949, tr. it. F. Tentori Montalto, I Meridiani, Mondadori 1985, I, p. 813

Uno dei racconti della raccolta L’AlephEmma Zunz  narra l’elaborata e dolorosa vendetta di una figlia che vuole rendere giustizia al padre ingiustamente accusato di un furto. Lo “splendido argomento” – così lo definisce lo stesso Borges – del racconto si intreccia con il tema del tempo e del trovarsi nei giorni.  Quando il 14 gennaio la giovane Emma viene a sapere che il padre è morto il 3 dello stesso mese, la notizia le fa desiderare di “trovarsi già al giorno dopo”, desiderio inutile “perché la morte di suo padre era la sola cosa che fosse accaduta al mondo e che sarebbe continuata ad accadere, senza fine”.  E ancora “i fatti gravi stanno fuori del tempo, sia perché in essi il passato rimane come scisso dal futuro, sia perché le parti che li formano non paiono consecutive”.
Il 14 gennaio compare anche nel racconto 
L’anziana signora (Il manoscritto di Brodie)

Dicono del libro

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12 Gennaio

12 gennaio 2025

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Il vecchio vestito con pelliccia interna di castoro e una lobbia nera lo prese per mano ed entrarono dal cartolaio: era il giorno 12 di gennaio del 1944, in una calle oscura e fumosa di Venezia, accanto a una friggitoria. Qualcosa scendeva dal cielo, non si sa se pioggia o fumo, o microscopica fuliggine di tubi di stufe o la prima nebbia del pomeriggio. Piero non capiva ancora quel che stava per succedere. Era quello che si dice un momento di massima epoché, di sospensione. 

Goffredo Parise, Sogno (Sillabari), 2004, Adelphi, Milano 2009, p. 349

Dicono del libro
Un giorno, sul finire degli anni Sessanta, Parise vede nella piazza sotto casa un bambino con in mano un sillabario. Gli si avvicina e legge: «L’erba è verde». Sono tempi politicizzati, in cui si fa spesso ricorso a parole «difficili», e quella pagina limpida e colorata acquista il significato di un monito, un richiamo all’essenzialità della vita e della poesia: «Gli uomini d’oggi secondo me hanno più bisogno di sentimenti che di ideologie». Nasce così l’idea di una serie di brevi racconti (o romanzi in miniatura o poesie in prosa, difficile dirlo), dedicati a sentimenti umani essenziali, che disposti in ordine alfabetico compongano una sorta di dizionario”.
(dalla bandella dell’ed. Adelphi cit.)

 

 

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I Gennaio | January 1

1 gennaio 2025

“I knew I have fallen in love with Lolita forever; but I also knew she would not be forever Lolita. She would be thirteen on January 1. In two years or so she would cease being a nymphet and would turn into a ‘young girl’ and then, into a ‘college girl’ – that horror of horrors. The word ‘forever’ referred only to may own passion, to the eternal lolita as reflected in my blood”

Vladimir Nabokov, Lolita, 1955 (The Annotated Lolita, ed. by Alfred Appel), Vintage Books, 1991, p. 65

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“Sapevo di essermi innamorato di Lolita per sempre; ma sapevo anche che lei non sarebbe stata per sempre Lolita. Il primo gennaio avrebbe compiuto tredici anni.
Entro un paio d’anni avrebbe cessato di essere una ninfetta e si sarebbe trasformata in una ‘ragazza’, e poi, orrore degli orrori, in una college girl.
La parola ‘per sempre’ si riferiva solo alla mia intima passione, a quell’eterna Lolita che si rifletteva nel mio sangue”    

Vladimir Nabokov, Lolita, 1955, tr. it. G. Arborio Mella, Adelphi, 1993, p. 86

Chi parla di questo primo gennaio, nel romanzo di Nabokov, è il professor Humbert Humbert. Colto europeo trasferitosi nel New England, vive nella casa della signora Haze, la cui figlia dodicenne, Dolores detta Lolita, è una fanciulla in fiore, immagine perfetta, antichissima e attuale, del desiderio. Quando Humbert Humbert riflette sul compleanno della ragazza, la vicenda è a una svolta. Stanno per accadere dei fatti (il matrimonio con la Haze e la morte di questa) che porteranno Humbert Humbert e Lolita in un viaggio attraverso gli Stati Uniti, fra motel e cittadine sconosciute, sospetti, capricci, perversioni. Intanto Lolita cresce, comincia a frequentare amiche e ragazzi, finché non scappa, realizzando il presentimento di Humbert Humbert sull’inesorabile passaggio di tempo di cui il compleanno è simbolo e soglia. 

Dicono del libro

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31 Dicembre | ultimo dia del año

31 dicembre 2024

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Hoy es el ultimo dia del año. En todo el mundo que por este calendario se gobierna anda la gente entretenida debatiendo consigo las buenas acciones que intentan practicar en el año que entra, jurando que van a ser rectas, justas y ecuánimes, que de su enmendada boca no volverá  a salir una palabra mala, una mentira, una insidia, aunque las mereciera el enemigo, claro es que estamos hablando de personas vulgares, las otras, las de excepción, las que se fuera de lo común, se ajustan a sus propias razones para ser y hacer lo contrario siempre que les apetezca o aproveche, ésas son las que no se dejan engañar, llegan a reírse de nosotros y de las buenas intenciones que mostramos, en fin, vamos aprendiendo con la experiencia, y mediado enero ya habremos olvidado la mitad de lo que habíamos prometido, y, habiendo olvidado tanto, no hay realmente motivo para cumplir el resto, es come un castillo de naipes 

José Saramago, El año de la muerte de Ricardo Reis, 1984

Oggi è l’ultimo giorno dell’anno. In tutto il mondo retto da questo calendario le persone si intrattengono a dibattere con se stesse le buone azioni che intendono mettere in atto nell’anno che incomincia, giurando che saranno rette, giuste ed equanimi, che dalla loro bocca emendata non uscirà mai più una parola cattiva, una bugia,  un inganno, anche se il nemico se lo meritasse, è chiaro che è degli uomini comuni che stiamo parlando, gli altri, quelli d’eccezione, fuori dell’ordinario, si regolano in base a ragioni proprie per essere e fare il contrario sempre che ne ricavino gusto o interesse, questi sono coloro che non si lasciano illudere, arrivano a ridersela di noi e delle buone intenzioni che mostriamo, ma, alla fin fine, lo impariamo con l’esperienza, già nei primi giorni di gennaio abbiamo dimenticato metà dei nostri propositi e, avendo tanto dimenticato davvero non c’è motivo di tener fede al resto, è come un castello di carte

José Saramago, L’anno della morte di Ricardo Reis, 1984, tr. it. R. Desti, Feltrinelli, 1985, p. 48

È il 31 dicembre del 1935 quando Ricardo Reis, medico portoghese di quarantotto anni, aspetta l’arrivo dell’anno nuovo nell’albergo Bragança di Lisbona. Nelle case di Lisbona si preparano i festeggiamenti e l’uva passa da mangiare a mezzanotte, un chicco per ogni rintocco, per chiamare la fortuna nei dodici mesi che verranno. È una giornata di temporali improvvisi e di schiarite. Ricardo Reis è arrivato a Lisbona da due giorni, dopo sedici anni di lontananza dal suo paese. Ha intenzione di aprire uno studio medico. Ma, prima di tutto, vuole rendere omaggio alla tomba di Fernando Pessoa, il poeta e amico morto un mese prima. È il poeta che l’ha inventato, proprio così, e grazie al quale vive una vita propria, apparentemente reale. Il 31 dicembre, dopo aver passeggiato per il centro, Ricardo Reis è tornato in albergo, dove tutti attendono, con gli occhi sull’orologio, la “riga di luce”, la “frontiera” invisibile che scandisce il passaggio da un anno all’altro. Rientrato in camera Reis trova seduto sul sofà proprio Pessoa: non è un fantasma, ma l’ombra che permane sulla terra per nove mesi dopo la morte e che lo visiterà ancora, da buon amico, per il tempo che gli rimane, pieno di avvenimenti privati e di tragedie pubbliche, la dittatura, e la guerra di Spagna del 1936. 

Dicono del libro
“Nel 1936, mentre all’orizzonte si preannuncia la seconda guerra mondiale, scoppia la guerra di Spagna. In quello stesso fatidico 1936 muore Ricardo Reis, solo un anno dopo la scomparsa del suo inventore, Fernando Pessoa. Reis è infatti uno dei tanti eteronimi di Pessoa, che ne aveva immaginato l’ideale biografia (nato a Porto nel 1887, educato dai gesuiti, medico, espatriato per ragioni politiche in Brasile nel 1919) e gli aveva attribuito come poeta classicistiche odi oraziane, ma non gli aveva dato carne e sentimenti. Cosa che invece compie Saramago, che lo fa tornare dal volontario esilio in occasione della morte del suo creatore, gli fa aprire uno studio medico a Lisbona, gli fa vivere una vita sociale, gli fa avere due donne, la cameriera d’albergo Lidia e la giovane Marcenda, e un figlio, e prima di morire lo fa essere testimone di tragici eventi, filtro attraverso cui rileggere la storia della patria salazarista, allineata a fascisti, nazisti e falangisti in tutt’Europa”.
(Dalla scheda del libro nel sito ibs)

Altre storie che accadono oggi

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“… Per la sera di San Silvestro poi il diavolo mi riserva sempre una festa speciale…”
E.T.A. Hoffmann, La notte di San Silvestro

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“… La sera del 31 dicembre arrivò un telegramma con le parole: Buon anno a te, Nora…”
Massimo Bontempelli, Gente nel tempo


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“… Una volta all’anno, il pomeriggio del 31 dicembre, si recava con i figli nella cattedrale…”
Sandor Marai, Divorzio a Buda
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“… Martedì  31 dicembre 199… Ore 19:00 Cristiano Carucci aveva in testa tre possibilità per sfangarequella maledettissima notte…”
Niccolò Ammaniti, L’ultimo capodanno dell’umanità

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“… E la notte di Capodanno del duemila, cosa farai? Scenderai giù nelle piazze a far capriole…”
Marco Lodoli, Diario di un millennio che fugge

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“…È l’ultimo giorno dell’anno. Un grande freddo vento dal nord si è impadronito della terra…”
Agota Kristof, La prova

 

28 Dicembre

28 dicembre 2024

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Quanti, di qui a molti anni, avranno la ventura di rivedere risorte Reggio e Messina dal terribile disastro del 28 dicembre 1908, non potranno mai figurarsi l’impressione che si aveva, allorché, passando in treno, pochi mesi dopo la catastrofe, cominciava a scoprirsi, tra il verde lussureggiante dei boschi d’aranci e di limoni e il dolce azzurro del mare, la vista atroce dei primi borghi in rovina, gli squarci e lo sconquasso delle case

Luigi Pirandello, Il professor Terremoto, 1910, in Novelle per un anno, Giunti, 1994, vol. I, p. 572

In uno scompartimento di prima classe di un treno che percorre la Sicilia, i viaggiatori rievocano il terremoto che distrusse Messina il 28 dicembre 1908 e alcuni episodi di salvataggi ed eroismi che che accaddero in quella tragica occasione. Il professore protagonista della novella, però, ha un parere tutto suo sul tema dell’eroismo e sulle conseguenze di atti a prima vista sublimi. Più che esaltare l’attimo glorioso il professore considera l’evolversi successivo dei fatti, quando la vita ordinaria – passata l’emergenza – riprende il sopravvento. Come esempio porta se stesso, autore, anni prima, del coraggioso salvataggio di una famiglia di sei persone la cui riconoscenza, col tempo, è diventata una catena e un peso che ha rovinato la sua vita.

Dicono del libro
“Pubblicata nel ‘Corriere della sera’ del 10 aprile 1910; in La trappola, Milano, Treves, 1915; in L’uomo solo, Firenze, Bemporad, 1922″.
(Dalla nota nell’ed. Giunti, op. cit.)

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L’altezza del tempo: Measuring The Universe di Roman Ondak

di Cecilia Fabbri

“È come un orologio che indica ore e minuti: ogni momento ha lo stesso grado di importanza”: così l’artista concettuale slovacco Roman Ondak definisce la sua opera Measuring The Universe, presentata alla Pinakothek der Moderne a Monaco nel 2007, replicata nel 2009 al MoMA di New York e alla Tate St. Ives nel 2011.

L’opera è costruita grazie un processo collettivo in cui i visitatori vengono invitati a lasciare un segno della loro altezza sulla parete bianca della sala: un addetto traccia una lineetta con un pennarello nero insieme al nome della persona coinvolta e alla data del giorno della segnatura. Queste linee vanno così moltiplicandosi e sovrapponendosi fino a coprire gran parte delle pareti, addensandosi nella fascia centrale, creando un effetto di stratificazione e di accumulo visivo che dà corpo all’interazione tra il pubblico e l’opera, trasformando i visitatori da semplici fruitori a co-creatori dell’opera. L’atto di misurare qualcosa di apparentemente banale come l’altezza, diventa una metafora più ampia dell’unicità della persona e, al contempo, della comunanza umana: l’identità viene assorbita dalla massa di segni, sottolineando i confini sfumati tra comunità e individualità.

Nell’intervista di Klaus Biesenbach (Roman Ondak, “Flash Art”, 2017), l’artista afferma che “questa performance trasforma in un evento pubblico l’abitudine domestica di registrare l’altezza dei bambini” (sullo stipite di una porta), cosa che Ondak stesso dice di fare con i suoi due figli. L’artista considera questa azione come il primo documento personale dell’infanzia del bambino e come il primo momento in cui un bambino – che non si imbatte con la preoccupazione del passare del tempo degli adulti – si relaziona con il concetto di tempo. Protagonista dell’opera diviene così non solo lo spazio, ma soprattutto il tempo e il suo trascorrere: è una crescita in divenire. Un tassello alla volta, accresce il valore effimero e temporaneo dove la sovrapposizione di segni crea una sorta di “passaggio” di identità, una linea del tempo umana. Ondak infatti spiega che ogni momento ha lo stesso grado di importanza e che l’opera mantiene il medesimo stato sia con un singolo segno sul muro sia con migliaia. Alla domanda dell’intervistatore se l’opera esiste fin dal primo momento, oppure nasce al comparire di più tracce sul muro, l’autore afferma che comincia con la prima misurazione e finisce quando l’ultimo visitatore viene misurato.
Aggiunge: “È quasi come se me ne stessi seduto per un giorno intero a un caffè all’angolo di una strada affollata a guardare la gente che passa e provassi a identificare e ricordare tutti. Trasferendo tutto ciò sul piano della performance, cerco di visualizzare quello che questa massa di gente rappresenta. La sala espositiva, dove le misurazioni avvengono ogni giorno, funziona un po’ come un contenitore del ‘qui e ora’. Mostra l’esistenza di un potenziale invisibile che trasforma la presenza delle persone in un oggetto fisico.”

Fondamentale nel suo lavoro è proprio questo avvicinamento con l’altro, sia per la creazione materiale dell’opera sia per un livello partecipativo ed emotivo. Nella video intervista del MoMA Ondak spiega: “Pensavo a questo momento molto periferico e marginale della vita quotidiana da ampliare e trasformare nel contesto della mostra, ogni visitatore che entra nella mia stanza è il benvenuto per essere misurato e la partecipazione delle persone è molto spontanea quindi non dobbiamo convincere le persone a prendervi parte, è il contrario, le persone vorrebbero davvero partecipare quindi è molto vivace l’interazione, molto rilassata, tra i visitatori e le guardie, o il museo, o me stesso, non ci sono mai interruzioni tra le misurazioni.”

Come suggerisce il titolo Measuring The Universe, è attraverso la nostra scala che misuriamo il mondo e, con l’aumentare dell’età, cambiano l’esperienza e la comprensione del tempo e del mondo stesso.
Spiega ancora Ondak: “Riguarda tutto il mistero di come le persone si comportano in generale. Non è un mistero all’interno del mio lavoro, ma è un mistero della vita di tutti i giorni, sai: perché abbiamo dei partner, perché abbiamo delle famiglie, degli amici, perché ci piace questo e non ci piace quello. In qualche modo il mistero di queste relazioni è ciò che mi porta a cercare modi per trasformarle in opere d’arte”.

Cecilia Fabbri, 3 dicembre 2024

Altri riferimenti:
Philomena Epps, Roman Ondák born 1966 Good Feelings in Good Times 2007, Tate, 2016
Stefanie Gommel, ROMAN ONDÁK, In the Space between Art and Life, 2012
Roman Ondak nel sito della Tate: https://www.tate.org.uk/art/artists/roman-ondak-7622
Roman Ondak nel sito del MoMa: https://moma.org/collection/works/128840
Roman Ondak nel sito della galleria Kurimanzutto https://kurimanzutto.com/artists/roman-ondak#tab:slideshow;slide:5
Roman Ondak nel sito della Galleria Ester Schipper: https://estherschipper.com/artists/61-roman-ondak/works/10875/

 

28 Novembre

28 novembre 2024

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Mente umana non può concepire quello che sta avvenendo a Mosca. Sette bancarellisti della Sùcharevka sono già al fresco per aver diffuso voci sulla imminente fine del mondo provocata dai bolscevichi. Dar’ja Petrovna ne ha parlato indicando perfino la data esatta: il 28 novembre 1925, festività di Santo Stefano Martire, la terra si scontrerà con l’asse celeste

Michail Bulgakov, Cuore di cane, 1925, tr. it. M. Olsoufieva, Garzanti 1974, p.90

Pallino, un cane randagio affamato e pulcioso, e molto esperto della dura vita  di strada nella Mosca della rivoluzione bolscevica, è stato accolto in casa del professor Preobrazenskij, uno scienziato che sperimenta tecniche chirurgiche di ringiovanimento. Dopo qualche giorno di bella vita, Pallino è l’oggetto di un’operazione: gli vengono innestate ghiandole genitali e ipofisi di un uomo appena morto in una rissa. Invece di ringiovanire, però,  il cane si trasforma in una specie di  essere umano: piccolo e sgraziato, il nuovo Pallino è in grado di parlare – usando il repertorio di parolacce sentito nella sua precedente vita canina – e addirittura di leggere. La notizia di questo evento portentoso alimenta il caos che regna a Mosca, aggiungendosi alle voci di fine del mondo, prevista per il giorno di Santo Stefano il giovane, monaco orientale commemorato il 28 novembre. 

Dicono del libro

 

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Tempo dodici. Un libro di Marco Malvaldi

Lo scrittore e chimico Marco Malvaldi, autore della saga del BarLume (Sellerio) e di argute incursioni trasversali nel mondo della cultura, dedica un piccolo volume di dodici capitoli al numero 12. Un numero “dai molti significati, a volte contraddittori, anche all’interno della matematica”, un numero che accompagna le attività di contare e di raggruppare, di accordare gli strumenti, di crittografare e decifrare messaggi e di seguire lo scorrere del tempo. 
Dei dodici capitoli, tutti in qualche modo correlati da sottili rimandi, aperti da sinossi e da citazioni musicali, cinefile e storiche, scegliamo il capitolo tre: Dodici diviso sei, dodici per far passare il tempo.
Dopo aver illustrato, nei primi due capitoli, l’affermarsi del dodici nella pratica del raggruppare le cose in uno stesso insieme e l’origine della dozzina dal metodo condiviso di contare sulle falangi delle dita, l’autore si volge alla presenza del 12 nelle scansioni temporali.
La sinossi del capitolo terzo annuncia che “si parlerà di come talvolta raggruppare i numeri in modo ciclico dia maggior informazione – sapere che oggi è il giorno 737.002 dalla nascita di Cristo non è molto utile, mentre sapere che è il 10 novembre ci dice molte più cose. E anche i mesi, guarda caso, sono dodici“.  E in esergo al testo, compare giustamente il ritornello della Canzone dei dodici mesi di Francesco Guccini. 
Con grande sintesi, Malvaldi percorre le vicissitudini delle scansioni orarie e annuali dei Babilonesi, che individuarono il dodici per suddividere la durata del giorno, della notte e dell’anno e si imbatterono nelle difficoltà dovute ai cicli lunari di 28 giorni e a quelli solari di 365. Prosegue con la lunga storia della ricerca di intervalli, andamenti e costanti, basati sull’osservazione dei reciproci rapporti fra natura e corpo umano, che ha portato alle forme attuali di suddivisione del tempo.
Nei capitoli centrali, sul crinale fra matematica, storia e humor, Malvaldi affronta il tema della rilevanza del dodici nella combinazione di suoni, da Pitagora a Gioseffo Zarlino, da Frescobaldi a Simon Stevin (1548-1620), l’ingegnere e matematico fiammingo che descrisse una scala basata sulla divisione dell’ottava in dodici semitoni uguali, mettendo a punto il l sistema di accordatura detto “temperamento equabile”. Lo stesso sistema trovato, nel medesimo periodo, dal principe cinese Chu T’sai-Yu per risolvere il problema dell’accordatura di dodici flauti di bambù. Nel corso di una cerimonia rituale i suoni dei flauti dovevano intonarsi e fluire in modo uniforme “a rappresentare il naturale e sempre costante scorrere del tempo e della fasi lunari”.  Per questo motivo, che collega la dimensione naturale e il suono, il testo cinese si intitola I dodici semitoni e la loro coordinazione nel calendario. Ed ecco che – spiega Malvaldi – “il circolo delle quinte, che viene risolto dividendo un’ottava in dodici, è a tutti gli effetti un ciclo, così come l’anno viene diviso in dodici mesi e lo scorrere del giorno in dodici ore, in cerchi sempre diversi ma sempre simbolicamente uguali”.
Il libro prosegue con l’importanza del dodici nelle tecniche di cifratura (“una maniera estremamente affascinante di mettersi d’accordo su come condividere un segreto”) e si conclude con l’osservazione di una coincidenza notata dallo sguardo di Malvaldi: il ricorrere di gruppi di dodici persone unite in un’impresa, da Quella sporca dozzina, ai dodici giurati, agli Apostoli. 
(as)

Marco Malvaldi, Dodici. Un numero che mette d’accordo, Il Mulino, Bologna 2024

25 Novembre | 25 November

25 novembre 2024

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Mario Incandenza’s nineteenth birthday will be Wednesday 25 November, the day before Thanksgiving. His insomnia worsens as Madame Psychosis’s hiatus enters its third week and WYYY tries bringing back poor Miss Diagnosis again, who’s started in on a Pig-Latin reading of the Revelation of John that makes you so embarrassed for her it’s uncomfortable. For a couple nights in the HmH living room he tries falling asleep to WODS, an AM-fringe outfit that plays narcotizing orchestral arrangements of old Carpenters songs. It makes things worse. It’s weird to feel like you miss someone you’re not even sure you know.

David Foster. Wallace, Infinite Jest, 1996

Il diciannovesimo compleanno di Mario Incandenza sarà mercoledì 25 novembre, il giorno prima del Ringraziamento. La sua insonnia peggiora con l’entrare nella terza settimana dello iato di Madame Psychosis e il tentativo della Wyyy di riproporre la povera Miss Diagnosis, che ha iniziato una lettura in latino della Rivelazione di Giovanni che è così imbarazzante da farti sentire in pena per lei. Per un paio di notti Mario cerca di addormentarsi nel salotto della CdP con la Wods, una stazione Am che trasmette narcotizzanti arrangiamenti orchestrali di vecchie canzoni dei Carpenters. Il che rende le cose ancora più difficili. È strano sentire che ti manca qualcuno che forse non conosci neanche

David Foster Wallace, Infinite Jest, 1996, tr. it. E. Nesi (con la coll. di A. Villoresi e G. Giua), Einaudi, 2006, p. 706

Nel tempo raccontato in Infinite Jest, un tempo futuro in cui la geografia politica del Nordamerica è profondamente modificata, gli anni sono sponsorizzati da aziende di prodotti alimentari, medicali, elettrodomestici. L’anno a cui si riferisce questa pagina – indicato in italiano dall’acronimo APAD – prende il nome dal Pannolone per Adulti Depend  e interseca il calendario reale fra il 2008 e il 2009. Il secondogenito della famiglia Incandenza, Mario, un ragazzo disabile, compirà diciannove anni la vigilia del Giorno del Ringraziamento, che cade il quarto giovedì di novembre, mese di giornate “grigie, fredde e ventose”, col cielo colore “vetro sporco”. Mario fa parte della famiglia di James Incandenza, fondatore dell’Ensfield Tennis Academy e autore del film  perduto che dà il titolo al libro, oggetto di infinito intrattenimento e dipendenza.  Detto Booboo dal fratello più piccolo Hal, allievo dell’accademia di tennis, Mario ha competenze tecniche nelle riprese cinematografiche e una passione per il programma radiofonico – trasmesso dalla Wyyy – di Madame Psychosis. A qualche giorno dal suo compleanno Mario si è trasferito per la notte nella CdP, la casa del preside, in ascolto della radio. Madame Psychosis è sostituita, ma Mario si imbatte passeggiando nella registrazione di una vecchia puntata del programma, un programma in cui sembra di ascoltare “una persona triste” che legge ad alta voce lettere ingiallite, tirate fuori “da una scatola da scarpe durante un pomeriggio piovoso”. 

Dicono del libro

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